Messaggio del Superiore Generale, padre James Bhola Lengarin

“Tutti abbiamo gioito, il 23 maggio scorso, alla notizia del riconoscimento del miracolo attribuito al nostro amato Padre Fondatore”, dice il Padre Generale all’inizio del suo messaggio inviato a tutti i missionari, missionarie e laici della Consolata, parenti, amici e benefattori in occasione della Festa della S. V. Consolata, il 20 giugno.

Padre James Lengarin, IMC, prosegue sottolineando che questa “gioia e soddisfazione erano evidenti anche sul volto di coloro che, con tenacia, costanza e umiltà, hanno lavorato instancabilmente, spesso nel nascondimento, in questi ultimi anni per portare avanti le varie tappe del processo di canonizzazione”.

“Un ringraziamento del tutto speciale – dice il Padre Generale - va comunque alla nostra Madre Consolata che, attraverso il Beato Giuseppe Allamano, ha fondato la Famiglia della Consolata”.

Messaggio del Superiore Generale (Video realizzato da Fr. Adolphe Mulengezi)

Partendo del miracolo ricevuto da Sorino Yanomami attraverso l’intercessione del Beato Allamano, il messaggio del Padre Generale, offre una riflessione sul miracolo di Cana di Galilea e sul ruolo da ‘protagonista’ di Maria, convincente nei confronti di suo Figlio e coinvolgente con i servi del banchetto nuziale”.

La riflessione applica il brano del banchetto di Cana (Giovanni 2,3-11) alla nostra vita di consacrati e alle diverse realtà della nostra missione nel mondo.

“Come Maria intercede per gli sposi dicendo a Gesù: ‘Non hanno Vino’, anche la nostra missione è chiamata a declinarsi come intercessione per l’umanità soprattutto per tutti coloro che soffrono per la “mancanza” di beni primari, di pace e di giustizia”.

Il Messaggio conclude ricordando che “la missione si vive nella tensione tra questi due polarità: ‘Non hanno più vino’ ... ‘Fate tutto quello che vi dirà’. Dalla costatazione di una mancanza all’essere inviati da Gesù ad annunciare il Vangelo che riempie la vita di senso, di pace, gioia e consolazione. Come Maria, l’importante è fidarci di Lui. Cercare di ‘fare sempre quello che ci dirà’ soprattutto nei momenti di difficoltà, perché la missione è sua e non nostra!! (cfr. 1 Cor 3,9)”.

Auguriamoci una Buona Festa della Consolata anche motivati da questa riflessione del Superiore Generale che pubblichiamo integralmente.

* Segretariato Generale per la Comunicazione - SGC

Il Superiore dei Missionari della Consolata esprime la gioia dell'Istituto per la prossima canonizzazione del Fondatore. I 900 religiosi sparsi alle frontiere della nuova evangelizzazione sono impegnati in via prioritaria nell'educazione e nella promozione umana di gruppi etnici ancora non integrati appieno nelle società. È il caso, per esempio, degli afrodiscendenti, dei Pigmei, degli indigeni nelle Americhe. "Abbiamo un'età media di 53 anni ma possiamo fare ancora tanto"

"È un momento di grazia". Così il keniano padre James Lengarin IMC, Superiore Generale dei Missionari della Consolata, commenta la notizia della imminente canonizzazione del fondatore, il beato Giuseppe Allamano. Con 900 religiosi sparsi nel mondo, con una età media di 53 anni, la congregazione nata poco più di un secolo fa può contare su molti anziani i quali, tuttavia, "ancora possono fare tanto", portando avanti il carisma di andare alle frontiere, con entusiasmo, dedizione e creatività.

Andare "ad gentes"

Ci risponde dall'Argentina, il Superiore: "Mi trovavo in Colombia per la XIII Conferenza regionale con una sessantina di padri, quando è giunta la notizia: è una gioia immensa perché l'abbiamo attesa per tanti anni. È un momento di grazia". Padre Lengarin ricorda l'origine della costituzione di questa famiglia di consacrati: "Noi siamo stati fondati soprattutto per i non cristiani. Il nostro fondatore fu ispirato molto dall'attività missionaria dei sacerdoti di Don Bosco. Per lui la massima preoccupazione è sempre stata quella di andare a portare il Vangelo a coloro che non conoscono Dio. Inoltre, la promozione umana è stata un aspetto molto importante che lui ha sempre sottolineato". 

Ascolta l'intervista a padre James Lengarin - Radio Vaticana

 

Cresciuto fra i salesiani, Allamano a 22 anni è sacerdote e coltiva il sogno di partire in missione, ma la salute cagionevole non glielo permette. All'età di 29 anni lo mandano a dirigere il più grande Santuario mariano di Torino dedicato alla Madonna Consolata che riporta agli splendori di un tempo. Il fuoco per la missione lo trasmette a giovani preti che, formati alla scuola del loro rettore, si preparano a salpare per le terre lontane. Così si gettano le basi per l’Istituto Missioni Consolata (IMC), che fonda nel 1901 costituendo, su richiesta di Pio X, anche un ramo femminile con le Suore Missionarie della Consolata (MC) nel 1910. Il miracolo che porterà alla canonizzazione ci riporta in Brasile, nello Stato di Roraima, in piena foresta amazzonica, che resta dal 1948 una delle mete dell'impegno missionario.

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Beato Giuseppe Allamano

Come cambia la geografia della missione

Padre James racconta come nel tempo, soprattutto dalla fine degli anni Novanta, l'evangelizzazione sia cambiata moltissimo. E ricorda quando, dopo la prima parte della sua formazione in Inghilterra, venne in Italia:"Erano tempi difficili poiché noi eravamo stati formati per la missione 'ad gentes' e l'epoca ci imponeva di restare in missione in Europa, cosa che non ci saremmo aspettati. Perché, ci dicevano, la missione ora è ovunque". Del resto, è evidente che sia l'Africa a maturare oggi tante vocazioni e che i bacini delle vocazioni stesse si siano quasi completamente ribaltati rispetto ai secoli scorsi. "Io ricordo che quando sono entrato nella congregazione desideravo andare in Amazzonia, la cosa infatti che mi attraeva di più era lavorare con gli Indios. Invece mi hanno detto che sarei dovuto restare in Italia. L'allora Superiore mi disse che l'Italia era terra di missione e che dovevo rimanere qua. Non ci ho dormito tutta la notte. Sono stato mandato al Sud, vicino Lecce, a Galatina". Racconta che all'inizio la gente del posto lo guardava con sospetto rivendicando il fatto che loro non erano come le persone "che non conoscevano Dio". Ci restò cinque anni, scoprendo poi che quella esperienza era stata inaspettatamente bella e capace di cambiargli la vita. 

Dall'Africa vocazioni in crescita

Quanto contano i numeri? Contano, spiega padre Lengarin, perché quando si può contare su un numero consistente di giovani energie si può progettare di "aprire nuovi luoghi di sfida". Accenna, per esempio, alla condizione degli afro-discendenti tra i quali, osserva, ci sarebbe molto da fare perché generalmente "siamo portati ancora a non riconoscere i loro valori". Precisa che in diverse regioni essi non hanno ancora avuto una piena integrazione: accade, per esempio, in Brasile, Colombia, Venezuela, Nicaragua. In Africa, i Pigmei della foresta tropicale del Congo, destano molta attenzione da parte dei Missionari della Consolata che avrebbero in animo di operare maggiormente in loro favore anche per promuovere una sana e non traumatica attivazione di collegamenti tra i loro gruppi chiusi e il resto della società. Proprio dall'Africa, peraltro, "prevediamo che nasceranno ancora vocazioni, se si segue la tendenza attuale, una decina o una ventina l'anno". Le priorità apostoliche dell'Istituto restano gli indigeni d'America, gli abitanti nella vasta regione amazzonica, i centri urbani con le parrocchie e, attività ritenuta fondamentale, i centri educativi.

Fonte: Pubblicato  originalmente in Vatican News

Via dalla tua testa il cercare te stesso e i tuoi gusti, ma solo la gloria di Dio e il bene delle anime: Dio solo e anime” (Allamano, Conf. I, 267)

20240327James“Se la Pasqua è la festa più importante per tutti i cristiani, lo è ancor di più per noi missionari, chiamati a “partire senza indugio”, a nostra volta, per annunciare al mondo la vittoria della vita sulla morte, della luce sulle tenebre, della speranza sullo sconforto, della liberazione da ogni forma di schiavitù”, dice il Superiore Generale, padre James Bhola Lengarin, IMC, all’inizio del suo messaggio inviato questa domenica, 24 marzo, a tutti i missionari, missionarie e laici della Consolata, parenti, amici e benefattori.

Il Padre Generale prosegue sottolineando che “la Pasqua è il mistero da cui parte e su cui poggia tutta la nostra fede; infatti, fede e risurrezione sono connesse indissolubilmente, come afferma San Paolo, ‘se Cristo non fosse risorto, vana sarebbe la nostra fede’” (1Cor 15:14).

E ricordando il nostro carisma, padre Lengarin lancia un invito ad annunciare Cristo risorto al mondo. “Carissimi e carissime, il Signore è risorto, è veramente risorto, Alleluia. Annunciamolo con forza ed entusiasmo anche noi consacrati per la missione ad gentes, inviati a testimoniare con la vita questa grande e gioiosa notizia agli uomini e alle donne del nostro tempo”.

Auguriamoci una Santa Pasqua, di pace e consolazione anche motivati da questa riflessione del Superiore Generale che pubblichiamo integralmente.

 

Parlando alla conclusione della XIII Conferenza della Regione Kenya, il Superiore Generale, padre James Lengarin, ha messo in guardia i missionari dal rischio di perdere l'attenzione all'essenziale della vita consacrata vivendo "una vita mediocre" che produce "...superficialità, perdita di entusiasmo, e una serie di altri problemi che condizionano poi le scelte di alcuni missionari".

La Conferenza tenutasi a Sagana, dal 26 febbraio al 1° marzo, ha riunito 46 delegati rappresentanti dei missionari della Consolata che lavorano in Kenya e Uganda con l'obiettivo di pianificare la vita e la missione per i prossimi sei anni.

All'incontro con il Padre Generale hanno partecipato anche il Vice Superiore Generale, padre Michelangelo Piovano e il Consigliere Generale incaricato del Continente Africa, padre Erasto Mgalama.

Nel sollecitare una forte fraternità tra i missionari, il Padre Generale ha osservato che la superficialità e l’individualismo nella vita comunitaria sono spesso il risultato di "una mancanza di chiarezza dei ruoli all'interno della comunità, della scarsa volontà di alcuni dei loro membri di assumere il proprio ruolo con coscienza, responsabilità e servizio”. P. James ha poi aggiunto che “l'entusiasmo per la vita consacrata sta diminuendo e la fedeltà a questo ideale è diventata fragile e difficile da mantenere".

A questo scopo il padre Lengarin ha sottolineato l’importanza che ogni comunità pianifichi insieme, permettendo la viva partecipazione di tutti i suoi membri, con l’obbligo della comunità di chiarire il ruolo, le capacità e i doveri di ciascuno in conformità alle nostre regole di vita.  

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La Conferenza ha riunito 46 delegati rappresentanti dei missionari della Consolata che lavorano in Kenya e Uganda.

"È essenziale riaffermare lo spirito con cui ciascuno deve incarnare il proprio ruolo: è un servizio per tutti, da svolgere con senso di responsabilità, impegno, preparazione e generosità", ha spiegato aggiungendo che “il superiore locale di ogni comunità dovrebbe creare un clima di fiducia reciproca in cui il ruolo di ciascuno sia rispettato, attuando decisioni attraverso un discernimento comunitario”.

In questo "spirito di famiglia, la comunicazione vera, sincera e fraterna all’interno della comunità locale può contribuire a costruire un forte senso di appartenenza all'Istituto”.

Il Superiore Generale ha anche incoraggiato i missionari a mettere in pratica le norme e la disciplina economica dell'Istituto. "Constatiamo con preoccupazione” ha affermato “alcune prassi economiche in cui aumentano le mancanze contro la povertà, la trasparenza finanziaria e la condivisione fraterna. Facciamo ancora fatica a capire che il tempo delle "vacche grasse" è finito, che l'Europa non ha più la forza di "mantenere l'Istituto… che dobbiamo avere il coraggio di lavorare per sostenere le nostre comunità e la nostra missione".

Infine, ha esortato i missionari ad avere sempre a cuore le persone. "Siamo uomini consacrati e come tali siamo uomini con dei limiti ma dobbiamo andare oltre l'ordinario per promuovere l’essere umano nella nostra società"

La XIII Conferenza della Regione Kenya, nel suo evolversi, ha cercato di integrare le decisioni del XIV Capitolo Generale che si è svolto a Roma nel 2023 e le indicazioni dell’Assemblea Continentale dell’Africa tenutesi in Tanzania nel mese di dicembre 2023.

Attualmente lavorano nel Kenya e Uganda 125 missionari della Consolata nelle circoscrizioni Ecclesiastiche di Embu, Isiolo, Jinja, Kakamega, Kampala, Kasaana Luwero, Kisumu, Lugazi, Malindi, Maralal, Marsabit, Meru, Mombasa, Murang’a, Nairobi, Nyahururu e Nyeri. Nella Regione studiano 32 seminaristi e 9 novizi.

I missionari della Consolata originari dal Kenya sono 260 (196 sacerdoti, 9 fratelli, 5 diaconi, 3 vescovi, 40 studenti e 7 novizi).  Quelli provenienti dall'Uganda sono 39 (20 sacerdoti, 1 diacono, 15 studenti e 3 novizi).

* Lourine Oluoch è giornalista presso la rivista The Seed.

“La nostra Famiglia: l’Amore fraterno”, è il tema del Messaggio del Superiore Generale, Padre James Bhola Lengarin, in occasione della Festa del Beato Giuseppe Allamano il 16 febbraio.

“Dopo la celebrazione del XIV Capitolo Generale, e dopo le assemblee continentali post-capitolari, si stanno svolgendo le Conferenze di Circoscrizioni per pianificare la vita e la missione per i prossimi sei anni. Come partecipante e attento ascoltatore di queste assemblee e conferenze, sono stato colpito dal costante riferimento a uno dei valori più importanti che l’Allamano ha trasmesso a noi, suoi figli: l’amore fraterno come una priorità fondamentale e inderogabile per diventare una famiglia di consacrati”, afferma il Superiore nel suo Messaggio, che pubblichiamo integralmente di seguito.

La Nostra Famiglia: l’Amore fraterno

Nell’Istituto, famiglia riunita nel nome del Signore, tutti si sentono e si accolgono come fratelli (cfr. Rom 15,7), si interessano gli uni degli altri, vivono la missione in unità di intenti, fanno proprie le gioie, sofferenze e speranze dell’Istituto. Questa comunione è “l’anima e la vita” della nostra Famiglia (Cost. 15)

Le due Direzioni Generali, IMC e MC, hanno scelto il Beato Giuseppe Allamano come Protettore per il triennio 2024 - 2026.

Questa scelta è stata motivata da due ragioni: in primo luogo, per la gioia e le aspettative riposte sul processo di canonizzazione del nostro Padre Fondatore, giunto oramai alle sue fasi conclusive. Tutti speriamo e preghiamo che al più presto possiamo arrivare alla meta tanto sospirata della canonizzazione. Ed è proprio per prepararci bene a questo grande evento, che abbiamo previsto un tempo sufficientemente lungo per rinnovarci, attingendo alle ricchezze spirituali del nostro Padre attraverso uno studio approfondito e sistematico della sua vita, delle sue attività e dei sogni che portava nel cuore per il futuro della nostra famiglia.

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Missionari e Missionarie della Consolata nella cappella della Casa Madre MC a Torino. Foto: Gigi Anataloni

In secondo luogo, nello stesso triennio ci prepareremo anche al centenario della morte del nostro Padre che si celebrerà il 16 febbraio 2026. Cento anni sono trascorsi dalla sua scomparsa, eppure continuiamo a sentirlo vicino, con la sua presenza paterna e con la responsabilità di mantenere viva l’eredità del suo esempio di vita sacerdotale ricca di umanità, di zelo per le anime, di spiritualità profonda che ci ha consegnato, da rendere attuale nella vita e nella missione. Siamo infatti convinti che fare memoria delle nostre radici è l’unica garanzia di futuro per la nostra famiglia missionaria.

Dopo la celebrazione del XIV Capitolo Generale, e dopo le assemblee continentali post-capitolari, si stanno svolgendo le Conferenze di Circoscrizioni per pianificare la vita e la missione per i prossimi sei anni. Come partecipante e attento ascoltatore di queste assemblee e conferenze, sono stato colpito dal costante riferimento a uno dei valori più importanti che l’Allamano ha trasmesso a noi, suoi figli: l’amore fraterno come una priorità fondamentale e inderogabile per diventare una famiglia di consacrati.

Il padre Allamano amava ripetere: “Ci vuole fuoco per essere Apostoli” (VS 460). Esprimeva bene quello ‘spirito’ che doveva animare i suoi figli. Era lo stesso fuoco che ardeva in lui e l’aveva spinto a fondare l’Istituto. Se non si arde, non si fa nulla: “Il fuoco è lo zelo, ‘carattere proprio del Missionario’, per il quale diventano nostre le parole di Paolo, l’Apostolo delle genti: ‘Tutto faccio per il Vangelo’ (1 Corinzi 9, 23). L’Allamano ne rafforza l’enfasi: ‘Tutto, tutto! Mi spenderò e mi sacrificherò’.

L’amore per il fratello è la strada maestra per giungere all’unione con Dio e alla santità. Proprio in questa reciprocità dell’amore si sperimenta la presenza e l’unione con Dio e la comunità nella vita consacrata diventa allora lo “spazio umano abitato dalla Trinità, che estende così nella storia i doni della comunione propri delle tre Persone divine” (Vita Consecrata 31).

Carissimi fratelli, Giuseppe Allamano ha ricevuto dal Cielo il mandato di fondare un istituto missionario a lui particolarmente caro e per il quale ha dato tutto, provando gli stessi sentimenti di attaccamento ai missionari che Paolo aveva verso i Filippesi chiamandoli “figli miei carissimi e tanto desiderati” (cfr. 4, 1). Di conseguenza, per lui è stato fondamentale “lo spirito di famiglia”, fondato sull’aiutarsi reciprocamente, portare i pesi gli uni degli altri, lasciandoci sostenere e accompagnare dai fratelli, come ci insegna la Parola di Dio e la vita delle prime comunità cristiane.

Padre Piero Trabucco nei suoi appunti degli esercizi spirituali ci ricorda che: “La comunità costituisce un importante aiuto alla fedeltà. In essa il missionario si sente accolto come discepolo impegnato a seguire il Maestro e trova abbondanza di mezzi che gli facilitano il cammino di crescita in tutte le dimensioni della sua vita. È Dio stesso che mi ha fatto dono dei fratelli, perché mi sorreggano nell’itinerario di fedeltà a Dio seguendo la specifica vocazione che ho ricevuto con il carisma del Fondatore. La presenza di questi fratelli è per ciascuno una forza, una garanzia e un’autentica fortuna. Tocca a noi valorizzare al massimo la comunità, usufruendo dei tanti mezzi che offre. Non è difficile elencarli: la preghiera comune, la comunione d’anima, l’Eucaristia, la Parola di Dio, la correzione fraterna, i momenti di svago”.

La vita comunitaria IMC è la “domus nostra et locus sanctificationis nostrae, ubi laudaverunt te patres nostri”. (la nostra casa è il luogo della nostra santificazione, dove i nostri padri ti hanno lodato, (Vulgata, Isaia 64, 11).

Avvolti dal calore umano, nella comunità, si realizza il piccolo progetto di vita assegnato ad ognuno dalla Provvidenza per partecipare pienamente al grande progetto divino.

È un cammino di santità certamente non limitato alle persone consacrate e alle fraternità religiose, ma di tutti. Novo Millennio Ineunte (NMI) vi dedica l’intero capitolo IV, e lo propone vivamente a tutta la Chiesa, come qualcosa voluto da Dio e rispondente alle attese del mondo: “Fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione: ecco la grande sfida che ci sta davanti nel millennio che inizia. Prima di programmare iniziative concrete, occorre promuovere una spiritualità della comunione” (NMI, 43). Tutto questo scaturisce dall’amore: ‘Bisogna avere tanta carità da dare la vita. Amare il prossimo più di noi stessi, dev’essere il programma di vita del Missionario’ (VS 461).

“La comunità è una famiglia. Vedete: la festa della santa Famiglia venne istituita per onorare insieme Gesù, Maria e Giuseppe, come componenti una famiglia: il modello delle famiglie. Certamente Leone XIII nell’istituire tale festa ebbe di mira le famiglie cristiane, ma volle pure che su questo esempio si formassero le famiglie religiose” (VS 343).  “S. Pietro, nella sua prima lettera, scrive: soprattutto abbiate perseverante l’un verso l’altro la mutua carità. Considerate ogni parola: carità vicendevole, carità continua, carità prima d’ogni altra cosa” (VS 404).

Carissimi, faccio eco a queste parole del nostro Padre Fondatore, invitandovi appassionatamente a vivere la carità fra di noi ad ogni costo. Perché: Siamo una “famiglia” in cui tutti si accolgono come fratelli, s’interessano gli uni degli altri, vivono la missione in unità d’intenti, fanno proprie le gioie, sofferenze e speranze di tutto l’Istituto, con un forte senso di appartenenza (cfr. Cost 15) nella forma della vita religiosa consacrata e nella professione dei consigli evangelici. Questo impegno è da noi concretizzato nella fraternità ad vitam per la missione, che per l’Allamano è un ideale tanto grande da essere assunto con radicalità e totalità, orientando tutto a esso: esistenza, spiritualità, scelte e attività (cfr. XIV CG, 26)

In un mondo che sta andando in frantumi, se non difendiamo i valori lasciatoci dal nostro Fondatore, saremo senza radici e non riusciremo e trasmettere calore umano e portare la consolazione. Mentre la missione andrà avanti, camminando con i popoli, a fianco della povera gente, nella realizzazione di progetti e nella cura pastorale, mai dovremmo dimenticarci dell’avvertimento di San Paolo: “Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla.
E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova”. (1 Corinzi 13,1-3)

Se ogni famiglia nasce come attuazione di un progetto d’amore, noi crediamo che l’Istituto, che il Beato Allamano ha fondato 123 anni fa, non sia altro che l'attuazione di un tale piano. Era sua intima convinzione che l'Istituto doveva essere e rimanere sempre "famiglia", se non voleva perdere la propria identità.

Non diamo mai per scontato questo insegnamento del nostro Padre, sul volerci bene, sullo “spirito di famiglia” che è sintetizzato in alcune sue convinzioni che tutti conosciamo bene e che, all’inizio del “triennio del Fondatore”, voglio ribadire:

“L'Istituto non è un collegio, neppure un seminario, ma una famiglia. Siete tutti fratelli; dovete vivere assieme, prepararvi assieme, per poi lavorare assieme per tutta la vita. Nell'Istituto dobbiamo formare una sola cosa, una pasta sola» (VS 405); «Com'è bello starcene tutti assieme, non come statue in un museo, non come dei carcerati, ma come fratelli in una stessa casa, formanti una stessa famiglia!” (VS 406).

Facendo memoria del nostro Fondatore vi auguro di essere come il pane spezzato per gli altri, ciascuno dando il proprio contributo per vivere un autentico amore fraterno nelle nostre comunità.

Carissimi missionari, affidiamo alla Consolata il cammino di questo triennio e anche la nostra preghiera costante e intensa per la canonizzazione del suo amatissimo figlio, Giuseppe Allamano, nostro beato Fondatore.

Un ricordo speciale va ai nostri missionari anziani e ammalati, che ringraziamo, perché vivono l’amore fraterno, al cuore della nostra Famiglia Missionaria, intercedendo per tutti noi, con la preghiera e la loro sofferenza.

Buona Festa del nostro Fondatore a ciascuno di voi.

A tutti auguro una buona Quaresima, che ci prepari ad abbracciare il Risorto!

Dar es Salaam, 3 febbraio 2024

* Padre James Bhola Lengarin, IMC, Superiore Generale

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