LITURGIA E INIZIAZIONE CRISTIANA: LA MATERNITÀ DELLA CHIESA

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+ Bruno Forte 

 

 

(62a Settimana Liturgica nazionale - Trieste, 25 Agosto 2011)

di

Bruno Forte

Arcivescovo di Chieti-Vasto

 

 

 

Nella terza parte del Simbolo Apostolico, lì dove si confessa la fede nello Spirito Santo e si fa memoria della Sua opera nel tempo, è riferita alla Chiesa l’espressione «communio sanctorum», la «comunione dei santi». In questa formula, attestata già alla fine del secolo IV1, risuona l’eco della “comunione” dello Spirito Santo, di cui parla il Nuovo Testamento (cf. 2 Cor 13,13). Il primo livello di significato dell’espressione, dunque, è quello implicito, ma fondamentale, che la riferisce all’opera del Consolatore: la «communio sanctorum» è anzitutto «communio Sancti». Colui che è il Santo santifica i suoi; la santità può essere attribuita alla «communio» perché lo Spirito, santo e santificatore, santifica la Chiesa, unificandola nella comunione. Il termine «sanctorum», poi, rimanda ad altri due livelli di significato: intendendo il genitivo come neutro, e perciò riferito alle realtà sante (i «sancta»), l’espressione viene a indicare la partecipazione ai beni e ai mezzi della salvezza, e quindi ai sacramenti, specialmente al battesimo e all’eucaristia. Qualora invece si dia al genitivo «sanctorum» il significato personale, la formula rinvia ai «santi», alle donne e agli uomini santificati dallo Spirito e alla loro comunione nel tempo e per l’eternità.

I tre significati di «communio sanctorum» sono tra loro in un rapporto profondo e inscindibile, perché è lo stesso e unico Spirito Santo che attraverso i santi doni edifica la «comunione dei santi». La Chiesa, dunque, è santa, perché è la comunione di quanti sono santificati dallo Spirito attraverso la partecipazione ai santi doni, da Lui stesso vivificati nell’azione liturgica, per la resurrezione della carne e la vita eterna2. Ed insieme, la Chiesa genera i santi, perché - specialmente nella celebrazione dei sacramenti, in primo luogo di quelli dell’iniziazione cristiana (battesimo, confermazione, eucaristia) - essa è l’evento in cui la «communio sanctorum» è sempre di nuovo generata e vivificata dal Santo, il divino Consolatore effuso dal Risorto per la vita del mondo. Per approfondire, dunque, l’idea della maternità della Chiesa esercitata nella liturgia, rifletterò successivamente sui tre livelli di significato dell’espressione «communio sanctorum» e sulle loro implicanze per la nascita e lo sviluppo della vita cristiana.

 

1. La comunione dello Spirito santificante

Secondo il primo livello di significato, «communio sanctorum» rimanda al fatto che è lo Spirito Santo a santificare la Chiesa, facendone la «comunione dei santi»: perciò essa può venir chiamata Tempio santo, in cui lo Spirito dimora e agisce (cf. Ef 2,21; 2 Cor 6,16; 1 Cor 3,16s.). Come è sceso sul Verbo incarnato, facendone l’Unto, così lo Spirito scende sui singoli battezzati e sulla Chiesa, ungendola della santa unzione: «È Dio stesso che ci conferma, insieme a voi, in Cristo, e ci ha conferito l’unzione, ci ha impresso il sigillo e ci ha dato la caparra dello Spirito nei nostri cuori» (2 Cor 1,21). Grazie a questa unzione i cristiani formano una sola «mystica persona» in Cristo: «Cristo e le sue membra sono un’unica persona mistica, per cui le opere del Capo sono in qualche modo quelle delle membra»3. È l’idea paolina della Chiesa Corpo di Cristo, resa tale grazie all’opera dello Spirito, che la arricchisce di doni diversi, e la unifica nella comunione e nel servizio (cf. 1 Cor 12, 4s. 11-13).

La Persona divina dello Spirito, dunque, riempiendo i cuori di quanti formano la Chiesa, li santifica e li costituisce nell’unità del Cristo, misticamente prolungato nel tempo. La santità ontologica della Chiesa, la partecipazione cioè alla grazia dello Spirito Santo, è il fondamento indefettibile della sua esistenza e del suo essere comunione, è ciò per cui la Chiesa è nella storia il popolo di Dio, il Corpo di Cristo, il Tempio santo del Santo4. Per una non debole analogia5, come l’Incarnazione è il mistero dell’unica Persona divina nelle due nature, umana e divina, così la Chiesa è il mistero dell’unica natura umana, santificata dallo Spirito Santo, nella molteplicità delle persone, unite all’unico Signore, Cristo, in modo da costituire in Lui per la grazia del Suo Spirito una Persona in molte persone. Unificati dallo Spirito, i credenti partecipano della sua santità, sono «separati» da Lui e in Lui per Dio, e in questa partecipazione comunicano fra loro e con Cristo, realizzando la comunione ecclesiale. 3

 

L’idea della Chiesa, santificata e unificata nello Spirito fino a divenire una sola persona mistica, trova un suo corrispondente biblico nell’immagine della Chiesa Sposa. Paolo scrive ai Corinzi: «Vi ho promessi ad un unico sposo, per presentarvi quale vergine casta a Cristo» (2 Cor 11,2). Lo Spirito, santificando la Chiesa, la unisce a Cristo come Sposa allo Sposo, realizzando in lei l’alleanza nuziale mediante la partecipazione al mistero pasquale del Signore, fino a che giungano a pieno compimento le promesse di Dio e si celebrino le nozze escatologiche dell’Agnello, quando la Sposa sarà pronta (cf. Ap 19,6-8) e la Gerusalemme celeste scenderà dall’alto, «come una sposa adorna per il suo sposo» (Ap 21,2). Intanto, ininterrottamente, in modo speciale attraverso la preghiera liturgica, «lo Spirito e la Sposa dicono: Vieni!» (Ap 22,17). Questo carattere sponsale rinvia già all’idea della Chiesa madre dei figli generati dall’unico Sposo, Cristo Signore, nella forza del divino Consolatore, che la copre con la sua ombra, come un giorno coprì la Vergine Maria.

 

2. La comunione ai santi doni

La «communio Sancti» rende la Chiesa ontologicamente santa, santificata da Lui e in Lui, e insieme esistenzialmente pellegrina verso il pieno compimento di questa santità, posta in lei come dono e come germe. «Divenire ciò che è» sarà il compito della Chiesa nel tempo, in cammino verso la Patria. In modo particolare, la santificazione, che lo Spirito produce nel cuore dei fedeli e nella comunione ecclesiale, va compiendosi nella storia attraverso le parole e i gesti, in cui Egli comunica la sua grazia secondo la promessa del Signore. Queste sorgenti della santità della Chiesa, questi luoghi dell’incontro con Dio nel tempo, sono i sacramenti: attraverso le realtà sante (i «sancta») dell’economia sacramentale della Chiesa lo Spirito genera e forma i «santi». Nella celebrazione sacramentale l’invocazione dello Spirito Santo sui doni da santificare (epiclesi) li trasforma, rendendoli santi e santificanti nella potenza di Colui, che li pervade: «L’epiclesi è una confessione liturgica, l’applicazione orante della teologia dello Spirito Santo... essa si colloca alla soglia di ogni comunione con Dio perché, secondo i Padri, non v’è accesso al Padre se non mediante il Figlio e non vi è accesso al Figlio, se non mediante lo Spirito Santo»6.

Perciò, la «communio sanctorum» è anche, in senso proprio, «communio sacramentorum», comunione ai mezzi e ai doni della salvezza data da Dio in Cristo, attualizzata in essi dallo Spirito Santo.

La santità della Chiesa trova, dunque, la sua fonte e il suo culmine nella celebrazione liturgica dei sacramenti: «La Chiesa è una e attinge la sua santità dai sacramenti»7. La liturgia è «la grande pedagogia in cui impariamo ad acconsentire alla presenza della mancanza di Dio che ci chiede di dargli un corpo in questo mondo, compiendo così il sacramento in “liturgia del prossimo”, e la memoria rituale di Gesù Cristo in memoria esistenziale»8. Alle sorgenti della liturgia il cristiano attinge la grazia della sequela Christi, per la quale dimora nella Trinità e ne esprime la vita di comunione, edificandosi in comunione con gli altri credenti come popolo di Dio nella storia, segno e strumento dell’unità dell’intero genere umano. Ed è ancora nell’evento liturgico che si manifesta il carattere intrinsecamente escatologico dei sacramenti, in quanto in essi la grazia si fa presente nel tempo come anticipo e caparra di eternità: in tal senso la liturgia, nella tensione fra il dono già ricevuto e la promessa non ancora compiuta, rivela in maniera pregnante come la santità nella Chiesa non sia altro che un anticipo della gloria nel tempo del pellegrinaggio, e la gloria nient’altro che la santità nel compimento della patria. «Grace is glory in exile, and glory is grace at home» (John Henry Newman).

La convinzione che il popolo di Dio attinga ai sacramenti l’unione con Cristo, che lo costituisce come comunità santa nello Spirito, è stata espressa dai Padri con l’immagine della nascita della Chiesa dal costato trafitto di Cristo in Croce (cf. Gv 19,34)9: nel sangue e nell’acqua che ne escono, sono riconosciuti i sacramenti del battesimo e dell’eucaristia, che generano e nutrono la Chiesa. Questo sgorgare ricorda, però, anche l’altro, promesso dal Cristo giovanneo, dell’acqua viva che viene da Lui nel cuore dei credenti, a loro volta resi sorgente per gli altri: e quest’acqua è lo Spirito. «Questo egli disse riferendosi allo Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui» (Gv 7,39). Alla luce dell’interpretazione patristica di questi testi, si può dire allora che «Cristo si manifesta come datore dello Spirito, e lo Spirito è la sintesi di tutti i beni della redenzione messianica, che scaturiscono dal corpo di Cristo, ossia dalla sua “glorificazione”, dalla 5 morte in croce»10. E poiché questa glorificazione è ripresentata dal Paraclito nei sacramenti, sono questi la sorgente concreta dell’acqua viva: nella liturgia sacramentale scorrono il sangue e l’acqua, in cui è possibile nascere dall’alto e di nuovo alla santità, a cui i discepoli sono chiamati. Nello stesso tempo, i sacramenti rendono i credenti sorgente di grazia e di vita per gli altri, «santi» contagiosi di «santità».

 

La certezza, che attraverso la comunione ai sacramenti la Chiesa generi essa stessa figli per Dio, divenendo sorgente di vita e di santità nello Spirito, è testimoniata nella teologia dei Padri con la bellissima immagine della «Mater Ecclesia»11: essa esprime l’idea di una Chiesa che si realizza continuamente nel dono di sé, nello scambio e nella comunicazione dello Spirito dall’uno all’altro dei credenti, ambiente generatore di fede e di santità nella comunione fraterna, nell’unanimità orante, nella solidale partecipazione alla Croce, nella testimonianza comune, vera anticipazione della Gerusalemme celeste, «nostra madre» (Gal 4,26). «La Chiesa-Madre nella concezione protopatristica è il concetto centrale di tutto l’anelito cristiano»12: e la generazione alla vita santa, che lo Spirito compie nella celebrazione ecclesiale dei sacramenti, è quella che rivela la Chiesa come «mater semper in partu». La mediazione ecclesiale della salvezza è vista nella figura della Donna, che accoglie il seme divino e genera, nutre e alleva i suoi figli; la forma di questa mediazione è colta nel coinvolgimento di tutti i credenti, perché tutti i figli della Chiesa diventano a loro volta Chiesa Madre verso coloro che sono chiamati a nascere alla vita divina. Nell’ambito della comunità, si situa poi il ministero, che, agendo come ripresentazione di Cristo ed espressione della paternità di Dio, assume i tratti dell’«elemento paterno, che rende possibile la maternità di tutti i credenti»13.

L’esperienza della generosità materna della comunità spiega anche l’amore, che a loro volta i credenti nutrono per chi li ha generati alla vita dello Spirito: la lode dell’amore cristiano alla Chiesa risuona costantemente nel mondo dei Padri. «I grandi della storia della Chiesa vivono nell’amore per la Madre Chiesa»14: essi la cantano come Madre dei viventi, Chiesa del dolore e Regina eterna. La Chiesa è Madre dei viventi perché, come Eva dal primo Adamo, nasce dal costato del nuovo Adamo, morente in Croce: 6 «Nel mistero della sua provenienza dal sangue del cuore di Dio si fonda la fecondità materna della Chiesa»15. Nello stesso sangue, reso presente nei sacramenti, la Chiesa è genitrice di vita nuova e piena nello Spirito. Essa è poi la Chiesa dei dolori, non solo a causa delle persecuzioni esterne, ma soprattutto per i tradimenti, i fallimenti, i ritardi e le contaminazioni dei suoi figli: «Essa rimane Chiesa del dolore, perché la “sicura libertà” per cui essa prega non si raggiunge mai sulla terra, e perché la storia con i suoi disinganni la riconduce continuamente alla Croce, quando essa diventa troppo entusiasta della terra»16. Nel dolore, confortato dalla grazia dei Sacramenti e dalla consolazione dello Spirito in essi diffusa, la Chiesa sostiene i suoi figli sofferenti e dà la vita per loro.

La Madre dei dolori è, infatti, anche la Regina eterna, non solo perché attende la gloria, ma perché questa è già presente incoativamente nella «porta» della vita, che è il battesimo, nel «farmaco dell’immortalità», che è l’eucaristia, nella pienezza dello Spirito, che è effusa in tutte le realtà sacramentali. Di qui viene alla Chiesa la fede circa la sua «santità» radicale: anche se «casta meretrix», essa è e resta «luce che intercetta la luce del sole futuro e già ora la trasmette nella nostra oscurità»17. Perciò, a questa Chiesa i figli devono rimanere tenacemente attaccati, perché hanno bisogno di lei per essere generati ancora alla vita nei suoi sacramenti e realizzare così la santità, che è stata loro donata, attraverso l’impegno di tutta la loro esistenza: «La Chiesa, l’amata, noi tutti la vogliamo amare. Noi rimaniamo incrollabilmente fedeli ad essa come ad una madre, che è così amorevole, così premurosa e benigna. Affinché con lei e per mezzo suo possiamo meritare di essere di casa presso Dio, Padre nostro»18.

 

3. La comunione dei «santi»

Quelli che lo Spirito ha raggiunto e reso partecipi della vita divina attraverso gli eventi sacramentali sono i «santi»: il termine è comune nel Nuovo Testamento per designare i credenti (cf. ad esempio Rm 12,13; 15,26. 31; 1 Cor 1,2; 6,1s.; Fil 1,1; 4,21s.; Col 1,2 e 4; Ef 4,12; At 9,13. 32. 41; 26,10. 18; Ap 13,7). La Chiesa, radunata dallo Spirito, è perciò detta a ragione la «comunione dei santi», delle donne e degli uomini, cioè, che fanno parte della comunione nello Spirito Santo. Questa comunione è 7 attuata incoativamente nel presente, ma tende al suo compimento finale, mentre già abbraccia coloro che hanno realizzato la loro ultima pasqua in Cristo: «Fino a che il Signore non verrà nella sua gloria e tutti gli angeli con lui (cf. Mt 25,31) e, distrutta la morte, non gli saranno sottomesse tutte le cose (cf. 1 Cor 15,26-27), alcuni dei suoi discepoli sono pellegrini sulla terra, altri che sono passati da questa vita stanno purificandosi, altri infine godono della gloria contemplando chiaramente Dio uno e trino, qual è; tutti però, sebbene in grado e modo diverso, comunichiamo nella stessa carità di Dio e del prossimo e cantiamo al nostro Dio lo stesso inno di gloria»19.

La «communio sanctorum» è anzitutto la comunione dei discepoli del Signore nella varietà dei carismi e dei servizi in essi suscitata dallo Spirito e nella loro convergenza in vista della crescita comune: è la comunione della vita teologale e della corresponsabilità ecclesiale, vissuta nella reciproca accoglienza e solidarietà e nella sollecitudine verso i poveri. La maternità della Chiesa si esprime qui nell’educare i suoi figli affinché esprimano la pienezza dei doni ricevuti dallo Spirito nei sacramenti attraverso il discernimento e la realizzazione del disegno divino su ciascuno. Le singole Chiese, in cui si attua l’unità della Chiesa universale, esprimono poi nella loro «communio» un ulteriore aspetto della «comunione dei santi», cooperando attraverso la comunione collegiale dei loro vescovi intorno al Vescovo della Chiesa di Roma, «che presiede nell’amore» (Ignazio di Antiochia), alla testimonianza dell’unica fede, dell’unico Signore, dell’unico Spirito. La «communio sanctorum» dovrà far risplendere sempre più la luce del popolo santo, perché si compia il disegno salvifico universale di Dio e l’universale pellegrinaggio dei popoli verso l’eterna Sion annunciato dai Profeti giunga a compimento. Questo popolo santo, eletto e amato da Dio, dovrà essere il segno a cui accorreranno le genti, la nazione separata per Dio per divenire luce e salvezza per tutti.

La comunità dell’alleanza è, perciò, chiamata a essere - con lo splendore della sua santità - appello e offerta di salvezza per i popoli in continuità con la missione degli apostoli: la «communio sanctorum» rivela l’aspetto dinamico dell’apostolicità della Chiesa. Il fatto che la Chiesa sia apostolica, cioè, «non significa unicamente che essa continua a confessare la fede apostolica, ma che essa è decisa a vivere secondo la norma della Chiesa primitiva, nata dai primi testimoni del Cristo e guidata dallo Spirito Santo, che il Signore le ha donato dopo la sua resurrezione. Le epistole e gli Atti degli Apostoli ci mostrano la presenza efficace dello Spirito nella Chiesa intera, non solo per quanto riguarda la sua diffusione, ma anche e 8 più ancora nella trasformazione dei cuori: egli li rende conformi agli intimi sentimenti del Cristo... Quest’assimilazione ai sentimenti del Cristo e soprattutto alla sua morte sacrificale per il mondo è il significato ultimo di ogni vita che voglia essere cristiana, spirituale, apostolica»20. Alla permanenza nella fede apostolica deve dunque sempre congiungersi una continuità nella «sequela Christi», quell’«apostolica vivendi forma» alla quale la Chiesa attuale si sforza di formare sempre di nuovo i suoi figli, per vivere la novità di vita, nata dall’incontro con Cristo, di cui i primi testimoni della fede ci hanno lasciato memoria. Questa continuità nella vita apostolica si esprime anzitutto nella carità, effusa nei cuori dallo Spirito Santo, mediante cui la Chiesa rivela la luce della sua santità e fa risplendere la verità che salva: «Il dono primo e più necessario è la carità, con la quale amiamo Dio sopra ogni cosa e il prossimo per amore di Dio»21. La carità, frutto dello Spirito, è la «forma» della Chiesa santa e apostolica, il suo principio vivificante e strutturante, la sua forza di unificazione e di irradiazione, ciò che la ordina dal di dentro al fine cui è chiamata, la santità22: la liturgia va vissuta pertanto come culmine e fonte dell’educazione alla carità, in cui la maternità della Chiesa si dilata verso ogni persona umana.

Di questa carità - anima della «communio sanctorum» - è espressione altissima il «martirio», dove la testimonianza della fede apostolica è resa fino al dono della vita: la silenziosa eloquenza del sacrificio del martire, che va incontro alla morte per amore di Colui, che è la verità che salva il mondo, e per amore di coloro, per cui Cristo è morto23. Nel martirio si offre con particolare evidenza l’identificazione mistica, compiuta dallo Spirito, fra Cristo e la Chiesa, «comunione dei santi»: «Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi» (Gv 15,20). Nel martirio la morte risplende come aurora di vita, soglia che non interrompe l’unità di quanti, credendo, sono stati rigenerati nella comunione dello Spirito Santo. Così, la «comunione dei santi», suscitata dal Consolatore ed espressa nella carità, viene a congiungere i «santi», impegnati nella storia, con quelli, che hanno 9 già compiuto il loro esodo senza ritorno e vivono ora nella gioia della gloria di Dio.

Il luogo in cui la Chiesa fa particolare esperienza della «comunione dei santi» nel tempo e nell’eternità è precisamente la liturgia: secondo l’ininterrotta tradizione della fede lo specifico della preghiera liturgica non è pregare un Dio, ma pregare in Dio, rivolgendosi nello Spirito per il Figlio al Padre24. È in questo movimento trinitario, che la preghiera fa sperimentare la «comunione dei Santi», il vincolo profondissimo, cioè, che lega nello Spirito Santo non solo la Chiesa pellegrina a quella celeste, ma anche nel tempo presente l’intercessione degli uni a favore della sofferenza e del cammino degli altri: l’affidarsi alla Tutta Santa, la Vergine Madre Maria, il rivolgersi ai «santi», il chiedere l’aiuto della preghiera altrui e l’offrire con generosità la propria, lungi dal distrarre dalla contemplazione di Dio e dalla celebrazione della sua gloria, immettono più profondamente in esse ed educano a vivere in pienezza la vita teologale25. La Chiesa, «comunione dei santi», trova così nella liturgia la sua più alta espressione e la sorgente sempre nuova, a cui rigenerarsi nella verità e nella pace della sua più profonda identità di popolo eletto per essere segno fra i popoli, perché - pregando in Dio - sperimenta la presenza vivificante dello Spirito, che grida in noi «Abbà, Padre» (Gal 4,6; Rm 8,15), e mediante Cristo ci unisce al Padre e fra noi nella comunione del tempo e dell’eternità.

* * *

«Intoniamo il canto di lode per la morte della Chiesa, morte che ci riconduce alla sorgente della vita santa in Cristo»26. Un innamorato cantore della Chiesa intona il canto in morte della Chiesa: non lo fa per debolezza di convinzioni o per paura di pericoli, ma per quella più alta intelligenza d’amore, cui solo aprono gli occhi della fede, educata dalla divina liturgia. Egli ha compreso che la Madre non ha altra ambizione al di fuori di quella di generare figli per Dio. Morire per dare loro la vita è il supremo destino dell’Amata. Egli sa che la Chiesa, sacramento dell’eternità nel tempo, cederà il posto alla piena luce della gloria, quando Cristo finalmente verrà nel suo ultimo avvento. Allora Colei che la Chiesa nasconde e insieme comunica e rivela, regnerà totalmente in tutti. La «kénosi» divina cederà il posto allo splendore dell’ultimo giorno: la Trinità, di cui la Chiesa è «icona», rifulgerà nell’universo intero e in ogni cuore. Come l’amata di 10 Giacobbe nel partorire il «figlio del dolore», divenuto il prediletto d’Israele, così la Chiesa morirà nel generare l’umanità allo splendore del giorno eterno: «La Chiesa cesserà forse di esistere al compimento dei tempi e la sua luce verrà spenta in qualche modo da una morte? Noi rispondiamo: quando senti Chiesa, sappi che ti si parla della santa moltitudine dei credenti. La sua morte, secondo il principio vitale dell’esistenza visibile e carnale, è un andare là, dove noi conseguiremo il diritto di cittadinanza e la vita in Cristo; la sua morte è la svolta per una trasformazione in ciò che v’è di meglio in tutto il creato. La morte di Rachele significa dunque veramente la morte spirituale in Cristo per la moltitudine dei credenti, ossia per la Chiesa; una morte che ci introduce in un’altra vita, dalla debolezza ci conduce alla forza, dal disprezzo all’onore, dalla corruzione all’immortalità, dalla finitezza del tempo all’eternità della vita divina»27. Allora Rachele non piangerà più i suoi figli, ma per sempre in essi sarà consolata...

Fin quando giungerà quel tempo, la Chiesa resta la Madre di cui i figli di Dio hanno bisogno per vivere, l’eletta che non invecchia mai, perché ringiovanisce con l’amore di coloro, a cui sempre di nuovo dà la vita: «Non separarti dalla Chiesa! Nessuna potenza ha la sua forza. La tua speranza, è la Chiesa. La tua salvezza, è la Chiesa. Il tuo rifugio, è la Chiesa. Essa è più alta del cielo e più grande della terra. Essa non invecchia mai: la sua giovinezza è eterna»28. Amandola, si possiede lo Spirito, si incontra Cristo e si vive di lui: «Tanto si ha lo Spirito Santo, quanto si ama la Chiesa di Cristo»29. Tutto qua anzi è il suo mistero: il mistero della Chiesa, «kénosi» e splendore della Trinità fra gli uomini e le donne di tutti i tempi, per loro, con loro, madre dei credenti nella liturgia che le è dato di celebrare come anticipo e caparra della gioia eterna.

 

1 Cf. DS 19: è il testo, di tradizione occidentale, della Explanatio Symboli di Niceta, vescovo di Remesiana.

2 Cf. P. Nautin, Je crois à l’Esprit Saint dans la sainte Église pour la Résurrection de la chair. Étude sur l’histoire et la théologie du Symbole, Paris 1947.

3 «Christus et membra eius sunt una persona mystica, unde opera capitis sunt aliquo modo membrorum»: S. Tommaso, De Veritate q. 29 a. 7 ad 11um. Cf. H. Mühlen, Una Mystica Persona, Città Nuova, Roma 1968.

4 Cf. Lumen Gentium, 39.

5 Cf. ib., 8.

6 P. Evdokimov, Lo Spirito Santo pensato dai Padri e vissuto nella liturgia, in Lo Spirito Santo e la Chiesa, a cura di E. Lanne, Roma 1970, 259s.: cf. tutto lo studio, 239-264. Sull’azione dello Spirito nei sacramenti cf. Y. Congar, Credo nello Spirito Santo. III. Teologia dello Spirito Santo, Brescia 1983, 223-284. 4

7 «Ecclesia una est, cuius sanctitas de sacramentis colligitur»: Ottato di Milevi, Contra Parmenianum Donatistam, II,1: PL 11,941.

8 L.-M. Chauvet, Simbolo e sacramento. Una rilettura sacramentale dell’esistenza cristiana, LDC, Torino-Leumann 1990, 183.

9 Cf. S. Tromp. De nativitate Ecclesiae ex Corde Jesu in Cruce, in Gregorianum 13(1932) 489-527. Cf. pure H. Rahner, L’ecclesiologia dei Padri, Edizioni Paoline, Roma 1971, 289-394 («Flumina de ventre Christi»).

10 H. Rahner, L’ecclesiologia dei Padri, o.c., 294.

11 Cf. K. Delahaye, La Comunità, Madre dei credenti, Editrice Ecumenica, Cassano M. (Bari) 1974, e H. Rahner, Mater Ecclesia. Inni di lode alla Chiesa tratti dal primo millennio della letteratura cristiana, Jaca Book, Milano 1972.

12 K. Delahaye, La Comunità, Madre dei credenti, o.c., 110.

13 Ib., 21814 H. Rahner, Mater Ecclesia, o.c., 12.

14 H. Rahner, Mater Ecclesia, o.c., 12.

15 Ib., 18.

16 Ib., 30.

17 Ib., 34.

18 Quodvultdeus di Cartagine, Predica Sulla professione di fede per gli aspiranti al battesimo, III,12. 13: PL 16,1200.

19 Lumen Gentium, 49.

20 Commissione Teologica Internazionale, Apostolicità della Chiesa e successione apostolica (17. 4. 1974), I,1 e 2 in Il Regno Documenti 19(1974) 522s.

21 Lumen Gentium, 42.

22 Cf. P. Coda, L’agápe come grazia e libertà, Roma 1994, 136ss. («L’agápe «forma» dell’identità e della missione della Chiesa»). Sulla «caritas forma virtutum», in quanto le ordina al loro fine ultimo, cf. S. Tommaso, Summa Theol. II. IIae q. 23 a. 8.

23 Cf. il bel testo di Lumen Gentium, 42. Cf. poi M. Pellegrino, Le sens ecclésiale du martyre, in Revue des Sciences Religieuses 35(1961) 151-175; K. Rahner, Sulla teologia della morte. Con una digressione sul martirio, Queriniana, Brescia 1965.

24 Cf. C. Vagaggini, Il senso teologico della liturgia, Paoline, Roma 19654.

25 Cf. Lumen Gentium, 50.

26 Cirillo d’Alessandria, Glaphyrorum in Genesim 6: PG 69,329.

27 Ib., 4: PG 69,224s. Cf. H. Rahner, L’ecclesiologia dei Padri. Simboli della Chiesa, o.c., 195ss.

28 San Giovanni Crisostomo, Homilia De capto Eutripio, c. 6: PG 52,402.

29 “Quantum quisque amat ecclesiam Christi, tantum habet Spiritum Sanctum”: S. Agostino, In Iohan. Evang. Tract., 32,8: CChr 36,304.


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