Fr. Ermes Ronchi: “La misericordia nella scrittura e nella liturgia”

Published in Missione Oggi

La Misericordia Annunciata Nella Scrittura e Celebrata Nella Liturgia”

 

Sono molto contento di essere qui, a questa settimana. Ma anche molto preoccupato, perché non ho competenze specifiche. Chiedo subito molta comprensione per quello che oserò dire, sicuro che, non possedendo nessuna autorità ma solo delle convinzioni, convinzioni di un cristiano e di un frate che pratica la liturgia e quindi riflette anche su di essa, potrò fare e destare domande piuttosto che indicare soluzioni, guardando al futuro.

 La misericordia è il grande tema. Agli onori della cronaca ecclesiale.

Come parlarne ancora? Inizio dalla Bolla di papa Francesco: Misericordiae vultus, al paragrafo 2, trovo tre definizioni limpide:

1- Misericordia è l’atto ultimo e supremo con il quale Dio ci viene incontro;

2-  è la legge fondamentale che abita nel cuore di ogni persona quando guarda con occhi sinceri il fratello;

3-  è la via che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere cercati, voluti, amati per sempre, nonostante tutto.

Misericordia come atto, legge, via unitiva.

 

Di misericordia si narra, si racconta, più che discutere.

È il racconto di storie, di fatti, di opere.

Infatti Francesco ha scelto come suo motto episcopale una frase di san Beda il Venerabile, monaco inglese (673-735), che commenta la scena della chiamata di Matteo con due verbi: miserando atque eligendo.

Bergoglio commenta: il gerundio latino miserando mi sembra intraducibile in italiano e spagnolo. A me piace tradurlo con un altro gerundio che non esiste: misericordiando.

Questo vuol dire che la misericordia richiede il verbo, non il nome.

Il sostantivo indica la cosa, il verbo indica l’azione, il dinamismo, l’esperienza, l’atto.

Misericordia è un capitolo del grande libro dell’amore. Amare è un verbo transitivo. Deve transitare.

La misericordia deve perdere la sua fissità di teoria, per diventare gesto, azione, processo, dinamismo. Liturgia appunto.

Cercare nella Bibbia le figure e i verbi della misericordia è un esercizio benefico, che ogni volta riempie di sorrisi, per la bellezza delle storie, e di sorprese, per l’impensabile di Dio che contengono.

Cercare la misericordia celebrata, non nella Liturgia dei messali ma in quella delle assemblee concrete, è impresa ardua.

Forse perché la nostra cristianità è a un bivio, vedo che molti cristiani anche consapevoli e impegnati disertano le liturgie, dove si consuma il sacro, il fatto religioso, ma non si consegna speranza ai fedeli, che non diventano soggetti di fede, di carità, di speranza.

Celebrazioni senza patos, senza sorrisi, e noiose. Eppure Dio non è noioso!

Credo che le chiese si svuotino per noia e per stanchezza;  non per contestazione di dottrina o accuse alle istituzioni, non per scandali ma per stanchezze; non per i drammi della vita o per il rifiuto di Dio, ma  per noia.

Dio può morire di noia nelle nostre chiese.

 “Dio, ucciso dalle nostre mestissime omelie” (David Maria Turoldo).

 

MISERO E CUORE

 

A cominciare dalla mesta nozione di Misericordia: una parola che abbiamo immiserito, riducendola a una dimensione moralistica, al semplice perdono dei peccati, mentre il suo significato è travolgente.

Parola innanzitutto plurale, composta in italiano di due parole: misero e cuore.

Parola plurale anche nell’ebraico biblico: rahamim, plurale di rehem, utero. Indica l’origine della vita, grembo di madre, la matrice dell’uomo.

E per analogia, le viscere di madre diventano la metafora e la sede dell’amore materno, amore viscerale.

 

Misero e cuore sono due termini che riempiono la Bibbia. Che anzi è scritta dal punto di vista dei miseri, dell’Adamo che sbaglia, del sangue di Abele, dell’Abramo migrante, del popolo schiavo in Egitto sotto il dio Faraone, dei peccatori, degli uomini che cadono nel pozzo della paura e della morte.

La parola cuore è evocata dalla legge che riassume tutte le altre leggi: amerai con tutto il cuore, tutta l’anima, tutta la mente, tutte le forze.

Ma ad ogni redazione di questa legge, sia nel Primo che nel Secondo Testamento, primo viene il cuore, che è il convergere, il riassunto di tutte le altre facoltà dell’uomo.

La situazione da cui tutto ha origine è la sofferenza, come scrive in un verso famoso Ungaretti:

fa piaga nel tuo cuore / la somma del dolore del mondo;

fanno piaga nel cuore di Dio le piaghe del povero Lazzaro, di turbe di Lazzari alle soglie dei palazzi del ricco occidente.

Scrive Origene: Dio prima patì poi si incarnò.

L’Incarnazione, Gesù è il pianto di Dio fatto carne.

 

Leggendo il Nuovo Testamento si resta sorpresi che i termini povero, poveri, ricorrano più spesso del termine peccatori.

Nei vangeli, il campo semantico della povertà, debolezza, sofferenza precede ed è molto più ricorrente del campo semantico del peccato.

I poveri riempiono la bibbia, ma non le nostre liturgie. Riempiono la storia ma non il cuore.

Mi piace rilanciare una citazione straordinaria del teologo J. B. Metz:

Il primo sguardo di Gesù nel Vangelo non si posa mai sul peccato di una persona, ma sulla sua povertà e sulla sua sofferenza, per soccorrerla.

Non è moralista il vangelo. Siamo noi che l’abbiamo moralizzato. P. Vannucci afferma: il vangelo non è una morale, ma una sconvolgente liberazione.

Misericordia non si può ridurre, raggrinzire, disidratare al semplice paradigma colpa/perdono.

Gesù ha vissuto una combattiva tenerezza per i poveri. Se vogliamo celebrare la misericordia di Dio, in liturgie che siano davvero umane, dobbiamo trovare i modi per far entrare nelle assemblee le piaghe e la sofferenza dell’uomo e del mondo. Non consumo di sacro, ma spazio per l’umanità reale. Non possiamo in chiesa cantare gli inni e poi disinteressarci delle macerie della storia...

Una liturgia così è sterile come la polvere.

Misericordia è il nome di Dio. Dom Benedetto Calati dava un altro nome a Dio, diceva Dio è un bacio: con un bacio ha soffiato la vita in Adamo, e ancora con un bacio l’ha ripresa da Mosè, e la riprenderà da ogni creatura. Il linguaggio della Misericordia è tenerezza: Dio perdona con una carezza, non con un decreto (papa Francesco). Come far entrare la tenerezza di Dio nella liturgia? Come vedete, io pongo domande.

 

LITURGIE SANE E LITURGIE MALATE

 

L’efficacia della liturgia sta nella sua capacità di incidere il cuore, toccandolo attraverso la domanda di soccorso dell’uomo e con il sentire che Dio viene. Dio è vicino a te, con amore.

Ci sono liturgie sane e liturgie che non lo sono.

Dovremmo interrogarci continuamente su come far entrare nella liturgia la dimensione degli affetti, e l’azione in favore della fragilità e della sofferenza delle creature. Una liturgia anaffettiva non è sana.

Dio non è presente dove è assente il cuore.

Solo una liturgia che sia sana può essere a sua volta sanante.

 

Solo una celebrazione che non sia un luogo di estraneità o di indifferenza reciproca;

una liturgia che non sia affermazione di potere e di abuso sull’assemblea da parte del presidente;

che non sia narcisistica, o espressione di nervosismo o di depressione da parte di chi presiede.

Che non colpevolizzi mai nessuno mai, attraverso certi atti penitenziali. Colpevolizzarsi è dire: ho sbagliato tutto, non ce la farò mai, non valgo, nessuno mi vuol bene perché non lo merito...

Una liturgia che non sia senza passione, nel doppio senso di patire e di appassionarsi.

Solo una liturgia sana può essere sanante, può lenire le ferite del cuore.

 

La liturgia è sana quando si domanda quale sia il bisogno dell’assemblea, di che cosa ha bisogno davvero questa gente, questa donna ferita, questo bambino. Partire dai bisogni dell’uomo, come faceva Gesù.

L’eucaristia è un dono di Dio per andare incontro ai bisogni dell’uomo, non per celebrare se stesso.

Per venire incontro a me che esco dal caos e dalla superficialità, dalle mie gabbie interiori, dalle ferite e trovo due braccia che mi accolgono, un grembo d’amore, energia.

Eucaristia è adombrata nel padrone che torna a mezzanotte e fa sedere a tavola i suoi servi e passa a servirli. Ecco la sorpresa, l’impensabile di Dio, che se lo inventa a partire dal cuore e da ciò di cui i servi hanno bisogno.

Una liturgia è sana quando è bella, senza sciatteria.

Opera d’arte che ha la sostanza della Parola, e una forma bella. Dio è bellezza (San Francesco).

Sobria bellezza: che significa semplificare la nebbia di parole, il linguaggio da prontuario, l’ovvietà riciclata, e andare al nocciolo, al cuore semplice della fede. E usare solo le parole che tiri fuori da dentro, che sono diventate carne e sangue. Solo quelle sono vere.

È questo che incide il cuore. Io sono stanco di dire Dio, io voglio sentirlo (Pascal). Il cristiano medio aggiunge: sono stanco di sentir parlare di Dio, io cerco un Dio sensibile al cuore. Anche attraverso i sensi e i segni. I sensi sono divine tastiere (Turoldo) i sensi convocati dalla celebrazione suonano una melodia d’altrove, suonata da un pianista divino, Cristo è il celebrante di una musica che parla di Dio.

 

RIDIPINGERE L’ICONA

 

La liturgia ha il compito urgentissimo di ridipingere l’icona di Dio.

Di raccontare un Dio bello, attraente, solare, desiderabile.

Quale immagine di Dio trasmettono le nostre liturgie?

Quale volto di Dio passa? Un Dio attraente, coinvolto e coinvolgente? Misericordioso? Oppure abbiamo ridotto Dio in miseria, relegandolo a rovistare nel passato o nel peccato dell’uomo.

Albert Camus, nel suo libro La morte felice parla di un’impressione provata a Praga visitando una chiesa barocca. Scrive: «Il Dio che lì si adorava era quello che si teme e si onora, non quello che ride con l’uomo davanti ai caldi giochi del mare e del sole. Da quel Dio l’uomo si allontana».

Il dramma della religione oggi è che il Dio delle chiese e quello dei caldi giochi si sono separati; il Dio della religione e il Dio della vita, il Dio che si invoca e si celebra nelle chiese e il Dio amante della vita, hanno divorziato.

Perché l’uomo, in tutta la sua cultura, con tutte le sue espressioni che sono la letteratura, l’arte figurativa, il cinema, il teatro, la musica, cerca il volto di un Dio che rida con l’uomo o che con lui pianga. E si chini sulle mie ferite

Un Dio coinvolto e coinvolgente.

Non ci interessa un divino che non faccia fiorire l’umano. Un Dio cui non corrisponda la fioritura dell’umano, il rigoglio della vita, non merita che a Lui ci dedichiamo (Bonhoeffer). (9.000 15 minuti)

 

LA MISERICORDIA ANNUNCIATA DALLA SCRITTURA.

 

La misericordia è un capitolo del vasto libro dell’amore, espresso nella bibbia ebraica in particolare con due vocaboli:

 khesed (soprattutto la bontà di un Dio affidabile, roccia che non viene meno, quello che Anna nel suo cantico proclama: “Non c’è roccia come il nostro Dio” (1Sam 2,2),

e rahamim che è il plurale di rehem, utero di madre, matrice e fonte di vita, il grembo della donna che alimenta e fa crescere la vita, e che per estensione indica la sede dell’amore materno.

 

È interessante notare che il vocabolo ebraico è molto simile anche in arabo e compare in apertura di tutte le 114 sure o capitoli che compongono il Corano e che iniziano con questa professione di fede:

Nel nome di Dio misericorde ( rahman)

e misericordioso (rahim)...

 

E’ il grembo della donna a suggerire la verità di Dio, lo fa con la sua potenza generatrice e con la sua capacità di accoglienza del fragile, dell’indifeso, del debole. E chi più del nascituro?

Adottando il termine rahamim la Bibbia narra di un Signore la cui passione è trasmettere vita; un Dio che genera, che presiede alle nascite, il cui scopo supremo è di essere nella vita datore di vita. “Dio tutto il giorno fa solo questo: sta sul lettuccio della partoriente e genera” (Meister Eckart).

Allora con un Dio così, io so di non essere creatura che ogni giorno ‘lentamente muore’, ma figlio che sta continuamente nascendo.

Non tanto un essere mortale, ma ancor più un essere natale.

La misericordia comporta la presa in carico del carattere nascente dell’essere umano, creatura impegnata a completare la propria nascita. Maria Zambrano afferma: si nasce una prima volta, in parte, e tutta la vita è la gioia e la fatica di nascere del tutto.

 

Il legame etimologico con il grembo materno dimostra che la misericordia in origine non indica l’indulgenza verso il peccatore, ma ha a che fare con la generatività, con l’energia materna che dà alla luce, alimenta, cura, ripartorisce e rimette al mondo, ma anche lotta e difende strenuamente dal pericolo a costo della sua stessa vita.

 

Nella seconda parte della mia riflessione, propongo tre esempi minori, quelli in cui mi sento più a mio agio, tratti dalla liturgia eucaristica, dalla liturgia delle ore, dalla liturgia dei sacramenti.

 

 

  1. LITURGIA EUCARISTICA : KYRIE, ELEISON

 

Comincio dall’atto penitenziale che apre la liturgia, momento della misericordia, e dalle sue due parole più rappresentative: kyrie eleison.

Nel nuovo testamento il termine greco per misericordia è eleos.

Contenuto nella più evangelica, antica, originale preghiera cristiana: Kyrie, eleison. Parola di ciechi, di lebbrosi, di morenti: Signore, pietà.

Per coglierne a fondo la potenza dobbiamo però farla evadere dalla sua collocazione asfittica, costretta e compresa solo dentro l’atto penitenziale.

 

Kyrie, vocativo, è termine greco che ci riporta alle sorgenti della vita;

La sua etimologia (cercare l’etimologia di una parola è come risvegliarne il senso addormentato) mostra che la sua radice rimanda al verbo kyo, che indica della donna l’atto più specifico ed esclusivo: essere incinta, essere gravida di una vita nuova.

Dio può fregiarsi del titolo di Kyrios perché è la sorgente della vita e presiede ad ogni nascita, cura e riporta a integrità la vita dei figli.

La seconda parola dell’invocazione: Eleison è l’imperativo di eleo, il verbo evangelico più comune per dire l’azione della misericordia.

Quando invochiamo: Signore pietà, dobbiamo liberare in volo tutto lo splendido immaginario della vita che preme sotto queste parole, vita che viene generata, partorita di nuovo.

La misericordia di Dio è tutto ciò che serve alla vita dell’uomo.

Il cieco prega: Kyrie, abbi pietà, ma non dei miei peccati, quanto dei miei occhi spenti.

Pietà di noi, gridano i lebbrosi: ma non perché siamo più peccatori degli altri, bensì più dolenti e rifiutati; pietà perché non c’è più nessuna carezza per noi e questo non è più vivere.

Kyrie, Signore, tu che dai la vita, eleison, vale a dire: sentiti madre di questi figli naufraghi, ridona primavera a questa pelle sfatta, fai alzare la mia figlioletta morta, falla ridere e danzare di nuovo; dona la gioia della luce, della madre luce ai miei occhi morti.

 

Voglio confessarvi tutto il mio disagio per tanto linguaggio liturgico lamentoso, sempre volto a chiedere pietà e perdono, centrato sul peccato da assolvere o da scontare: per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa...

Ma soprattutto confesso il disagio per l'immagine di Dio che questa inflazione di peccato e di richieste di perdono propone: puntiglioso, pericoloso, ragionieristicamente attento alle piccole cose.

Anziché illuminare il Dio innamorato, seminatore di bellezza, primavera del cosmo, accensione del cuore, che rialza la vita e la fa fiorire.

Gesù ci ha detto di chiamare Dio “Abba”, papà; un Dio di casa, vicino di tavola, familiare. Lo chiamo papà, e poi continuamente gli chiedo pietà. Che amore, che fiducia è quella di un figlio che entra in casa e la sua prima parola è chiedere pietà al proprio padre, alla propria madre? E questo noi facciamo appena entriamo in chiesa. Voglio chiedere molto di più. Voglio chiedere Dio a Dio. Dio non è sceso a portare il perdono dei peccati, è venuto a portare se stesso. L’uomo è l’unico animale che ha Dio nel sangue.

Come facciamo a tenere insieme il “Signore pietà” e “Abbà della tenerezza, padre che mi generi”?  è possibile se capiamo la pietà di Dio com’essa è veramente: il dilagare di Dio sopra il mio cuore; del suo sole sopra le mie ombre; lo sgorgare di aperture contro i miei limiti, lui che si innesta nelle mie ferite.

Dio che porta brecce di luce, fessure di cielo, correnti di vita dentro l’immobile stagno dove la vita si è arenata, forza ascensionale. Restituiamogli il suo volto solare, un Padre vitale, da gustare e da godere, desiderabile. Sarà come bere alle sorgenti della luce, agli orli dell’infinito.

Dio perdona da creatore, non da smemorato, come uno che dimentica il male, come se non fosse successo e non fa l’offeso; perdona da creatore dilatando il cuore, rendendolo spazioso, accendendolo.

Perdona risuscitando amore, perché il nome del peccato è il disamore.

Non si potrebbe valorizzare l’atto penitenziale nella celebrazione eucaristica facendolo uscire dal paradigma angusto del peccato, come fosse il peccato la premessa e  la spiegazione di ciò che andiamo a fare. passare dal paradigma del peccato al paradigma della pienezza, dall’idea della colpa posta al centro, alla centralità del fiorire della vita in tutte le sue forme, che è la comunione con la vita di Dio,  il cromosoma divino nelle nostre vite, il DNA di Dio nel nostro sangue, questa è la misericordia che porta guarigione e salvezza, dell’anima, del corpo, del cuore. (16.900 28 minuti)

 

  1. LITURGIA DELLE ORE, I SALMI

 

I salmi sono il nerbo della liturgia delle ore. Sono al tempo stesso annuncio e celebrazione della Misericordia.

La prima domanda, il grido più ripetuto, l’invocazione più diffusa dei salmi, quella che riassume tutte le altre, è: Signore, fa che io viva, non farmi cadere nella fossa; ridammi vita; affrettati a salvarmi; fammi vivere. Innumerevoli le citazioni.

La domanda di vita è la domanda salmica per eccellenza.

Vita sempre mancante, vita claudicante, vita diminuita, vita minacciata.

La preghiera è fame di vita.

È la preghiera del bambino che chiama la madre lontana, che grida la sua fame, il suo dolore e il suo amore: madre, lo so che mi ascolti, anche se non ti vedo; io so che le tue mani sono piene di vita; i tuoi occhi, le tue parole, la tua presenza fanno vivere.

Da solo non ce la faccio. Io vivo di te, di tutto ciò che viene da te, di ogni parola e di ogni bacio.

Questo è il cuore del salterio: dammi vita! L’orante cerca il Dio che fa vivere.

Che offre bocconi di vita ai morsi dell’umana fame, quella del corpo e quella che il pane della terra non basta a saziare.

Pane di cielo cerca l’uomo, vuole addentare la vita, goderla e gioirne in comunione, saziarsi d’amore, ubriacarsi del vino di Dio, che ha il profumo stordente della felicità.

E qui siamo al contenuto primo e più forte della parola misericordia: 

la misericordia di Dio è la sua maternità, la sua capacità di far vivere, di partorire di nuovo la vita, di salvarla dai flutti, dalle ferite.

 

Rahamim-misericordia non si colloca dentro il paradigma del peccato, ma nel paradigma della fragilità; evoca non la cancellazione della colpa, ma  la cancellazione della morte e della paura; un intervento creativo e generativo, intessuto di forza, vita, salvezza, che raggiunge l’uomo che lotta.

Fare l’esperienza della misericordia di Dio ha un effetto immediato: ti rende misericordioso a tua volta.

Nei salmi questo accade in un modo meraviglioso.

Con il grido dei Salmi tutta l’innumerevole catena degli uomini si fa prossima. Israele è andato a cercare lontano un grido che appartiene e contiene tutta l’umanità.

Questo grido va molto lontano, se è vero che davanti a Dio è più forte della morte. Allora quanto c’è di umano in me deve unirsi a questo grido. Il grido della moltitudine di chi adesso è ucciso, di chi adesso è inseguito, di chi in questo momento annega nel mediterraneo, di chi ha la morte addosso, solo, malato, impaurito.

E il Salmo invece di farmi dire io prego per loro, mi fa dire con un piccolo, grande cambiamento io sono loro. Io sono queste persone impaurite, cacciate, minacciate, io al loro posto.

Sono io l’uomo, Abele o Caino, l’anonimo che in questo momento grida nelle foreste della Nigeria o alla periferia di Aleppo o su un barcone verso Lampedusa, o salta in aria a Mossul, o è ricacciato in mare dalle coste dell’Occidente sazio, Io sono quell’uomo. Falciato a Nizza dalla follia fanatica.

I Salmi ci portano sulle frontiere dove si gioca la vita o la morte. A essere padre e madre, a identificarmi con i miseri, i feriti.

Il Salmo è molto di più che fare a questi sventurati l’elemosina di una preghiera. Sono invece loro che mi trasformano con il loro grido, ci allargano il cuore, ce lo invadono e invadono la Bibbia come la storia. Proclamare i salmi è dire “io” al posto di tutti i disastrati della terra ed essere chiamato verso loro e rendere a Dio insopportabile il grido dell’ultimo uomo. E questo è il territorio della misericordia. Esperienza e celebrazione. (20.400 35 minuti)

 

3 LITURGIA DEI SACRAMENTI: LA RICONCILIAZIONE

 

Il sacramento della riconciliazione è, dal punto di vista statistico, in crisi profondissima.

La sua impostazione, anche con il rito rinnovato, la terminologia rimangono sostanzialmente immutate rispetto a quella tridentina.

Alcuni spunti di riflessione.

La misericordia è la capacità che ha Dio di anticiparti, prima che tu decida di andargli incontro: la pecora perduta è raggiunta dal pastore, mentre è ancora lontana, a rischio di vita, e non sta tornando indietro all’ovile; il figlio prodigo invece ha deciso di tornare, ma il padre l’ha già perdonato in anticipo, lo abbraccia prima che apra la bocca per le scuse che aveva preparato; la moneta perduta è cercata dalla donna di casa mentre è perduta in qualche angolo della casa, in qualche fessura del pavimento, fra lo sporco.

La dimensione temporale della misericordia di Dio è l’anticipo, un atteggiamento che mi previene, indipendente da me, a prescindere da me, non condizionato da me.

Ogni volta che pensiamo: se sono buono, allora Dio mi amerà...

Oppure quando diciamo: se mi pento allora Dio mi perdonerà...

Ogni volta che pensiamo questo, non siamo davanti al Dio di Gesù Cristo.

Domando: la liturgia del sacramento si incentra sull’amore preveniente di Dio, o sul peccato?

 

Chi ti ama davvero? Chi ti perdona la fuga da casa oppure chi ti viene a cercare, ti trova e poi, per alleggerirti la fatica, ti carica sulle sue spalle?

Ti ama chi perdona cancellando il debito? Troppo poco. R. M. Rilke risponde con una espressione illuminante: ti ama davvero chi ti obbliga a diventare il meglio di ciò che puoi diventare.

Amore vero guarda al tuo futuro, non è prigioniero del passato, apre sentieri, insegna respiri.

 

Vai e d’ora in avanti non peccare più. Sei parole nell’episodio della donna adultera, che bastano a cambiare una vita. La Misericordia è un atto creativo. Generativo, è un parto: vai e d’ora in avanti tutt’altra donna, tutt’altro amore. Tu puoi amare bene, amare molto. A questo appartieni.

Nel vangelo il perdono è indicato con il termine afesis, da afiemi, apò ìemi, verbo di movimento, vado da un luogo ad un altro: il verbo della nave che salpa, della carovana che si avvia, dell’uccello che spicca il volo, della freccia che scocca.

Perdonato, rimesso in cammino, mi muovo, esco da prigioni, dai miei ergastoli interiori, dai lacci dei sensi di colpa, dai pesi che mi tiro dietro per anni, esco dalla nicchia, dalla cavità, dal buco dove credo di vivere e non vivo. Libero.

La misericordia che libera è una forza mite e possente che rimette la mia barca sul filo della corrente, che fa ripartire la carovana al levar del sole; non un colpo di spugna sul passato, ma un colpo di vento verso il futuro, che insegna respiri, apre sentieri. E libera.

 

Il sacramento dovrebbe celebrare il perdono come un atto creativo, rivolto al mio domani; trasmettere la misericordia come un atto generativo, una nascita, un ricominciamento, dove non conta più nulla ciò che è stato. Dove, come per l’adultera, non si celebra il pentimento...

I padri del deserto dicevano: non appesantirti del tuo peccato di ieri, neppure con la scusa di fare penitenza, perché saresti sempre lì a mettere al centro te stesso. E non il perdono.

 

Va e d’ora in poi non peccare più:

Ciò che sta dietro non importa più, importa il tuo futuro.

Il bene possibile domani vale più del male di ieri.

La luce è più importante del buio,

una spiga di buon grano conta più di tutta la zizzania del campo...

La liturgia fa sentire che la Misericordia è creativa, è un parto, è profezia?

Ripartorisce, rimette al mondo, ridà alla luce?

 

Frutto della misericordia è la gioia, il Cap 15 di Luca ne trabocca: la gioia del padre per il figlio che torna, la gioia del pastore per la sua centesima pecora, della donna di casa che chiama le amiche e le coinvolge...

Perché la liturgia non offre questa immagine vitale, perché non accolgo con un benvenuto abbracciante il penitente: che bello che sei qui...

Un’amica, che ha vissuto l’esperienza della conversione, è tornata a confessarsi dopo 30 anni di vita accidentata, mi racconta che ricorda una sola cosa di quella confessione: il vecchio prete che subito, prima di qualsiasi cosa le sorride, le prende le mani e le dice: che bello! Grazie, che hai scelto proprio me per tornare a confessarti dopo 30 anni. Sono felice con te. E lei che aveva paura scoppiò a piangere...

 

Due minime esperienze. Al momento di “dare la penitenza”, spesso mi gusto l’aria un po’ stranita delle persone.

Si attendono le classiche ave marie, invece spesso propongo la più bella penitenza che anch’io ho ricevuto: adesso ti fermi, ti domandi qual è stata la gioia più bella che hai provato in quest’ultimo tempo; la fai riemergere, la tiri su, rivivi, la gusti di nuovo davanti al Signore, e lo ringrazi di cuore. Abbiamo tutti archivi interiori ricchi di volti e sorrisi, di cose belle, ma ne abbiamo buttato via la chiave. Se non impariamo a custodirle e a meditarle, a gustarle e dire grazie, non saremo mai felici.

 ‘Penitenza, metanoia’ significa cambiare visione, convertire lo sguardo: dal negativo al positivo, dalla zizzania al buon grano; dall’ombra alla luce. Dal lamento al canto di gioia. A questo deve condurre la celebrazione della misericordia. Come nel vangelo. Dio ti perdona con una carezza, non con un decreto.

 

In questa ottica di penitenza-cambiamento, mi piace tanto un’altra

proposta, il cui copyright appartiene al franco-svizzero p. Maurice Zundel: stasera per un quarto d’ora ti fermi a contemplare il tramonto.

E capirai che non sei tu il centro del mondo. Ti sentirai dentro una ospitalità cosmica, in una grande casa comune, dove il cielo, la luce, il sole e tutte le creature sono i tuoi fratelli e le tue sorelle minori.

Fermati a sentire che la vita si nutre anche di bellezza e contemplazione. Perché ‘Dio è bellezza’ (S. Francesco).

Ti fermi davanti al tramonto, in questa furia di vivere che ci ha preso tutti, rallenti la tua corsa, smetti di essere quello che deve sempre fare, organizzare, decidere, lavorare e ti metti semplicemente a fare la creatura.

Fai l’esperienza di Giobbe: dov’eri tu quando io conducevo il sole e indicavo la strada alla luce? Dov’eri tu quando chiudevo le porte del mare e le sbarravo? Dov’eri tu quando raccoglievo le nuvole nei miei granai, quando chiamavo tutte le stelle per nome?

Guardi il tramonto e pensi: non gira attorno a me l’universo.

E tu ruota, cuore mio, in cerca del tuo sole (26.900 45 minuti).

 

CONCLUSIONI

 

Concludo lasciandovi una bella citazione di sant’Ambrogio: Dove c’è misericordia c’è Dio. Dove c’è rigore forse ci sono i ministri di Dio, ma Dio non c’è, Deus deest.

Se operi misericordia generi presenza di Dio.

Se sei rigido, Dio non c’è.

Nella liturgia cristiana si tratta di accogliere non di dare. È fare l’esperienza del Dio che viene all’uomo.

Il misericordioso senza casa, cerca casa e la cerca proprio in me. Si tratta di essere misericordiosi con Dio, di accoglierlo, offrirgli tempo e cuore. Forse poi saremo più misericordiosi gli uni con gli altri.

Accoglierlo, amore senza condizioni, è la sola cosa che farà di noi degli amanti senza condizioni.

 

 

 

 

 

 

26 marzo 2015 Cappella Sistina, 150 clochard

Educare alla bellezza, offrirla, custodirla è un’opera di  misericordia spirituale. E lo è certamente anche proporre il vangelo dentro una cornice di bellezza e di poesia.

La sua Parola non può essere proposta dentro veli di sciatteria o di tristezza, in ambienti depressi, in una atmosfera cupa.  Il vangelo è bello e rende bella la vita, deve essere proclamato in una cornice di bellezza. È importante che i luoghi dove si evangelizza, le chiese, le canoniche, i conventi, siano custodi del bello, un bello "diverso": non il bello lussuoso che ostenta, non il bello cosmetico che vuole apparire, ma un bello armonioso, che pacifica e rallegra, frutto della ricerca di ciò che fa star bene l'uomo.

L’arte delle architetture sacre e lo splendore dei paesaggi naturali non sono soltanto splendide cornici per la Parola, ma suoi interpreti (salmo 48), in grado di svelarne di volta in volta aspetti sorprendenti, un autentico luogo teologico. Perché la bellezza è sempre un nome e un riflesso di Dio, sempre un accrescimento di umanità, “un salto verso la pienezza propriamente umana” (Laudato sì, 103).

La bellezza umanizza, è terapeutica, allarga l’anima, crea armonia nell’intimo dell’uomo. Che ne va alla ricerca per “ricrearsi”, nel doppio significato del termine: creare di nuovo e goderne la promessa di gioia.

 

 “Prestare attenzione alla bellezza e amarla ci aiuta a uscire dal pragmatismo utilitaristico. Quando non si impara a fermarsi ad ammirare e ad apprezzare il bello, non è strano che ogni cosa si trasformi in oggetto di uso e di abuso senza scrupoli” (Laudato sì, 215).

La bellezza è misericordia, quindi, da custodire sempre, almeno per frammenti, sopra le macerie dell’abuso del mondo.”.

 

 

 

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Giustizia Riparativa e la “pedagogia allamana”

15-07-2024 Missione Oggi

Giustizia Riparativa e la “pedagogia allamana”

La Corte di Giustizia dello Stato del Paraná (Brasile) ha tenuto dal 3 al 5 luglio l'incontro sulla Giustizia Riparativa...

Perù: prima assemblea dei popoli nativi

14-07-2024 Missione Oggi

Perù: prima assemblea dei popoli nativi

I rappresentanti dei popoli nativi dell'Amazzonia peruviana, insieme ai missionari, si sono riuniti nella Prima Assemblea dei Popoli Nativi, che...

Padre James Lengarin festeggia 25 anni di sacerdozio

13-07-2024 Notizie

Padre James Lengarin festeggia 25 anni di sacerdozio

La comunità di Casa Generalizia a Roma festeggerà, il 18 luglio 2024, il 25° anniversario di ordinazione sacerdotale di padre...

Nei panni di Padre Giuseppe Allamano

13-07-2024 Allamano sarà Santo

Nei panni di Padre Giuseppe Allamano

L'11 maggio 1925 padre Giuseppe Allamano scrisse una lettera ai suoi missionari che erano sparsi in diverse missioni. A quel...

Un pellegrinaggio nel cuore del Beato Giuseppe Allamano

11-07-2024 Allamano sarà Santo

Un pellegrinaggio nel cuore del Beato Giuseppe Allamano

In una edizione speciale interamente dedicata alla figura di Giuseppe Allamano, la rivista “Dimensión Misionera” curata della Regione Colombia, esplora...

XV Domenica del TO / B - “Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due"

10-07-2024 Domenica Missionaria

XV Domenica del TO / B - “Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due"

Am 7, 12-15; Sal 84; Ef 1, 3-14; Mc 6, 7-13 La prima Lettura e il Vangelo sottolineano che la chiamata...

"Camminatori di consolazione e di speranza"

10-07-2024 I missionari dicono

"Camminatori di consolazione e di speranza"

I missionari della Consolata che operano in Venezuela si sono radunati per la loro IX Conferenza con il motto "Camminatori...

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