“Permettetemi di raccontarvi il mio sogno”, ha detto il Papa ai partecipanti all’Assemblea plenaria del Dicastero per la Comunicazione, ricevuti in udienza nella Sala Clementina il 31 ottobre.
“Sogno una comunicazione che riesca a connettere persone e culture – le parole di Francesco -. Sogno una comunicazione capace di raccontare e valorizzare storie e testimonianze che accadono in ogni angolo del mondo, mettendole in circolo e offrendole a tutti. Per questo sono contento di sapere che – nonostante le difficoltà economiche e l’esigenza di ridurre le spese – vi siete ingegnati per aumentare l’offerta delle oltre cinquanta lingue con cui comunicano i media vaticani, aggiungendo le lingue Lingala, Mongola e Kannada”.
“Sogno una comunicazione fatta da cuore a cuore, lasciandoci coinvolgere da ciò che è umano, lasciandoci ferire dai drammi che vivono tanti nostri fratelli e sorelle”. Di qui l’invito ad uscire di più e ad osare di più.
Papa Francesco incontra i partecipanti all'Assemblea Plenaria del Dicastero per la Comunicazione
“Sogno una comunicazione che sappia andare oltre gli slogan e tenere accesi i riflettori sui poveri, sugli ultimi, sui migranti, sulle vittime della guerra. Una comunicazione che favorisca l’inclusione, il dialogo, la ricerca della pace – ha detto Francesco -. Quanta urgenza c’è di dare spazio agli operatori di pace! Non stancatevi di raccontare le loro testimonianze, in ogni parte del mondo”.
Dal Papa l’invito a non lasciarsi “assorbire dagli strumenti”, a non banalizzare e a non “surrogare” nell’incontro in rete “le relazioni umane”. Il Vangelo, ha sottolineato, “è storia di incontri, di gesti, di sguardi, di dialoghi per strada e a tavola. Sogno una comunicazione che sappia testimoniare oggi la bellezza degli incontri con la samaritana, con Nicodemo, con l’adultera, con il cieco Bartimeo…”
“Gesù, come ho scritto nella nuova Enciclica Dilexit nos, ‘presta tuttala sua attenzione alle persone, alle loro preoccupazioni, alle loro sofferenze’. Noi comunicatori siamo chiamati a fare lo stesso, perché incontrando l’amore, l’amore di Gesù, ‘diventiamo capaci di tessere legami fraterni, di riconoscere la dignità di ogni essere umano e di prenderci cura insieme della nostra Casa Comune”, sottolineò Papa Francesco.
“Dilexit nos”, la quarta Enciclica di Papa Francesco, ripercorre tradizione e attualità del pensiero “sull’amore umano e divino del cuore di Gesù Cristo”, invitando a rinnovare la sua autentica devozione per non dimenticare la tenerezza della fede, la gioia di mettersi al servizio e lo slancio della missione. È infatti nel Cuore di Cristo che “possiamo trovare tutto il Vangelo” (89) e “riconosciamo finalmente noi stessi e impariamo ad amare” (30).
Secondo Francesco, incontrando l’amore di Cristo, “diventiamo capaci di tessere legami fraterni, di riconoscere la dignità di ogni essere umano e di prenderci cura insieme della nostra casa comune”. L’auspicio è che il mondo, “che sopravvive tra le guerre, gli squilibri socioeconomici, il consumismo e l’uso anti-umano della tecnologia, possa recuperare ciò che è più importante e necessario: il cuore” (31).
Aperta da una breve introduzione e articolata in cinque capitoli, l’Enciclica sul culto del Sacro Cuore di Gesù raccoglie “le preziose riflessioni di testi magisteriali precedenti e di una lunga storia che risale alle Sacre Scritture, per riproporre oggi, a tutta la Chiesa, questo culto carico di bellezza spirituale”.
Il primo capitolo, “L’importanza del cuore”, spiega perché occorre “ritornare al cuore” in un mondo nel quale siamo tentati di “diventare consumisti insaziabili e schiavi degli ingranaggi di un mercato” (2). È il cuore “che unisce i frammenti” e rende possibile “qualsiasi legame autentico, perché una relazione che non è costruita con il cuore è incapace di superare la frammentazione dell’individualismo” (17). E il mondo può cambiare “a partire dal cuore” (28).
Il secondo capitolo si sofferma sui gesti e sulle parole d’amore di Cristo, mentre il terzo “Questo è il cuore che ha tanto amato” spiega come la Chiesa rifletta e abbia riflettuto “sul santo mistero del Cuore del Signore”. Il Papa sottolinea che “la devozione al Cuore di Cristo è essenziale per la nostra vita cristiana in quanto significa l’apertura piena di fede e di adorazione al mistero dell’amore divino e umano del Signore, tanto che possiamo affermare ancora una volta che il Sacro Cuore è una sintesi del Vangelo” (83). Di qui l’invito a rinnovare la devozione al Cuore di Cristo anche per contrastare “nuove manifestazioni di una ‘spiritualità senza carne’ che si moltiplicano nella società” (87). È necessario tornare alla “sintesi incarnata del Vangelo” (90) davanti a “comunità e pastori concentrati solo su attività esterne, riforme strutturali prive di Vangelo, organizzazioni ossessive, progetti mondani, riflessioni secolarizzate, su varie proposte presentate come requisiti che a volte si pretende di imporre a tutti” (88).
Negli ultimi due capitoli, il Pontefice mette in luce i due aspetti che “la devozione al Sacro Cuore dovrebbe tenere uniti per continuare a nutrirci e ad avvicinarci al Vangelo: l’esperienza spirituale personale e l’impegno comunitario e missionario” (91). Nel quarto, “L’amore che dà da bere”, rilegge le Sacre Scritture, e con i primi cristiani, riconosce Cristo e il suo costato aperto in “colui che hanno trafitto” che Dio riferisce a se stesso nella profezia del libro di Zaccaria. Diversi Padri della Chiesa hanno menzionato “la ferita del costato di Gesù come origine dell’acqua dello Spirito”, in primis Sant’Agostino, che “ha aperto la strada alla devozione al Sacro Cuore come luogo di incontro personale con il Signore” (103). Tra i devoti, l’Enciclica ricorda San Francesco di Sales, Santa Margherita Maria Alacoque, Santa Teresa di Lisieux, Santa Faustina Kowalska, San Giovanni Paolo II.
L’ultimo capitolo “Amore per amore” approfondisce la dimensione comunitaria, sociale e missionaria della devozione al Cuore di Cristo, che, nel momento in cui “ci conduce al Padre, ci invia ai fratelli” (163). L’amore per i fratelli è infatti il “gesto più grande che possiamo offrirgli per ricambiare amore per amore” (167), come ha testimoniato, ad esempio, San Charles de Foucauld.
Il testo si conclude con una preghiera di Francesco: “Prego il Signore Gesù che dal suo Cuore santo scorrano per tutti noi fiumi di acqua viva per guarire le ferite che ci infliggiamo, per rafforzare la nostra capacità di amare e servire, per spingerci a imparare a camminare insieme verso un mondo giusto, solidale e fraterno. Questo fino a quando celebreremo felicemente uniti il banchetto del Regno celeste. Lì ci sarà Cristo risorto, che armonizzerà tutte le nostre differenze con la luce che sgorga incessantemente dal suo Cuore aperto. Che sia sempre benedetto!” (220).
* Originalmente pubblicato in: www.chiesacattolica.it
Il Documento finale della seconda sessione del Sinodo, approvato integralmente dall'assemblea, racconta e rilancia un’esperienza di Chiesa tra “comunione, partecipazione, missione”, con la proposta concreta di una visione nuova che capovolge prassi consolidate
Il Documento finale votato oggi, approvato in tutti i suoi 155 paragrafi, viene pubblicato e non diventerà oggetto di un’esortazione del Papa: Francesco ha infatti deciso che sia subito diffuso perché possa ispirare la vita della Chiesa. “Il processo sinodale non si conclude con il termine dell’assemblea ma comprende la fase attuativa (9). Coinvolgendo tutti nel “quotidiano cammino con una metodologia sinodale di consultazione e discernimento, individuando modalità concrete e percorsi formativi per realizzare una tangibile conversione sinodale nelle varie realtà ecclesiali” (9).
Nel Documento, in particolare, ai vescovi si chiede molto riguardo l’impegno sulla trasparenza e sul rendere conto mentre – come affermato anche dal cardinale Férnandez, prefetto del Dicastero per la dottrina della fede – ci sono lavori incorso per dare più spazio e più potere alle donne.
Due parole-chiave che emergono dal testo – attraversato dalla prospettiva e dalla proposta della conversione - sono “relazioni” – che è un modo di essere Chiesa - e “legami”, nel segno dello “scambio di doni” tra le Chiese vissuto dinamicamente e, quindi, per convertire i processi. Proprio le Chiese locali sono al centro nell’orizzonte missionario che è il fondamento stesso dell’esperienza di pluralità della sinodalità, con tutte le strutture a servizio, appunto, della missione con il laicato sempre più al centro e protagonista. E, in questa prospettiva, la concretezza dell’essere radicati in “luogo” emerge con forza dal Documento finale. Particolarmente significativa anche la proposta presentata nel Documento per far sì che i Dicasteri della Santa Sede possano avviare una consultazione “prima di pubblicare documenti normativi importanti” (135).
Papa Francesco in chiusura del Sinodo dei Vescovi - XVII Congregazione Generale
Il Documento finale è formato da cinque parti (11). Alla prima - intitolata Il cuore della sinodalità – segue la seconda parte - Insieme, sulla barca di Pietro - “dedicata alla conversione delle relazioni che edificano la comunità cristiana e danno forma alla missione nell’intreccio di vocazioni, carismi e ministeri”. La terza parte – Sulla tua Parola – “identifica tre pratiche tra loro intimamente connesse: discernimento ecclesiale, processi decisionali, cultura della trasparenza, del rendiconto e della valutazione”. La quarta parte - Una pesca abbondante – “delinea il modo in cui è possibile coltivare in forme nuove lo scambio dei doni e l’intreccio dei legami che ci uniscono nella Chiesa, in un tempo in cui l’esperienza del radicamento in un luogo sta cambiano profondamente”. Infine, la quinta parte – Anch’io mando voi – “permette di guardare al primo passo da compiere: curare la formazione di tutti alla sinodalità missionaria”. In particolare, si fa notare, lo sviluppo del Documento è guidato dai racconti evangelici della Risurrezione (12).
L’Introduzione del Documento (1-12) mette subito in chiaro l’essenza del Sinodo come “esperienza rinnovata di quell’incontro con il Risorto che i discepoli hanno vissuto nel Cenacolo la sera di Pasqua” (1). “Contemplando il Risorto” – afferma il Documento – “abbiamo scorto anche i segni delle Sue ferite (…) che continuano a sanguinare nel corpo di tanti fratelli e sorelle, anche a causa delle nostre colpe. Lo sguardo sul Signore non allontana dai drammi della storia, ma apre gli occhi per riconoscere la sofferenza che ci circonda e ci penetra: i volti dei bambini terrorizzati dalla guerra, il pianto delle madri, i sogni infranti di tanti giovani, i profughi che affrontano viaggi terribili, le vittime dei cambiamenti climatici e delle ingiustizie sociali” (2). Il Sinodo, ricordando le “troppe guerre” in corso, si è unito ai “ripetuti appelli di papa Francesco per la pace, condannando la logica della violenza, dell’odio, della vendetta” (2). Inoltre, il cammino sinodale è marcatamente ecumenico – “orienta verso una piena e visibile unità dei cristiani” (4) - e “costituisce un vero atto di ulteriore recezione” del Concilio Vaticano II, prolungandone “l’ispirazione” e rilanciandone “per il mondo di oggi la forza profetica” (5). Non tutto è stato facile, si riconosce nel Documento: “Non ci nascondiamo di aver sperimentato in noi fatiche, resistenze al cambiamento e la tentazione di far prevalere le nostre idee sull’ascolto della Parola di Dio e sulla pratica del discernimento” (6).
La prima parte del Documento (13-48) si apre con le riflessioni condivise sulla “Chiesa Popolo di Dio, sacramento di unità” (15-20) e sulle “radici sacramentali del Popolo di Dio” (21-27). È un fatto che, proprio “grazie all’esperienza degli ultimi anni”, il significato dei termini “sinodalità” e “sinodale” sia “stato maggiormente compreso e più ancora vissuto” (28). E “sempre più essi sono stati associati al desiderio di una Chiesa più vicina alle persone e più relazionale, che sia casa e famiglia di Dio” (28). “In termini semplici e sintetici, si può dire che la sinodalità è un cammino di rinnovamento spirituale e di riforma strutturale per rendere la Chiesa più partecipativa e missionaria, per renderla cioè più capace di camminare con ogni uomo e ogni donna irradiando la luce di Cristo” (28). Nella consapevolezza che l’unità della Chiesa non è uniformità, “la valorizzazione dei contesti, delle culture e delle diversità, e delle relazioni tra di loro, è una chiave per crescere come Chiesa sinodale missionaria” (40). Con il rilancio delle relazioni anche con le altre tradizioni religiose in particolare “per costruire un mondo migliore” e in pace (41).
Un momento della meditazione
“La richiesta di una Chiesa più capace di nutrire le relazioni: con il Signore, tra uomini e donne, nelle famiglie, nelle comunità, tra tutti i cristiani, tra gruppi sociali, tra le religioni, con la creazione” (50) è la constatazione che apre la seconda parte del Documento (49-77). E “non è mancato anche chi ha condiviso la sofferenza di sentirsi escluso o giudicato” (50). “Per essere una Chiesa sinodale è dunque necessaria una vera conversione relazionale. Dobbiamo di nuovo imparare dal Vangelo che la cura delle relazioni e dei legami non è una strategia o lo strumento per una maggiore efficacia organizzativa, ma è il modo in cui Dio Padre si è rivelato in Gesù e nello Spirito” (50). Proprio “le ricorrenti espressioni di dolore e sofferenza da parte di donne di ogni regione e continente, sia laiche sia consacrate, durante il processo sinodale, rivelano quanto spesso non riusciamo a farlo” (52). In particolare, “la chiamata al rinnovamento delle relazioni nel Signore Gesù risuona nella pluralità dei contesti” legati “al pluralismo delle culture” con, a volte, anche “i segni di logiche relazionali distorte e talvolta opposte a quelle del Vangelo” (53). L’affondo è diretto: “Trovano radice in questa dinamica i mali che affliggono il nostro mondo” (54) ma “la chiusura più radicale e drammatica è quella nei confronti della stessa vita umana, che conduce allo scarto dei bambini, fin dal grembo materno, e degli anziani” (54).
“Carismi, vocazione e ministeri per la missione” (57-67) sono nel cuore del Documento che punta sulla più ampia partecipazione di laiche e laici. Il ministero ordinato è “a servizio dell’armonia” (68) e in particolare “il ministero del vescovo” è “comporre in unità i doni dello Spirito (69-71). Tra le diverse questioni si è rilevato che “la costituiva relazione del Vescovo con la Chiesa locale non appare oggi con sufficiente chiarezza nel caso dei Vescovi titolari, ad esempio i Rappresentanti pontifici e coloro che prestano servizio nella Curia Romana”. Con il vescovo vi ci sono “presbiteri e diaconi” (72-73), per una “collaborazione fra i ministri ordinati all’interno della Chiesa sinodale” (74). Significativa, poi, l’esperienza della “spiritualità sinodale” (43-48) con la certezza che “se manca la profondità spirituale personale e comunitaria, la sinodalità si riduce a espediente organizzativo” (44). Per questo, si rileva, “praticato con umiltà, lo stile sinodale può rendere la Chiesa una voce profetica nel mondo di oggi” (47).
Nella terza parte del Documento (79-108) si fa subito presente che “nella preghiera e nel dialogo fraterno, abbiamo riconosciuto che il discernimento ecclesiale, la cura dei processi decisionali e l’impegno a rendere conto del proprio operato e a valutare l’esito delle decisioni assunte sono pratiche con le quali rispondiamo alla Parola che ci indica le vie della missione” (79). In particolare “queste tre pratiche sono strettamente intrecciate. I processi decisionali hanno bisogno del discernimento ecclesiale, che richiede l’ascolto in un clima di fiducia, che trasparenza e rendiconto sostengono. La fiducia deve essere reciproca: coloro che prendono le decisioni hanno bisogno di potersi fidare e ascoltare il Popolo di Dio, che a sua volta ha bisogno di potersi fidare di chi esercita l’autorità” (80). “Il discernimento ecclesiale per la missione” (81-86), in realtà, “non è una tecnica organizzativa, ma una pratica spirituale da vivere nella fede” e “non è mai l’affermazione di un punto di vista personale o di gruppo, né si risolve nella semplice somma di pareri individuali” (82). “L’articolazione dei processioni decisionali” (87-94), “trasparenza, rendiconto, valutazione” (95-102), “sinodalità e organismi di partecipazione” (103-108) sono punti centrali delle proposte contenute nel Documento, scaturite dall’esperienza del Sinodo.
Partecipanti al Sinodo durante la chiusura dei lavori
“In un tempo in cui cambia l’esperienza dei luoghi in cui la Chiesa è radicata e pellegrina, occorre coltivare in forme nuove lo scambio dei doni e l’intreccio dei legami che ci uniscono, sostenuti dal ministero dei Vescovi in comunione tra loro e con il Vescovo di Roma”: è l’essenza della quarta parte del Documento (109-139). L’espressione “radicati e pellegrini” (110-119) ricorda che “la Chiesa non può essere compresa senza il radicamento in un territorio concreto, in uno spazio e in un tempo dove si forma un’esperienza condivisa di incontro con Dio che salva” (110). Anche con un’attenzione ai fenomeni della “mobilità umana” (112) e della cultura digitale” (113). In questa prospettiva, “camminare insieme nei diversi luoghi come discepoli di Gesù nella diversità dei carismi e dei ministeri, così come nello scambio di doni tra le Chiese, è segno efficace della presenza dell’amore e della misericordia di Dio in Cristo” (120). “L’orizzonte della comunione nello scambio dei doni è il criterio ispiratore delle relazioni tra le Chiese” (124). Da qui i “legami per l’unità: Conferenze episcopali e Assemblee ecclesiali” (124-129). Particolarmente significativa la riflessione sinodale sul “servizio del vescovo di Roma” (130-139). Proprio nello stile della collaborazione e dell’ascolto, “prima di pubblicare documenti normativi importanti, i Dicasteri sono esortati ad avviare una consultazione delle Conferenze episcopali e degli organismi corrispondenti delle Chiese Orientali Cattoliche” (135).
“Perché il santo Popolo di Dio possa testimoniare a tutti la gioia del Vangelo, crescendo nella pratica della sinodalità, ha bisogno di un’adeguata formazione: anzitutto alla libertà di figli e figlie di Dio nella sequela di Gesù Cristo, contemplato nella preghiera e riconosciuto nei poveri” afferma il Documento nella sua quinta parte (140-151). “Una delle richieste emerse con maggiore forza e da ogni parte lungo il processo sinodale è che la formazione sia integrale, continua e condivisa” (143). Anche in questo campo torna l’urgenza dello “scambio dei doni tra vocazioni diverse (comunione), nell’ottica di un servizio da svolgere (missione) e in uno stile di coinvolgimento e di educazione alla corresponsabilità differenziata (partecipazione)” (147). E “un altro ambito di grande rilievo è la promozione in tutti gli ambienti ecclesiali di una cultura della tutela (safeguarding), per rendere le comunità luoghi sempre più sicuri per i minori e le persone vulnerabili” (150). Infine, “anche i temi della dottrina sociale della Chiesa, dell’impegno per la pace e la giustizia, della cura della casa comune e del dialogo interculturale e interreligioso devono conoscere maggiore diffusione nel Popolo di Dio” (151).
“Vivendo il processo sinodale – è la conclusione del Documento (154) - abbiamo preso nuova coscienza che la salvezza da ricevere e da annunciare passa attraverso le relazioni. La si vive e la si testimonia insieme. La storia ci appare segnata tragicamente dalla guerra, dalla rivalità per il potere, da mille ingiustizie e sopraffazioni. Sappiamo però che lo Spirito ha posto nel cuore di ogni essere umano un desiderio profondo e silenzioso di rapporti autentici e di legami veri. La stessa creazione parla di unità e di condivisione, di varietà e intreccio tra diverse forme di vita”. Il testo si conclude con la preghiera alla Vergine Maria per l’affidamento “dei risultati di questo Sinodo: “Ci insegni ad essere un Popolo di discepoli missionari che camminano insieme: una Chiesa sinodale” (155).
* Giampaolo Mattei - Vaticano. Originalmente pubblicato in: www.vaticannews.va
Nella preghiera dell'Angelus al termine della Messa di canonizzazione di Giuseppe Allamano, undici martiri di Damasco, Marie-Léonie Paradis ed Elena Guerra, domenica 20 ottobre, il Papa Francesco ha lanciato un appello in favore del popolo Yanomami.
«La testimonianza di San Giuseppe Allamano ci ricorda la necessaria attenzione verso le popolazioni più fragili e più vulnerabili. Penso in particolare al popolo Yanomami, nella foresta amazzonica brasiliana, tra i cui membri è avvenuto proprio il miracolo legato alla canonizzazione odierna. Faccio appello alle autorità politiche e civili, affinché assicurino la protezione di questi popoli e dei loro diritti fondamentali e contro ogni forma di sfruttamento della loro dignità e dei loro territori».
Il miracolo che ha portato alla canonizzazione del Beato Giuseppe Allamno è avvenuto tra gli Yanomami, nella foresta amazzonica brasiliana dove i missionari e le missionarie della Consolata sono presenti sin dal 1948. Il 7 febbraio 1996, Sorino Yanomami, assalito e gravemente ferito da un giaguaro è guarito e ha recuperato completamente la salute grazie all'intercessione di Giuseppe Allamano.
Reportage da piazza San Pietro
Città del Vaticano. Oggi, 20 ottobre 2024, Giuseppe Allamano è ufficialmente santo. La messa di proclamazione, in piazza San Pietro, nella Giornata Missionaria Mondiale è stata intensissima.
Fin dalle 7 del mattino, a giorno non ancora fatto, lunghe code di pellegrini aspettano ai controlli della polizia, necessari per entrare nella piazza. Il popolo di Giuseppe Allamano è arrivato dai quattro continenti il giorno prima.
Nella coda, tra la gente che si stropiccia gli occhi, si sentono decine di lingue: portoghese, spagnolo, francese, inglese, italiano, kishawili... Ma anche l’Asia c’è, con la Corea, la Mongolia e Taiwan.
Su alcune bacchette viene issata l’immagine del futuro santo, nella sua versione colorata o «pop art», che resta un riferimento tra la marea di teste.
Oggi saranno, infatti, «canonizzati», termine tecnico, anche Elena Guerra, Marie-Léonie Paradis e gli undici martiri di Damasco (Manuel Ruiz e compagni). Ci si distingue anche per il foulard, bianco ma colorato con le 35 bandiere dei paesi dove lavorano i missionari e le missionarie della Consolata, e con l’effige di Allamano e della Consolata. L’organizzazione ha anche previsto per tutti un badge verde con il logo studiato specificamente per questo giorno.
Entriamo tra i primi, dopo il controllo metal detector. La platea davanti alla scalinata di San Pietro è ancora da riempire.
I pellegrini sono assonnati, ma si vede la gioia e l'eccitazione. Molti si salutano, si abbracciano. È spesso un rivedersi dopo anni, talvolta un incontrarsi per la prima volta, entrando subito in sintonia.
Intanto si è fatto giorno. È nuvoloso, ma non piove.
È ancora un momento di attesa, e si approfitta per farsi delle foto, dei video, scambiarsi un contatto o un sorriso. Vediamo una folta delegazione dall’Uganda, poi la bandiera del Kenya (primo paese di missione dei Missionari della Consolata). Il Congo Rdc è presente, così come la Costa d’Avorio.
A un certo punto compare la bandiera del Marocco: è il gruppo di Oujda, del quale fanno parte anche alcune migranti subsahariane. Vediamo anche il gruppo dei laici della Consolata del Portogallo, con le magliette del loro 25° anno di esistenza, i laici del Brasile, Canada, Colombia.... E poi tantissime suore, di svariate età e nazionalità. Così metà della piazza, quella con i posti a sedere, si è riempita.
Intanto, alla sinistra dell’altare si siedono cardinali, vescovi, sacerdoti e i fratelli. Alla destra, invece, le autorità e i diplomatici.
Dopo il rosario in latino, inizia uno scampanio, poi il coro ufficiale intona alcune canzoni diffuse con i potenti altoparlanti in tutta la piazza. L’attesa si fa più intensa tra le migliaia di persone da tutto il pianeta, spaccato di umanità.
Alle 10,20, quasi all’improvviso, arriva Papa Francesco sulla sua carrozzina e si siede sulla poltrona papale. Tenue, quasi sotto voce, sul lato destro della platea, un gruppo di pellegrini intona: «Papa Francesco, papa Francesco». Altri iniziano, è come se il coro si spostasse nello spazio antistante alla basilica, e intanto diventa «Papa Francisco», per culminare con un grande applauso. Nel frattempo è comparso un tenue sole.
Scorgiamo evidente, in prima fila del gruppo di sedie delle autorità, il presidente Sergio Mattarella.
La celebrazione ha inizio. Vengono lette le brevi biografie dei nuovi santi. Quando è nominato Giuseppe Allamano, parte un applauso dalla piazza.
«Vince non chi domina, ma chi serve per amore» dice il Papa nella sua omelia, a commento del Vangelo del giorno. «Gesù svela pensieri nel nostro cuore smascherando, talvolta, i nostri desideri di vanità e di potere».
E poi ci insegna lo «stile di Dio», ovvero il «servizio». Le parole magiche per il Papa sono: «Vicinanza, compassione e tenerezza, applicate all’azione di servire. […] A questo dobbiamo anelare». Uno stile che nasce dall’amore e non ha una scadenza o un limite. «I nuovi santi hanno vissuto questo stile di Gesù: il servizio» continua il Papa.
All’Angelus papa Francesco mette l’accento sui popoli indigeni: «La testimonianza di san Giuseppe Allamano ci ricorda la necessaria attenzione verso le popolazioni più fragili e vulnerabili. Penso in particolare al popolo Yanomami, nella foresta amazzonica brasiliana, tra i cui membri è avvenuto proprio il miracolo legato alla sua canonizzazione. Faccio appello alle autorità politiche e civili affinché assicurino la protezione di questi popoli e dei loro diritti fondamentali e contro ogni forma di sfruttamento della loro dignità e dei loro territori».
Il nome «Yanomami», dunque, echeggia in piazza san Pietro, proprio grazie al nuovo Santo.
Papa Francesco conclude con un giro in carrozzina a salutare i cardinali, per poi salire sulla papamobile, e fare un lungo percorso nella piazza. I pellegrini e i fedeli hanno oramai lasciato le loro sedie e si affollano alle transenne per salutare il Santo Padre.
Una volta passato, inizia il lento deflusso di alcune migliaia di persone, mentre gruppi di svariate nazionalità e lingue si fanno le ultime foto sulla piazza, con lo sfondo della Basilica di San Pietro sulla quale spicca lo stendardo di san Giuseppe Allamano.
* Marco Bello, rivista Missioni Consolata.