Accoglienza per bambini e medicinali per malati
Padre Luca Bovio, missionario della Consolata in Polonia, ha compiuto diversi viaggi nel Paese in conflitto dall’inizio dell’invasione russa. Ogni volta per portare tutto l’aiuto che gli è possibile, anche grazie alla generosità di molti amici della Consolata.
A inizio novembre è stato a Fastow, vicino alla capitale Kiev, e a Kherson, sul fronte Sud della guerra.
«Ti auguro la pace dal cielo», è il saluto che spesso ci si scambia in Ucraina salutandosi alla fine di un incontro.
È un augurio con un significato concreto: ti auguro che nessun missile o drone cada dal cielo. In tempo di guerra, è un augurio essenziale.
Ma è anche un’invocazione: il Signore che sta nei cieli ci aiuti ad avere la pace.
Dal marzo 2022, quando compimmo il nostro primo viaggio nell’Ucraina invasa dalla Russia, siamo tornati nel Paese diverse volte. I Missionari della Consolata e la Chiesa polacca non smettono di portare il loro aiuto alle popolazioni colpite dal conflitto.
Charkiv. Nelle cantine della città, trasformate in rifugi sotterranei a causa dei bombardamenti. Novembre 2022.
In questi ultimi mesi siamo tornati in Ucraina diverse volte. L’ultima pochi giorni fa. Un viaggio iniziato nella comunità dei Domenicani a Fastow, non lontano dalla capitale Kiev, proseguito a sud fino alla città di Kherson e conclusosi con il ritorno a Kiev.
A Fastow c’è una vivace comunità di Domenicani impegnati non solo nel guidare la parrocchia locale e alcune chiese limitrofe, ma anche, con l’aiuto di numerosi volontari, in molte opere sociali.
Tra queste, l’accoglienza di bambini che qui possono stare sotto un tetto sicuro e caldo, e ricevere istruzione.
Poco lontano è stato aperto un centro di riabilitazione con una nuova cappella benedetta domenica 3 novembre dal Nunzio apostolico.
Don Massimo, parroco di Kherson, mostra i segni lasciati dagli attacchi dei russi.
Dopo aver partecipato alla giornata di festa, allietata anche da diversi cori, tra cui un coro di giovani non autosufficienti e un gruppo musicale di soldati, ci siamo diretti ancora una volta nella città di Kherson, posta a sud del Paese, sulla riva occidentale del fiume Dniepr.
In questi giorni la città celebra il secondo anniversario della liberazione, avvenuta l’11 novembre del 2022, quando, dopo una breve occupazione russa, è ritornata sotto il controllo ucraino.
Padre Luca Bovio (il primo a sinistra) una famiglia di Słoneczne che prende l’acqua.
Da quel momento non si può dire che la città viva in pace, anzi di fatto è un fronte di prima linea. Il fiume, in questo momento, determina il confine naturale tra i due eserciti: gli ucraini a ovest, i russi a est.
Le condizioni di vita in questo luogo sono difficili a motivo dei continui lanci che da una sponda all’altra si scambiano gli eserciti giorno e notte.
Fumo dopo un bombardamento.
La città che contava quasi 300mila abitanti prima dell’invasione, si è vista ridotta a 30mila. Oggi si assiste a un timido ritorno, e oggi si calcola che in città vivano circa 70mila abitanti. Alcuni, infatti, nonostante il pericolo, hanno deciso di tornare non avendo la possibilità di vivere per un lungo periodo da altre parti.
Don Massimo con il suo vicario, anche lui don Massimo, e un catechista che vive con loro, Sergio, stanno nell’unica parrocchia latino cattolica della città, dedicata al Sacratissimo Cuore di Gesù, posta non lontano dalla riva del fiume.
Sono impegnati a tenere viva la piccola comunità cristiana che ogni giorno si ritrova nella chiesa per celebrare la santa Messa, ma anche nel distribuire aiuti umanitari.
Don Massimo nella sua parrocchia dedicara al sacro Cuore a Kherson.
Don Massimo si reca quasi ogni giorno nei villaggi attorno alla città per portare acqua potabile. Qui l’acqua è abbondante nel sottosuolo, tuttavia, a motivo della guerra, le falde sono inquinate. Le esplosioni di magazzini di fertilizzanti usati dai contadini hanno causato un doppio danno: la perdita dei concimi e l’inquinamento delle falde.
La fonte di acqua che si trova sotto la parrocchia è ancora pura, e con essa viene riempita una cisterna di 1000 litri che va settimanalmente nei villaggi.
Al mattino, passando i vari check point dei militari, arriviamo nel piccolo villaggio di Sloneczne dove lasciamo la cisterna.
Da Sloneczne ci dirigiamo verso la città e visitiamo la nuova lavanderia che i Domenicani hanno aperto affidandola ad alcune donne del posto.
Da poche settimane qui sono messe a disposizione 10 lavatrici e 10 asciugatrici dove chiunque, soldati compresi, possono gratuitamente lavare i panni.
Nel pomeriggio ritorniamo a visitare il piccolo ospedale di Bylozerka, per consegnare i medicinali che abbiamo portato.
Ritroviamo la giovane chirurga Natalia, l’unica rimasta a lavorare qui. È molto contenta di ricevere i medicinali che portiamo. Le condizioni di lavoro in questo piccolo ospedale che serve una grande regione, sono molto difficili. Ogni giorno il villaggio, e, a volte, l’ospedale stesso, sono colpiti dai droni o dall’artiglieria russi.
Ospedale di Bylozerka.
I segni delle esplosioni sono visibili. Tutte le finestre sono coperte con i sacchi di sabbia per attutire i colpi.
Delle quattro ambulanze disponibili prima della guerra, ne è rimasta una sola. Le altre sono state tutte distrutte.
Purtroppo, ha perso la vita anche una equipe medica che era a bordo di una di esse. Ultimamente è stata distrutta anche la caldaia dell’ospedale.
La caldaia (distrutta dai russi) dell’ospedale di Bylozerka.
I medicinali che consegniamo erano esauriti. Tra questi, ci racconta Natalia, mancano anche gli antidolorifici. L’incontro con lei è breve. La stessa dottoressa ci incoraggia a tornare in città perché fra poco calerà il sole e potrebbero di nuovo iniziare le esplosioni.
Una volta tornati, riusciamo a fare ancora una breve passeggiata nei dintorni della Parrocchia in una città completamente al buio. I parchi sono tutti chiusi, ed è pericoloso attraversarli. Tra le foglie abbondanti che coprono i giardini e i marciapiedi in questa stagione autunnale, sono mischiate alcune mine a forma di foglia lanciate dai droni, pericolose perché difficili da riconoscere.
Mercato di Kherson.
Notiamo la presenza di tanti cani randagi che girano per le strade deserte. Soprattutto nelle ore serali. È meglio evitarli. Il loro abbaiare è l’unico suono che si sente nel profondo silenzio di questa citta, alternato solo dai rumori degli spari che rimbombano da lontano.
Finita la visita a Kherson, torniamo a Kiev e da lì di nuovo in Polonia. Pensiamo che, nonostante la lunghezza del conflitto e la stanchezza che tutti sentiamo di avere, in primis coloro che abitano in Ucraina, la situazione richiede ancora molta preghiera e molto aiuto. E affidiamo questo Paese all’intercessione del nostro santo fondatore Giuseppe Allamano.
Padre Luca Bovio, IMC, in Polonia. Originalmente pubblicato in: www.rivistamissioniconsolata.it
Nel primo discorso presso il Centro Congressi di Trieste, Francesco sottolinea che “l’indifferenza è un cancro della democrazia”, forte l’invito alla partecipazione che va allenata – afferma il Papa - con solidarietà e sussidiarietà perché la fraternità fa fiorire i rapporti sociali. Preoccupa l'astensionismo elettorale
È un discorso sottolineato da molti applausi quello che Papa Francesco rivolge ai partecipanti alla 50.ma Settimana sociale dei cattolici sul tema: “Al cuore della democrazia. Partecipazione tra storia e futuro” che si chiude in questa domenica, 7 luglio, a Trieste. Giunto poco prima delle 8 nella città di frontiera tra l’Italia e i Balcani, il Pontefice intreccia il suo discorso con il ricordo personale, parlando del nonno che aveva combattuto sul Piave e che per primo gli aveva fatto conoscere Trieste.
Francesco si sofferma poi sulla parola “cuore” che declina accanto al termine “democrazia” e citando il Beato Giuseppe Toniolo la lega al bene comune.
È evidente che nel mondo di oggi la democrazia non gode di buona salute. Questo ci interessa e ci preoccupa, perché è in gioco il bene dell’uomo, e niente di ciò che è umano può esserci estraneo.
Da qui l’appello ad una assunzione di responsabilità per “costruire qualcosa di buono nel nostro tempo”, dando “attenzione alla gente che resta fuori o ai margini dei processi”.
Ricordando la Nota Pastorale con cui nel 1988 la Chiesa italiana ha ripristinato le Settimane sociali, il Papa sottolinea la concordanza con la visione promossa dalla Dottrina Sociale della Chiesa, che guarda alle “dimensioni dell’impegno cristiano" e ad "una lettura evangelica dei fenomeni sociali” non solo per l’Italia ma per l’intera società umana.
Così come la crisi della democrazia è trasversale a diverse realtà e Nazioni, allo stesso modo l’atteggiamento della responsabilità nei confronti delle trasformazioni sociali è una chiamata rivolta a tutti i cristiani, ovunque essi si trovino a vivere e ad operare, in ogni parte del mondo.
La crisi della democrazia è vista dal Papa come un cuore ferito. "Costruzione e intelligenza" mostrano un cuore “infartuato” ma preoccupano le diverse forme di esclusione sociale.
Ogni volta che qualcuno è emarginato, tutto il corpo sociale soffre. La cultura dello scarto disegna una città dove non c’è posto per i poveri, i nascituri, le persone fragili, i malati, i bambini, le donne, i giovani, i vecchi. Questa è la cultura dello scarto. Il potere diventa autoreferenziale, - è una malattia brutta questa - incapace di ascolto e di servizio alle persone.
Ricordando le parole di Aldo Moro per cui lo Stato è democratico se a servizio dell’uomo, Francesco sottolinea come la democrazia è tale se ci sono le condizioni per esprimersi e partecipare.
Nel frattempo a me preoccupa il numero ridotto della gente che è andata a votare. Cosa significa quello? Non è il voto del popolo solamente ma esige che si creino le condizioni perchè tutti si possano esprimere e possano partecipare.
“La partecipazione – afferma il Papa - non si improvvisa: si impara da ragazzi, da giovani, e va ‘allenata’, anche al senso critico rispetto alle tentazioni ideologiche e populistiche”. Il Papa insiste poi sull’apporto che il cristianesimo può dare allo sviluppo culturale e sociale europeo nell’ambito di una corretta relazione fra religione e società:
…promuovendo un dialogo fecondo con la comunità civile e con le istituzioni politiche perché, illuminandoci a vicenda e liberandoci dalle scorie dell’ideologia, possiamo avviare una riflessione comune in special modo sui temi legati alla vita umana e alla dignità della persona. Le ideologie sono seduttrici. Qualcuno le comparava come a quello che a Hamelin suonava il flauto; seducono, ma ti portano a negarti.
In ascolto di Papa Francesco
Fecondi restano i principi di solidarietà e di sussidiarietà. “La democrazia richiede sempre il passaggio dal parteggiare al partecipare, dal ‘fare il tifo’ al dialogare”. "Ogni persona ha un valore; ogni persona è importante".
Tutti devono sentirsi parte di un progetto di comunità; nessuno deve sentirsi inutile. Certe forme di assistenzialismo che non riconoscono la dignità delle persone ...Mi fermo alla parola assistenzialismo. L’assistenzialismo, soltanto così, è nemico della democrazia e è nemico dell’amore al prossimo. E certe forme di assistenzialismo che non riconoscono la dignità delle persone sono ipocrisia sociale. Non dimentichiamo questo. E cosa c’è dietro questo prendere distanze dalla realtà sociale? C’è l’indifferenza, e l’indifferenza è un cancro della democrazia, un non partecipare.
Papa Francesco, parlando del cuore risanato, elenca numerosi esempi di segni dell’azione dello Spirito Santo che sono espressione di creatività. Ricorda, ad esempio, chi assume nella propria attività una persona con disabilità o le comunità energetiche rinnovabili che promuovono l’ecologia integrale. "Tutte queste cose - afferma - non entrano in una politica senza partecipazione. Il cuore della politica è fare partecipe. E queste sono le cose che fa la partecipazione, un prendersi cura del tutto; non solo la beneficenza, prendersi cura di questo …, no: del tutto!".
La fraternità fa fiorire i rapporti sociali; e d’altra parte il prendersi cura gli uni degli altri richiede il coraggio di pensarsi come popolo…In effetti, «è molto difficile progettare qualcosa di grande a lungo termine se non si ottiene che diventi un sogno collettivo». Una democrazia dal cuore risanato continua a coltivare sogni per il futuro, mette in gioco, chiama al coinvolgimento personale e comunitario. Sognare il futuro. Non avere paura di quello.
L’esortazione del Papa è a non cercare soluzioni facili, ma ad appassionarsi al bene comune e come cristiani “avere il coraggio di fare proposte di giustizia e di pace nel dibattito pubblico”.
Ci spetta il compito di non manipolare la parola democrazia né di deformarla con titoli vuoti di contenuto, capaci di giustificare qualsiasi azione. La democrazia non è una scatola vuota, ma è legata ai valori della persona, della fraternità e anche dell’ecologia integrale.
I cattolici, sottolinea Francesco, non devono accontentarsi di "una fede marginale o privata", hanno qualcosa da dire, “non per difendere i privilegi”, ma perché devono essere “voce che denuncia e che propone in una società spesso afona e dove troppi non hanno voce”, agendo senza la pretesa di essere ascoltati ma avendo “il coraggio di fare proposte di giustizia e di pace nel dibattito pubblico”. “Questo – afferma il Papa - è l’amore politico, che non si accontenta di curare gli effetti ma cerca di affrontare le cause”. "Una forma di carità che permette alla politica di essere all’altezza delle sue responsabilità e di uscire dalle polarizzazioni".
Formiamoci a questo amore, per metterlo in circolo in un mondo che è a corto di passione civile. Impariamo sempre più e meglio a camminare insieme come popolo di Dio, per essere lievito di partecipazione in mezzo al popolo di cui facciamo parte. E questa è una cosa importante nel nostro agire politico, anche dei pastori nostri: conoscere il popolo, avvicinarsi al popolo. Un politico può essere come un pastore che va davanti al popolo, in mezzo al popolo e dietro al popolo. Davanti al popolo per segnalare un po’ il cammino; in mezzo al popolo, per avere il fiuto del popolo. Un politico che non abbia il fiuto del popolo, è un teorico.
Papa Francesco accanto a monsignor Renna, Presidente del Comitato Scientifico e Organizzatore delle Settimane Sociali
In conclusione l’invito del Papa al laicato cattolico italiano, sull’esempio di Giorgio la Pira, è quello di alimentare progetti di buona politica che possono far rinascere la speranza. Francesco indica un orizzonte di lavoro, guardando al prossimo Giubileo, invitando a promuovere iniziative di formazione politica e sociale dei giovani, prevedendo luoghi di confronto e di dialogo e favorendo sinergie per il bene comune.
Non smettiamo mai di alimentare la fiducia, certi che il tempo è superiore allo spazio... Tante volte pensiamo che il lavoro politico è prendere spazi, no! È scommettere sul tempo, avviare processi, non prendere luoghi. Il tempo è superiore allo spazio e non dimentichiamo che avviare processi è più saggio di occupare spazi. Io mi raccomando che voi nella vostra vita sociale, abbiate il coraggio di avviare processi, sempre. È la creatività e anche è la legge della vita. Una donna quando fa nascere un figlio, incomincia a avviare un processo e lo accompagna. Anche noi nella politica dobbiamo fare lo stesso.
“Vi benedico – conclude il Papa - e vi auguro di essere artigiani di democrazia e testimoni contagiosi di partecipazione”.
Questo è il ruolo della Chiesa: coinvolgere nella speranza, perché senza di essa si amministra il presente ma non si costruisce il futuro. Senza speranza, saremmo amministratori, equilibristi del presente e non profeti e costruttori del futuro.
* Benedetta Capelli – Città del Vaticano. Originalmente pubblicato in: www.vaticannews.va
Sabato 16 marzo la parrocchia di San Martin de Porres nella diocesi di Buenaventura, in Colombia, ha inaugurato una cucina comunitaria. Alla cerimonia hanno partecipato il vescovo di Buenaventura, monsignor Rubén Darío Jaramillo Montoya, padre Venancio Mwangi, superiore regionale della Colombia, padre Carlos José Marulanda Osorio, amministratore regionale della Colombia, padre Leonel Narváez, direttore della fondazione “Perdón y Reconciliación”, padre Lawrence Ssimbwa, parroco di San Martin de Porres, i gesuiti, la Fondazione “Aguadulce” e altri.
È importante ricordare che questo servizio, vincolato alla parrocchia, è iniziato già nel 2020, come risposta alle emergenze della pandemia di Covid19 che ha paralizzato buona parte delle attività economiche dei parrocchiani di San Martin de Porres; in quel periodo la fame e la violenza nel territorio della parrocchia e nella città di Buenaventura era aumentato notevolmente.
Vedendo la sofferenza della gente per la mancanza di cibo, la parrocchia decise di avviare una mensa per i poveri, soprattutto il sabato, donando cibo a circa 200 persone. Con il sostegno del governo provinciale e del banco alimentare della diocesi di Buenaventura, la mensa è stata in grado di fornire cibo ogni giorno, dal lunedì al venerdì, a 300 persone. Nel 2024 il servizio mensa compirà quattro anni, e si è tradotto in azioni di consolazione per le persone e le famiglie vulnerabili della nostra città.
L'evangelizzazione e la promozione umana integrale sono caratteristiche dei Missionari della Consolata oltre che un'eredità ricevuta dal Beato Giuseppe Allamano, loro Padre e Fondatore.
L'infrastruttura della mensa comunitaria di San Martin de Porres era molto povera: inizialmente la sala da pranzo era all'aperto e in seguito è stata costruita una struttura leggera per proteggere alcuni elementi della cucina. Invece l’infrastruttura della sala da pranzo era inadeguata e impresentabile.
Il sogno di avere una nuova infrastruttura è diventata realtà grazie ai missionari della Consolata, in particolare padre Venancio Mwangi, superiore regionale della Colombia, e padre Leonel Narvaez, direttore della Fondazione per il Perdono e la Riconciliazione. Hanno presentato alla parrocchia il signor Carlos Umaña, che ha contribuito enormemente alla costruzione del refettorio comunitario. Non solo ha costruito l'edificio, ma ha anche fornito gli elementi necessari per la cucina.
Per i missionari della Consolata che lavorano a Buenaventura, la nuova sala da pranzo servirà da supporto per l'evangelizzazione e la promozione umana integrale della popolazione. Servirà anche a costruire la pace e la riconciliazione nel territorio.
* Padre Lawrence Ssimbwa, IMC, parroco di San Martin de Porres a Buenaventura, Colombia.
Il 24 marzo si celebrerà nella Chiesa italiana la 32esima edizione della Giornata di preghiera e digiuno in memoria dei missionari martiri, appuntamento istituito nel 1993 dal Movimento Giovanile Missionario della direzione nazionale italiana delle Pontificie Opere Missionarie.
Quest’anno lo slogan scelto da Missio Giovani (settore della Fondazione Missio che si occupa dell’animazione di quest’iniziativa) è “Un cuore che arde”, espressione che riprende il tema della Giornata missionaria mondiale dell’ottobre scorso. Il riferimento è al brano dei discepoli di Emmaus che ha guidato la riflessione durante lo scorso Ottobre missionario.
Per celebrare questa Giornata sono disponibili vari materiali prodotti da Missio. Qui è possibile visionarli e scaricarli.
In occasione della Giornata dei Missionari Martiri 2024, Missio, organismo pastorale della Conferenza Episcopale Italiana, presenta il progetto "Accoglienza Migranti Oujda" – A.M.O. gestito dai Missionari della Consolata per far fronte alla situazione di estrema vulnerabilità in cui si trovano giovani, donne e minori che hanno appena varcato il confine.
Presenti nella diocesi di Rabat dal 2021, i Missionari della Consolata lavorano nella parrocchia San Luigi che accoglie persone migranti che attraversano la frontiera tra Algeria e Marocco nel progetto chiamato "Accoglienza Migranti Oujda" - A.M.O.
I giovani, le donne e i minori, accompagnati o non accompagnati, arrivano al Centro di accoglienza in condizioni davvero fisiche e psicologiche estreme. Attraversano il confine, chiuso al transito delle persone, nascosti in nascondigli a cielo aperto, fino al momento opportuno.
Il periodo più favorevole è l'inverno, quando il freddo e le tempeste di sabbia rendono più debole il controllo della polizia. Questo genera casi di ipotermia, disidratazione e stress estremo. A ciò bisogna aggiungere che l'attraversamento degli ostacoli presenti sulla linea di confine (recinzioni, fossati, inseguimenti della polizia), provoca molteplici problemi traumatici, talvolta dovuti anche alla violenza degli agenti di frontiera. Oltre alle problematiche fisiche, i migranti arrivano in preda a seri problemi psicologici a causa degli stress vissuti durante la traversata. Le donne, durante il viaggio, subiscono ogni tipo di abuso e stupro. Una percentuale molto alta è incinta o viaggia con bambini molto piccoli.
In questo contesto drammatico, otto anni fa fu creato il progetto A.M.O. mettendo a disposizione i locali della parrocchia San Luigi, facendola diventare un vero e proprio Centro di accoglienza.
Quando le persone arrivano, viene loro consegnato un kit igienico (materiale per lavarsi) e un kit di indumenti, viene offerta loro una doccia calda e un posto dove riposare. Successivamente iniziano le pratiche di registrazione. Poiché i posti sono molto limitati, è stabilito che venga data priorità a coloro che necessitano di assistenza medica urgente come donne e minori.
L'équipe di lavoro che coordina l'A.M.O. è composta dai Missionari della Consolata, (P. Francesco Giuliani, P. Patrick Osaleh Mandondo e il P. Edwin Duyani), due suore che si prendono cura delle donne e dell'educazione, un membro della chiesa protestante che coordina il centro con i cattolici, diventando così un centro ecumenico, due giovani residenti che si occupano dell'accoglienza dei nuovi arrivati e dell'organizzazione tecnica nel Centro (manutenzione, cucina, pulizia, ecc.), un giovane residente che si occupa dell'amministrazione interna e due medici.
Per saperne di più sul progetto e su come effettuare una donazione, cliccate qui.
Aiutiamo i Missionari della Consolata ad aiutare, giovani, donne e bambini, nel loro difficile percorso migratorio, così potranno trovare uno spazio sicuro in cui fermarsi lungo il cammino verso un futuro più sereno. Dal punto di vista amministrativo noi calcoliamo che il Centro di accoglienza A.M.O. abbia bisogno di 15 € al giorno per migrante per potersi sostenere. Costo totale del Progetto € 10.000.
COME DONARE
MODULO DI DONAZIONE ONLINE: www.missioitalia.it
BONIFICO BANCARIO: Missio - Pontificie Opere Missionarie IT03N0501803200000011155116 Banca Popolare Etica
BOLLETTINO POSTALE: Missio - Pontificie Opere Missionarie Via Aurelia 796 00165 Roma - CCP n° 63062855
CAUSALE: Progetto 95 – MAROCCO
Fonte: MISSIO - organismo pastorale della Conferenza Episcopale Italiana
"Non si tratta più del Paese e della sua leadership, ma del popolo del Sud Sudan che sta lentamente morendo", afferma il vescovo Eduardo Hiiboro Kussala della diocesi di Tombura Yambio ribadendo che la situazione è disastrosa e richiede quindi un intervento urgente.
In una dichiarazione dell'8 marzo, citata dall'agenzia CISA, il vescovo Kussala, in qualità di presidente della Commissione per lo Sviluppo Umano Integrale della Conferenza Episcopale del Sudan e del Sud Sudan (SSSCBC), fa appello all'assistenza umanitaria della comunità internazionale, delle persone di buona volontà e delle reti Caritas per alleviare le sofferenze della popolazione del Sud Sudan, che, a suo dire, è “sull'orlo della miseria”.
Monsignor Eduardo Kussala ha precisato che la popolazione sta soffrendo a causa di emergenze e sfide complesse, tra cui la fame, le inondazioni, la siccità e l'insicurezza crescente in alcune parti del Paese, aggravata da un'economia fragile e prossima al collasso.
"Il nostro popolo continua a subire gli effetti di emergenze complesse che si stanno ancora verificando in molte parti del Paese, comprese quelle che in precedenza erano in una situazione considerata normale. Di conseguenza, il numero di sfollati interni che vivono in condizioni deplorevoli e muoiono di fame è aumentato enormemente in tutto il Paese, e i più colpiti sono le donne, i bambini, gli anziani e le persone con disabilità", sottolinea il vescovo.
Mons. Eduardo Hiiboro Kussala, vescovo di Tombura-Yambio nel Sud Sudan. Foto: Vatican Media
"Quelli che vivono ancora nelle loro case rischiano di morire di fame, poiché la maggior parte di loro ha dovuto, abbandonare le proprie fonti di sostentamento nel tentativo di salvarsi la vita. La maggior parte dei bambini che frequentano la scuola ha dovuto abbandonarla a causa dell'insicurezza e della paura di essere reclutati con la forza per servire come soldati nei conflitti", osserva. Questa triste realtà ha portato a un aumento del numero di bambini non scolarizzati che si sono dati alla strada per sopravvivere.
"Non si tratta più del Paese e della sua leadership, ma del popolo del Sud Sudan che sta lentamente morendo. A meno che non venga protetto da questi disastri, temiamo che il nostro popolo non sopravviverà, soprattutto perché la maggior parte della popolazione (64%) è costituita da giovani indifesi che non hanno alcuna fonte di reddito, mentre la maggior parte del restante 36% è costituita da persone anziane. La situazione è disastrosa e necessita quindi di un intervento urgente", ha dichiarato.
"Esorto ciascuno di voi” afferma il vescovo della diocesi di Tombura Yambio facendo appelo alle grandi organizzazioni internazionali, “a usare questa opportunità per mettere in pratica le visioni e missioni proprie delle vostre organizzazioni che affermano come proprio compito di mitigare la sofferenza umana nel mondo. Pensate alla madre sud sudanese che vede morire il suo bambino a causa della malnutrizione causata dalla fame, al giovane che muore in ospedale perché non ci sono medicine per curarlo, alla bambina di 9 anni che, per un pezzo di 'bambe' (patata), è costretta a vendere il suo corpo, e all'anziana emaciata che giace all'interno del suo sgabuzzino ma che aspetta che la morte porti via la sua sofferenza",
Fonte: CISA