DIVENTARE CRISTIANI INTERRELIGIOSAMENTE

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1/ Divenire più che essere

Mi sia permesso iniziare questo contributo spiegando perché preferisco parlare di diventare cristiani piuttosto che "essere cristiani", espressione che attualmente ha mostrato tutto il suo uso stereotipato. Essere cristiani allude a un’identità statica e preconcetta. Si cerca di definirla e circoscriverla e, nel farlo, si mettono in evidenza quegli elementi che sono specifici dell’essere cristiani. La mentalità sottintesa è la logica aristotelica delle definizioni e delle classificazioni in termini di genere e specie. L'essenza di qualcosa è definita identificando il genere (ghénos) a cui essa appartiene e le sue differenze (diaphorà). Tutto ciò ha portato a concentrarsi sulla specificità (derivata dalle specie) anche quando si trattano sublimi realtà spirituali e religiose, un fatto che si può osservare nella ricerca della specificità cristiana nel definire un’identità. Ma c’è pure un positivismo teologico operante. Intendo dire che il tentativo di definire ciò che deve essere cristiano è visto qui come un oggetto che va analizzato in modo analogo al processo chimico della decomposizione.

Ma un cristiano o una comunità cristiana sono soggetti. Essendo tali, esistono una crescita e una trasformazione continue. Si trovano in un continuo divenire. Così intendiamo il fatto “cristiano”, come un progetto — e, di fatto, come un progetto infinito. Il mio contributo vuole riflettere su come oggi diventare cristiani implichi i rapporti interreligiosi. Il progetto del diventare cristiani interreligiosamente richiede alcuni cambiamenti radicali nella concezione prevalente di fede e di rivelazione, come pure nella interpretazione delle altre tradizioni religiose.

2/ Da una costruzione dell’identità dialettica a una relazionale

Le definizioni tradizionali dell’essere cristiano hanno assunto, in generale, un approccio dialettico. Così il cristiano veniva definito come uno che si contrappone al mondo; uno che è nel mondo ma non del mondo; oppure come uno che é di passaggio sulla terra, valle di lacrime. Le molte teologie del mondo e le forme della teologia politica hanno contribuito a superare il confinamento dialettico del cristiano mostrando la stretta relazione di fede nei confronti del mondo e delle realtà secolari. Nella chiesa cattolica romana il documento del Vaticano Il Gaudium et Spes (dicembre 1965) ha reso attenti a una nuova comprensione della fede e del mondo visti in termini di relazione e non antiteticamente.

Un altro importante settore rispetto a cui veniva definita l’identità cristiana sono state le altre religioni. Per acuire il profilo della luminosa identità cristiana si doveva metterlo in contrasto con l’oscuro scenario del mondo empio e idolatra delle religioni. La storia delle missioni ci racconta come i missionari furono posti a confronto con il dilemma di definire l’identità cristiana in continuità con le culture e le religioni delle popolazioni indigene, o in discontinuità con le culture e le tradizioni locali o in opposizione a queste. I tentativi di comprendere il cristianesimo in continuità con il contesto, come li ritroviamo nell’opera di Roberto de Nobili e Matteo Ricci, furono un fuoco di paglia. La strategia dominante dell’impresa missionaria, che si estese per parecchi secoli, fu estirpare l’idolatria (extirpaciòn de idolatria). Cristo era compreso in “opposizione alle culture”. Questa tendenza a definire l’identità cristiana come contrapposta alla religione e alle culture ha avuto i suoi rappresentanti anche nel XX secolo in figure come Karl Barth e Hendrik Kraemers. Si può cercare di difendere Barth spiegando che la parola tedesca Aufhebung (superamento) è fraintesa come “abolizione" della religione. Una simile accurata esegesi in difesa di Barth non prende in considerazione il tenore generale della sua teologia che vedeva le altre religioni in termini dialettici. Barth e Kraemer erano poco interessati a edificare un possibile ponte teologico per relazionarsi positivamente con le altre religioni.

Se iniziamo il discorso dal diventare cristiani, non restiamo intrappolati in una tal problematica connessa alla definizione di quel che è essere cristiani. Diventare cristiani supera le forme dialettiche del pensiero e ci introduce in una nuova mentalità di relazioni. Qui i presupposti della costruzione dell’identità sono diversi.

L’identità può essere costruita in un modo centripeto o centrifugo. La maniera dialettica di definire l’identità cristiana è un modello centripeto, con cui si cerca di rafforzare i confini e di marcare la differenza, così da acquisire un profilo proprio. Qualunque cosa nell’altro che possa minacciarne l’identità centripeta è negato o viene rigettato. D’altra parte, diventare cristiani è acquisire una identità in rapporto all’altro — nel nostro caso, al religiosamente altro. La rete di relazioni particolari crea un’identità dinamica che considera l’altro come parte dell’identità di sé e non come una minaccia. Qui i confini non sono rigidi e stratificati, ma aperti e porosi. Anche l’analisi di campi diversi ci dice che non è il concetto che determina la relazione, ma è l’altra modalità, cioè i rapporti, a determinare il contenuto del concetto e delle categorie. Ciò significa che non partiamo dal concetto del cristiano per determinare il nostro rapporto con le altre religioni (presupposto questo che sottende la maggior parte delle teologie della religione), quanto invece la natura e la qualità dei nostri rapporti con esse dirà che cosa significa diventare “cristiani”.

3/ Dall’uso al godimento

Per comprendere più a fondo come il diventare cristiani interreligiosamente implichi un approccio diverso all’identità, faremo riferimento qui a un’importante distinzione che sant’Agostino fa nel suo La dottrina cristiana1. Ci sono cose che utilizziamo per ottenere qualcosa o per arrivare a qualcosa. Ma vi sono realtà che permangono al di là del semplice uso. Esse non esistono in vista di qualcos’altro, ma sono fini a se stesse e hanno valore in sé e per sé: e così divengono la nostra gioia. Nelle parole di Agostino, “godere di una cosa è aderire ad essa con amore, mossi dalla cosa stessa”2. Realtà sublimi come l’amore, la compassione, l’amicizia e campi quali l’estetico e l’etico non possono essere strumentalizzati. In un certo senso, sono riflessi di Dio che non possono essere circoscritti dall’uso strumentale, rientrando nell’ambito del godimento.

Se impieghiamo questa distinzione, noteremo come il rapporto del cristianesimo con le altre religioni e culture sia stato proprio quello improntato a un uso strumentale. Ciò è vero anche quando il rapporto è divenuto più aperto. Le altre religioni e culture sono, per usare di nuovo un’analogia presa da Agostino, come i beni sottratti all’Egitto che gli Israeliti presero con sé per l’utilizzo e a loro vantaggio.

“Gli Egiziani [... diedero loro] vasi e gioielli d’oro e d’argento e anche delle vesti. Il popolo ebraico all'uscita dall’Egitto di nascosto se li rivendicò come propri, per farne un uso migliore. [...] Lo stesso si deve dire di tutte le scienze dei pagani. Esse racchiudono invenzioni simulate e superstiziose come pure gravi pesi che costringono a un lavoro superfluo, cose tutte che ciascuno di noi, uscendo dal mondo pagano al seguito di Cristo, deve detestare ed evitare. Contengono pero insieme a questo anche arti liberali, più consone con il servizio della verità [...]. Non per questo però il cristiano, pur separandosi con lo spirito dalla loro miserabile società, deve buttar via tali ritrovati, qualora servano alla giusta missione di predicare il vangelo. Sarà anche lecito prendere e adibire ad uso cristiano anche la loro veste, cioè le istituzioni, opera di uomini, che siano aderenti alla convivenza umana, alla quale in questa vita non possiamo sottrarci”.3

Lo spirito dell’ “utilizzo” agostiniano di altre culture e religioni sembra animare molte delle affermazioni contenute nei documenti del Vaticano II, per esempio in AG 22, dove è detta distintamente la strategia missionaria. Ma l’articolazione di questa strategia si è fatta oggi più raffinata.

Diventare cristiani interreligiosamente significa passare da questa “mentalità” di “sfruttamento”, affinché le altre religioni servano la verità cristiana, al vederle come realtà sublimi del godimento, come realtà che hanno valore in se stesse. Quando l'altro diventa gioia per il prossimo, diviene veramente parte di sé, qualcosa che viene meglio illustrato nella relazione sponsale. È questo che dovrebbe caratterizzare il diventare cristiani interreligiosamente. Più un individuo si fa cristiano, più una comunità diventa cristiana e più essi godranno delle altre tradizioni religiose e considereranno le verità che loro (le loro religioni) rappresentano come parte di sé. Qui la misura del diventare cristiani è diversa da quella implicita nell’identità centripeta che si definisce dialetticamente.

4/ Da certezze stagnanti all’essere per via

I credi costituiscono parte di ogni tradizione religiosa, insieme con l’esperienza, i rituali, le ingiunzioni etiche, le scritture ecc. Nella percezione della propria identità, alcune tradizioni religiose attribuiscono grande importanza al loro credo, mentre altre - per esempio, l’hinduismo - danno importanza a una serie di pratiche. Diventare cristiani non è questione di adesione a un complesso di articoli di fede, ma è piuttosto un movimento verso l’esperienza e la comprensione di ciò che quegli stessi articoli intendono, attraverso un modo di vivere meglio caratterizzato come viaggio. Potrei addurre un esempio tratto dal campo dell’estetica. L’apprezzamento di un’opera d’arte non viene fatto al meglio applicando delle norme prestabilite, ma ritrovando nell’opera stessa l’incarnazione delle leggi della bellezza. Qui l’opera d’arte non è preceduta da determinate norme e parametri. Diventare cristiani è un’ars vivendi, un modo di vivere. L’identità cristiana — individuale e comunitaria — quando è istituzionalizzata tende ad essere astratta, stagnante e priva di vita.

Ma se guardiamo ai primi cristiani notiamo quanto essi lottarono per scoprire chi erano e come il loro fosse un processo di scoperta. In effetti, l’odos (via) è il modo in cui descrissero ciò che stavano seguendo (cf At 9,2; 18,26; 19,23; 24,22). I primi cristiani non agivano sulla base di una identità precostituita con i suoi aspetti definitori. Per essere in grado di comprendere che cos’è il cristianesimo, bisogna camminare lungo il suo sentiero.

La sfida di diventare cristiani non è minore oggi, specialmente vivendo in società multireligiose. Non sono più i tempi in cui le aree geografiche potevano segnare la presenza di una o dell’altra religione. Adesso la situazione non è più così. Anche in quelle parti d’Europa in cui la cristianità era vita, cultura e religione fuse assieme in un’unica realtà, oggi vediamo come attraverso il processo di globalizzazione, di migrazione ecc. sia emersa una situazione multireligiosa. L’identità cristiana, stagnante e centripeta, ha potuto diventare a-storica nella misura in cui si definisce senza riferimenti alla situazione concreta. La pluralità delle religioni — con le loro visioni del mondo, con i propri simboli e gli ideali propri — è l’ambito in cui ha luogo, oggi, il viaggio per diventare cristiani, comunità cristiane.

5/ Aver parte nel regno della grazia

Le definizioni centripete dell’essere cristiano isolano i cristiani e le comunità cristiane dall’ambito multireligioso, mentre l’approccio centrifugo assume come compagni nello stesso viaggio membri di altre tradizioni religiose. In questo viaggio comune si scopre l’Ultimo mistero nelle sue forme e negli splendori innumerevoli come i colori dell’arcobaleno che rifrangono la luce del sole. Facili confronti al livello di superficie avviano in questo viaggio alla esplorazione della grazia e della luce divine e alla meravigliosa trasformazione che esse causano attraversando i confini religiosi.

Il contrasto fra soprannaturale e naturale, utilizzato a lungo e su larga scala per distinguere la rivelazione cristiana dalle altre religioni, è servito per fortificare l’identità centripeta del cristianesimo. Questa distinzione ha creato una relazione dialettica rispetto ad altre religioni che in precedenza abbiamo esaminato. Se nella realtà esiste ciò che Karl Rahner avrebbe chiamato “esistenziale soprannaturale” in quanto parte di un’esistenza umana nella grazia come condizione comune, il problema vero non è tanto la definizione dei confini religiosi (compresa la questione dell’ “essere cristiani”) che tengono separati gli individui, quanto porre in primo piano la grazia per cui sono uniti. Il contrassegno dell’esistenza spirituale non sarebbe da cercare là dove una persona sta dentro i nostri confini e identità predefinite, ma nel modo in cui le persone hanno risposto all’offerta di grazia che sopraggiunge sempre in contesti definiti e non a-storici e nella congiunzione di molte forze e fattori. Diventare cristiani deve essere collocato entro questo schema più grande di grazia e di risposta alla grazia.

6/ Il cambio di prospettiva: svuotamento

Una delle difficoltà del cristianesimo nel rapporto con le altre tradizione religiose è stato il concetto di pienezza, interpretata come se non ci fosse alcun bisogno dell’altro. Quando si e perfetti, non si può ricevere alcunché; al massimo si può pretendere qualche cosa. Nello schema della pienezza, l’altro diventa vuoi una preparazione alla perfezione che il cristianesimo rappresenta, vuoi parte di una scala gerarchica di verità in cui la rivelazione cristiana occupa il posto più alto. Ciò è stato rafforzato da una filosofia che ritiene l’inferiore e quanto è meno perfetto come contenuti al meglio in ciò che è superiore e perfetto. Tali idee ovviamente non hanno permesso che il cristianesimo considerasse il valore delle altre religioni in sé rappresentative e le includesse come parte della sua autodefinizione.

Diventare cristiani si tramuterebbe in una esperienza stimolante se partissimo non dal polo della pienezza, ma dal vuoto. Dopo tutto la negazione di sé o kénosis di Dio è al cuore stesso del cristianesimo e, dunque, la sua idea di rivelazione ha bisogno di essere ripensata radicalmente in termini di svuotamento. Diventare cristiani significherebbe divenire ricettacolo di tutti quei meravigliosi doni di Dio — poco importa da dove vengano — che sarebbero il fondamento di una diversa comprensione di universalità. Più ci si svuota e più universali diverranno i cristiani e le comunità cristiane, perché nel vuoto infinito c’è spazio per un’accoglienza senza fine.

7/ Molti modi di diventare cristiani

Non c’è un solo modo di seguire Cristo. La definizione centripeta dell’identità cristiana costringe le persone a compiere delle scelte escludenti. Se si sceglie di essere cristiano non si può essere buddhista o hindu. La logica è quella dell’aut aut. Ritengo che dobbiamo rompere questo modo di pensare secondo l’identità definente che esclude intrinsecamente l'altro per rafforzare se stessa. Un hindu potrebbe diventare cristiano/ a nella misura in cui segue Gesù, i suoi insegnamenti e il suo stile di vita? Penso di sì. Il suo modo di diventare cristiano/ a può differire da quello di un’altra persona cresciuta nel contesto dell’Europa, delle Americhe o dell’Africa in comunità cristiane tradizionali.

Ritroviamo nei vangeli come vi fossero individui che seguivano Gesù in molteplici modi e che appartenevano a cerchie diverse. Non c’erano solo le moltitudini che lo ascoltavano, ma anche i settantadue discepoli e la cerchia più ristretta dei Dodici. Oltre questi c’erano quelli che si rapportavano a Gesù in termini molto differenti, come Zaccheo, Nicodemo e quel Giuseppe d’Arimatea che fece deporre il corpo di Gesù dalla croce. Dunque, come si può vedere, l’associarsi delle persone con Gesù è avvenuto in modi totalmente diversi e si è verificato nei particolari contesti in cui conducevano la loro esistenza. Questo ci dice che diventare cristiani è un progetto senza limiti e non chiuso, come invece l’espressione "essere cristiani" potrebbe suggerire. Vivere secondo lo spirito di Cristo permette di diventare cristiani senza discontinuità dal luogo in cui si è esistenzialmente posti, ma sempre in un movimento e in un cammino di trasformazione.

Si possono portare due argomenti contro la pluralità dei modi di diventare cristiani. Volendo seguire Gesù ed essere cristiani, si dovrebbe seguire l’intera fede cristiana. In altre parole, o si accetta la fede cristiana nella sua totalità oppure no. Ma, in realtà, questo accostarsi totalizzante al mistero cristiano non ha mai costituito parte della vita dei cristiani anche nelle comunità ecclesiali visibili e neppure fra i santi. Il modo in cui lo spirito umano è attratto e si comporta verso le realtà sublimi non può essere regolato o venir irreggimentato. Nel percorso esistenziale di una persona ci possono essere alcune intersezioni con Gesù e il suo vangelo. Non si può irrigidire in una sola forma il modo in cui le persone incontrano Gesù. Il punto di partenza per scoprire Gesù può essere differente: per Gandhi lo sono stati, per esempio, il discorso della montagna e la negazione di sé sulla croce. Furono i precetti di Gesù per Raja Ram Mohan Roy (1772-1833, riformatore religioso indiano) e la sua persona mistica per Ramakrishna Paramahamsa (1836-1886, mistico). A quelli che accusarono Gandhi di diventare segretamente cristiano, egli dovette rispondere:

“Non c’è nulla al mondo che mi potrebbe impedire di professare il cristianesimo o qualunque altra fede, nel momento che ne sentissi la verità e il bisogno. Dove c’è paura non c’è religione. L’accusa è un complimento in quel suo essere un riluttante riconoscimento della mia capacità di apprezzare le bellezze del cristianesimo. Riconoscetemelo. Se potessi definirmi, ecco, un cristiano o un musulmano, con la mia interpretazione della Bibbia o del Qur’án, non esiterei a chiamarmi tale”.

Abbiamo bisogno di essere aperti così da accettare il fatto che l’incontro con Gesù e il vangelo non può essere istituzionalizzato. Questo ci consentirebbe di dialogare con i nostri vicini di altre fedi non soltanto per quel che concerne la loro esperienza religiosa, ma anche per ciò che è la loro scoperta di Gesù e l’interpretazione della Bibbia, diventando un cristiano nel modo che risponde meglio ai loro bisogni e alle loro esigenze spirituali - tutte cose che non ci si può aspettare da una definizione preconcetta dell’ “essere cristiani”.

Un secondo argomento sarebbe dire che essere cristiani non è semplicemente seguire Cristo, ma è diventare uno con lui, come dice Paolo. In una recente intervista, il vescovo Albert Rouet di Poitiers (Francia) ha posto un importante punto fermo in riferimento a questo concetto, annotando:

“Per me, dire che Cristo è l’identità cristiana costituisce parte di quelle espressioni meravigliose e pie che sono vere, ma non prendono in considerazione le sfumature. Come se Gesù assorbisse la mia identità. Non c’è identità cristiana finché io non abbia un rapporto con lui, un rapporto durevole. Tale è la logica della grazia. Altrimenti cadiamo nel fanatismo, che si sviluppa dalla coincidenza della vostra esistenza con l’idea o la persona che difendete. Questa confusione non è cristiana”.

Diventare cristiani dovrebbe essere rispettoso del cammino che una persona compie incontrando Gesù e rapportandosi a lui in modi così singolari che non si possono riprodurre o standardizzare. Frasi come “essere uno in Cristo” vanno interpretate per ricavarne le sfumature legate ai molti modi di seguire Gesù e di diventare cristiani in spirito e nello stile personale di vita.

8/ Conclusione

Nel contesto della situazione multireligiosa, la provocazione è quella di pensare a diventare cristiani. Ha più senso che parlare di “essere cristiani”, che ha numerose insidie, e questo approccio potrebbe non misurare la nuova situazione che stiamo vivendo. Diventare cristiani è un processo che non è compiuto da soli, e non con le comunità cristiane istituzionalizzate, ma in compagnia di molte persone di altre fedi con cui viviamo e interagiamo quotidianamente. Se ne costata l'importanza nel continente asiatico e sempre più anche in altre parti del mondo in cui si sta verificando una presenza globale delle religioni. Questa modalità di diventare cristiani con i vicini di altre fedi ci aiuta a scoprire il mistero di questa realtà che non sarebbe mai stata possibile senza un simile incontro. Diventare cristiani interreligiosamente è un’esperienza arricchente e stimolante.

1 Agostino D’Ippona, La dottrina cristina, in Opere dio sant’Agostino VIII, Città Nuova, Roma 1992, 15s

2 Ibid. 15 s

3 Ibid. 131


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