8 Tema - Il carisma della consolazione di fronte alle sfide della cultural odierna

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IL CARISMA DELLA CONSOLAZIONE
DI FRONTE ALLE SFIDE DELLA CULTURA ODIERNA

Il tema della cultura o delle culture è certamente rilevante per il discorso missionario. Definirne però il contenuto, le modalità di approccio o le prassi rispetto al carisma della “consolazione”diventa compito arduo. Il problema è dato dalla complessità del tema, dal luogo e dall’angolo di lettura.
L’angolo di lettura definisce l’importanza che vogliamo dare ad ogni insieme culturale considerandolo elemento fondamentale per capire il cuore e la vita di un popolo in prospettiva evangelizzatrice.

Chi ha vissuto in Europa, sia pure per un breve periodo, in questi ultimi 20-30 anni si è accorto di tutto quel magma culturale che è andato evidenziandosi, come certamente si sarà stupito del profondo travaglio che il continente ha vissuto e sta ancora vivendo. Finite le grandi narrazioni politiche, ideologiche e anche religiose, l’uomo europeo (occidentale) è ormai figlio di un pensiero debole e frammentato, di una cultura “liquida” che non ha forma in sé, ma prende forma dalle situazioni che vive e che ha il potere di “liquefare” ogni “solido” che incontra: modelli da imitare e riprodurre, regole e principi categorici (anche morali)… Anche l’espressione religiosa, il professare una fede, è relegato nello spazio del privato e con poca incidenza sociale. La misura di ogni cosa pare ormai essere il soggetto, la persona, la quale, come ogni acquirente di un supermercato, prende o lascia ogni prodotto a seconda che questo lo aiuti a stare bene e a sentirsi meglio (religione compresa).
Ci pare anche importante rilevare come questi fenomeni siano molto mobili. Oltrepassando i perimetri continentali si diffondono ormai su tutti i continenti e incidono sulle culture locali meno agguerrite e più fragili. Si guardino bene quindi quei missionari in Africa, Asia o America Latina dal pensare che tutto questo riguardi solo la “vecchia e decadente Europa”.
Questi processi, è scontato, incidono anche sulla vita religiosa e sul nostro stesso Istituto e dobbiamo saperne calcolare sapientemente l’impatto nell’interpretazione e nel vissuto dei suoi elementi essenziali di consacrazione, di spiritualità, di povertà, di vita comunitaria, di spirito apostolico.
Non v’è dubbio che la validità di un metodo o modello missionario si misura sulla capacità di incontrare e mediare il vangelo dentro una cultura. Azione missionariamente efficace è, infatti, quella che stabilisce vicinanza o lontananza del vangelo dal cuore, dal centro di ogni cultura.

Il modello
C’è un modello precedente la missione e la Chiesa stessa che è sicuro fondamento a questo necessario rapporto fra missione e cultura. Lo riassume bene l’inno della Lettera ai Filippesi 2,5-8: «Abbiate in voi lo stesso sentimento che è stato anche in Cristo Gesù, il quale, pur essendo in forma di Dio, non considerò l’essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente, ma spogliò sé stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini; trovato esteriormente come un uomo, umiliò se stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce».
È l’evento dell’incarnazione, il Dio fatto uomo e in mezzo agli uomini, il Gesù storico “il contenuto e il modello” a cui ispirarsi. È il Gesù che mostra Dio “vicino e partecipante” della vicenda umana, che rende la vicenda umana degna della presenza di Dio.
Il suo atteggiamento “ubbidiente” verso il Padre, la sua Parola che rivela il Padre e la sua gestualità che esplicita l’agire di Dio in mezzo agli uomini sono la fonte di ispirazione per ogni prassi missionaria che vuole costruire una presenza “salvifica” all’interno di uno specifico contesto umano.
In fondo, il processo missionario è appunto il tentativo di aprire ogni spazio umano alla presenza di Dio, senza forzature, certamente, ma anche senza la paura che sminuisce la forza di un annuncio esplicito e diretto.

Atteggiamenti missionari:
Vicinanza e prossimità con l’ambiente umano in cui si è inseriti, qualità capaci di muovere “intelletto e affetto” sono certamente l’atteggiamento di fondo sul quale innestare poi altri elementi. Non si può essere portatori di consolazione senza una carica di “affetto” verso l’ambiente umano dove operiamo. Un “affetto” che vuol essere il segno del grande affetto di Dio verso quella porzione di umanità.
Così l’Apostolo Paolo, modello di ogni missionario: «Mi sono fatto debole con i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno. Tutto io faccio per il vangelo, per diventarne partecipe con loro» (1 Cor 9,22-23).

Autenticità di vita e annuncio esplicito. Soprattutto l’Europa (ma vale anche per altri continenti), nel suo travaglio religioso-culturale, è alla ricerca di essenzialità e autenticità di vita, di persone trasparenti, il cui linguaggio è autenticato da un coerente vissuto.
Si è alla ricerca di una Parola chiara, senza troppi scantonamenti o scorciatoie che sappia però parlare alla vita e che della vita sia una evidenza dando ragione de “l’utilità” nel vissuto quotidiano. Mai come in questi tempi l’annuncio esplicito della Parola ritorna ad essere elemento centrale della prassi missionaria-pastorale purché capace di incontrare domande ed attese dell’uomo contemporaneo.

La stessa vita religiosa, comunitaria, primo metodo di evangelizzazione, ha senso se dice qualcosa al contesto dove si trova e se è modulata dal contesto umano nella quale è inserita e se ne condivide la situazione; insomma se si sente vicina alla gente. Ci sono comunità che sono perfettamente ritmate da orari e impegni comunitari, ma assolutamente impermeabili all’habitat umano nel quale vivono.

Udito attento ai temi globali: pace, giustizia, globalizzazione, finanza, politica, ecologia. C’è un modo “evangelico-missionario” di essere presenti in questi dibattiti e movimenti di carattere globale? Attingendo al preziosissimo bagaglio della sua esperienza, può la missione offrire un suo contributo specifico a questi dibattiti che stanno creando una larga coscienza di base per un futuro vivibile per tutti? È in grado la missione di attuare uno sforzo nel superare una certa frammentazione per cui chi lavora in Africa pensa ai suoi problemi, in Europa lo stesso e così via…?

Amore viscerale alla cultura della gente. La cultura di un popolo è il terreno ideale dove il vangelo va seminato in maniera recettibile per i destinatari. Per questo una cultura va amata, studiata ed approfondita sistematicamente, soprattutto nei suoi nuclei generatori, permettendo un processo di contaminazione fra la vita del missionario e la vita del gruppo umano dove egli si trova, premessa necessaria ad una fruttuosa semina evangelica. Oggi insieme alla conoscenza della cultura del passato, in generale già abbastanza documentata, l’attenzione va posta sugli elementi di cambiamento cercando di intuire quello che verrà, gli scenari del prossimo futuro.

Nella Chiesa locale. C’è anche un processo (e un lavoro) di inculturazione da attuare dalla e nella Chiesa: «…per la Chiesa non si tratta soltanto di predicare il Vangelo in fasce geografiche sempre più vaste o a popolazioni sempre più estese, ma anche di raggiungere e quasi sconvolgere mediante la forza del Vangelo i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti di interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell’umanità, che sono in contrasto con la Parola di Dio e col disegno della salvezza. Si potrebbe esprimere tutto ciò dicendo così: occorre evangelizzare - non in maniera decorativa, a somiglianza di vernice superficiale, ma in modo vitale, in profondità e fino alle radici - la cultura e le culture dell’uomo, nel senso ricco ed esteso che questi termini hanno nella Costituzione “Gaudium et Spes”, partendo sempre dalla persona e tornando sempre ai rapporti delle persone tra loro e con Dio» (EN 19-20).

Conclusione
Essere “portatori di consolazione” in un mondo in rapida evoluzione, caratterizzato a volte da vicende di alta drammaticità, vuol dire anche saper intuire quegli elementi di positività e di speranza dei quali la nostra contemporaneità è certamente portatrice. Ne cito solo alcuni: una nostalgia di bello e di buono, la ricerca di una religiosità che sappia parlare alla “testa e al cuore”, la voglia di comunità accogliente e calorosa, un largo senso di partecipazione e di presa di responsabilità per un mondo più giusto e vivibile per tutti. Questo obbliga ad uno sguardo positivo sull’insieme delle vicende umane. E là dove queste vicende umane sono sovente più complesse e drammatiche la presenza missionaria si rende obbligatoria perché capace di “conversione e trasformazione” delle persone e dell’ambiente.

Domande:
- Quale voto dare all’attenzione che la nostra Regione esprime verso la cultura della gente con la quale lavoriamo?
- La nostra azione missionaria si sente vicina al vissuto “reale” della gente?
- Ci sono esperienze di una qualche sistematicità e interesse da rilevare rispetto alla conoscenza della cultura e a qualche forma “inculturata” di evangelizzazione?
- Qual è il percorso formativo offerto ai nuovi missionari che si inseriscono nella nostra regione? Lo riteniamo sufficiente?
- Qual è il contributo IMC al processo di inculturazione nella Chiesa locale?


P. Ernesto Viscardi


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