Vogliamo sottolineare le parole del vescovo di Montreal (Canadà) che ha conferito un importante incarico pastorale a un nostro confratello missionario nella sua diocesi.
Cari collaboratori dell'Arcidiocesi di Montreal, sono lieto di annunciarvi che ho nominato padre Jean-Marie Bilwala Kabesa, IMC come Vicario episcopale per le comunità francofone dei quattro decanati occidentali della nostra diocesi.
Nelle ultime settimane il vescovo Marc Rivest, che ricopriva questo ruolo, ha dovuto lasciare l'incarico per essere più disponibile per la sua parrocchia.
Padre Jean-Marie Bilwala Kabesa è nato l'11 febbraio 1974 nella Repubblica Democratica del Congo (Kinshasa). Si è unito ai Missionari della Consolata nel 1993, ha emesso i voti religiosi nel 1999 a Maputo, in Mozambico, ed è stato ordinato sacerdote il 20 luglio 2003 a Kinshasa.
Padre Jean-Marie ha prestato servizio in Etiopia (2003-2010) come parroco di Wonji, una città semiarida dell'Etiopia centrale, coordinando progetti umanitari in collaborazione con il Catholic Relief Services. Ha lavorato a stretto contatto con gli agricoltori locali, seguendo la realizzazione di progetti di carattere sociale.
In Quebec, padre Jean-Marie è stato direttore del centro di animazione missionaria dei Missionari della Consolata "Hall Notre-Dame", direttore della rivista "Réveil Missionnaire" e animatore pastorale della scuola Augustin Roscelli.
Dal 2016 al 2019 è stato direttore diocesano delle Pontificie Opere Missionarie per l'arcidiocesi di Montreal.
Attualmente è ospite occasionale di Maria-Montréal, una radio cattolica in lingua italiana, membro del Consiglio di amministrazione delle Pontificie Opere Missionarie nel Canada francofono e, dal 2020, amministratore della parrocchia di Saint-Jean-Bosco dove continuerà a prestare servizio.
Oltre al baccellierato in filosofia e teologia (Pontificia Università Urbaniana), padre Jean-Marie ha conseguito un master in comunicazione e giornalismo (Daystar University, Kenya-USA) e un master in salute e spiritualità (Université de Montréal). Vorrei ringraziare padre Jean-Marie e augurargli ogni successo nel suo nuovo ruolo all'interno della nostra archidiocesi. Che Dio vi benedica, vi riempia della sua luce e vi custodisca nella sua pace.
*Christian Lépine è Arcivescovo di Montreal
Il gruppo dei Giovani Missionari della Consolata della Missione di Nzinje in Mozambico, è stato per noi missionari l’occasione di un nuovo inizio, una rinascita, una luce dentro e dopo l'esperienza dolorosa e oscura della pandemia. Il 23 marzo 2020 il governo del Mozambico aveva chiuso tutti i luoghi pubblici e religiosi come misura per contrastare l'estendersi della pandemia di Covid19. Sono stati cinque mesi di paura, dolore, dubbi per non sapersi opportunamente prevenire; abbiamo vissuto la morte di amici, familiari e conoscenti.
In tempi di crisi come quella il popolo trova consolazione nella sua dimensione spirituale e religiosa, si avvicina ai luoghi di culto e di devozione popolare, ma anche quella possibilità era stata negata dal diffondersi dalla pandemia.
Eppure Dio si rivela in ogni momento e in ogni tempo attraverso il suo Spirito che ci illumina e ci mostra le vie per rinascere: dobbiamo essere attenti e disponibili perché la sua grazia ci spinga avanti con nuove idee, nuovi progetti che diano sapore e ricchezza alla dinamica missionaria. I primi cinque mesi di reclusione ci hanno portato a pensare, interrogarci e riflettere: dopo tutto questo che è successo, che novità porteremo alla missione? Come rinascere?
Abbiamo iniziato la nuova esperienza con 23 giovani che venivano da un cammino fatto nell'infanzia e nell'adolescenza missionaria, tra i 15 e i 18 anni. Siamo partiti da una più profonda formazione cristiana, e abbiamo anche voluto dare un’impronta Allamaniana e Consolatina. Non si trattava solo di conoscere il carisma, ma anche viverlo e condividerlo con altri giovani, dando alla parrocchia un nuovo slancio dinamico e giovanile.
Dopo nove mesi di formazione settimanale il giorno della festa della Consolata del 2021 nella Chiesa delle Rocce del Santuario della Consolata di Massangulo, e con la benedizione del Vescovo della Diocesi di Lichinga, Mons. Atanasio Amisse Canira, nasce questa nuova luce, il primo gruppo giovanile di spiritualità consolatina della Regione del Mozambico.
La spiritualità allamaniana li ha portati a vivere uno spirito di famiglia in cui ciascuno si sente fratello contribuendo con la propria ricchezza umana e cristiana. Hanno un profilo definito nel loro manuale e una metodologia missionaria: settimanalmente fanno un incontro formativo il sabato pomeriggio; il mercoledì animano la messa con canti e letture; collaborano con lavori manuali in parrocchia ogni sabato mattina e mensilmente, nei quartieri della parrocchia, visitano i malati e aiutano qualche famiglia povera e bisognosa.
Questo gruppo è nato con 23 giovani e oggi, solo nella sede della parrocchia, sono 56; poi ci sono antri due gruppi in due comunità, tutti formati e accompagnati da loro stessi, raggiungendo in soli due anni il numero di 87 giovani che vivono e condividono il nostro meraviglioso carisma.
Non importa quanto siano difficili i tempi, non importa quanto siano bui i momenti, la luce della risurrezione e la forza dinamica del fuoco di Pentecoste saranno sempre più forti. Dobbiamo aprirci alla grazia di Dio che si rivela a noi e ci illumina in ogni momento. Il nostro carisma e il nostro modo di essere nella missione sono fonte di salvezza per le generazioni presenti e future.
Il 28 novembre 2021 rimarrà sempre una data significativa e storica per l'arcidiocesi di Feira de Santana, nello stato di Bahia (Brasile) e per i Missionari della Consolata: in quel giorno fu creata la parrocchia di São Roque, la prima parrocchia "quilombola" del Brasile.
Nel quilombo Matinha dos Pretos, fedeli di varie parrocchie si sono riuniti per assistere alla creazione ufficiale della parrocchia di São Roque, la prima parrocchia con sede in un quilombo e con un'attenzione particolare per i suoi abitanti e le loro battaglie. Per questo motivo la nuova parrocchia si chiama già “Quilombola”.
Questa presenza è una manifestazione dell'impegno della Chiesa nei confronti delle popolazioni emarginate e oppresse. Il Dio cristiano, che la Chiesa proclama, è un Dio che vede, non un Dio cieco; un Dio che ascolta, non un Dio sordo e, come dice il libro dell'Esodo, ascolta il grido del suo popolo e scende per liberarlo (cfr. Esodo 3,7-8). Per questo motivo la missione della Chiesa, discepola di un Dio che si preoccupa in modo particolare della vita minacciata, avrà un'attenzione speciale per tutti gli oppressi.
Chiesa parrocchiale della parrocchia di Quilombola São Roque da Matinha. Foto: Jaime C. Patias
In Brasile la parola "Quilombo" non è una parola che si sente con frequenza, forse per disinteresse o perché dietro c'è un gruppo oppresso che, il più delle volte se non tutte, non attira l'attenzione degli altri. Eppure la storia del quilombo è ormai più che centenaria: affonda le sue origini nell'epoca della schiavitù e continua a esistere ancora oggi. Evidentemente i quilombo storici del 1700 non sono gli stessi di oggi, ma un elemento che si conserva in tutta l’esistenza di queste comunità è la lotta.
In origine erano “la dimora che gli schiavi fuggitivi cercavano in luoghi disabitati e di difficile accesso con il fine di liberarsi dalle condizioni disumane in cui vivevano”. In quei luoghi, dove riuscivano ad evadere ricerca e persecuzione, potevano diventare forti, vivere liberi e indipendenti, e spesso costruivano comunità umane fondate sulle antiche culture originarie africane liberandosi così da ogni forma di oppressione.
Oggi i quilombo sono ancora luoghi simbolici per la popolazione nera del Brasile e incarnano i lunghi anni di resistenza contro l’oppressione e la discriminazione. Anche se, evidentemente, i quilombo di oggi non sono costituiti da "fuggitivi", in molti di essi le situazioni precarie che si mantengono –sono comuni le carenze di servizi come sanitari, educativi e di trasporto– parlano ancora di schiavitù moderna e di situazioni di inferiorità contro le quali è necessario rimanere vigili.
La schiavitù è un’istituzione che appartiene alla storia del Brasile, ma in realtà le condizioni di vita della popolazione afroamericana ci ricorda che queste persone continuano a soffrire le conseguenze della schiavitù e continuano a essere molto spesso un popolo senza diritti.
Il parroco, padre Luiz Antônio de Brito, con il decreto di creazione della prima parrocchia di Quilombola in Brasile. Foto: Parrocchia di São Roque da Matinha
La Chiesa, che il Concilio Vaticano II considera il sacramento universale della salvezza, con la sua presenza in questa comunità vuole aiutare a ricordare che questa salvezza non è semplicemente una "salvezza dell'anima", una cosa per la vita eterna, ma risponde alle esigenze dell’uomo nel suo complesso e nella sua concretezza storica.
Fu Gesù stesso che, cominciando il suo ministero pubblico, affermò che l'avvento del Regno era una buona notizia che aveva come destinatari principali i poveri. “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio” (Lc 4,17-19).
In questo quilombo, come chiesa e come Missionari della Consolata, vogliamo rendere presente il Regno di Dio, non con discorsi, ma con l'impegno nei confronti dei nostri fratelli. La luce che ci viene da Cristo liberatore ci aiuta a costruire il suo progetto: un Regno di uguaglianza, fraternità, pace e amore. Tutto questo, che sta alla basa della nostra missione, si traduce quindi in un umile accompagnamento della lotta per i propri diritti del popolo “Quilombola”.
* Il diacono Wilson Gervace Mtali, IMC, originario della Tanzania, ha studiato teologia a San Paolo e ha svolto attività pastorale nella parrocchia di São Roque da Matinha, a Bahia.