Francesco lo ribadisce nella Nota di accompagnamento al testo votato il 26 ottobre dall’Assemblea del Sinodo sulla sinodalità e da lui approvato. Sottolinea che “non è strettamente normativo” e che “la sua applicazione avrà bisogno di diverse mediazioni”. Ma impegna “fin da ora le Chiese a fare scelte coerenti con quanto in esso è indicato”. Perché il cammino del Sinodo oggi “prosegue nelle Chiese locali”
Il Documento finale della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, approvato da Papa Francesco il 26 ottobre scorso, “partecipa del Magistero ordinario del Successore di Pietro e come tale chiedo che venga accolto”. Il Papa, nella Nota di accompagnamento del Documento, firmata ieri, solennità di Cristo Re dell’Universo, e diffusa oggi, ribadisce, come detto in occasione dell’approvazione, che esso “non è strettamente normativo” e che “la sua applicazione avrà bisogno di diverse mediazioni”. Ma “questo non significa che non impegni fin da ora le Chiese a fare scelte coerenti con quanto in esso è indicato”. Infatti il documento stesso “rappresenta una forma di esercizio dell’insegnamento autentico del Vescovo di Roma che ha dei tratti di novità”, ma corrisponde a quanto affermato da Francesco nell’ottobre 2015 sulla sinodalità, che è “la cornice interpretativa adeguata per comprendere il ministero gerarchico”.
Leggi qui il testo integrale della Nota di Papa Francesco
Papa Francesco in chiusura del Sinodo dei Vescovi - XVII Congregazione Generale. Foto: Vatican Media
Il Pontefice conferma che il cammino del Sinodo da lui avviato nell’ottobre 2021, nel quale la Chiesa, in ascolto dello Spirito Santo, è stata chiamata “a leggere la propria esperienza e a identificare i passi da compiere per vivere la comunione, realizzare la partecipazione e promuovere la missione che Gesù Cristo le ha affidato”, prosegue nelle Chiese locali, facendo tesoro proprio del Documento finale. Un testo che è stato “votato e approvato dall’Assemblea in tutte le sue parti”, e che anche Papa Francesco ha approvato e, firmandolo, ne ha disposto la pubblicazione, “unendomi al ‘noi’ dell’Assemblea”.
Ricordando quanto dichiarato il 26 ottobre, il Papa ribadisce che “c’è bisogno di tempo per giungere a scelte che coinvolgono la Chiesa tutta”, e che “questo vale in particolare per i temi affidati ai dieci gruppi di studio, ai quali altri potranno aggiungersi, in vista delle necessarie decisioni”. E sottolinea nuovamente, citando quanto scritto nell’Esortazione postsinodale Amoris laetitia, che “non tutte le discussioni dottrinali, morali o pastorali devono essere risolte con interventi del magistero”. Come pure che “in ogni Paese o regione si possono cercare soluzioni più inculturate, attente alle tradizioni e alle sfide locali”.
Francesco aggiunge che il Documento finale contiene indicazioni che “già ora possono essere recepite nelle Chiese locali e nei raggruppamenti di Chiese, tenendo conto dei diversi contesti, di quello che già si è fatto e di quello che resta da fare per apprendere e sviluppare sempre meglio lo stile proprio della Chiesa sinodale missionaria”. D’ora in poi, scrive il Pontefice, “nella relazione prevista per la visita ad limina ciascun vescovo avrà cura di riferire quali scelte sono state fatte nella Chiesa locale a lui affidata in rapporto a ciò che è indicato nel Documento finale, quali difficoltà si sono incontrate, quali sono stati i frutti”.
Il compito di accompagnare questa “fase attuativa” del cammino sinodale, conclude Papa Francesco, è affidato alla Segreteria Generale del Sinodo insieme ai Dicasteri della Curia Romana. E ribadisce ancora, come detto il 26 ottobre, che il cammino sinodale della Chiesa Cattolica, “ha bisogno che le parole condivise siano accompagnate dai fatti”. Lo Spirito Santo, dono del Risorto, è la sua preghiera finale “sostenga e orienti la Chiesa tutta in questo cammino”.
* Alessandro Di Bussolo, Città del Vaticano. Originalmente pubblicato in: www.vaticannews.va
Al termine della celebrazione, il tradizionale passaggio dei Simboli della GMG tra Lisbona e Seoul
Si celebrerà domenica 24 novembre 2024, Solennità di Cristo Re dell’Universo, la 39° edizione della Giornata Mondiale della Gioventù. Quest’anno, il Santo Padre ha scelto come tema il brano del Libro del profeta Isaia: «Quanti sperano nel Signore camminano senza stancarsi» (cfr Is 40,31).
La Giornata Mondiale della Gioventù si svolgerà in tutto il mondo, a livello di Chiese particolari, e farà seguito alla 38° edizione e alla celebrazione internazionale svoltasi a Lisbona, in Portogallo, nell’agosto del 2023.
Come di consueto, il Santo Padre Francesco presiederà la celebrazione eucaristica nella Basilica di San Pietro alle ore 9.30. Al termine, si svolgerà il tradizionale passaggio dei simboli della Giornata Mondiale della Gioventù, dando inizio al loro pellegrinaggio verso Seoul 2027.
I simboli della GMG - la Croce dei Giovani e l’Icona di Maria Salus Populi Romani - verranno consegnati, prima dei riti di conclusione, da una delegazione di giovani portoghesi ad una delegazione di giovani coreani, accompagnati dai loro pastori. I giovani coreani potranno così dare il via al pellegrinaggio dei simboli in Corea e in vari paesi dell'Asia, portandoli ovunque – nelle città, nelle campagne, fra i sofferenti, i carcerati, i poveri, con particolare riferimento ai giovani senza speranza – per recare a tutti vicinanza e consolazione. Tale pellegrinaggio è particolarmente significativo dato che si svolgerà in Paesi prevalentemente non cristiani.
L’auspicio è che tanti giovani diventino “instancabili missionari della gioia” (cfr. Papa Francesco, Messaggio per la 39° Giornata Mondiale della Gioventù) e che anche chi non ha mai partecipato ad una GMG, nei prossimi tre anni, percorra un cammino, soprattutto interiore, per arrivare a dare una coraggiosa testimonianza di Cristo.
Il 24 novembre saranno presenti in Basilica: una delegazione di circa 100 giovani portoghesi, accompagnati dal Patriarca di Lisbona, S. Ecc. Mons. Rui Manuel Sousa Valério, e dal Coordinatore generale della GMG di Lisbona 2023, S. Em. Card. Américo Manuel Alves Aguiar; una delegazione di circa 100 coreani, accompagnati dall’Arcivescovo di Seoul, S. Ecc. Mons. Peter Chung Soon-taek, e dal Coordinatore generale della GMG di Seoul 2027, S. Ecc. Mons. Paul Kyung Sang Lee; giovani romani che concluderanno la celebrazione della GMG a livello diocesano con il loro Vescovo, papa Francesco.
Considerando l’universalità del momento, rappresentanti di altre parti del mondo proclameranno le letture e la preghiera universale dei fedeli: giovani di madrelingua coreana, portoghese, italiana, inglese, francese, spagnola e cinese si alterneranno nel corso della celebrazione liturgica. Durante la presentazione delle offerte, poi, saranno presenti giovani provenienti dai 5 continenti. Attraverso la vita e le storie di questi giovani, è rappresentata anche la ricchezza e la diversità vocazionale di ognuno, poiché tra di loro ci sono giovani sposati, non sposati e religiosi.
La Croce dei Giovani venne affidata ai giovani da San Giovanni Paolo II in occasione del primo Raduno dei giovani, nel 1984.
Alla fine dell’Anno Santo della Redenzione, dopo aver chiuso la Porta Santa, Papa Giovanni Paolo II consegnò la Croce alla gioventù del mondo con queste parole: “Portatela nel mondo, come segno dell'amore del Signore Gesù per l'umanità ed annunciate a tutti che solo in Cristo morto e risorto c'è salvezza e redenzione”.
Dal 2003, la Croce è accompagnata dall’icona di Maria Salus populi romani, segno della tenerezza materna di Maria e della maternità stessa della Chiesa per tutta l’umanità.
Tutte le tappe, dal 1984 ad oggi, della Croce dei giovani e dell’Icona Salus populi romani si possono trovare sul sito del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita.
* Con informazioni del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita.
“La preghiera del povero sale fino a Dio” (cfr Siracide 21,5).
"Lo dico alla Chiesa, lo dico ai Governi degli Stati e alle Organizzazioni internazionali, lo dico a ciascuno e a tutti: per favore, non dimentichiamoci dei poveri". Sono le parole con cui papa Francesco ha concluso la sua omelia nella Messa per la VIII Giornata Mondiale dei Poveri, questa domenica, 17 novembre 2024.
Francesco ha invitato la Chiesa a sentire “la stessa compassione del Signore” davanti agli ultimi, e chiesto ai cristiani di diventare “segno della presenza del Signore”, vicini alla sofferenza dei bisognosi per lenire le loro ferite e cambiare la loro sorte”: Solo così la Chiesa “diventa se stessa, casa aperta a tutti”.
Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Papa ha pronunciato dopo la proclamazione del Vangelo nella XXXIII Domenica del Tempo Ordinario.
Le parole che abbiamo appena ascoltato potrebbero suscitare in noi sentimenti di angoscia; in realtà, sono un grande annuncio di speranza. Infatti, se da una parte Gesù sembra descrivere lo stato d’animo di chi ha visto la distruzione di Gerusalemme e pensa che ormai sia arrivata la fine, allo stesso tempo Egli annuncia qualcosa di straordinario: proprio nell’ora dell’oscurità e della desolazione, proprio quando tutto sembra crollare, Dio viene, Dio si fa vicino, Dio ci raduna per salvarci.
Papa Francesco durante l’omelia. Foto: Vatican Media
Gesù ci invita ad avere uno sguardo più acuto, ad avere occhi capaci di “leggere dentro” gli avvenimenti della storia, per scoprire che, anche nelle angosce del nostro cuore e del nostro tempo, c’è un’incrollabile speranza che brilla. In questa Giornata Mondiale dei Poveri, allora, soffermiamoci proprio su queste due realtà: angoscia e speranza, che sempre si sfidano a duello nel campo del nostro cuore.
Anzitutto l’angoscia. È un sentimento diffuso nella nostra epoca, dove la comunicazione sociale amplifica problemi e ferite rendendo il mondo più insicuro e il futuro più incerto. Anche il Vangelo oggi si apre con un quadro che proietta nel cosmo la tribolazione del popolo, e lo fa utilizzando il linguaggio apocalittico: «Il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno…» e così via (Mc 13,24-25).
Se il nostro sguardo si ferma soltanto alla cronaca dei fatti, dentro di noi l’angoscia ha il sopravvento. Anche oggi, infatti, vediamo il sole oscurarsi e la luna spegnersi, vediamo la fame e la carestia che opprimono tanti fratelli e sorelle che non hanno da mangiare, vediamo gli orrori della guerra, vediamo le morti innocenti. Davanti a questo scenario, corriamo il rischio di sprofondare nello scoraggiamento e di non accorgerci della presenza di Dio dentro il dramma della storia. Così ci condanniamo all’impotenza; vediamo crescere attorno a noi l’ingiustizia che provoca il dolore dei poveri, ma ci accodiamo alla corrente rassegnata di coloro che, per comodità o per pigrizia, pensano che “il mondo va così” e “io non posso farci niente”. Allora anche la stessa fede cristiana si riduce a una devozione innocua, che non disturba le potenze di questo mondo e non genera un impegno concreto nella carità. E mentre una parte del mondo è condannata a vivere nei bassifondi della storia, mentre le disuguaglianze crescono e l’economia penalizza i più deboli, mentre la società si consacra all’idolatria del denaro e del consumo, succede che i poveri, gli esclusi non possono fare altro che continuare ad aspettare (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 54).
Foto: Jaime C. Patias
Ma ecco che Gesù, in mezzo a quel quadro apocalittico, accende la speranza. Spalanca l’orizzonte, allarga il nostro sguardo perché impariamo a cogliere, anche nella precarietà e nel dolore del mondo, la presenza dell’amore di Dio che si fa vicino, che non ci abbandona, che agisce per la nostra salvezza. Infatti, proprio mentre il sole si oscura e la luna smette di brillare e le stelle cadono dal cielo, dice il Vangelo, «vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria»; ed Egli «radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo» (vv. 26-27).
Con queste parole, Gesù sta indicando anzitutto la sua morte, che avverrà di lì a poco. Sul Calvario, infatti, il sole si oscurerà, le tenebre scenderanno sul mondo; ma proprio in quel momento il Figlio dell’uomo verrà sulle nubi, perché la potenza della sua risurrezione spezzerà le catene della morte, la vita eterna di Dio sorgerà dal buio e un mondo nuovo nascerà dalle macerie di una storia ferita dal male.
Fratelli e sorelle, questa è la speranza che Gesù ci vuole consegnare. E lo fa anche attraverso una bella immagine: guardate alla pianta del fico – dice –, perché «quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, significa che l’estate è vicina» (v. 28). Allo stesso modo, anche noi siamo chiamati a leggere le situazioni della nostra vita terrena: laddove sembra esserci soltanto ingiustizia, dolore e povertà, proprio in quel momento drammatico, il Signore si fa vicino per liberarci dalla schiavitù e far risplendere la vita (cfr v. 29). E si fa vicino con la nostra vicinanza cristiana, con la nostra fratellanza cristiana. Non si tratta di buttare una moneta nelle mani di quello che ha bisogno. A quello che dà l’elemosina io domando due cose: “Tu tocchi le mani della gente o butti la moneta senza toccarle? Tu guardi negli occhi la persona che aiuti o guardi da un’altra parte?”.
Siamo noi i suoi discepoli, che grazie allo Spirito Santo possiamo seminare questa speranza nel mondo. Siamo noi che possiamo e dobbiamo accendere luci di giustizia e di solidarietà mentre si addensano le ombre di un mondo chiuso (cfr Enc. Fratelli tutti, 9-55). Siamo noi che la sua Grazia fa brillare, è la nostra vita impastata di compassione e di carità a diventare segno della presenza del Signore, sempre vicino alle sofferenze dei poveri, per lenire le loro ferite e cambiare la loro sorte.
Fratelli e sorelle, non dimentichiamolo: la speranza cristiana, che si è compiuta in Gesù e si realizza nel suo Regno, ha bisogno di noi, ha bisogno del nostro impegno, ha bisogno di una fede operosa nella carità, ha bisogno di cristiani che non si girano da un’altra parte. Io guardavo una fotografia che ha fatto un fotografo romano: uscivano da un ristorante, una coppia adulta, quasi anziani, in inverno; la signora ben coperta con la pelliccia e l’uomo pure. Alla porta, c’era una signora povera, sdraiata sul pavimento, che chiedeva l’elemosina e ambedue guardavano dall’altra parte… Questo succede ogni giorno.
Domandiamoci noi: io guardo da un’altra parte quando vedo la povertà, le necessità, il dolore degli altri? Un teologo del Novecento diceva che la fede cristiana deve generare in noi “una mistica dagli occhi aperti”, non una spiritualità che fugge dal mondo ma – al contrario – una fede che apre gli occhi sulle sofferenze del mondo e sulle infelicità dei poveri per esercitare la stessa compassione di Cristo. Io sento la stessa compassione del Signore davanti ai poveri, davanti a coloro che non hanno lavoro, che non hanno da mangiare, che sono emarginati dalla società? E non dobbiamo guardare solo ai grandi problemi della povertà mondiale, ma al poco che tutti possiamo fare ogni giorno con i nostri stili di vita, con l’attenzione e la cura per l’ambiente in cui viviamo, con la ricerca tenace della giustizia, con la condivisione dei nostri beni con chi è più povero, con l’impegno sociale e politico per migliorare la realtà che ci circonda. Potrà sembraci poco cosa, ma il nostro poco sarà come le prime foglie che spuntano sull’albero di fico, il nostro poco sarà un anticipo dell’estate ormai vicina.
Carissimi, in questa Giornata Mondiale dei Poveri mi piace ricordare un monito del Cardinale Martini. Egli disse che dobbiamo stare attenti a pensare che c’è prima la Chiesa, già solida in sé stessa, e poi i poveri di cui scegliamo di occuparci. In realtà, si diventa Chiesa di Gesù nella misura in cui serviamo i poveri, perché solo così «la Chiesa “diventa” sé stessa, cioè la Chiesa diventa casa aperta a tutti, luogo della compassione di Dio per la vita di ogni uomo» (C.M. Martini, Città senza mura. Lettere e discorsi alla diocesi 1984, Bologna 1985, 350).
E lo dico alla Chiesa, lo dico ai Governi, lo dico alle Organizzazioni internazionali, lo dico a ciascuno e a tutti: per favore, non dimentichiamoci dei poveri.
Il Papa ha pranzato in Aula Paolo VI insieme a 1.300 poveri. Foto: Jaime C. Patias
Prima della Messa, simbolicamente Papa Francesco ha benedetto 13 chiavi, che rappresentano i 13 Paesi in cui la Famvin Homeless Alliance (FHA), della Famiglia Vincenziana, con il Progetto "13 case" per il Giubileo, costruirà nuove abitazioni per persone disagiate. Tra questi Paesi c’è anche la Siria, le cui 13 case saranno finanziate direttamente dalla Santa Sede come gesto di carità per l'Anno Santo. Un atto di solidarietà reso possibile grazie alla generosa donazione da parte di UnipolSai, che con entusiasmo ha voluto contribuire in vista dell’Anno Santo a questo segno di speranza per una terra ancora martoriata a causa della guerra.
Al termine della Messa e dopo la recita dell’Angelus, il Papa ha pranzato in Aula Paolo VI insieme a 1.300 poveri. Il pranzo, organizzato dal Dicastero per il Servizio della Carità, è stato offerto quest'anno dalla Croce Rossa Italiana e allietato dalla loro Fanfara Nazionale. Al termine del pranzo a ciascuna persona è stato distribuito uno zaino offerto dai Padri Vincenziani (Congregazione della Missione), contenente dei viveri e dei prodotti per l'igiene personale.
* Padre Jaime C. Patias, IMC. Con informazioni del Dicastero per la Comunicazione
«La preghiera del povero sale fino a Dio» (cfr. Sir 21,5)
Per la VIII Giornata Mondiale dei Poveri che si terrà il 17 novembre 2024, Papa Francesco ha scelto un motto particolarmente significativo per quest’anno dedicato alla preghiera, in prossimità dell’inizio del Giubileo Ordinario 2025: «La preghiera del povero sale fino a Dio» (cfr. Sir 21,5). Questa espressione, che proviene dall’antico autore sacro Ben Sira, diventa immediata e facilmente comprensibile.
Il Papa ribadisce che i poveri hanno un posto privilegiato nel cuore di Dio, che è attento e vicino a ognuno di loro. Dio ascolta la preghiera dei poveri e, davanti alla sofferenza, diventa “impaziente” fino a quando non ha reso loro giustizia. Infatti, attesta ancora il libro del Siracide, «il giudizio di Dio sarà a favore del povero» (cfr. 21,5).
Nella Giornata Mondiale dei Poveri il Santo Padre presiederà, come ormai di consueto, la celebrazione eucaristica nella Basilica di San Pietro in Vaticano. Seguirà il tradizionale pranzo con alcuni poveri in Aula Paolo VI, organizzato dal Dicastero per la Carità, mentre il Dicastero per l’Evangelizzazione provvederà alle esigenze dei più bisognosi con diverse iniziative benefiche. La settimana precedente alla Giornata tutte le comunità religiose, parrocchiali e diocesane sonno chiamate a porre al centro delle loro attività pastorali l’attenzione per le esigenze dei poveri del proprio quartiere attraverso dei segni concreti.
Nel suo Messaggio, Papa Francesco invita ciascuno a imparare a pregare per i poveri e a pregare insieme a loro, con umiltà e fiducia. La Giornata Mondiale dei Poveri è un’opportunità per prendere coscienza della presenza dei poveri nelle nostre città e comunità, e per comprendere le loro necessità. Come sempre, il Papa fa cenno anche ai «nuovi poveri», che sorgono dalla violenza delle guerre, dalla «cattiva politica fatta con le armi» (n. 4), che provoca tante vittime innocenti.
Il Papa ribadisce che la preghiera deve trovare nella carità concreta la verifica della propria autenticità. Infatti, la preghiera e le opere si richiamano a vicenda: «se la preghiera non si traduce in agire concreto è vana; (…) tuttavia, la carità senza preghiera rischia di diventare filantropia che presto si esaurisce» (n. 7). È questa l’eredità che ci hanno lasciato tanti santi nella storia, come Santa Teresa di Calcutta, che ripeteva sempre come proprio la preghiera fosse il luogo da cui attingeva fede e forza per servire i poveri. Nel Messaggio troviamo anche l’esempio di San Benedetto Giuseppe Labre, “vagabondo di Dio”, povero tra i poveri, la cui urna si trova a Roma, nella chiesa di Santa Maria ai Monti, ed è meta di tanti pellegrini.
Non dimentichiamo, tuttavia, le numerose persone che nelle nostre città continuano a dedicare grande parte del proprio tempo all’ascolto e al sostegno dei più poveri. Sono volti concreti che, con il loro esempio, «danno voce alla risposta di Dio alla preghiera di quanti si rivolgono a Lui» (n.7). La Giornata Mondiale dei Poveri è anche un’occasione per ricordare ognuno di loro e ringraziare il Signore.
* Con informazioni del Dicastero per l’Evangelizzazione.
«Crediamo che i nostri giorni più belli devono ancora venire»
Nella prospettiva del Giubileo del 2025 dedicato al tema «Pellegrini di speranza» Libreria Editrice Vaticana pubblica due volumi di Papa Francesco per vivere intensamente l’Anno santo. I testi, disponibili da oggi in libreria, racchiudono ciascuno un’introduzione inedita del Papa.
La prima antologia La speranza è una luce nella notte. Meditazioni sulla virtù umile (Libreria Editrice Vaticana, pp. 96, euro 9) propone una riflessione sul senso della speranza cristiana. Il cristiano è uomo più di primavera che di autunno. Sa scorgere i segnali di futuro che stanno fermentando nel travaglio del tempo. Non cede alla disperazione né al cinismo di chi non crede che le cose possano cambiare, in meglio.
Papa Francesco ha deciso di dedicare alla speranza il Giubileo, consapevole che di questa virtù cristiana ha bisogno il mondo di oggi, attanagliato da troppo buio e da sconsiderata violenza. «Crediamo che nell’orizzonte dell’uomo c’è un sole che illumina per sempre» afferma il Pontefice, tratteggiando così un’immagine vivida del perché il credente spera: perché la salvezza di Dio ha un volto, Gesù, morto per tutti e risorto per tutti. «Essere cristiani implica una nuova prospettiva: uno sguardo pieno di speranza» annota il Papa.
In queste pagine, Francesco ci offre riflessioni dense di sapienza e proficue per la vita di ciascuno, con un invito nell’introduzione: «Alleniamoci a riconoscere la speranza. Sapremo allora stupirci di quanto bene esiste nel mondo. E il nostro cuore si illuminerà di speranza. Potremo così essere fari di futuro per chi ci sta intorno».
La seconda antologia La fede è un viaggio. Meditazioni per viandanti e pellegrini (Libreria Editrice Vaticana, pp. 72, euro 8) apre lo sguardo sulla fede che «è una strada da percorre, senza mai perdere la meta», come ricorda spesso Francesco. La fede cristiana è il contrario della staticità. È movimento, ricerca, cammino e anche inquietudine. Papa Francesco, “il Pontefice callejero”, ha più volte spronato ogni credente a non considerarsi mai arrivato nel proprio rapporto con Dio. Occorre sapersi sempre in strada, perché «Gesù è la strada».
Questo testo affronta varie dimensioni del gesto umano del camminare nel suo significato spirituale, nell’ottica del Giubileo che invita tutti i cristiani a essere «Pellegrini di speranza». Camminare è, dunque, metafora e sostanza dell’essere seguaci di quel Signore che ha camminato tutta la vita, cercando senza sosta l’uomo e la donna perduti, e che continua a percorrere le strade del tempo per far sperimentare a ogni persona la tenerezza del Padre: «Percorrete con coraggio e con gioia il cammino con la consapevolezza di essere amati da Gesù».
Nelle prime pagine del libro Papa Francesco ricorda: «Con Dio non siamo mai arrivati, a Dio non siamo mai arrivati: siamo sempre in cammino, sempre rimaniamo alla sua ricerca. Ma proprio questo camminare verso Dio ci offre l’inebriante certezza che Egli ci aspetta per donarci la sua consolazione e la sua grazia».
* Con informazioni di LEV - Dicastero per la Comunicazione.