È BELLO PER NOI STARE QUI

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«È BELLO PER NOI STARE QUI» (Mc 9, 5)
DIGNITÀ E BELLEZZA DELLA LITURGIA


Severino Card. POLETTO
Arcivescovo di Torino
Carissimi,

nell'anno della solenne professione di fede, che chiude le nostre missioni diocesane, desidero ancora una volta comunicare con tutti voi per invitarvi a fissare lo sguardo su Colui che è l'autore e il perfezionatore della nostra fede: il Signore Gesù. È Lui la sorgente di ogni missione, il motivo di ogni nostro sforzo pastorale, il riferimento ultimo di tutto quello che facciamo e che siamo.


La Quaresima è tempo favorevole per ritornare a Lui con tutto il cuore, nel deserto della vita: il deserto, nel quale lo stesso Signore è stato condotto dallo Spirito Santo per quaranta giorni, è il tempo della fatica e della fede messa alla prova. Abbiamo già ricevuto il grande dono della fede, nel giorno del nostro Battesimo, ed ora viviamo nella speranza verso il traguardo della risurrezione. Intanto, anche in questo pellegrinaggio terreno che è la nostra vita, possiamo vedere Gesù, possiamo camminare insieme con Lui, possiamo incontrarlo e custodire nel cuore il calore della sua presenza.


Nel deserto dell'esistenza, infatti, anche per noi, come per il popolo d'Israele, c'è sempre una sorgente che scaturisce dalla roccia, c'è una guida che non ci fa sentire soli, c'è un monte sopra il quale la Parola di Dio si manifesta per tutto il popolo. Anche noi possiamo attingere a questa sorgente e salire a questo monte, per vedere la Gloria di Dio, per ascoltare la sua Parola, e fare esperienza del suo Mistero. La Chiesa custodisce un luogo e un tempo prezioso, nel quale passare dal deserto della prova alla montagna della Trasfigurazione: questo luogo è la liturgia ed è proprio sulla grandezza e sulla bellezza della liturgia che vorrei con questo mio Messaggio invitare tutte le comunità cristiane della Diocesi a confrontarsi e verificarsi.

Ci è di stimolo il recente Motu Proprio "Summorum Pontificum" del nostro Santo Padre Benedetto XVI, che concede la possibilità, a determinate condizioni, di celebrare la liturgia con il rito precedente la riforma liturgica scaturita dal Concilio Vaticano II. Accanto al rito attuale, che costituisce la forma ordinaria della celebrazione liturgica, il Motu Proprio stabilisce la possibilità di considerare l'antica forma celebrativa come forma straordinaria dell'unico rito romano. Per comprendere in profondità la portata di questa apertura, è necessario allargare lo sguardo sulla scena internazionale del mondo ecclesiale al quale il Santo Padre guarda con vigile attenzione per salvaguardare e ricuperare una riconciliazione interna nel seno della Chiesa, valore essenziale da custodire per la sua stessa fedeltà al Signore Gesù.


Anche noi di Torino desideriamo accogliere queste indicazioni del Papa e riaffermare la nostra sincera adesione alle sue intenzioni e preoccupazioni, senza chiusure nei confronti delle sue direttive e nello stesso tempo senza spingerci oltre i giusti obiettivi che il Santo Padre stesso intende raggiungere con questo Documento.

Desideriamo farlo innanzitutto con la preghiera perché nella Chiesa la sacra liturgia, "fonte e culmine" di tutta l'esperienza di fede, non diventi pretesto per contrapposizioni immotivate tra i fedeli, ma sia sempre la grande sorgente a cui attingere per dissetarci a quella fonte di acqua viva quale è il mistero della salvezza, che nella liturgia viene celebrato e donato a noi.

Scopo perciò di questo mio Messaggio non è commentare il Motu Proprio del Papa, ma prendendo occasione da questo Documento offrire a tutti voi una riflessione che aiuti a fare delle nostre celebrazioni liturgiche delle autentiche esperienze della bellezza e della grandezza di Dio. Una liturgia capace di farci salire sul monte, come Mosè sul Sinai, come i tre discepoli sul Tabor: è questo ciò che il Signore desidera sempre da tutti noi.

1. La liturgia, esperienza di trasfigurazione

Per entrare nel mistero della liturgia, mi soffermo su una scena biblica tra le più affascinanti di tutto il Vangelo, che non a caso la Chiesa propone ogni anno alla nostra contemplazione nella seconda domenica di Quaresima. Si tratta della Trasfigurazione di Gesù, che nella tradizione spirituale è stata spesso riletta in riferimento alla liturgia. La scena, riportata dagli evangelisti Matteo (Mt 17,1-8), Marco (Mc 9,2-8) e Luca (Lc 9,28- 36), ci presenta l'esperienza singolare di Gesù che prende con sé tre discepoli, Pietro, Giacomo e Giovanni, per condurli in disparte, a pregare. La liturgia è anzitutto mistero di discepolato, chiamata a stare con Gesù, nell'intimità della preghiera. La liturgia esprime questo invito a tutti i discepoli del Signore: le porte della chiesa sono aperte e chiunque può entrare per vedere quel che accade. Ma soltanto chi si lascia coinvolgere nella fede, nella relazione con il Signore e con i propri fratelli, può comprendere e gustare i gesti e le preghiere. Bisogna essere iniziati, cioè aver fatto seriamente il percorso dell'iniziazione cristiana, per apprezzare il mistero del Signore che si fa presente nella liturgia.

La scena della Trasfigurazione offre indicazioni preziose circa il luogo e il tempo della preghiera liturgica.

Anzitutto il "luogo": il monte alto, simbolo biblico dell'incontro con Dio, e il posto appartato ci ricordano l'importanza di uno spazio sacro dedicato all'incontro con il Signore. Per i cristiani l'unico tempio è il corpo del Signore, presente nella Chiesa; esso però è significato dagli edifici sacri delle grandi cattedrali o delle piccole chiese rurali, perciò il luogo della liturgia è stato ben presto consacrato affinché servisse esclusivamente all'incontro con Colui che fa della Chiesa il suo corpo e il suo tempio vivente. Da qui l'importanza del decoro e della cura, affinché tutto all'interno delle nostre chiese parli di Dio e ci innalzi verso di Lui.

La preghiera, soprattutto comunitaria, necessita di uno spazio sacro, di un luogo dignitoso, ma altrettanto importante per essa è il "tempo" che vi dedichiamo. Potremmo parlare di un "tempo sospeso" («Facciamo tre tende», dice Pietro a Gesù in Lc 9,33), cioè un tempo senza orologio, senza fretta di finire, quasi un tempo che si ferma perché è bello e consolante stare col Signore. Perciò è importante custodire il tempo prezioso della preghiera liturgica, senza ingombrarlo di troppe parole, riempiendolo di spazi di silenzio contemplativo, per preservarlo da quella fretta che insidia e rende frenetica la nostra vita quotidiana.

Sul monte, in preghiera (Lc 9,29), Gesù si trasfigura: nell'umanità del suo volto e delle sue vesti brillano i segni della sua divinità. Anche gli occhi e gli orecchi dei tre discepoli sono coinvolti nella visione: vedono la Gloria di Dio, sentono la sua Voce, che li invita ad ascoltare il Figlio, sono avvolti dalla Nube, che nella Bibbia è simbolo della presenza di Dio. Anche la liturgia è a suo modo, nell'umile mediazione del rito, un evento epifanico, cioè una manifestazione nella quale ci è dato di intravedere la Gloria di Dio brillare sul volto e sui gesti di Gesù e di ascoltare la Parola che ci conduce dentro il Mistero della sua Pasqua.

«È bello per noi stare qui» (Mc 9,5). La Trasfigurazione è esperienza fugace per i discepoli, ma è preparazione a quel momento in cui dovranno sperimentare la dura prova della Croce, per riconoscere nel Volto sofferente e sanguinante del Maestro quello stesso Volto che avevano contemplato trasfigurato sul monte. Dal Tabor al Calvario: ecco il cammino che la liturgia ci invita a fare per immergerci nella Pasqua di Gesù, che è Mistero di morte e risurrezione. La liturgia ci invita a vedere Gesù nella sua luce di risorto, che si presenta a noi con i segni della sua passione: mistero del tutto della gloria espresso nel nulla della croce. Per questo motivo, sul Tabor come a Emmaus, la presenza del Signore si manifesta e subito scompare, perché nessuno si illuda di aver già conquistato una conoscenza totale. Il Signore resta l'ineffabile e il trascendente.

Nella liturgia sono molti i segni che tengono insieme la Gloria e la Croce. Pensiamo alla ricchezza simbolica del cero nella Veglia pasquale, che attraversa in processione l'aula della chiesa, ripercorrendo lo stesso tragitto della croce del venerdì santo, indicando già che la risurrezione renderà la croce albero di vita, luminoso e fiorito. Nel segno sacramentale questo è richiamato dalla celebrazione eucaristica, quando la visione dell'ostia bianca, elevata e offerta nel momento della consacrazione, spezzata e condivisa nel rito di comunione, orienta il nostro sguardo di fede adorante sull'Agnello di Dio, immolato sulla croce e glorioso in cielo. Pensiamo alla ricchissima tradizione iconografica relativa alla croce e al crocifisso: dalla croce gloriosa e gemmata al Crocifisso vivente, la croce appare come àncora di salvezza, chiave che spalanca le porte del paradiso e degli inferi, corona di Luce che illumina chi sta nelle tenebre. Il cero, il pane, la croce: nella liturgia tutti i segni della vita e della storia salvifica sono convocati insieme per dare corpo alla fede nel Dio della Croce e della Gloria. Tutto è chiamato a narrare la bellezza del Signore crocifisso e risorto.

2. La bellezza della liturgia

Di fronte alla grandezza e alla bellezza dell'esperienza della Trasfigurazione, siamo invitati a verificare se la preghiera liturgica delle nostre comunità è accolta e valorizzata come un dono di grazia che trasforma l'esistenza, in quanto ci rende capaci di dare alla nostra vita la forma eucaristica della carità di Cristo. Il compito di trasformare le nostre menti ed il mondo a immagine di Cristo (Rm 12) non può essere realizzato se non a partire dal dono pasquale della Grazia di Dio che dà alla storia umana una forma nuova. All'inizio c'è il Dono di Dio: la bellezza della liturgia riposa interamente nell'efficacia della sua trasparenza, cioè nella capacità di rendere percepibile il dono pasquale dell'amore del Signore. La partecipazione piena e attiva alla celebrazione liturgica, che è stato il vero obiettivo pastorale della riforma liturgica, non mira ad altro che a questo: farci intravedere la Gloria del Signore, che brilla sul volto del Cristo crocifisso e risorto; guidarci all'ascolto della sua Parola, che risuona nelle Sacre Scritture; introdurci nel Mistero di Dio, che si dona a noi nel segno sacramentale, così da poter affermare anche noi, come i primi discepoli: «Ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi e ciò che le nostre mani hanno toccato…noi lo annunziamo anche a voi» (1 Gv 1,1-3).

Ma come e dove la liturgia lascia trasparire la presenza e l'azione del Signore? Risponde a questa domanda il Concilio Vaticano II, quando afferma che Cristo è presente in modo speciale nella liturgia, non solo sotto le specie eucaristiche, dove la sua presenza è eminente e sostanziale, ma in tutta la celebrazione: nella comunità radunata in preghiera, nella proclamazione della Parola, nei gesti sacramentali del ministro (Sacrosanctum Concilium, 7). In questa prospettiva, la bellezza della liturgia risplende anzitutto nell'assemblea radunata nel nome del Signore: assemblea che prega e canta ad una voce, dove i diversi ministeri sono ben distribuiti, così da lasciar trasparire nelle molte membra l'unico corpo. A questo proposito, vorrei comunicarvi la gioia spirituale che avverto in me quando presiedo le celebrazioni liturgiche in occasione delle Visite Pastorali. Celebrare la Santa Messa nelle nostre comunità è sempre un'esperienza consolante perché vedo ovunque una partecipazione convinta, un clima di silenzio e di autentica preghiera. Se ciò oggi questo può sembrare ovvio, merita ricordare che fino a qualche decennio fa non lo era. Oggi la gente prega, partecipa, non coltiva altre devozioni durante la celebrazione eucaristica, vive tutta coinvolta ed immersa nel mistero.

La bellezza della liturgia risalta inoltre nella ricchezza spirituale che ci offre la Parola di Dio, che risuona in tutte le celebrazioni ed è distribuita in modo abbondante. A quasi quarant'anni dall'entrata in vigore del nuovo Lezionario, recentemente rivisto nella traduzione, non possiamo non rallegrarci del tesoro di grazia che, domenica dopo domenica, nutre la fede delle nostre anime e guida i nostri passi. È giunto il tempo di riportare la Parola di Dio al centro non solo della nostra pastorale, caratterizzata soprattutto dall'annuncio, ma anche della nostra preghiera personale. Ricordiamo però che a nulla varrebbe il dono della Parola, senza l'ascolto e il silenzio che lo rendono possibile. In un mondo assediato dalle chiacchiere banali, dall'eccesso di parole e di rumore, la bellezza delle nostre liturgie si misurerà sempre più anche sulla loro capacità di creare raccoglimento. Nei primi anni della riforma liturgica, si è molto puntato sul valore dell'accoglienza, per rinsaldare vincoli di vera fraternità all'interno della comunità. Senza rinnegare questi valori, si tratta ora di valorizzare quei linguaggi e quelle iniziative che aiutano le nostre comunità a raccogliersi, oltre che ad accogliersi, per lasciarci anzitutto accogliere dal Signore, che è la sorgente di ogni fraternità. Da qui l'impegno a custodire spazi di silenzio, a non riempire la celebrazione di parole e troppe spiegazioni, a vigilare sulla durata e sulla qualità delle omelie.

In ogni celebrazione liturgica, deve emergere il fascino offerto a noi dai gesti di Gesù, che nella Messa prende il pane (offertorio), rende grazie (preghiera eucaristica), lo spezza (frazione del pane) e lo dona ai discepoli (comunione). Come nella Santa Messa è Lui che nutre e che dona la vita, così negli altri sacramenti è sempre Gesù che battezza, perdona, cura, unisce in matrimonio. In questa prospettiva, la bellezza della liturgia non consiste affatto in qualche "effetto speciale" che si aggiunge ai gesti e alle parole del rito, magari per sottolinearli, ma nel modo stesso in cui i nostri gesti e le nostre parole lasciano trasparire i gesti di Gesù, che rivelano con grande efficacia il suo amore per noi. Sono gesti semplici, che svelano il Mistero della santità di Dio, come dono di ospitalità e prossimità. Sono gesti nobili, che dicono la grandezza e la trascendenza di un Mistero di disponibilità, che tuttavia non possiamo manipolare a nostra discrezione.

Due caratteristiche essenziali, che custodiscono, se le teniamo unite, la bellezza e la verità della liturgia sono la nobiltà e la semplicità.
 
Di fronte alle opposte lamentele di una liturgia priva del senso del sacro e del mistero e di una liturgia troppo estranea alla vita della gente, merita riprendere la proposta equilibrata della Costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium, la quale raccomanda uno stile improntato ad una nobile semplicità: «I riti splendano per nobile semplicità» (34). Una liturgia semplice e nobile: questo è il compito che ancora e sempre ci attende per attuare i principi della riforma liturgica.

La semplicità della liturgia, come ho già detto, sta tutta nella trasparenza dei suoi gesti e delle sue parole, che rinviano alla santità semplice e ospitale di Gesù. Non c'è bisogno di riti strani, né di parole magiche, per dire l'amore del Signore e la sua presenza trascendente e soprattutto non si deve piegare la liturgia alle strategie dei media, quali lo spettacolo o l'utilizzo eccessivo ed ingombrante delle tecnologie, per renderla più interessante e "comprensibile". C'è bisogno di parole giuste, non modificate a piacere del celebrante, il quale deve sempre ricordarsi che non è padrone, ma "servo" del Mistero, e di un tono di voce corrispondente alle parole che si stanno pronunciando (lode, supplica, narrazione…). Servono gesti veri, non finti, come si addice a dei figli che stanno davanti a Dio da persone che sanno amare ed adorare.

Se la semplicità della liturgia esprime una prossimità piena di affetto, la nobiltà esprime invece una dignità piena di rispetto. È forse su questo punto che dobbiamo maggiormente lavorare, per recuperare quelle dimensioni di dignità, rispetto, riserbo, maestà, splendore, che rischiano di essere oscurate nel nome di una vicinanza di Dio vissuta con sciatteria e superficialità, o di una semplificazione con la quale ci si illude di rendere più comprensibile il rito modificandolo a proprio piacimento. Abbiamo il dovere di ricercare la nobiltà e la dignità dei linguaggi, dei gesti, delle parole, adatte alla sacralità del Mistero, perché tutto dica la bellezza dell'amore di Dio rivelato in Gesù Cristo. C'è bisogno di gesti umili e obbedienti, capaci di stare dentro la sapienza del rito, senza modificarlo a proprio giudizio, perché si deve rispettare la giusta solennità che appartiene all'essenza della liturgia, anche quella più feriale e nascosta. Ci vuole infine anche una giusta attenzione alla struttura architettonica degli edifici sacri affinché siano all'altezza del modello celebrativo ed ecclesiale, che deve esprimere insieme l'incarnazione e la trascendenza, per cui non dobbiamo dimenticare che anche un'equilibrata ricerca della bellezza artistica del luogo sacro ha valore in quanto riflette la bellezza e la grandezza di Dio, il tre volte santo, e la bellezza spirituale della Chiesa rappresentata dall'assemblea radunata in quel particolare luogo.

Affetto e rispetto: l'equilibrio tra queste due dimensioni impedisce al rito di trasformarsi in disinvoltura e trascuratezza e alle persone di sentirsi estranee o semplicemente spettatrici nei confronti della maestosa presenza di Dio.

3. Una prova di maturità

Una prova di maturità attende tutte le nostre comunità: il compito di far maturare sempre di più il rinnovamento liturgico che scaturisce dalla riforma del Concilio Vaticano II che ha una storia di tradizione lunga di secoli. Per fare questo occorre, con sincerità e profondità di sguardo, riconoscere gli ostacoli che ancora impediscono un autentico rinnovamento liturgico che deve avvenire prima di tutto a livello spirituale di fede ed amore. Bisogna evitare certe stanchezze, che non si prendono cura del rito; il narcisismo, sempre in agguato, che fa della celebrazione un luogo troppo ingombrato dalla nostra presenza, per cui ridonda il protagonismo del celebrante; una certa secolarizzazione, che produce sospetto ed estraneità nei confronti del rito e che si traduce in una grande povertà nell'arte di celebrare e nel modo di indossare i paramenti sacri.

L'elenco degli abusi e delle mancanze, che pur ci sono e vanno corrette, non deve impedirci di vedere il positivo, che c'è ed esprime la grande ricchezza di fede delle nostre comunità. Il clima di preghiera e l'intensità della partecipazione che, come ho già detto, riscontro ovunque nelle assemblee eucaristiche che incontro nelle frequenti celebrazioni delle Visite Pastorali ne sono una viva testimonianza. Questo fatto, di cui essere fieri, ci è di stimolo per andare avanti, nel desiderio di una liturgia sempre più «semplice, seria e bella», come è stato suggerito nella Nota pastorale dei Vescovi italiani "Comunicare il Vangelo in un tempo che cambia". L'impegno nella formazione dei ministri e della assemblea dei fedeli, che in questi decenni ha contraddistinto la nostra Diocesi, va inquadrato in un più ampio progetto di recupero dei fondamenti di un'autentica liturgia che sono la fede ed una grande spiritualità, così che nella liturgia tutti possano cercare e trovare Colui che è l'essenza della vita cristiana: Gesù Cristo, l'autore e il perfezionatore della nostra fede.

È con questo auspicio che vi invito a vivere il prezioso tempo di Quaresima in preparazione alla Pasqua del Signore. Ci viene richiesta una vera purificazione del cuore per essere pronti all'incontro col Risorto, perché in questo anno della "Redditio Fidei" la nostra fede pasquale deve trovare nuove motivazioni per essere per noi sostegno e forza nelle difficoltà e fonte di grazia nelle fatiche quotidiane e per il mondo il segno che ci distingue, ma anche ci qualifica, come annunciatori di quel Gesù che il Padre ha mandato a tutti come unico Messia e Salvatore, per cui «non vi è altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati» (At 4,12).

Che la prossima solennità della Pasqua ci ricolmi dei doni del Risorto, così espressi nella liturgia della Veglia pasquale: «Il santo mistero di questa notte (la notte della Veglia pasquale) sconfigge il male, lava le colpe, restituisce l'innocenza ai peccatori, la gioia agli afflitti. Dissipa l'odio, piega la durezza dei potenti, promuove la concordia e la pace».

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