La rete globale anti-tratta Talitha Kum – che comprende più di tremila suore cattoliche e amici – lancia la campagna #CareAgainstTrafficking in vista della Giornata mondiale contro la tratta di persone che si celebrerà il 30 luglio. Fondata nel 2009 dalla UISG (Unione Internazionale delle Superiore Generali), Talitha Kum International coordina 50 reti in oltre 90 paesi.
Mons. Mário Antonio da Silva, secondo vice presidente della CNBB (Conferenza Episcopale Brasiliana), ha pubblicato Giovedì 2 Giugno una lettera diretta alle comunità cristiane e ai cittadini dello Stato del Roraima a proposito della lamentabile situazione delle popolazioni indigene che ogni giorno di più subiscono la violenza, anche fisica, delle persone interessate allo sfruttamento minerario dei territori che legalmente appartengono a loro. Denuncia, senza mezzi termini, soprusi e connivenze politiche che mettono a repentaglio ancora una volta la sopravvivenza delle comunità indigene che abitano quelle terre.
"Ci aspettiamo nuovi cieli e una nuova terra, dove abiterà la giustizia" (2a Lettera di Pietro 3:13)
Il 10 maggio è giunta la notizia di un attentato al villaggio Palimiú del popolo Yanomami, nella regione del fiume Uraricoera. Nei giorni seguenti ci sono stati nuovi attacchi contro questa stessa comunità e fino ad oggi poche misure sono state prese dagli organi responsabili per garantire la vita e l'integrità della comunità. Questa è un’altra triste ferita conseguenza dell'estrazione mineraria illegale all'interno delle terre che appartengono per legge in usufrutto ai popoli indigeni. È un'attività che si è affermata in Roraima e che negli ultimi anni è cresciuta con il consenso del potere legislativo ed esecutivo, compresi i progetti di legge che cercano di ottenere validità e riconoscimento a questa pratica illegale.
Fratelli e sorelle, alla luce di questo affermiamo che "Tutto ciò che promuove o minaccia la vita riguarda la nostra missione di cristiani". Ogni volta che prendiamo posizioni su questioni sociali, economiche e politiche, lo facciamo per le esigenze del Vangelo. Non possiamo rimanere in silenzio quando la vita è minacciata, i diritti sono mancati, la giustizia è corrotta e la violenza è istigata". (Messaggio della 58a Assemblea Generale della CNBB al popolo brasiliano. Brasilia, 16 aprile 2021)
L'estrazione mineraria nelle terre indigene è un'attività illegale che non può essere coperta. Produce violenza contro persone e intere comunità, per non parlare dei danni alla nostra Casa Comune: si danneggia la terra, si distrugge la foresta e si contamina l'acqua che ci dà la vita. All'interno della Terra Indigena Yanomami si stima che ci siano circa venti mila persone coinvolte nell'attività mineraria. Chi c'è dietro l'estrazione? Chi si sta veramente arricchendo con distruzione, inquinamento e violenza? Chi è più interessato all'estrazione mineraria nelle terre indigene?
Come chiesa cattolica vogliamo ricordare che non è la prima volta che l'estrazione mineraria viene presentata come un illusorio progetto di futuro per la nostra regione di Roraima. Non è vero che il nostro futuro dipende da fiumi contaminati, zone disboscate, vite distrutte e genocidi. Come dice Papa Francesco, "che tipo di mondo vogliamo lasciare a coloro che ci succederanno?". (Laudato Si', 160).
L'omissione e la negligenza delle autorità è inaccettabile. La protezione dei territori indigeni è un obbligo costituzionale del governo federale, garantito anche da trattati e convenzioni internazionali (Convenzione 169 della Organizzazione internazionale del lavoro, Decreto americano sui diritti dei popoli indigeni, Decreto delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni). Da novembre 2018, cinque decisioni dei tribunali hanno chiesto la rimozione delle miniere illegali e la protezione della terra indigena Yanomami, ma finora si sono prodotti solo interventi puntuali che sono risultati inefficienti. Il governo del Brasile ha sistematicamente disatteso i suoi obblighi ed è diventato il complice principale della violenza, della depredazione e dell'illegalità. Pertanto, è urgente che le autorità garantiscano la protezione della vita e del territorio delle popolazioni indigene e agiscano per assicurare che le violenze siano investigate e rese note. Ogni persona che promuove la violenza, istiga all'odio e al degrado ambientale ferisce l'opera del Creatore.
Desidero rivolgermi ad ogni persona che vive nel nostro stato, a tutta la società di Roraima, perché è necessario che troviamo spazi di dialogo e percorsi per il futuro che non comportino la depredazione ambientale così come l’aggressione e la violenza contro i popoli indigeni e i loro territori.
Desidero manifestare, a nome della Diocesi di Roraima e in comunione con il Consiglio Missionario Indigeno (CIMI), la Pastorale Indigena e la Pastorale Sociale, la nostra profonda solidarietà con gli Yanomami e gli Ye'kwana, che abitano la terra indigena Yanomami, e con gli altri popoli indigeni di Roraima che stanno soffrendo a causa delle miniere: non siete soli, andiamo insieme! Riaffermiamo il nostro impegno a difendere i diritti dei poveri e la cura della nostra Casa comune in nome del Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo, che "è venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza" (Giovanni 10,10).
Che il Dio della vita e della speranza ci rafforzi per camminare mano nella mano sui sentieri della giustizia e della pace.
In portoghese vedi anche nella pagina della CNBB questo e in spagnolo questo nella pagina del CELAM
La regione congolese del Kivu è già uscita dai radar dei grandi media. Ma restano i problemi di sempre. Nelle miniere d’oro le donne rappresentano la categoria più bassa e discriminata della piramide estrattiva. Passano le giornate a setacciare la terra, a spaccare pietre, a trasportare sulle spalle fardelli pesantissimi. Sono oggetto di vessazioni insistenti. Spesso per lavorare sono costrette a negoziare l’accesso ai siti offrendo prestazioni sessuali. Alcune di loro, come Émilienne e Angélique, hanno organizzato il riscatto delle loro colleghe del Kivu, e hanno assunto il ruolo di paladine dei diritti calpestati delle minatrici
Il Myanmar si prepara ai due appuntamenti più importanti dell’anno che, nonostante le restrizioni per il Covid-19, si terranno con i tempi e i modi già decisi, anche se con alcune limitazioni: la quarta sessione della “Conferenza sulla pace di Panglong del 21°secolo”, come è stato intitolato il vertice che si terrà nella capitale Naypyidaw a metà agosto; e le elezioni legislative, in programma a novembre. La Conferenza di pace ha visto sostanzialmente diminuire il numero dei delegati, una misura accettata da tutti i partecipanti. Alla riunione, fissata dal 12 al 14 agosto prossimi, sono invitate tutte le entità, le organizzazioni e i gruppi che hanno combattuto contro il governo centrale e che, in gran parte, hanno aderito al processo di pace.
Centinaia di vedove si sono date appuntamento a Dodoma (Tanzania) per chiedere maggiori diritti. Secondo molte culture tradizionali dell’Africa orientale, una vedova non è in grado di ereditare le proprietà del marito defunto. In altre, le vedove sono costrette a sposare il fratello del defunto marito. Obblighi che le donne non sono più disposte ad accettare.
All’incontro, organizzato dall’organizzazione non governativa Amazing Grace, hanno partecipato anche vedove di Paesi vicini come Kenya, Uganda e Malawi.
«Alcune delle sfide che le vedove devono affrontare includono intimidazioni e la stigmatizzazione da parte della famiglia del defunto marito», ha dichiarato alla Bbc Swahili Beatrice Mwinuka, che ha organizzato il simposio.