La missione e le tentazioni che ci allontanano da lei

Vincere la tentazione con la mistica dell'incontro Vincere la tentazione con la mistica dell'incontro Foto Messico IMC
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“Sovente all’inizio tutto procede bene, ma poi sopraggiungono le aridità, il tedio, le desolazioni di spirito... ed ecco che uno si crede abbandonato da Dio, si fa triste e spesso si smarrisce” (Giuseppe Allamano, Così vi Voglio, 38)

Alcune Tentazioni

FRAGILITÀ UMANA. L’ultimo Capitolo Generale ha constatato che: “Siamo missionari preparati e con buona volontà, ma anche molto fragili. Vi è incertezza circa le motivazioni della missione Ad Gentes oggi, ma vi è anche un malessere personale diffuso. Diversi di noi hanno perso lo zelo che li aveva spinti a farsi missionari; ci sentiamo stanchi; facciamo fatica a partire per andare dove la missione ci invia; troviamo difficile cambiare; cediamo ad una vita facile; ci chiudiamo in noi stessi ed abbiamo scarse relazioni significative; l’ideale della missione non ci affascina più”. (XIII Capitolo Generale n.11)

ACCIDIA PASTORALE. L’accidia pastorale può avere diverse origini. Alcuni vi cadono perché portano avanti progetti irrealizzabili e non vivono volentieri quello che con tranquillità potrebbero fare. Altri, perché si attaccano ad alcuni progetti o a sogni di successo coltivati dalla loro vanità. Altri, prestando maggiore attenzione all’organizzazione e ai programmi, hanno perso il contatto con la gente e con la realtà. Altri ancora non sanno aspettare, spinti dall’ansia di arrivare a risultati immediati, fanno fatica a tollerare una contraddizione, una critica, una croce. 

MONDANITÀ SPIRITUALE. La tentazione del trionfalismo – il cristianesimo senza croce – e della sua forma più subdola – la mondanità spirituale – è difficile da discernere. «È una tremenda corruzione con apparenza di bene. Bisogna evitarla mettendo la Chiesa in movimento di uscita da sé, di missione centrata in Gesù Cristo, di impegno verso i poveri. Dio ci liberi da una Chiesa mondana sotto drappeggi spirituali o pastorali! Questa mondanità asfissiante si sana assaporando l’aria pura dello Spirito Santo, che ci libera dal rimanere centrati in noi stessi, nascosti in un’apparenza religiosa vuota di Dio» (EG 97). A livello personale, la tentazione della mondanità spirituale è quella che il Signore rimproverava ai Farisei (Gv 5,44), che basano la vita sul culto dell’apparenza, dell’esteriorità, sulla cura esagerata della propria immagine. “… È un monito per ogni tempo e per tutti, Chiesa e società: mai approfittare del proprio ruolo per schiacciare gli altri, mai guadagnare sulla pelle dei più deboli! Vigiliamo sulle falsità del cuore, sull’ipocrisia, che è una pericolosa malattia dell’anima! È un pensare doppio, un giudicare doppio, come dice la stessa parola: “giudicare sotto”, apparire in un modo e “ipo”, sotto, avere un altro pensiero. Doppi, gente con l’anima doppia, doppiezza dell’anima. (Papa Francesco, Angelus, 7 novembre 2021)

LA RASSEGNAZIONE. Senza accorgerci, ogni volta che pensiamo o constatiamo che siamo pochi, o in molti casi anziani, ogni volta che sperimentiamo il peso della fragilità, il nostro spirito comincia ad essere corroso dalla tentazione della rassegnazione. Quando ci prende la rassegnazione, viviamo con l’immaginario di un passato glorioso che ci avvolge sempre più in una spirale di pesantezza esistenziale. “Facciamo di tutto per crescere, per essere forti… Ma non la rassegnazione. Avviare processi. Oggi la realtà ci interpella – ripeto – la realtà ci invita ad essere nuovamente un po’ di lievito, un po’ di sale. Ciò che il Papa può dirvi è questo: siete poche, siete pochi, siete quelli che siete, andate nelle periferie, andate ai confini a incontrarvi col Signore, a rinnovare la missione delle origini, alla Galilea del primo incontro, tornare alla Galilea del primo incontro! E questo farà bene a tutti noi, ci farà crescere, ci farà moltitudine”. (Papa Francesco, Discorso ai sacerdoti e consacrati Solennità dell'Annunciazione del Signore Duomo di Milano, Sabato, 25 marzo 2017)

LA SOPRAVVIVENZA.  La tentazione della sopravvivenza può rendere sterile la nostra vita consacrata. Un male che può installarsi a poco a poco dentro di noi, in seno alle nostre comunità. L’atteggiamento di sopravvivenza ci fa diventare reazionari, paurosi, ci fa rinchiudere lentamente e silenziosamente nelle nostre case e nei nostri schemi. Ci proietta all’indietro, a un modello di missione di un passato glorioso che, invece di suscitare la creatività profetica nata dalla lungimiranza e coraggio del Fondatore e di tanti missionari dopo di lui, cerca scorciatoie per sfuggire alle sfide che oggi bussano alle nostre porte. Questa psicosi della sopravvivenza si espande tra noi ogni qual volta pensiamo in termini del “si è sempre fatto così” (EG. 33). Questo comodo criterio pastorale toglie forza al nostro carisma, spiega con categorie e linguaggi del passato scelte e presenze ad gentes innovative; tende a proteggere spazi e strutture più che rendere possibili nuovi processi (EG. 223). In poche parole, la tentazione della sopravvivenza ci fa dimenticare il potere della Grazia e trasforma in pericolo e in minaccia ciò che il Signore ci presenta come un’opportunità per la missione. 

LA SINDROME DI GIONA. È la tentazione di adagiarsi, di sentirsi un arrivato, come il profeta Giona che conduceva una vita tranquilla, disposto a predicare dentro i confini della Patria e solo ai propri connazionali senza più la voglia avventurarsi in missione in territori stranieri. All’improvviso, però, Dio sconvolge il suo ordine di idee, irrompendo nella sua vita come un torrente in piena, privandolo di ogni sicurezza e comodità: lo inviò a Ninive, «la grande città» straniera e nemica, simbolo di tutti i reietti ed emarginati, per proclamare la sua Parola. Così facendo Dio lo invitava a sporgersi oltre i suoi limiti, ad andare verso la periferia, affidandogli la missione di ricordare a tutti gli uomini smarriti che le braccia di Dio erano aperte e che Lui avrebbe offerto loro il suo perdono e la sua tenerezza. Ma la richiesta andava oltre le capacità di comprensione di Giona, che decise di scappare. 

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Strumenti per affrontarle

LA MISTICA DELL’INCONTRO CON GLI ALTRI. Quando viviamo la mistica di avvicinarci agli altri con l’intento di cercare il loro bene, allarghiamo la nostra interiorità per ricevere i più bei regali del Signore. Ogni volta che ci incontriamo con un essere umano nell’amore, ci mettiamo nella condizione di scoprire qualcosa di nuovo riguardo a Dio. L’impegno dell’evangelizzazione apre orizzonti spirituali, ci rende più sensibili per riconoscere l’azione dello Spirito, ci fa uscire dai nostri schemi spirituali limitati. Può essere missionario solo chi si sente bene nel cercare il bene del prossimo, chi desidera la felicità degli altri (cfr. EG. 270-272).

IL POTERE DELLA RISURREZIONE. Alcuni pensano che nulla può cambiare e dunque per loro è inutile sforzarsi: “Perché mi dovrei privare delle mie comodità e piaceri se non vedo nessun risultato importante?”. Questo atteggiamento è precisamente una scusa per rimanere chiusi nella comodità e nella pigrizia e nel vuoto egoista. Invece non dobbiamo dimenticare che la missione non è un affare o un progetto aziendale, non è neppure un'organizzazione umanitaria, non è uno spettacolo per contare quanta gente vi ha partecipato grazie alla nostra animazione ma è qualcosa di molto più profondo, che sfugge ad ogni misura e dipende dallo Spirito. Lo Spirito Santo opera come vuole, quando vuole e dove vuole; noi ci spendiamo con dedizione ma senza pretendere di vedere risultati appariscenti. Sappiamo soltanto che il dono di noi stessi è necessario. Questo senso dell’umiltà ci aiuta a superare la tentazione del protagonismo; in poco o tanto, diamo il nostro contributo, ma la missione non è nostra. Il Regno di Dio è di Dio! “Noi siamo collaboratori di Dio, e voi siete il campo di Dio, l’edificio di Dio (1 Cor. 3,9); il vero protagonista della missione è lo Spirito di Dio! (RM. 21-29)

PORTARE LA CROCE INSIEME A GESÙ. Il racconto della negazione di Pietro è emblematico per orientare il superamento della tentazione subdola, eppure molto attuale e seducente, che abbiamo definito “mondanità spirituale” cioè di un “cristianesimo senza croce”. Infatti, è profondamente significativo che la negazione di Pietro non è legata all’abbandono di Gesù, ma al tentativo di seguirlo nella passione: “Pietro da lontano lo seguì sin dentro il cortile” (14,54). È la tentazione di seguire il Signore sì, ma da lontano. Paradossalmente se Pietro rinnega il Maestro non è perché è peggiore degli altri discepoli, ma perché più di loro ha tentato di seguirlo. Ma l’avverbio “da lontano” mostra già che questo suo tentativo ha in sé la ragione del proprio fallimento. Non è possibile una sequela “da lontano”. La sequela non sopporta compromessi. Non si può stare con Gesù e nel contempo mettere al riparo se stessi.

USCIRE PER DECENTRARCI. Il nostro problema principale è uscire, e la promessa che ne sostiene il dinamismo è che così facendo ritroveremo la gioia del Vangelo. Per una volta dimentichiamoci un po’ di noi, mettiamoci in ascolto del mondo e di quello di cui ha bisogno e chiediamoci che cosa ci donano le periferie delle città, i migranti che accompagniamo, i giovani e la loro lotta per la cura del Creato, il grido dei popoli indigeni, le solitudini degli anziani… il ritorno dei sovranismi e dei populismi. Ma per far sì che questo accada: dobbiamo decentrarci e lasciarci evangelizzare dai poveri che “sono i compagni di viaggio di una Chiesa in uscita, perché sono i primi che essa incontra” (Papa Francesco)

LA RICERCA DELL’OLTRE. La novità ci fa sempre un po’ di paura, perché ci sentiamo più sicuri se abbiamo tutto sotto controllo, se siamo noi a costruire, a programmare la nostra vita secondo i nostri schemi, le nostre sicurezze, i nostri gusti. Occorre rischiare strade nuove. All’inizio sarà inevitabile sbagliare e anche trovarsi un po’ confusi, ma quale sorpresa poi cominciare a intravedere ciò che davvero appare nuovo. È necessario capire che il punto al quale noi siamo giunti, nelle realtà e nei contesti in cui operiamo, non può essere considerato come il modello di un perpetuo ritorno per rifare le stesse cose. Avere il coraggio di rimettere in discussione le nostre idee e certezze ci porta immediatamente a contemplare l'oltre verso cui la missione ad gentes deve protendersi. 

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