SATURAZIONE: LA MISSIONE HA QUALCOSA DA DIRE?

Category: Missione Oggi
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Il termine saturazione definisce il processo attraverso cui si raggiunge la massima quantità possibile di un “qualcosa”, in un determinato ambiente. Il punto di saturazione segna il limite ultimo, la soglia di tolleranza. Un oggetto, una proprietà, un sentimento, una facoltà, un atteggiamento interiore incontrano, quando saturi, l’ineluttabilità del proprio limite, della propria finitezza. Nel caso dell’essere umano e delle sue mozioni dell’animo, il punto di saturazione rappresenta un limite alla speranza, superato il quale quest’ultima si vedrebbe privata della condizione di possibilità che, di fatto, la invera.

“Il troppo stroppia”, sentenzia un detto della sapienza popolare che condanna l’eccesso come vizio e ci ricorda che il punto di saturazione e contiguo al “troppo”, spazio estremo in cui anche un bene corre il rischio di contaminarsi e di trasformarsi con facilita nel suo esatto contrario. Un figlio può facilmente essere rovinato dal troppo amore che gli vogliono i genitori, cosi come una relazione satura di bontà corre il rischio di tramutarsi in paternalismo o di soffocare la liberta altrui e il diritto di ognuno a commettere i propri errori. Le relazioni che si saturano diventano asfissianti e dissolvono lo spazio destinato al dialogo e all’altrui liberta.

Nonostante la storia della chiesa abbia purtroppo annoverato non pochi episodi in cui gli agenti della missione si sono rivelati strumenti di saturazione e non soggetti di liberazione, il missionario, per carisma e vocazione, riceve insieme al mandato il compito di “fare spazio”, ricreando intorno a chi si sente soffocato e oppresso l’armonia delle origini di cui parlano molti racconti o narrazioni mitiche, tra cui quella giudeo-cristiana.

In un mondo che si sta sovrappopolando, in cui meta della popolazione si sta concentrando nelle grandi aree urbane creando enormi distese di invivibili ed asfissianti baraccopoli, questa missione diventa “fisicamente” evidente e necessaria.

 

1. Alcuni contesti di saturazione e possibile azione missionaria

Un primo esempio di saturazione in cui la missione può avere qualcosa da dire riguarda proprio l’habitat. Soweto e uno dei tanti slums che circondano Nairobi, agglomerati urbani popolosissimi ma che non compaiono sulle mappe, perché oggi ci sono e domani possono sparire e tornare nel nulla, inghiottiti dalle logiche di mercato e dalle ruspe dei bulldozer. Di importante Soweto ha solo il nome, ereditato dalla più importante townshipdi Johannesburg, in ringraziamento per la collaborazione offerta in passato da alcunieducatori sudafricani ai processi di sviluppo dello slum. Soweto vive, anzi, viveva, tutti iproblemi tipici di una bidonville africana: povertà estrema, densità di popolazione eccessiva, mancanza dei più elementari servizi. L’ambiente dello slum e forse uno di quelli in cui l’idea di saturazione si rende più esplicita, fisicamente percettibile tramite tutti i cinque sensi. Nello slum si soffoca perché e pieno a più non posso, perché le baracche sono una sull’altra e l’estrema promiscuità provocata dalla sovrappopolazione e sovente causa di violenza. Rendere la vita più accettabile a Soweto ha voluto dire “sfoltire”, lavorare sulla gente per concettizzarla a trovare spazi che rendessero meno satura e soffocante la vita di tutti i giorni. Allargare le strade, creare più luce, far uscire la gente dalle baracche con occasioni di lavoro all’esterno di esso ha significato e significa far respirare le persone, dare ad esse la possibilità di muoversi, scegliere, decidere, fare comunità.

Il secondo esempio riguarda invece una forma di saturazione che potremmo definire antropologica, o umana. Non sono più di 200 mila gli indigeni appartenenti al popolo Nasa, uno dei gruppi etnici autoctoni più numerosi della Colombia. Vivono prevalentemente nel dipartimento del Cauca, arroccati sulle due cordigliere fra cui scorre verso valle il grande fiume che da il nome a questa regione. I Nasa non sono originari delle montagne che abitano, ma appartengono alle pianure e alle foreste del Sud della Colombia, da cui si sono allontanati all’epoca della colonizzazione per sfuggire alla conquista spagnola e che, ultimamente, hanno provato nuovamente ad occupare, in cerca di terra da coltivare e di aria libera da respirare. Il territorio abitato dai Nasa e infatti saturo; lo e da decenni, da quando queste montagne, un tempo abitate soltanto da queste popolazioni indigene, sono diventate appetibili per altri soggetti esterni. Prima i terratenientes, i latifondisti che hanno invaso terre non loro costringendo i legittimi proprietari a una parcellizzazione eccessiva della terra, poi i narcos della zona che hanno iniziato a “convincere” la gente a coltivare la più conveniente coca a discapito dei prodotti locali, sfruttando gli anfratti montani come nascondiglio delle loro cocinas, i laboratori di lavorazione della pianta della coca: infine i gruppi armati che si contendono palmo a palmo il territorio colombiano in una guerra infinita… territorio non loro.

Esercito governativo, guerriglia, paramilitari giocano la guerra sporca in casa d’altri, nel tentativo di controllare canali di comunicazione importanti per i traffici più svariati e, soprattutto, i beni di cui la terra dei Nasa e ricca, primo fra tutti l’acqua del paramo,  la parte superiore delle verdi sommità della Cordigliera andina. La lotta dei Nasa per la difesa dell’autonomia del loro territorio e a tutti gli effetti una lotta per far si che un mondo saturo non passi quel limite che potrebbe portare l’ennesima cultura sulla via dell’estinzione. Nell’aver cercato di accompagnare il processo di presa di coscienza, riappropriazione della propria cultura, affermazione dei propri diritti ed autonomia del popolo Nasa, l’azione missionaria si e dimostrata, nel suo piccolo, un efficace cuscinetto contro il soffocamento da saturazione.

Non e pero necessario spingersi tanto lontano se si vogliono incontrare esempi di saturazione che contaminano anche i nostri paesaggi e richiamano l’attenzione del missionario, interpellandolo e mettendolo sovente in crisi. La missione ha la pretesa di sfidare oggi una saturazione di tipo consumistico. Noi siamo saturi di cose; gli oggetti ci sommergono perché la nostra possibilità di riciclare non riesce a mantenere il ritmo con cui dobbiamo soddisfare i nostri bisogni, più o meno giustificati che siano.

Il nostro mondo si popola di cose e non più di persone e a poco vale l’invito a fare dello sharing uno strumento virtuoso della nostra convivenza. La solitudine, male del nostro secolo, ristagna inzuppata di impotenza e fatalismo, passioni tristi da cui il mondo non sembra riuscire a liberarsi. Vivere nel contempo un’esperienza di solitudine e saturazione non e poi cosi improbabile; essere soli e saturi allo stesso tempo: paradosso dell’infelicità. Eppure questo e il prezzo che bisogna pagare sull’altare del consumismo, a un dio, il mercato, che sfida la missione cercando di eroderne la parte vitale, il motore che le da dinamismo, il fine per cui agisce nel mondo: la salvezza e la felicita piena che da essa deriva. Scrive Zygmunt Bauman a questo riguardo: ≪La nostra società dei consumatori e forse l’unica societa nella storia umana che promette la felicita nella vita terrena, e la felicita “qui e ora”, in ogni “ora” successivo – una felicita continua e non rimandata; e l’unica società che si astiene dal giustificare qualunque genere di infelicità, che rifiuta di tollerarlo e lo presenta come un abominio che esige punizioni per i colpevoli e compensazioni per le vittime≫1. Risulta chiaro che la tensione escatologica, anima della missione, viene messa in pericolo dalla pretesa utilitaristica della “società dei consumatori”, pretesa a cui la missione prova a opporre con decisione la forza delle sue argomentazioni attraverso iniziative, campagne di sensibilizzazione o di protesta.

Infine merita fare accenno a un tipo di saturazione su cui ritorneremo più avanti: la saturazione teologica. A questo riguardo la missione e invitata a riflettere soprattutto su se stessa, sul modo con cui si pone in dialogo con la società e comunica il suo messaggio, nonche sugli strumenti attraverso i quali questo viene veicolato. Siamo sovente saturi di parole, ma in difficolta quando si tratta di fare emergere la Parola, centro, cuore del contenuto che il missionario e chiamato da sempre a trasmettere.

 

2. Saturazione e pienezza: l’ambito biblico-teologico

Compito della missione in un contesto di saturazione e quello di abitarla per conoscerla, arginarla, e ridare quindi all’uomo l’armonia felice della creazione. Dio non crea un mondo saturo, ma in pienezza2. Il “troppo” non appartiene al vocabolario di Dio, il La quale, al contrario, afferma la bontà di ciò che ha fatto al termine di ogni atto creativo:

“Dio vide che era cosa buona” (Gen 1). L’autore del primo capitolo del libro della Genesi utilizza il termine ebraico tob, che non esprime soltanto la constatazione della riuscita dell’opera, di un lavoro fatto bene, ma sottolinea l’ammirazione entusiastica di Dio di fronte alla bellezza di quanto ha appena concluso, una bellezza che dovrà essere mantenuta, preservata come un’opera d’arte, custodita con responsabilita3. Il peccato dell’uomo e invece una ferita inferta all’armonia della creazione. Per avere voluto troppo l’uomo perde il “tutto” che Dio gli aveva concesso e, che ora, attraverso il corso della storia della salvezza, gli ripromette e cerca di ridargli. Nella creazione ogni cosa ha il suo posto e la sua misura; infatti, il troppo di qualcosa o di qualcuno significherebbe automaticamente il troppo poco di qualcosa e qualcun altro e, in entrambi casi, la bontà dell’atto creativo di Dio risulterebbe compromessa. Chiaramente un mondo saturo di bene non e oggettivamente possibile, ma e il traguardo, il momento in cui la contingenza umana, segnata dall’esperienza del limite, si trasfonderà nella pienezza di Dio.

All’amico Abramo, come ricompensa della sua fedeltà, Dio promette la sua benedizione, che porta con se pienezza, abbondanza di terra (spazio) e di discendenza (tempo)… una saturazione di bene (Gen 12, 2. 22, 17). La mano di Dio e generosa, ma esigente. La terra, simbolo della magnanimità del creatore, va “meritata” attraverso un continuo richiamo all’Alleanza, all’amicizia che Dio offre in dono e che l’essere umano e invitato ad accettare attraverso l’assunzione di un comportamento etico consono per potersi nutrire del latte e del miele che in quella terra scorrono (Dt 26, 9).

Evidentemente, la ricchezza non può essere considerata come segno di benedizione tout court, dato che in questo caso la povertà, altrettanto automaticamente, risulterebbe un segno di disinteresse o addirittura ostilità divina4. La letteratura profetica e molto chiara nel ricordare al popolo eletto che Dio non fa distinzioni; in lui convivono il ricco e il povero, il suo pensiero non e riconducibile a standard umani, altri sono i suoi metri di giudizio. Poco contano gli abbondanti sacrifici usati per ingraziarsi la divinità in forza della ricchezza che si possiede. La voce dei profeti si scaglia contro la mercificazione delle benedizioni: Dio benedice chi usa misericordia e, nel fare ciò, lo imita nella sua “materna” passione per il bene. Le pagine di fuoco del profeta Amos svergognano chi, sdraiato indolente al lato della sua tavola piena, si rimpinza dei proventi di un ladrocinio perpetrato ai danni del povero (Am 8, 4-6).

Non vi sarà per l’uomo nessuna pienezza di bene, neanche in futuro, se questo bene non sarà fondato sulla giustizia. E la giustizia la condizione ultima per liberarsi dalla saturazione e ristabilire equilibro, perequazione, armonia, impedendo che il troppo diventi condizione di oppressione nei confronti di chi invece non possiede nulla, neppure il sufficiente per sopravvivere, per vivere una vita degna, per avere la possibilità di scegliere.

 

3. Al servizio di una nuova narrazione del mondo

A questo messaggio profetico viene data eco nel Nuovo Testamento attraverso la missione di Cristo e della Chiesa; messaggio che oggi continua, pur “ovattato”, a essere trasmesso nel mondo. La vocazione alla sequela Christi contiene in se l’invito a lasciare tutto, mentre a chi e saturo di cose, di se stesso, di beni materiali risulterà difficile accedere alla pienezza di bene del Regno di Dio e di cui già hic et nunc si può fare esperienza diretta.

Anche la saturazione provocata dalla legge viene condannata da Gesù che sfida i farisei su quello che e il loro terreno. Lo fa a difesa dei poveri, peccatori ed emarginati, impossibilitati a liberarsi dalla schiavitù della prassi ritualistica, che Gesù sostituisce invece con la prassi della misericordia e della compassione. La sua missione punta alla liberazione integrale dell’uomo, a scaricarne i pesi derivanti dal peccato personale e strutturale, riconducendolo a pieno titolo verso l’amicizia con Dio.

La missione di oggi e, nella sua essenza, eu-anghelion, lieta notizia5, testimonianza e annuncio del messaggio liberante di Cristo. Se invece di aprire l’uomo alla liberta e alla verità dello spirito lo ingabbia in una dottrina asfissiante e priva di misericordia la missione contraddice se stessa, offrendo un prodotto contraffatto. Se invece di proporre nuove narrazioni del mondo capaci di aprire l’umanità al principio della vita, del vivere insieme, del bene comune si chiude in discorsi fideistici che non parlano all’uomo di oggi, la missione si satura di contenuti, ma diventa sterile, incapace di proporre un traguardo di salvezza e di predicare la responsabilità necessaria per perseguirlo6. 

Oggi, fra le altre cose, la gente e satura di un’immagine di chiesa stanca e scolorita. Non si sente più rappresentata da un’istituzione diventata “pesante”, che non risponde più agli interrogativi dell’uomo di oggi o lo fa con un linguaggio che non e appropriato.

Dovrà pero per questo abdicare alla sua missione o sarà invece chiamata a riproporla attraverso forme più appropriate? Le “vite di scarto”, come definisce Bauman i poveri e gli emarginati immolati oggi sull’altare della società dei consumi7, devono poter trovare ancora oggi nella parola liberante di Dio una forza di riscatto, un accoglienza generosa, un amore gratuitamente offerto.

Questo richiede alla chiesa e alla sua missione un cambio di prospettiva, un biglietto da visita diverso. La missione e chiamata ancora oggi ad entrare nella storia; e invitata pero a farlo con dolcezza e rispetto, nella piccolezza e nell’umiltà di chi sa di avere un tesoro, ma di custodirlo in vasi di creta. Una missione che non impone, ma incoraggia, che non chiude possibilità, ma apre cammini si può proporre come partner autorevole di un dialogo con il mondo di oggi. La figura del Cardinal Martini, recentemente scomparso, testimonia come il mondo sia attento ad ascoltare la voce della chiesa quando essa non viene pronunciata soltanto da una cattedra, ma, con spirito di dialogo, anche nel variopinto mondo del cortile dei gentili. Inoltre, la missione da sempre crea pensiero, apre la riflessione teologica a nuove sfide, nell’incontro, dialogico o conflittuale, con l’altro e la sua cultura, la sua fede e il modo con cui la vive e manifesta.

 

4. Cosa può offrire oggi la missione?

Possiamo allora affermare, pur con molta umiltà, che la missione ha qualche antidoto da offrire per contrastare la saturazione, iniziando da un rimedio di tipo filosofico e teologico che consiste nell’affermare la distinzione che esiste fra saturazione e pienezza.

Nella pienezza l’uomo incontra la via per la sua liberta; nella saturazione, al contrario, si sente imbrigliato e spinto verso il baratro di un “troppo” che sarà incapace di gestire.

Un secondo antidoto e quello ricavato dal modello offerto dalla kenosis di Cristo (Fil 5, 6-8), il suo “spogliarsi” delle prerogative divine. Svuotandosi per farsi povero tra i poveri ed offrire dal di dentro, come lievito nella massa, la possibilità di una liberazione, Cristo offre un atteggiamento che si pone in alternativa alla logica della saturazione, atteggiamento che la missione dell’inviato deve incarnare se vuole essere fedele al messaggio di colui che invia. Chiaramente oggi si possono trarre da questo atteggiamento svariate applicazioni, come il richiamo alla sobrietà, agli stili di vita alternativi e sostenibili, a un atteggiamento ecologico che riproponga la visione dell’uomo che si fa “servo” della creazione, se ne prende cura e non la sfrutta per i propri interessi saturandola al punto da renderla invivibile e aliena dal progetto armonico di Dio.

Questo atteggiamento di umiltà impone anche un’opzione dialogica nei confronti della realtà, scelta che suggerisce un terzo antidoto che la missione può offrire: quello dell’apertura all’altro in quanto tale. L’itineranza, parte del suo DNA, espone il missionario all’altro, al diverso, allo sconosciuto e lo costringe a stare sulla soglia ad abitare le frontiere. Questa condizione di liminalità, pone il missionario in una situazione di precarietà e vulnerabilità, ma al contempo gli permette di aprirsi all’altro in contesti di dialogo interculturale e interreligioso, che possono aprire varchi di ampio respiro negli scenari del nostro vivere quotidiano.

Se proprio volessimo allora utilizzare una definizione di saturazione a cui la missione e la riflessione su di essa potrebbero ispirarsi, potremmo appropriarci di quella di “saturazione cromatica”, concetto che esprime l’intensità di luce e la purezza di un colore, esaltando l’armonia dell’insieme. Attraverso la saturazione cromatica la missione potrebbe aiutare a distinguere e armonizzare fra di loro le diverse tonalità di un mondo ampio, complesso, ma che e abituata da secoli a frequentare. Potrebbe essere strumentale nella promozione di ciò che don Tonino Bello, un altro vescovo con l’evangelizzazione nel cuore, chiamava la convivialità delle differenze. Potrebbe portare sulla sua tavolozza i colori che esprimono la varietà di lingue e culture, di usi e tradizioni, di fedi diverse ma riconducibili a un unico Dio. Sono colori che brillano pur nella luce crepuscolare di questo tempo, in cui nuotiamo cercando di mantenerci a galla nel flusso della mutazione. L’impalpabile, ma per questo non meno reale, presenza di Dio fa capolino nel piccolo, nel fragile, nell’indefinito, quasi a voler negare con forza il pericolo di far fare agli altri il pieno di Dio, saturarli con una presenza opprimente e non più liberante. Forse, davvero, svuotare il troppo pieno e cercare di riempire il troppo vuoto può essere compito della missione di oggi.

 

 

1 Z. BAUMAN, L’etica in un mondo di consumatori, trad. it. F. Galimberti, Laterza, Bari 2010, p. 135.

2 Dio si offre in pienezza, non nella saturazione. La saturazione si riferisce piuttosto a un punto limite

raggiunto attraverso il risultato di un errore umano: si punta al molto e si consegue il troppo- La pienezza, al contrario, frutto della gratuita di Dio, e dono escatologico verso cui si tende e nei confronti

del quale si prova meraviglia, stupore, spirito di ringraziamento.

3 Cfr. E. BIANCHI, Adamo, dove sei?, Edizioni Qiqajon, Magnano 2007, p. 129.

4 Il libro di Giobbe e di fatto una risposta a questa interpretazione teologica.

5 Suona come una non necessaria ripetizione la definizione “nuova evangelizzazione”, oggi cosi di

attualità visto che in questi giorni la Chiesa sta celebrando un Sinodo dei vescovi dedicato precisamente

a questo tema. Possono cambiare modalità e strumenti, ma l’evangelizzazione, se e davvero tale, ha in

se i germi di novità rappresentati dal seme del messaggio evangelico, sempre uguale nel momento in cui

viene lanciato, ma sempre diverso e nuovo nel momento in cui attecchisce in terra buona.

6 Cfr. R. PETRELLA, Una nuova narrazione del mondo, Emi, Bologna 2007.

7 Z. BAUMAN, Vite di scarto, trad. it. M. Astrologo, Laterza, Bari 2004.

 


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