Suor Felicita Muthoni, missionaria della Consolata del Kenya, racconta la storia del miracolo della guarigione di Sorino Yanomami, assalito e gravemente ferito da un giaguaro, nella foresta amazzonica brasiliana, il 7 febbraio 1996. Sorino è guarito e ha recuperato completamente la salute grazie all'intercessione del Beato Giuseppe Allamano.
La guarigione di Sorino è stata riconosciuta miracolosa dalla Chiesa cattolica e il sacerdote torinese, Fondatore dei missionari e delle missionarie della Consolata, sarà canonizzato il 20 ottobre 2024 da Papa Francesco.
* Video realizzato dalla Fondazione Missio organismo pastorale della CEI
Il Beato Giuseppe Allamano diceva: “La Consolata è in modo speciale nostra e noi dobbiamo essere gloriosi di avere una tale Patrona” (Vita Spirituale pg. 687)
In questa Novena vogliamo contemplare Maria nella sua realtà di Creatura impregnata dall’amore di Dio e di Madre dell’umanità. Alla Consolata affidiamo la realtà del nostro tempo, fatta di ombre e di luci e le chiediamo di aiutarci a guardarla con i suoi occhi pieni di compassione per saper scoprire la bellezza di ogni popolo, di ogni cultura e di ogni persona.
Guardiamola, questa nostra Madonna, nella sua bellezza e lasciamoci guidare da lei per le vie del mondo. Ogni giorno preghiamo con Maria per un continente o una realtà guidati da riflessioni preparate da alcuni Missionari e Missionarie. Ci sentiamo in comunione e in sintonia con tutta l’umanità e iniziamo questo nostro primo giorno della Novena pregando per i Nostri due Istituti.
(Chiesa del Fondatore Casa Madre, Torino)
Es 24,3-8; Sal 115; Eb 9,11-15; Mc 14,12-16.22-26
Una nuova ed eterna Alleanza
Vorrei prendere il concetto dell’Alleanza come il concetto chiave che ci permette di riflettere sulle letture della Solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo.
L’autore della Lettera agli Ebrei, infatti, partendo dalla passione e morte di Cristo – sacrificio di Cristo -, considerate come offerta incondizionate di se stesso per la salvezza dell’umanità, chiama Cristo come mediatore della nuova ed eterna Alleanza. Infatti, Cristo dirà “questo è il mio sangue dell'alleanza”. La novità di questa Alleanza sancita con il sangue di Cristo, come sottolinea la Lettera agli Ebrei, è in contrapposizione all’antica Alleanza, come letta nel libro dell’Esodo: mentre nella Nuova Alleanza Gesù consegna volontariamente se stesso, nell’Antica si offrivano in olocausto gli animali. Il segno della nuova Alleanza è il corpo e il sangue di Cristo, il quale ci invita a prenderne per mangiare e bere.
La consapevolezza dell’importanza di quella Pasqua, l'ultima per Gesù, spinge i discepoli a celebrarla in modo ineccepibile, anticipando una desiderata ed accurata preparazione. “Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?”, chiesero i discepoli a Gesù. Per Lui, c’era una stanza pronta: una grande sala al piano superiore, già arredata e pronta. Lì avrebbero preparato la cena per tutti loro. È in questa sala che Gesù, durante la cena, dirà: “prendete questo è il mio corpo” e “questo è il mio sangue dell'eterna alleanza”.
Al piano terra, forse si trovava la sala di soggiorno, sala dello svago sempre fremente dell’agitazione che la vita quotidiana porta con sé. Gesù sceglie la sala al piano superiore per allontanarsi dalla distrazione e dall’agitazione giornaliera e mondana. Gesù preferisce che tutto avvenga in un luogo intimo, facendo riferimento alla sala interna ed intima degli uomini: il cuore che è il luogo più intimo dell’essere umano, il luogo dove Dio deve compiere la sua Alleanza con gli uomini, come ben profetizzò Geremia: “porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo” (Ger 31,33). La nuova Alleanza, in Cristo, è scritta nel cuore. Dobbiamo dunque allontanare il cuore dall’agitazione della vita quotidiana per entrare nell’intimità dell’incontro con Cristo e far risuonare quel comando di Gesù: “prendete questo è il mio corpo” e “questo è il mio sangue dell'eterna alleanza”.
Egli prese il pane e il calice e lo presentò ai discepoli, accompagnato dall’imperativo: “prendete”. Prendete e cioè tendete la mano, apritela e riceverete in dono questo pane, nel riceverlo come dono, siete in comunione con me. Questo verbo vuole sottolineare che quel pane preso viene donato diventando così segno dell’amore e del dono di sé. A noi viene chiesto soltanto di prendere, un gesto alquanto passivo, poiché è Cristo che dà e si dà, è Lui che si fa presente.
In questo verbo “prendere” si intravede tutto il bisogno di Cristo di entrare in una comunione senza ostacoli, senza paure, senza secondi fini: è un dono, prendetelo pure.
Si tratta di prendere il suo corpo – soma in greco - che significa la persona intera con la sua attività, storia e vita. Gesù chiede ai discepoli di prendere non solo quel “pezzo di pane”, ma la sua vita, la sua storia, il suo modo di vivere, il suo progetto di vita e tutto quanto la sua vita ha mostrato: l’amore, dunque Gesù invita i suoi ad essere come lui nella vita. “Prendete questo è il mio corpo, segno del mio amore per l’umanità”.
Si ricordi che Gesù, a Giacomo e Giovanni, che gli chiesero di sedersi uno a destra e l’altro a sinistra, chiese loro: “potete bere il calice che io sto per bere, o ricevere l’immersione nella quale io devo essere immerso?” (Mc 10,38). Bere il calice è essere partecipi del Suo Regno caratterizzato dall’amore e servizio all’altro; cioè, essere disposti a dare la propria vita per amore a Dio e dedicarci a servire i nostri fratelli, con lo stesso atteggiamento misericordioso che ebbe Gesù. Bisogna sottolineare che l'evangelista non dice che i discepoli mangi(a)no il pane, mentre sottolinea che beva(o)no il calice. Questo significa che non si può condividere il destino di una persona, nel caso di Gesù, se non si è disposti a dare se stessi agli altri.
La nuova ed eterna alleanza è l’amore, è scritta nei nostri cuori e viene simbolizzata dal pane e dal vino, corpo e sangue di Cristo. Dobbiamo sempre predisporci a prenderne, per nutrirci spiritualmente, per poter essere capaci di divenire pane spezzato per il bene dell’umanità, per essere in comunione con Dio e con i fratelli.
Il discepolo missionario è consapevole che l’Eucaristia, come ha giustamente sottolineato Papa Francesco, “ci permette di non disgregarci, perché è vincolo di comunione, è compimento dell’Alleanza, segno vivente dell’amore di Cristo che si è umiliato e annientato perché noi rimanessimo uniti. Partecipando all’Eucaristia e nutrendoci di essa, noi siamo inseriti in un cammino che non ammette divisioni. Il Cristo presente in mezzo a noi, nel segno del pane e del vino, esige che la forza dell’amore superi ogni lacerazione, e al tempo stesso che diventi comunione anche con il più povero, sostegno per il debole, attenzione fraterna a quanti fanno fatica a sostenere il peso della vita quotidiana, e sono in pericolo di perdere la fede”.
* Mons. Osório Citora Afonso, IMC, è vescovo ausiliare dell’Archidiocesi di Maputo, Mozambico.
Il tema della denatalità è al centro del "Mese della Famiglia 2024", organizzato dal Ministero per l'uguaglianza di genere e la famiglia.
Tradizionalmente maggio è il mese della famiglia in Corea, un tempo in cui si susseguono feste e ricorrenze legati alla famiglia, che hanno radici profonde nella memoria culturale coreana. Il 5 maggio si festeggia la "Giornata dei Bambini", ricorrenza che risale al 1923, portata avanti dallo scrittore Bang Jung-hwan, in un'epoca non vi erano molti bambini che beneficiavano dell’istruzione. L'8 maggio, invece, si celebrano i genitori, in una festa che, inizialmente, era la Festa della Mamma e che in seguito, nel 1973, venne ribattezzata come "Festa dei Genitori". I genitori, e generalmente anche gli anziani, vengono visti come modelli per le future generazioni all’interno della società.
Un’altra festività particolarmente sentita nel mese è la "Festa degli insegnanti e maestri", il 15 maggio: questi sono figure riconosciute come fondamentali nell’educazione e crescita delle persone. Durante questa giornata in ogni scuola gruppi studenteschi organizzano eventi di ringraziamento e scrivono delle lettere ai propri insegnanti.
Il 21 maggio è il giorno designato come "Festa della coppia coniugale", la festa dei coniugi , di due individui che diventano una famiglia: è una giornata istituita con l'intento di risvegliare l'importanza dei rapporti coniugali per far crescere la famiglia in armonia.
In un tempo punteggiato da queste ricorrenze, la nazione affronta un grave problema: la Corea del Sud ha il tasso di natalità più basso al mondo e continua a crollare, battendo il proprio record anno dopo anno. Secondo i dati ufficiali, il tasso è sceso di un ulteriore o 8% nel 2023 attestandosi al 0,72, numero che indica il numero di figli che una donna ha nel corso della sua vita. Perchè una popolazione rimanga stabile, quel numero dovrebbe essere 2,1. Se tale tendenza continua, si stima che la popolazione coreana si dimezzerà entro il 2100, e per questo nel paese si parla di “emergenza nazionale”.
A livello politico e mediatico ferve il dibattito su analisi e misure per invertire questo trend preoccupante. A tal fine il nuovo presidente della Corea del Sud Yoon Suk Yeol ha dichiarato di voler creare un nuovo ministero per affrontare l'emergenza di una crisi demografica sempre più acuta e profonda.
Foto: IMC Corea del Sud
La Chiesa cattolica in Corea si sente parte attiva nella lotta a una emergenza sociale e culturale, e ha avviato numerose iniziative in merito. A Seoul, è attivo il "Comitato per la Vita", che promuove iniziative di sostegno alle politiche familiari. Il Comitato, ad esempio, gestisce un fondo speciale per madri single, al fine di garantire un ambiente stabile per l'assistenza all'infanzia, o offre supporto a tutti i livelli alle donne incinte. Il ministro per la Famiglia ha pubblicamente ringraziato il Comitato "per il supporto alle famiglie bisognose e per aver contribuito al miglioramento dei rapporti familiari e alla cultura familiare”.
I missionari della Consolata sono presenti nella Corea del Sud dove i primi quattro padri sobo arrivati nel 1988 e furono accolti nella diocesi di Incheon. La presenza dell’Istituto nel Paese si caratterizza per il dialogo interreligioso e con la cultura orientale e per l’evangelizzazione nelle periferie.
Attualmente lavorano in Corea del Sud 08 missionari della Consolata nelle diocesi di Incheon, Daejeon e Ui-jong-bu.
Fonte: Agenzia Fides
Dt 4, 32-34.39-40; Sal 32; Rm 8,14-17; Mt 28,16-20
Le letture di questa Domenica dedicata alla Santissima Trinità ci immergono nella vita di amore e di comunione di Dio uno e trino: Padre, Figlio e Spirito Santo e ci invitano inoltre a rispondere con generosità all’amore che Dio ha verso di noi.
Dal giorno del nostro battesimo, come afferma Paolo, nella Lettera ai Romani, siamo entrati in questa relazione d’amore e comunione con Dio Padre, grazie allo Spirito Santo, per mezzo di Cristo. Siamo dunque eredi di Dio e coeredi di Cristo. Ecco perché, nel Vangelo di oggi, Cristo manda i suoi discepoli con una missione ben specifica: fare discepoli tra le genti, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
Questa pagina del Vangelo di Matteo è l’unica, nel Nuovo Testamento, che presenta insieme i tre nomi delle tre persone della Santissima Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo. Il testo è la conclusione del Vangelo di Matteo e sono, dunque, le ultime parole di Gesù prima della sua ascensione.
Gesù risorto, prima di salire al Padre, si avvicina ai discepoli, rendendosi presente e affiancandosi nel loro cammino di fede. Non li lascia da soli poiché Egli è l’Emmanuele, “Dio con noi”, ed è sempre presente, dirà alla fine del Vangelo “io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”. È un Dio che è appassionato dell’uomo e che va sempre all’incontro con lui. La Sua è una presenza potente la cui potenza gli è stata data dal Padre. Il Suo non è un potere di morte e di dominio, ma un potere di vita, di amore. È il potere che Gesù ha dimostrato in croce: quello di servire e di dare la vita in maniera incondizionata. Il Suo è il potere di fare le cose nuove attraverso l’amore. Ecco perché ha bisogno dei discepoli che possano fare l’esperienza del suo amore incondizionato ed essi, a loro volta, facciano discepoli tutti i popoli.
Ecco perché, Gesù comanda che i discepoli non restino chiusi nel loro gruppo e nella loro esperienza, ma Egli vuole che essi possano uscire per percorrere le strade del mondo per convincere tutti quelli che incontrano a diventare anch’essi discepoli del Signore come lo sono loro. “Andate e fate dei discepoli”, così comanda Gesù. Il comando è chiarissimo: non andare ad annunziare una fede oppure una morale o una dottrina, né a predicare interessi personali e particolari. Essi sono mandati a fare discepoli tutti i popoli. La nuova traduzione rende più chiara questa missione: non è più “andate e ammaestrate”, ma andate e “fate discepoli”.
Questo cambia profondamente il vero senso del mandato di Gesù: fare discepoli. Il discepolo è dunque colui che ascolta, impara e cerca. Il discepolo è colui che vive in intima unione e comunione quotidiana con Cristo. Questo implica l’instaurazione di un rapporto personale con Gesù. Tuttavia il discepolato non è una esclusività per alcuni, per pochi, ma è per tutti i credenti ogni giorno della propria vita, si tratta di fare discepoli tutti i popoli. Gesù afferma che Voi siete discepoli fate gli altri come voi, discepoli e ascoltatori dell’unica parola. Nessuno è maestro: siamo tutti uguali e la nostra missione, quella della Chiesa, è annunciare il Vangelo e attirare tutti a diventare discepoli di Gesù; bisogna dunque annunciare il Vangelo.
Nell’esortazione apostolica, “Evangelii gaudium”, Papa Francesco ha fatto risuonare, ancora con forza, il comando di Gesù: “Andate e fate miei discepoli tutti i popoli”. Scrive: “l’intimità della Chiesa con Gesù è un’intimità itinerante e la comunione si configura essenzialmente come comunione missionaria. Fedele al modello del Maestro, è vitale che oggi la Chiesa esca ad annunciare il Vangelo a tutti, in tutti i luoghi, in tutte le occasioni, senza indugio, senza repulsioni e senza paura. La gioia del Vangelo è per tutto il popolo, non può escludere nessuno”(n° 23).
Per Gesù si diventa discepoli attraverso il battesimo. Infatti, Egli dirà “andate e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli”. Battezzare vuole dire immergersi, andare a fondo. Il discepolato, il rapporto intimo tra il discepolo e Gesù, si fonda nel battesimo: il participio in greco reso “battezzando” è specificazione del modo di “fare discepoli”, mettendo in relazione la Divinità, con il mistero dell’amore e della comunione della Trinità. Il discepolo deve immergersi nell’amore e nella comunione della trinità, quindi deve vivere in Dio, nel figlio e con l’unico Spirito che è l’amore tra Padre e Figlio. Si tratta di immergersi nell’amore del padre, per essere suo amore in mezzo alla gente, immergersi nella comunione per essere anche comunione.
Infine, i discepoli devono osservare il comando lasciato dal maestro: amare. Pertanto, discepolo missionario è colui che vive il mandato di Gesù ogni giorno della sua vita. Come afferma Papa Francesco: “Nell’andare per le vie del mondo è richiesto ai discepoli di Gesù quell’amore che non misura, ma che piuttosto tende ad avere verso tutti la stessa misura del Signore; annunciamo il dono più bello e più grande che Lui ci ha fatto: la sua vita e il suo amore. Non chiudiamo il cuore nelle nostre preoccupazioni particolari, ma allarghiamolo agli orizzonti di tutta l’umanità”.
* Mons. Osório Citora Afonso, IMC, è vescovo ausiliare dell’Archidiocesi di Maputo, Mozambico.