“ADDA PASSA' A NUTTATA!”... ARRAMPICANDO COME ZACCHEO

Category: Missione Oggi
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P. Stefano Camerlengo, IMC

 

Adda passa' a nuttata! E' una frase di una commedia teatrale del famoso attore napoletano Edoardo De Filippo. La commedia, dal titolo Napoli Milionaria, ha come protagonista Gennaro Iovine, onesto tranviere che assiste impotente agli affari della moglie, Amalia, dedita alla borsa nera. In occasione di un'ispezione di controllo da parte dei carabinieri Gennaro si deve addirittura fingere morto per far sì che il brigadiere non controlli sotto il letto dove si trova la merce…La scena è una delle più esilaranti di tutto il testo. Gennaro parte per la guerra e al suo ritorno trova una situazione completamente differente da quella che aveva lasciato: è ormai un estraneo, nessuno vuole ascoltare delle brutture che ha passato in Germania. I lustrini, il modo semplice di fare soldi e la voglia di rimuovere tutto l’orrore passato, fa sì che solo Gennaro voglia ricordare e che si ostini a ripetere che “la guerra non è finita”. Perché ancora si piange sui cadaveri, perché c’è ancora il rischio che si perdano di vista i valori di un tempo… E dei valori di un tempo, a casa di Gennaio non ce n’è più traccia: Amalia, ormai passata a una condizione di agiatezza, specula sulla povera gente e ignora i problemi della sua casa: la figlia è incinta di un soldato americano che l’ ha appena abbandonata, il figlio ruba le gomme delle automobili e la figlioletta più piccola è in pericolo di vita per una malattia. Il dottore viene chiamato troppo tardi affinché salvi la figlia più piccola; c’è bisogno di una medicina, ma la medicina non si trova ed Amalia, recuperato, ma troppo tardi, il suo senso materno, gira disperata tutta la città. Sarà proprio l’uomo su cui Amalia aveva speculato a fornirle il farmaco; potrebbe non farlo, potrebbe volgerle le spalle così come la donna aveva fatto con lui…Ma non lo fa perché questa risulti essere una lezione di vita per Amalia. Questo gesto, ma anche le parole di Gennaro fanno risvegliare la donna, le fanno prendere coscienza: “Che è succiesso?” “’A guerra, Amà”..Perché la guerra non distrugge solo i palazzi e le città, la guerra mette in discussione tutto, la guerra stravolge gli animi, li fa addormentare e li ricopre di ghiaccio, di egoismo. Ma non è uno sguardo di sola accusa quello di Eduardo, l’autore sembra comunque accarezzare tutte le sue creature, sembra capirle…Sembra comunque amare quella città che nonostante tutto, con mezzi leciti e illeciti, cerca di risorgere dalla fame e dalla miseria.
Ed è un messaggio di speranza quello che chiude la commedia: deve finire la notte, non ci resta che aspettare… “Addà passà a nuttata”.

Credo che questa frase possa essere signifcativa per collocarci nel nostro mondo. In mezzo ai tormentoni di questi ultimi tempi, tra tante cose torbide, altre oscure, altre che si chiariranno piano piano nella pazienza del tempo. Tuttavia, ci sono comunque dei valori, delle testimonianze che rimangono e fanno gridare e sperare che “ addà passà a nuttata!”. ( la notte passerà!!!).

Carissimi, alla vigilia del nostro Capitolo, voglio offrire non un discorso ma pezzi per un mosaico. Il mosaico della speranza che cammina a braccetto con l'amore e fa si che la nostra missione diventi più autentica e solidale.

 

Alcuni avvenimenti di cronaca

 

1. "In Sudan ho preso la malaria"

George Clooney ha contratto la malaria durante il suo soggiorno in Sudan durante le recenti elezioni. Lo ha rivelato lo stesso attore durante un'intervista con Piers Morgan sulla Cnn in onda domani. L'attore si trovava in Sudan impegnato nel suo progetto "Enough" - insieme a Google e alle Nazioni Unite - per installare le attrezzature necessarie e a filmare le storiche elezioni che potrebbero sancire l'indipendenza del Sud Sudan Clooney si è occupato dell'installazione di un satellite per la fotografia delle riprese del voto e delle sue ripercussioni. L'obiettivo del progetto Enough è di contribuire alla campagna per mettere fine al genocidio in Sudano "Speriamo che questi sia uno dei molti mezzi utili a esercitare pressione o quantomeno a raccogliere prove che possano essere usate nel Tribunale dell'Aja se ci dovessere essere violazioni della legge". L'attore ha scherzato su quanto gli è accaduto: "Mi sa che le zanzare di Juba mi hanno guardato e hanno pensato che io fossi il bar". E continuando a parlare con tono leggero, ha aggiunto che è la seconda volta che contrae questa malattia, che in Africa uccide un milione di persone all'anno. Più tardi ha continuato a ironizzare: "Abbiamo ricevuto 24.563 offerte di assistenza infermieristica a Clooney, ma ci assicurano che le medicine funzionano e sta bene ... Sorry ladies". Mi viene spontaneo pensare ai tanti missionari che nella storia della missione sono partiti senza “baccano” ed hanno dato la vita in silenzio a causa della.... malaria!

( Tratto da Repubblica,21.01.2011)

 

2. "Riuscire nella vita" il caso Ruby

Nella vicenda di questi giorni, almeno in Italia, del “caso Ruby”, la prima evidenza è che lo scopo di Ruby è riuscire nella vita. Come quello di tante ragazze della sua età, e come quello di tanti di ogni età. Riuscire, ovvero ottenere una vita coronata da successo e benessere. In effetti, questo è il medesimo lo scopo che sembrano avere in tanti. Il medesimo. Se ci guardiamo intorno, e se ci guardiamo dentro, spesso il motore più o meno evidente che spinge azioni, scelte, carriere, è il medesimo: riuscire, ovvero avere benessere, e possibilmente fama. In genere, i moralisti di ogni razza, quelli sempre pronti a scagliare la prima e anche la seconda pietra, a questo punto dicono: va bene, lo scopo è la riuscita come soldi e successo, ma c'è modo e modo per ottenerli. Modi più "morali" e modi meno morali. Non è del tutto sbagliato, ovvio. Anche i modi contano, nella vita come nella politica.

Ma intendiamoci. E non dimentichiamo che la grande immoralità, la grande sconcezza, sta prima. Sta nell' avere quello scopo nella vita. La radice profonda dell'immoralità sta nell'avere come scopo della vita quel genere di riuscita, che accomuna le ragazze come Ruby a tanti magari "seri" professionisti in ogni campo: più benessere, più gloria. Una certa idea limitata di riuscita (aver soldi, aver fama) si è imposta nel tempo lungo le vie delle filosofie e delle mode come la migliore e forse unica possibile. Come se gli uomini più realizzati fossero quelli che possono contare su benessere e fama. Una certa idea di "divo" - messa a fuoco nei secoli da pensatori e esaltata nei mezzi di comunicazione di massa - è diventata il modello normale. Per tutti o quasi, non solo per ragazze portate dalla vita e da scelte infami a svendere la propria dignità per ottenere prima che si può quel genere di riuscita. C'è meno infamia apparente, c'è meno apparente immoralità in molte scelte che tutti compiamo tutti i giorni in nome di quell'ideale di riuscita. Ma solo meno apparente. Quante ipocrisie, omissioni, tiepidezze, o quanti geli di indifferenze regolano i nostri rapporti quando sono vissuti come mezzi per ottenere quella riuscita? L'esperienza ci insegna a volte in modo drammatico come il raggiungimento di un ottimo benessere o di una grande fama non coincidono con una vera "riuscita" della personalità. In molti uomini di successo si vede la triste grottesca maschera di qualcosa di disumano. Per i cristiani che in tutte le messe battono il proprio petto e non quello del vicino o del potente o della prostituta, lo scopo della vita è meritare il centuplo quaggiù e una speranza per l'eterno.Qualcosa di incommensurabile con ogni benessere o successo (spesso negati o impossibili). Per noi l'uomo riuscito non è il divo, ma anche chi, magari gravemente colpito dalla vita, merita cento volte gioia e speranza grazie a un atteggiamento volto a compiere il desiderio di bene e di giustizia che alberga in ogni cuore. Ci sono santi sconosciuti, uomini ignoti che compiono le dimensioni del cuore, donando se stessi, cercando il vero, offrendo con pazienza la vita per il bene anche degli altri. E sono imprenditori e suore, medici e contadini, preti e attori, operai e musicisti ... Questi sono i "riusciti". Proporre e accettare invece l'altro modello di riuscita, e poi accusare di immoralità chi cerca di raggiungere (anche in modo pietoso e grottesco) quel modello, è la vasta immoralità diffusa nei nostri giorni.

( Tratto dall'Avvenire, Davide Rondoni, 26.01.2011)

 

 

3. «Napoli, Città di pace»

è il premio che riceverà, ma cos'è la pace, com'è la pace, come può essere la pace in una città come Napoli o in qualsiasi altra metropoli? «Le città sono fatte di individui. La pace è perciò qualcosa che è dentro noi stessi. Ciascuno ha fatto, fa, un percorso interiore, che conduce ad un traguardo anche al di fuori di se stessi. La pace quindi non è strani arsi dalla realtà, è invece guardarla con gli occhi di un uomo giusto, onesto. Sguardo amorevole perché l'amore è più forte della negatività. Mi rendo conto che sono valori un po' demodè oggi, eppure sono gli unici che consentono di vivere nella pace in ogni città del mondo».

La crisi dei rifiuti a Napoli e in Campania è da anni al centro di attenzioni e di polemiche e sembra essere irrisolvibile, segnale di una più ampia emergenza ambièntale.

«È un grave problema, certo. Però quella spazzatura è soprattutto una metafora della modernità: quello che abbiamo dentro è là fuori. Non coltiviamo giardini perché in noi non c'è più pace, non c'è più bellezza. La spazzatura è lo specchio di una cultura che consuma, di una cultura crudele, agitata, cinica che produce spazzatura interiore, che si trasforma in tonnellate di spazzatura reale. La spazzatura l'abbiamo innanzitutto dentro di noi ed è dentro di noi che dovremmo fare pulizia. Dove si semina bellezza nasce qualcosa ed è triste che oggi non si abbia bisogno dell'arte e del potere sanificante della cultura».

Lei è stata regista prima che scrittrice, che considerazione ha della televisione?

«La televisione ha fatto danni enormi, ha distrutto la sanità mentale di un popolo e la stessa società educante. I genitori sono tali per caso, tutto è regolato dalla provvisorietà e in questa organizzazione subentrano i media: la televisione sempre accesa, l'uso incontrollato del computer. Penso all'infanzia, una volta tutelata e ora sottoposta non alla cultura del '900, ma ad una cultura primitiva, esposta di continuo alla violenza e alla stimolazione sessuale. La televisione ha fatto danni pazzeschi nei bambini che in crescita hanno un sistema delicato e complesso e subiscono un bombardamento sensoriale così forte in ogni campo, anche per quello che mangiano. È una bomba ad orologeria che ha scardinato tutte le basi e purtroppo non c'è la moviola, non si può tornare indietro. È un grande crimine che andrebbe riparato, ma come? È minoritario chi pensa che ci vorrebbe una grande unione di persone e di forze per sovvertire questo disordine».

( Tratto dall'Avvenire, intervista a Susanna Tamaro, 29.01.2011)

 

 

4. Le pallottole sovrastano le parole. Ma non tacitano le coscienze.

Circa la “guerra umanitaria” in Libia


Come un grumo di sangue
quest'ora buia al tempo si rapprende.
Più nessuna barriera mi difende
dal vento amaro.
L'estate in gloria che su queste strade
per me ha brillato un giorno, ora sepolta
mi mulina le ceneri sul cuore.
E' notte e inverno.
E tu sei morto, amore.
(Maria Luisa Spaziani)

 
Nella società della “comunicazione imbonitiva” si alternano in maniera sempre più repentina, e senza lasciare spazio a parentesi di intesa, parole gridate come armi e armi usate come “ultima Parola”. La politica impotente, abdicando al suo compito di mediazione, affida, alternativamente e senza limiti di sorta, la società civile non più governata alla violenza di una economia sempre più vorace e distruttiva e ad un esercito sempre più professionale e allertato. Già nel lontano 1940 Bertold Brecht denunciava questo intrigo ormai inscindibile tra violenza ed economia: «Nei Paesi democratici non si rivela il carattere violento dell'economia, così come nei Paesi autoritari non si rivela il carattere economico della violenza»; rilevando che ad oggi molte democrazie hanno da tempo smesso di essere democratiche, avendo assunto tutti i connotati dell’autoritarietà. Come cittadini dobbiamo rifuggire dall’ammutinarci nelle gabbie fanatiche delle tifoserie di parte in cui certa stampa vuole stupidamente imprigionarci. Se siamo contro l’uso delle armi è perché avvertiamo sempre più la stretta del nodo scorsoio di questo connubio osceno tra economia e violenza che strangola le nostre democrazie. Se siamo contro l’uso delle armi è perché siamo coscienti che non è possibile chiedere ad esse ciò che esse non possono dare; perché le armi massacrano i valori che pretendono di difendere! Siamo e saremo sempre contro questa folle corsa agli armamenti che taglia le risorse allo Stato sociale e ingrassa i buoi nelle stalle di affaristi senza scrupoli. Nel caso specifico della Libia «abbiamo riempito di armi Gheddafi, come forse nessun altro al mondo, poi gli spariamo addosso con altre armi», è la denuncia di padre Zanotelli sull’Unità del 24 Marzo. «Questa contraddizione merita anch'essa una questione morale oppure no? Lo abbiamo armato fino ai denti per poi scoprire che andava abbattuto. Nel nostro dialogo con la Libia l'unico vocabolario è quello delle armi!». Non mi risulta che ci siano stati tentativi di dialogo, incontri di chiarimento, pressioni diplomatiche ai fini di una risoluzione graduale e pacifica del conflitto civile, né prima né dopo l’intervento armato. Si è passati, impudentemente, dalla cortigianeria affaristica all’ostracismo puritano. In tal senso non ha tutti i torti il raìs a tacciare di tradimento i governi occidentali e in particolare l’Italia. Come cristiani siamo coscienti che cambiando il nostro punto di vista a partire dalla legge morale del non uccidere demoliremo anche le ragioni della guerra e della violenza. Il paradigma della nonviolenza che a partire dal Gesù di Nazareth, passando per Francesco di Assisi, giunge a noi anche attraverso Gandhi e Danilo Dolci e il teologo Raymond Panikkar, è esigente. Esso «implica un impegno soggettivo, un lavoro su se stessi, una pedagogia del rispetto che esclude i rapporti muscolari, le tecniche di azzeramento delle ragioni dell'altro, le scomuniche e le chiusure» (Marco Revelli). Se è vero che in tempo di guerra i proiettili sono più veloci delle parole, è pur vero che quelli sono del tutto impotenti a distruggere le coscienze allertate dalle quali, solo, può nascere una democrazia di pace.

( tratto da un testo di don Aldo Antonelli – ADISTA, 30.03.2011 )

 

 

Icona evangelica: anche noi, con Zaccheo sull'albero ( Lc. 19, 1- 10 )
Magari, l'icona del “buon “ Zaccheo ci può aiutare a recuperare il senso di tante cose e la voglia di cercare anche in questi tempi difficili!

 

ZACCHEO CERCAVA DI VEDERE QUALE FOSSE GESÚ

E ora che ne sarà del mio viaggio?
Troppo accuratamente l’ho studiato
senza saperne nulla. Un imprevisto
è la sola speranza. Ma mi dicono
ch’è una stoltezza dirselo.
(Eugenio Montale)

Un imprevisto … un magnifico imprevisto è capitato un giorno a Gerico, città di frontiera: sta per arrivare quel Rabbì di cui tanto si parla. Sta per arrivare Gesù di Nazareth. Agitazione e curiosità si impadroniscono degli abitanti. Tutti vogliono vederlo, ascoltarlo, incontrarlo. Fra loro Zaccheo, “capo dei pubblicani e ricco”, odiato e temuto da tutti. Anche lui, piccolo di statura, si fa largo nella folla e, per vedere meglio, si arrampica su un sicomoro.
Zaccheo è l’icona di ogni uomo in ricerca. Sembra possedere già abbastanza eppure nel suo cuore abitano il desiderio e il sogno di un magnifico imprevisto, di un incontro. Per questo cerca ancora, cerca altro, cerca oltre. Vuole vedere, conoscere, incontrare Gesù. Affascinato da quel che dicono di lui. E il magnifico imprevisto … “sola speranza” … accade.
Ma per vedere Gesù, per incontrare Dio, occorre diventare dei “rampicanti”.

Come Zaccheo, così ogni uomo, così ciascuno di noi, può vedere, incontrare, accogliere Gesù di Nazareth: tutto dipende da noi, dal nostro “arrampicarci”, da questo “cercare di vedere quale fosse Gesù”, per vedere chi merita il nome di Dio tra i tanti dei della storia di ieri e di oggi. Come Zaccheo, così anche noi siamo chiamati a vivere la sua stessa esperienza: scoprire di essere dei cercati, degli amati, così come siamo, in modo sconfinato e senza pentimenti, dal nostro Dio che è Padre, Figlio e Spirito Santo. Lui sogna di trovare un «posto», nella nostra libertà, nel nostro cuore, nella nostra vita. Come Zaccheo, così anche ciascuno di noi può ricevere un grande dono: la gioia e la possibilità di ricominciare tutto daccapo, la gioia e la possibilità di nuove relazioni con Dio, con il prossimo. Anche con noi stessi.

 

ARRAMPICARSI

La verità è come un’immensa vetrata
caduta a terra in mille pezzi.
La gente si precipita, si china,
ne prende un frammento
e brandendolo come arma, dichiara:
“Ho in mano la verità!”
Bisognerebbe, invece,
raccogliere con pazienza tutti i pezzi,
saldarli con l’amicizia e, alla fine,
la verità risplenderebbe.
(Jean Sullivan)

Mi hanno sempre affascinato le persone che non si sentono degli arrivati ma piuttosto dei camminatori, dei pellegrini, che possiedono una “sana e santa inquietudine”. Auguro a ogni uomo il coraggio di “arrampicarsi”, di salire sul sicomoro, cioè la fatica e il coraggio di pensare, di studiare, di trasgredire:

Ero giovane teologo, mi trovavo a Tubingen, in Germania, per un lungo periodo di ricerche e di insegnamento in quella università; andai quasi in pellegrinaggio sulla tomba di Ernst Bloch, il filosofo della speranza, e trovai sulla roccia che copriva la sua tomba queste parole: denken heißt überschreiten, pensare significa oltrepassare, trasgredire, andar oltre. Mi sembrò che questa parola di Ernst Bloch desse il senso della trasgressione a cui siamo chiamati pensando: non arrenderci all’evidenza, ma lasciarci inquietare dal paradosso della vita …”. (Bruno Forte e Vincenzo Vitiello, La vita e il suo oltre, Città Nuova)

Nella certezza che la trasgressione, cioè il portare la ragione al limite delle sue potenzialità, non ci porta lontano da Dio, ci porta a Dio.

Una sera la tartaruga decide di andarsene a fare un giro notturno. Il rospo che la vede le dice: «Che imprudenza uscire a quest’ora!» Ma la tartaruga continua e, mentre fa un passo più lungo dell’altro, si ritrova girata sulla schiena. Il rospo esclama: «Te l’avevo detto! E’ un’imprudenza, ci lascerai la vita!». Deliziosa, con gli occhi pieni di malizia, la tartaruga gli risponde: «Lo so bene. Ma per la prima volta vedo le stelle».

Che delizia certe imprudenze! Perché chi si limita “saggiamente” a ciò che sembra possibile, non riesce spesso ad avanzare di un passo …Sogno che altri, tanti, possano fare la mia esperienza di credente, di “trovare” Dio:

Sono arrivato alquanto tardi a dare a Gesù Cristo il posto centrale ch'egli occupa oggi nel mio pensiero e nella mia vita ... Oggi, dopo aver molto riflettuto e predicato ... Gesù Cristo è la luce, il calore e - attraverso il suo Spirito Santo - il moto della mia vita. Egli mi interroga ogni giorno, e ogni giorno mi impedisce di arrestarmi: il suo Vangelo e il suo esempio mi strappano alla tendenza istintiva che mi terrebbe legato a me stesso, alle mie abitudini, al mio egoismo. Ed esperimento la verità di questa frase di Ibn Arabi: "Colui la cui malattia si chiama Gesù, non può guarire". (Yves Congar)

Sono convinto, teoricamente e per esperienza personale, che il verbo pertinente all’avventura cristiana non sia il verbo “lasciare”, come molti pensano, ma sia piuttosto il verbo “trovare”:

Il Regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra quel campo. Il Regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra”. (Mt 13,44-45)

Perchè vivere alla sequela di Gesù di Nazareth, cercare di mettere i nostri passi sui Suoi passi è davvero trovare il “centuplo quaggiù”. Il centuplo in libertà, in gioia, in fraternità, in speranza, in umanità, in profondità … E’ trovare la perla preziosa e quando si trova la perla preziosa della fede, si è felici della vita ma soprattutto si è felici di Dio, di Gesù di Nazareth, il Crocefisso risorto, tuttora vivente.

 

CI SI ARRAMPICA SUL SICOMORO PER VEDERE

Una delle verità fondamentali del cristianesimo
- verità troppo spesso misconosciuta - è questa:
ciò che salva è lo sguardo.
(Simone Weil)


Forse Zaccheo poteva semplicemente accontentarsi e stare dietro tutti gli altri, forse poteva spostarsi dove c’era meno gente, dove c’era un po’ più di spazio e di calma … invece ha scelto di arrampicarsi su un albero …Nessuno può vedere Gesù senza far fatica … bisogna essere un po’ folli, sognatori, innamorati ... bisogna diventare dei “rampicanti” tenaci e capaci, perché stare coi piedi piantati a terra o solo in punta di piedi non basta per vedere Gesù. Ciascuno poi ha il suo ‘albero’ da salire per vedere Gesù: l’amore, il dolore, una nascita, la morte di una persona cara, la natura … la vita dei cristiani, la Chiesa, la domenica, l’Eucarestia, il Vangelo …Ci si arrampica per vedere … senza dimenticare che “L’essenziale è invisibile agli occhi”. (Saint-Exupéry) Non basta avere l’occhio sano fisicamente per vedere la bellezza, per capire la vita e il mistero. Solo l’amore e la fede ci fanno capaci di penetrare oltre la superficie levigata dei luoghi comuni, delle cose e delle persone.

Tutto dipende dalla luce, tutto dipende dallo sguardo ...Vedere Gesù è vedere poi con gli occhi di Gesù, con gli occhi smisurati di Dio, occhi di gufo, la storia e la vita. Vederle e leggerle, rileggerle (questo vuol dire anche religione: re-legere) alla luce della Croce e del mattino di Pasqua, alla luce della fede. Tutto dipende dalla luce della fede. Tutto dipende dagli occhi e siccome le radici degli occhi sono nel cuore, tutto dipende dall’avere i sentimenti di Gesù: Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù (Fil 2,5)

Il compito di ogni cristiano che oggi sperimenta in maniera evidente il suo essere minoranza, cioè il suo essere una delle tante voci di interpretazione della vita e della storia, è quello di proporre con coraggio, umiltà, audacia a ogni uomo, nuotando spesso controcorrente, la luce della vita di Gesù e del suo Vangelo. Dobbiamo essere nel mondo di oggi minoranza “stile trota”: “Il cristiano nel mondo è come la trota in un corso d’acqua rapido: la trota nuota sempre controcorrente ed è il simbolo della controcultura. La trota rimane nell’acqua e non l’abbandona mai, ma vive in un continuo stato di resistenza. Vive a colpi di reni. L’acqua non la disturba: piuttosto essa vi si appoggia per risalire a monte, alla fonte del torrente. Gli ostacoli sono per lei un trampolino per avanzare. Così il cristiano è una voce di contrasto nel coro della cultura contemporanea: non si mette lì, comodo, sulla riva, da spettatore. Prende attivamente parte alla politica, alla musica, alle immagini, alla sessualità, alla famiglia; si impegna nella scienza e nella tecnica, crede in un futuro: ha fiducia anche lui esercitandosi alla resistenza. Nuota controcorrente.”

(card. Godfried Danneels, Simposio dei vescovi europei sui giovani)

Dobbiamo come minoranza ritrovare quella semplicità e quella scioltezza con cui la Chiesa degli apostoli, piccolo e insignificante gruppo, ha affrontato il colosso della cultura del proprio tempo senza complessi, affidandosi alla forza e alla gioia del Vangelo.
In particolare i giovani, i nostri gruppi giovanili - ma è un invito che riguarda tutti - devono imparare a vedere, a vedere gli altri, devono avere il coraggio di non rinchiudersi, di vedere la città, di riattraversare la città.

Gesù entra nella città. Non ha paura di misurarsi con la convivenza degli uomini. Le nostre città hanno bisogno di voi, non abbiate della fede un’idea troppo intimistica, Gesù parlava per le strade, entrava nelle case, non faceva differenze, sapeva meravigliare, era discreto e deciso. Al suo passaggio saliva la lode a Dio perché annunciava l’evangelo. Non rinchiudetevi mai, la Chiesa è aperta al mondo.

 

ECCO, SIGNORE, IO DO LA METÀ DEI MIEI BENI AI POVERI:
E SE HO FRODATO QUALCUNO, RESTITUISCO QUATTRO VOLTE TANTO

Quando si ama, si dona
quando si dona, si serve
quando si serve per amore
si è felici!

A Zaccheo capita non solo di vedere Gesù, ma capita di averlo ospite e compagno definitivo dell’esistenza. Dopo aver visto, trovato Cristo, Zaccheo trova la luce e dopo aver accolto pieno di gioia Gesù, vede e accoglie finalmente il prossimo:Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto. (Lc 19,8)… mentre prima rubava le cose altrui poi distribuiva le proprie … giustizia e gratuità …
Zaccheo lo accolse pieno di gioia (Lc 19,6):il frutto di questo incontro-conversione è la gioia. Zaccheo comprende che il troppo avere gli impedisce di essere e trova la salvezza, cioè trova la gioia di vivere donandosi e donando. Perché uno è felice soltanto quando si dona e quando dona. Zaccheo diventa finalmente cristiano, cioè pensa e agisce come Gesù. La conversione non dice soltanto un rapporto profondo con Dio: dalla conversione deve nascere un rapporto nuovo con la vita, col prossimo, con la città, con il mondo. Il percorso di Zaccheo non si conclude ma si riapre, ancora più promettente. Grazie al suo sogno e al suo desiderio di vedere Gesù e grazie alla capacità di Gesù, il Salvatore, di guardarlo senza pregiudizio, di farlo “rialzare”, di farlo risorgere.

 

USCIRE DAL TEMPIO

I cristiani, come tutti gli uomini,
sono chiamati ad accogliere la diversità,
ad assumere la complessità.
L'altro non è l'inferno, ma la sola salvezza che abbiamo
e la nostra unica occasione di comunione
(Enzo Bianchi, Cristiani nella società)


L’impegno dei credenti in ambito politico e sociale è la forma più esigente della carità, era solito dire il papa Paolo VI. L’impegno politico è la possibilità di cambiare il volto della città, del quartiere, di restituire speranza, di affrontare alla radice e di correggere le distorsioni sociali …Anche se non possiamo dimenticare un testo di Oriana Fallaci:

Agli uomini non interessa né la verità, né la libertà, né la giustizia. Sono cose scomode e gli uomini si trovano comodi nella bugia e nella schiavitù e nell’ingiustizia. Ci si rotolano dentro come maiali. Io me ne accorsi appena entrai in politica. Bisogna entrare in politica per capire che gli uomini non valgono nulla, che a loro vanno bene i ciarlatani e gli impostori e i draghi. Uno entra in politica pieno di speranze, meravigliose intenzioni, dicendo a se stesso che la politica è un dovere, è un modo per rendere gli uomini migliori, e poi s’accorge che è tutto il contrario, che nulla al mondo corrompe quanto la politica, nulla al mondo rende peggiori. Un giorno, avevo vent’anni, andai dall’uomo politico che ammiravo di più. Era un gran socialista, e dicevano che era l’unico ad aver le mani pulite. Ci andai per raccontargli le porcherie di certi suoi compagni, credevo che le ignorasse. Invece le conosceva benissimo. Si mise a ridere e mi rispose: giovanotto, non crederai mica di far politica con gli ideali? E poi mi disse che avevo sbagliato indirizzo. Quel giorno piansi, mi ubriacai e piansi. (Oriana Fallaci, Un uomo)

Sogno cristiani, missionari che si impegnino, che sappiano essere splendidi punti di riferimento nel vivere la missione come servizio e non come potere, come arroccamento e difesa dei propri interessi ...Sogno cristiani “strabici” che sappiano guardare al qui e all’ora, ai problemi contingenti e insieme sappiano guardare lontano, progettare il futuro.
Per questo non dobbiamo assolutamente lasciarci prendere dallo scoraggiamento, dobbiamo invece entrare con coraggio, nel cammino della carità politica, non disperandosi mai, ricominciando sempre da capo con tenacia e ostinata speranza: “ il tizzone ardente non si è spento … se a cinquant’anni speriamo ancora di fare la rivoluzione e amiamo l’avventura cristiana; se amiamo ancora la strada e la piazza, la Bibbia e la Chiesa, e non siamo chiusi in casa a fare zapping col telecomando; se sentiamo (nel nostro piccolo, come le formiche) non solo indignazione ma, malgré tout, anche rispetto e passione per la Politica con la p maiuscola e per la Tradizione con la t maiuscola, e per questo non ci limitiamo a servizi di bassa manovalanza (che pure svolgiamo con gioia nelle nostre parrocchie e altrove), né a opere assistenziali o sociali, né a manifestazioni per la pace: continuiamo ad amare e studiare il Concilio e la Costituzione, e a impegnarci pubblicamente, se necessario con qualche sacrificio, affinché vengano conosciuti e attuati, non messi in naftalina, o, peggio, demoliti. (Giovanni Bachelet, prefazione a Paolo Giuntella)

 

LE CHIAVI DI VOLTA

La missione di una comunità cristiana non è solo l’insieme delle attività proposte. Non è solo un rincorrersi di date, uno scorrere di iniziative, l’agenda degli impegni.
Prima che al “cosa”, la missione dovrebbe rimandare al “chi”: alle persone che siamo e che vogliamo essere, alle persone che incontriamo; al chi di Dio e di Gesù di Nazareth.
Prima che al “cosa”, la missione dovrebbe rimandare al “come”: come comunicare la propria identità profonda, come narrare la propria fede in un luogo e in un tempo.
Perché la missione, prima di un calendario, delinea e propone un’idea di Chiesa, di Regno. E’ il cercare di dare vita ai “sogni”: al sogno di Dio su ciascuno di noi e sulla sua Chiesa, al sogno evangelico di Gesù. Sogni diurni e possibili se crediamo all’impossibile di Dio.

Questo annuncio lo dedichiamo ai folli.
Agli anticonformisti. Ai ribelli.
Ai piantagrane.
A tutti coloro che vedono
le cose in modo diverso.
Riescono a cambiare le cose.
Inventano. Immaginano. Compongono.
Esplorano. Creano. Ispirano.
Fanno progredire l’umanità.
Perché solo coloro
che sono abbastanza folli
da pensare di poter cambiare il mondo,
lo cambiano davvero”.

(da una pubblicità Apple Computer)

Questo percorso, questo riconoscersi nel personaggio evangelico Zaccheo, l'arrampicatore, è pensato per una comunità che sa osare, che vuole volare alto, che sa essere “strabica” cioè sa gettare uno sguardo ai bisogni del qui e dell’ora e insieme sa guardare alle grandi prospettive. E’ per una comunità che sa uscire dalla lamentosità di una minoranza che guarda solo alle spalle, al passato e che, con coraggio e audacia, utopia e disincanto, sa vivere con slancio propositivo e missionario e sa scegliere iniziative capaci di incidere nella realtà in cui è chiamata a vivere.

Ci sono alcuni che, vedendo le cose come sono,
si domandano: perché?
Io sogno cose che non ci sono mai state
e mi domando: perché no?
(G.B. Shaw)

Perché no? …

 

 

 

Coraggio e avanti in Domino!


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14-07-2024 Missione Oggi

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I rappresentanti dei popoli nativi dell'Amazzonia peruviana, insieme ai missionari, si sono riuniti nella Prima Assemblea dei Popoli Nativi, che...

Padre James Lengarin festeggia 25 anni di sacerdozio

13-07-2024 Notizie

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La comunità di Casa Generalizia a Roma festeggerà, il 18 luglio 2024, il 25° anniversario di ordinazione sacerdotale di padre...

Nei panni di Padre Giuseppe Allamano

13-07-2024 Allamano sarà Santo

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L'11 maggio 1925 padre Giuseppe Allamano scrisse una lettera ai suoi missionari che erano sparsi in diverse missioni. A quel...

Un pellegrinaggio nel cuore del Beato Giuseppe Allamano

11-07-2024 Allamano sarà Santo

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In una edizione speciale interamente dedicata alla figura di Giuseppe Allamano, la rivista “Dimensión Misionera” curata della Regione Colombia, esplora...

XV Domenica del TO / B - “Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due"

10-07-2024 Domenica Missionaria

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Am 7, 12-15; Sal 84; Ef 1, 3-14; Mc 6, 7-13 La prima Lettura e il Vangelo sottolineano che la chiamata...

"Camminatori di consolazione e di speranza"

10-07-2024 I missionari dicono

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I missionari della Consolata che operano in Venezuela si sono radunati per la loro IX Conferenza con il motto "Camminatori...

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