LA SFIDA SUL MATRIMONIO DEI CRISTIANI

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ARISTIDE FUMAGALLI

Il libro del teologo don Aristide Fumagalli «Il tesoro e la creta» (Queriniana, pp. 176, 12 euro, in libreria dal 6 ottobre): la fede, la validità delle nozze, la proposta di riammissione ai sacramenti a certe condizioni dei divorziati risposati. Ecco un'anticipazione dei contenuti

ARISTIDE FUMAGALLI*
* Docente di teologia morale presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale

 

La «nuova tappa evangelizzatrice» gioiosamente indicata alla Chiesa da papa Francesco riguarda in modo del tutto speciale la famiglia, «nucleo vitale della società e della comunità ecclesiale». Lo si comprende dalla subitanea indizione del Sinodo dei Vescovi in due tappe, l’Assemblea Generale Straordinaria del 2014 e l’Assemblea Generale Ordinaria del 2015, dedicate a raccogliere e ad affrontare «Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione». Nel tentativo di offrire una chiave di lettura delle molteplici questioni che appaiono all'agenda del duplice Sinodo, prendiamo spunto dalla sfida che, in ambito più strettamente ecclesiale, il Documento preparatorio invita soprattutto a considerare, quella dell'«indebolimento o abbandono della fede nella sacramentalità del matrimonio».

 

I. INQUADRATURA

1. La sfida pastorale

Il giudizio cristiano sull'epoca presente ha oggi ancora, come sempre, il suo criterio nel vangelo di Gesù, il quale invita a scrutare il mondo come il campo nel quale il grano cresce insieme alla zizzania (cf Mt 13,24-36-43). Se dunque, guardando all'attuale mondo dei legami coniugali e familiari si è colpiti, di primo acchito, dal loro scompiglio, è opportuno non limitarsi a ribadire la dottrina e a condannare la prassi. Si tratta, piuttosto, meglio corrispondendo all'annuncio evangelico, di cogliere il bene che lo Spirito va seminando nelle attuali vicende matrimoniali e familiari, favorendone la crescita. È questa la sfida pastorale che da sempre la Chiesa è chiamata a raccogliere e che, oggi ancora, le si ripropone, nel contesto di un'epoca in cui il matrimonio indissolubile, anche tra i credenti, appare in crisi.

 

2. Il dinamismo della Tradizione

L'incedere della Chiesa, in obbedienza allo Spirito, ha certo un suo irrinunciabile criterio in ciò che la Tradizione, ancorata alla sacra Scrittura e confermata dal Magistero, ha sinora riconosciuto come corrispondente alla Rivelazione, ragione per cui ogni eventuale sviluppo della dottrina e ogni cambiamento della disciplina circa il matrimonio cristiano non potrà contraddire quanto è stato tramandato. La continuità nella trasmissione del depositum fidei non coincide peraltro con la fissità dottrinale e disciplinare, poiché la Tradizione non vale in se stessa, ma in quanto progredisce «sotto l'assistenza dello Spirito santo». Se dunque il decorso della Tradizione non prevede soluzioni di continuità rispetto al suo precedente scorrere, nemmeno ammette il congelamento del suo susseguente fluire. 
Le questioni emergenti nella vita della Chiesa, in ogni nuova epoca della storia, se per un verso trovano nella precedente Tradizione un imprescindibile criterio di discernimento, per altro verso ne sollecitano lo sviluppo ulteriore, il quale – se è tale – né comporta contraddizione con il passato, né consiste nella sua mera riproposizione. Ciò fa sì che le attuali sfide pastorali sulla famiglia non siano affrontabili cercando nel solo passato dottrinale e disciplinare la loro soluzione, ma esigano una verifica delle soluzioni passate in rapporto al presente e richiedano il loro eventuale sviluppo in obbedienza a ciò che lo Spirito va oggi dicendo alla Chiesa, attraverso i segni dei tempi.

 


3. Il rinnovamento conciliare

La Chiesa contemporanea gode di un evento che anche dal punto di vista della dottrina matrimoniale si presenta come un decisivo tornante nella comprensione della Verità rivelata: si tratta del concilio Vaticano II, sul quale la prossima navigazione della Chiesa può contare come su di una «sicura bussola».
La definizione più importante che attesta la rinnovata comprensione della dottrina matrimoniale apre il n. 48 di Gaudium et Spes, ove l’essenza del matrimonio è colta nella «intima comunità di vita e d'amore coniugale». La qualità esistenziale e amorosa di ciò che s’intende per matrimonio viene evidenziata considerandone il fondamento, ovvero il «patto coniugale». Il termine «patto», oltre che superare una concezione ristrettamente giuridica del matrimonio quale «contratto», evoca l’alleanza biblica, la quale assurge così a criterio per comprendere e valutare la qualità della comunione coniugale. «Come un tempo Dio ha preso l’iniziativa di un’alleanza di amore e fedeltà con il suo popolo così ora il Salvatore degli uomini e sposo della Chiesa viene incontro ai coniugi cristiani attraverso il sacramento del matrimonio. Inoltre rimane con loro perché, come egli stesso ha amato la Chiesa e si è dato per essa così anche i coniugi possano amarsi l’un l’altro fedelmente, per sempre, con mutua dedizione». La qualità dell’amore matrimoniale è più chiaramente specificata dal concilio Vaticano II in riferimento al «come» dell’amore di Cristo per la Chiesa.

 

II. MESSA A FUOCO

L’amore cristiano, ovvero l’amore che ha nel «come» Cristo ha amato la sua peculiarità, rappresenta il nuovo traguardo che la Tradizione ecclesiale ha raggiunto nel suo incessante tendere alla comprensione della verità dell'amore matrimoniale. Questo nuovo traguardo consente una comprensione più profonda di ciò che Cristo ha annunciato a riguardo della sacramentalità e dell'indissolubilità del matrimonio.

1. Il vangelo di Gesù

Il principio con cui Gesù sigla il suo discorso sul matrimonio – «Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto» (Mc 6,9) –invita a riconoscere che «il matrimonio non è solo un’unione umana arbitraria, ma un risultato dell’agire divino».

La migliore interpretazione dell'agire di Dio deve però riconoscere la sua natura "cristica", dato che quando il Creatore «li fece maschio e femmina», le sue mani imprimevano nell’uomo e nella donna la fisionomia di Cristo. Anch’essi, infatti come «tutte le cose», sono stati creati «per mezzo di lui». Ora, poiché ciò che è stato creato «per mezzo di lui», lo è pure «in vista di lui» (Col 1,16), anche l’uomo e la donna non sono congiunti da Dio senza Cristo. Il divenire «una carne sola» non è l’esito della loro diretta unione, ma l’effetto dell’unione che Cristo realizza con ciascuno dei due.

 

Il matrimonio cristiano non è il legame amoroso che un uomo e una donna stabiliscono in proprio, ma il legame tra un uomo e una donna che sorge a causa dell’amore di Cristo. Ciò che Dio congiunge indissolubilmente, sicché «non sono più due, ma una sola carne» (Mc 10,8), e che dunque è inseparabile dall’uomo, non sono immediatamente un uomo e una donna, pur innamorati, ma un uomo e una donna che si amano in Cristo, che cioè, pur con tutto il realismo di chi rimane debole e peccatore, fanno del «come» Cristo ha amato il criterio ispiratore e la forza vitale della loro relazione amorosa.

 

 

2.  Il matrimonio come vocazione cristiana

La rinnovata comprensione evangelica del matrimonio invita a considerarlo non semplicemente come uno stato di vita naturalmente buono, in quanto voluto da Dio, ma a qualificarlo come una forma specifica della vocazione cristiana, dono di grazia e, insieme, realtà di fede. Il riconoscimento del matrimonio cristiano come vocazione cristiana lascia chiaramente intendere la decisiva rilevanza, in ordine alla stessa vitalità dell'amore matrimoniale, di una «fede viva». 
Ma proprio l'esigenza di una fede vissuta nel contatto vivo con Cristo solleva l'interrogativo circa la (in)sufficienza della fede dei cristiani rispetto alla loro vocazione matrimoniale. È proprio tenendo conto di questo divario che la disciplina pastorale della Chiesa, fedele alla verità del sacramento del matrimonio, ma anche all'attuale condizione dei cristiani che sono chiamati a viverlo, è sfidata ad aggiornarsi.

 

III. PROSPETTIVE

 

 

1. L'accesso al matrimonio cristiano

Lo scarto tra la dottrina conciliare della Chiesa circa il sacramento del matrimonio e la diffusa crisi dei matrimoni sollecita a fuoriuscire da una comprensione acritica del principio canonico secondo il quale «tra i battezzati non può sussistere un valido contratto matrimoniale che non sia per ciò stesso sacramento».
Il presupposto implicito, ma decisivo, del sopracitato principio canonico è che i battezzati contraenti il matrimonio abbiano corrisposto alle condizioni richieste come necessarie per la valida celebrazione del loro battesimo. Ora, «affinché un adulto possa essere battezzato – recita il Codice di Diritto Canonico – è necessario che abbia manifestato la volontà di ricevere il battesimo, sia sufficientemente istruito nelle verità della fede e sui doveri cristiani e sia provato nella vita cristiana per mezzo del catecumenato; sia anche esortato a pentirsi dei propri peccati» (can. 865 § 1).

 


Tenendo conto di queste condizioni, l’accesso al matrimonio sacramentale richiede ai nubendi una sufficiente vitalità della fede battesimale, la quale potrebbe essere più adeguatamente verificata e meglio maturare lungo il corso di un itinerario disteso e graduale, ispirato ai momenti del catecumenato battesimale.

 

2. La validità (nullità) del matrimonio

Fatta salva l'efficacia del diritto canonico nel verificare la validità o la nullità del matrimonio sacramentale in svariati casi, resta il fatto che il sacramento del matrimonio, in quanto realtà di grazia e di fede, eccede la legge canonica e non può essere adeguatamente valutato sulla sola sua base.
Il recente sviluppo dottrinale sul matrimonio, valicando la concezione ristrettamente giuridica e naturale del «contratto» per addivenire a quella più personalistica e cristiana del «patto», invita quanto meno ad integrare la competenza canonica con quella più propriamente pastorale, relativa al (carente) cammino di fede degli interessati e al discernimento della sua (negativa) incidenza sul consenso al bonum coniugum necessario alla validità del sacramento del matrimonio. Vi è chi, in tal senso, auspica la creazione di un nuovo organismo ecclesiale, di carattere interdisciplinare, che permetta di giungere a quel tipo di certezza morale che, più della certezza giuridica, attiene alla realtà interpersonale e religiosa del matrimonio cristiano.

 

3. La cura dei matrimoni feriti

Concepito come forma specifica della vocazione cristiana, il matrimonio cristiano è un «tesoro in vasi di creta» (2Cor 4,7), non dunque definitivamente al riparo dalla prova e dal fallimento.
L'annuncio della misericordia rispetto al fallimento dei matrimoni ha ispirato la recente disciplina della Chiesa, fissata a partire soprattutto dall'esortazione apostolica post-sinodale Familiaris Consortio e poi riproposta con insistenza nei successivi pronunciamenti magisteriali. Il sorprendente pontificato di Francesco, con la sua subitanea indizione dei due Sinodi sulla famiglia, invita tuttavia a riprendere la questione, sempre ricorrente, peraltro, nella storia della Chiesa.

3.1 Indissolubilità e fallimento del matrimonio

A fronte del fallimento di un matrimonio sacramentale, sembra opportuno che la Chiesa distingua il suo giudizio, tenendo conto che la sua competenza sui sacramenti in quanto atti di Cristo non è equivalente alla sua competenza sui sacramenti in quanto atti dei fedeli.
Il fallimento irreversibile della convivenza matrimoniale non esige che la Chiesa si pronunci sull'indissolubilità del vincolo sacramentale in quanto realtà oggettiva dovuta alla grazia di Cristo, e d'altra parte ammette l'intervento della Chiesa nel constatare che l'indissolubile unità del matrimonio, a causa del decorso della vita coniugale, è ormai indisponibile ai coniugi.

 

3.2 L'esclusione di nuove nozze sacramentali

«Il matrimonio rato e consumato non può essere sciolto da nessuna potestà umana e per nessuna causa, eccetto la morte»: l'esclusione di ogni potestà sui matrimoni rati e consumati impedisce alla Chiesa di sciogliere un matrimonio sacramentale e a fortiori di ammettere i coniugi, pur irreversibilmente separati, alla celebrazione di nuove nozze sacramentali con altra persona. 
L'impossibilità di riconoscere come sacramento la nuova unione dei fedeli divorziati risposati non sembra escludere che si possa riconoscere la qualità, anche cristiana e quindi ecclesiale, della loro unione. Rilevante, sotto questo profilo, è la dichiarata appartenenza e partecipazione alla vita della Chiesa, al «corpo di Cristo» quindi, dei fedeli divorziati risposati, ciò che non può essere cristianamente concepito se non come suscitato e sostenuto dalla grazia del suo Spirito.

 

3.3 L'ammissione ai sacramenti

La principale ragione addotta dal magistero della Chiesa di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati consiste nel fatto che «il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall’eucaristia» (FC 84). Titolo di applicazione dell’attuale disciplina non è propriamente la condizione soggettiva dei singoli divorziati risposati, ma la loro situazione oggettivamente considerata, il rilievo pubblico della loro situazione.

Se l'accesso ai sacramenti è oggi escluso per ragioni di carattere canonico e non propriamente morale, ovvero di testimonianza ecclesiale più che non di peccaminosità personale, sorge l'interrogativo circa la misericordia di una disciplina che in nome dell'oggettività dottrinale escluda la personale comunione sacramentale con Cristo.

 

L'interrogativo si acuisce per via del numero, già vasto e ancora in crescendo, del numero di cristiani cattolici che, a causa dell'irregolarità canonica della loro situazione matrimoniale, non sono ammessi ai sacramenti. L'insistenza del Magistero della Chiesa nel ricordare che la vita cristiana non si riduce alla vita sacramentale è certo pertinente, sennonché non è esente dal rischio di relativizzare la pratica sacramentale, la quale costituisce, invece, la fonte e il culmine della vita cristiana.


Vi è poi un altro motivo di non poco conto per riconsiderare l’inammissibilità dei fedeli divorziati risposati ai sacramenti, ed è il fatto che «nell’attuale contesto molti ragazzi e giovani, nati da matrimoni irregolari, potranno non vedere mai i loro genitori accostarsi ai sacramenti». In che modo questo dato di fatto si compone con la responsabilità che la Chiesa riconosce e affida alla famiglia proprio in ordine alla trasmissione della fede?

 


3.4 Il discernimento ecclesiale dell'ammissione

L'accesso ai sacramenti non è mai riducibile al rapporto individuale con Dio, ma implica sempre una dimensione ecclesiale, a motivo della quale la parola della Chiesa è, oltre che legittima, dovuta. L’accesso ai sacramenti non può dunque essere demandato alla sola coscienza personale dei fedeli divorziati risposati e deve essere piuttosto valutato nel dialogo pastorale inteso come luogo di discernimento autenticamente ecclesiale, ove, cioè, i dettami della coscienza personale vengono sottoposti al vaglio e alla conferma della Chiesa.

 

3.5 Il riconoscimento ecclesiale delle nuove unioni

La prospettazione di un discernimento ecclesiale circa la partecipazione sacramentale dei fedeli divorziati risposati alla vita della Chiesa invita a considerare l’eventualità del riconoscimento della loro nuova unione, che pur prescinda, nella sostanza e nella forma, da un nuovo sacramento del matrimonio.

Senza transigere, anche a livello rituale, sul fatto che una nuova unione non può avere il carattere proprio del sacramento del matrimonio, sembrerebbe opportuno prevedere una forma di riconoscimento ecclesiale che esprima l'affidamento a Dio, «ricco di misericordia» (Ef 2,4), della vicenda coniugale e familiare dei fedeli divorziati risposati.

Escludendo il sacramento del matrimonio per i fedeli divorziati risposati, la Chiesa mantiene fede alla dottrina dell'indissolubilità del matrimonio cristiano che, stante la sua validità, non ammette un altro sacramento del matrimonio. Affidando la nuova unione alla misericordia e alla benevolenza di Dio, la Chiesa ovvierebbe a quella sorta di ambiguità dell'attuale disciplina che, da un lato, sollecita la cura pastorale delle nuove unioni affinché sperimentino «l’amore di Cristo e la vicinanza materna della Chiesa» e, d'altro lato, continua a qualificarle come «situazioni matrimoniali irregolari».

Tutt'altro che destinatario passivo di ciò che il Magistero insegna e la teologia argomenta, il popolo dei fedeli è nella Chiesa soggetto vivente e attivo che, grazie al sensus fidei, «ha fiuto – direbbe papa Francesco – nel trovare nuove vie per il cammino».

Non è detto, e anzi la storia recente della Chiesa sembra proprio darne prova, che il discernimento del sensus fidei fidelium e delle nuove vie della pastorale matrimoniale e familiare, in un'epoca di così profonde trasformazioni sociali e culturali, sia semplice e immediato. È più realistico aspettarsi che comporti difficoltà, anche qualche conflitto, e richieda comunque tempo, ragioni per cui, a fronte delle attuali sfide i fedeli in generale, i teologi e il Magistero, nel giocare tutti i loro insostituibili ruoli, dovranno evitare di contrapporsi nei due fronti della verità dottrinale senza misericordia pastorale e della misericordia pastorale senza verità dottrinale, dando «prova di pazienza e di rispetto nei loro mutui rapporti». Solo così potranno «pervenire a chiarire il sensus fidei e a realizzare un vero consensus fidelium», cum et sub Petro.

 

 

 


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