Francesco compie il rito che dà inizio all’Anno Santo. Per primo attraversa il varco di San Pietro, dietro di lui oltre 50 pellegrini di ogni angolo del mondo in abiti tradizionali. Circa 25 mila persone in Piazza, altre 6 mila in Basilica dove il Pontefice celebra la Messa della Notte di Natale. Nell’omelia l’invito a “trasformare” un mondo piagato da povertà, schiavitù, conflitti: “Pensiamo ai bambini mitragliati, alle bombe su scuole e ospedali”
In silenzio, sulla sedia a rotelle, con il capo chino in preghiera e l’espressione assorta. Due colpi alle valve di bronzo tra le formelle che narrano la storia della salvezza. La Porta Santa della Basilica di San Pietro si spalanca e Papa Francesco per primo la attraversa.
Inizia il Giubileo. Inizia l’Anno Santo della speranza. Inizia il tempo delle indulgenze, del perdono, della rinascita, del rinnovamento. Il tempo dell’impegno a “portare speranza là dove è stata perduta”
Dove la vita è ferita, nelle attese tradite, nei sogni infranti, nei fallimenti che frantumano il cuore; nella stanchezza di chi non ce la fa più, nella solitudine amara di chi si sente sconfitto, nella sofferenza che scava l’anima; nei giorni lunghi e vuoti dei carcerati, nelle stanze strette e fredde dei poveri, nei luoghi profanati dalla guerra e dalla violenza
Il momento è solenne. I rintocchi delle campane accompagnano il lento incedere di Francesco. I fedeli – 25 mila fuori nella Piazza a seguire la celebrazione dai maxi schermi, circa 6 mila all’interno di San Pietro –, che fino a quel momento hanno atteso l’arrivo del Papa con la preghiera, rimangono per tutto il tempo in silenzio. Si uniscono alla Schola Cantorum intonando l’inno d’ingresso che risuona nell’atrio e all’esterno.
Cinquantaquattro pellegrini di diverse nazionalità, anche da Cina, Iran e zone dell’Oceania, attraversano la Porta Santa dopo il Papa. Si vedono copricapi piumati, cerchietti di fiori, sombrero, turbanti, mettersi in fila e attraversare il varco che il Pontefice chiuderà il 6 gennaio 2026. Sono i primi “pellegrini di speranza”, insieme a cardinali, vescovi, concelebranti, rappresentanti di altre religioni cristiane, autorità tra cui il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, e la premier Giorgia Meloni.
Pellegrini da ogni parte del mondo attraversano la Porta Santa
“A ogni uomo e donna sia dischiusa la porta della speranza… che non delude”, scandisce Francesco durante il rito nell'atrio della Basilica. Ha il volto serio, ma negli occhi si legge la commozione. È al suo secondo Giubileo, dopo quello straordinario indetto nel 2016 per ricordare al mondo l’importanza della Misericordia. Questo è il XXVII Anno Santo ordinario della Chiesa cattolica, oltre mille anni dopo il primo, venticinque dopo il “grande Giubileo” di San Giovanni Paolo II che traghettò la Chiesa nel nuovo millennio.
Ora un Papa ottantottenne, “venuto dalla fine del mondo”, vuole dare un’iniezione di speranza ad un mondo afflitto come mai negli ultimi decenni da crisi, violenze, guerre che costringono ad assistere a scene drammatiche come “bambini mitragliati” o “bombe su scuole e ospedali”, come Francesco denuncia – a braccio – nell’omelia della successiva Messa della notte di Natale.
Questa è la notte in cui la porta della speranza si è spalancata sul mondo; questa è la notte in cui Dio dice a ciascuno: c’è speranza anche per te! C’è speranza per ognuno di noi. Ma non dimenticatevi, sorelle e fratelli, che Dio perdona tutto, Dio perdona sempre
Messa della Notte di Natale nella Basilica di San Pietr. Foto: Jaime C. Patias
La “speranza cristiana” che si fa dono nel tempo giubilare “non è un lieto fine da attendere passivamente”, “non è l’happy end di un film”, bensì “la promessa del Signore da accogliere qui e ora, in questa terra che soffre e che geme”, dice il Papa in una Basilica gremita, ornata di fiori, dove all’altare è esposta la statua della Madonna Madre della Speranza. Questa speranza è “qualcos’altro”; chiede di muoverci “senza indugio” verso Dio. “A noi discepoli del Signore, infatti, è chiesto di ritrovare in Lui la nostra speranza più grande, per poi portarla senza ritardi, come pellegrini di luce nelle tenebre del mondo”.
“La speranza non è morta, la speranza è viva, e avvolge la nostra vita per sempre!”
“Fratelli e sorelle, questo è il Giubileo, questo è il tempo della speranza!”, esclama Papa Francesco. L’Anno Santo “ci invita a riscoprire la gioia dell’incontro con il Signore, ci chiama al rinnovamento spirituale e ci impegna nella trasformazione del mondo, perché questo diventi davvero un tempo giubilare: lo diventi per la nostra madre Terra, deturpata dalla logica del profitto; lo diventi per i Paesi più poveri, gravati da debiti ingiusti; lo diventi per tutti coloro che sono prigionieri di vecchie e nuove schiavitù”.
Celebrazione della Notte di Natale a San Pietro. Foto: Jaime C. Patias
Il Papa invita a mettersi in cammino “senza indugio” così da “ritrovare la speranza perduta, rinnovarla dentro di noi, seminarla nelle desolazioni del nostro tempo e del nostro mondo”. Tante desolazioni: “Pensiamo alle guerre”, afferma il Papa. “Non indugiare”, “non trascinarci nelle abitudini”, “non sostare nelle mediocrità e nella pigrizia”, esorta ancora. La speranza “ci chiede di farci pellegrini alla ricerca della verità, sognatori mai stanchi, donne e uomini che si lasciano inquietare dal sogno di Dio, il sogno di un mondo nuovo, dove regnano la pace e la giustizia”.
La speranza che nasce in questa notte non tollera l’indolenza del sedentario e la pigrizia di chi si è sistemato nelle proprie comodità, e tanti di noi abbiamo il pericolo di sistemarci nelle nostre comodità. La speranza non ammette la falsa prudenza di chi non si sbilancia per paura di compromettersi e il calcolo di chi pensa solo a sé stesso; è incompatibile col quieto vivere di chi non alza la voce contro il male e contro le ingiustizie consumate sulla pelle dei più poveri
“Audacia”, “responsabilità”, “compassione”, sono le strade che indica il Vescovo di Roma in questo tempo speciale, a partire già da questa notte in cui si apre la “porta santa” del cuore di Dio: “Con Lui – conclude il Papa - fiorisce la gioia, con Lui la vita cambia”. Con Lui “la speranza non delude”.
Papa Francesco con Gesù Bambino. Foto: Vatican Media
Al termine della Messa, il Papa, accompagnato da un gruppo di bambini di diverse nazionalità, si reca al presepe all'interno della Basilica per posare nella grotta la statua di Gesù Bambino. Anche lì qualche istante in preghiera dinanzi alla natività a cui ha esortato a guardare come riferimento per la vita. Poi un passaggio attraverso la navata centrale per salutare le due ali di fedeli.
* Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano. Originalmente pubblicato in: www.vaticannews.va
Il bambino deposto nella mangiatoia è il Salvatore. Un angelo dona l’annuncio ai pastori. Lui è la luce e la salvezza per il mondo.
Oggi è un Natale di speranza perché quel bambino nato è il nostro Dio. La grandezza di Dio va oltre l’apparenza. Le tenebre sembrano ancora avvolgere il mondo, segnato da guerre e violenze, miserie e disperazione. Ma oggi il Signore è qui in mezzo a noi, e resterà per sempre nostro Dio e nostro fratello.
Gli angeli cantano “Gloria a Dio e Pace in terra” a tutte e tutti coloro che lo accolgono.
Tanti Auguri di Buon Natale!
Felice Anno Nuovo 2025 di pace e di speranza!
Ufficio Generale per la Comunicazione
P. Jaime C. Patias, IMC
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“Nel cammino dell’Avvento, ci fermiamo per riflettere sul significato profondo del Natale, sull’orizzonte contemplato dai nostri occhi, contenuto nell’annuncio degli Angeli ai pastori, giunto a noi, attraverso i secoli, con il suo messaggio di speranza: ‘Oggi è nato per voi nella città di Davide un Salvatore, che è il Cristo Signore” (Lc 2, 11).
Queste le parole del Superiore Generale, padre James Lengarin, IMC, nel suo messaggio di Natale 2024 dal titolo “Celebriamo la speranza e la salvezza” inviato alle missionarie, missionari, familiari, amici e benefattori, il 16 dicembre 2024 da Nairobi in Kenya.
“Il Natale è radicato nell'amore del Signore donato gratuitamente all’umanità - ha ricordato il Padre Generale - una festa speciale che fa memoria dell’irrompere del divino nell’umano, dell’abbassamento di Dio che sceglie di farsi uomo, in Gesù di Nazaret, nostro Salvatore”.
Il messaggio mette in evidenza le difficoltà che l'umanità si trova ad affrontare oggi con “una “economia che uccide”, ma d'altra parte la certezza che “la luce di Gesù Bambino illumina l’oscurità, alimenta la speranza e ci chiede di lottare per un mondo più giusto, con ‘la luce’ della consolazione del Signore”.
Padre James Lengarin esprime il suo desiderio di vedere il dono del Natale del Signore “trasformarsi in gesti di servizio e amore fraterno nelle nostre comunità e verso i poveri, i bisognosi, i migranti e i senza fissa dimora delle grandi città. Noi crediamo che nessuno sia così povero da non avere nulla da dare o da condividere a Natale: un sorriso, farsi prossimo, tendere la mano, un cuore accogliente, soprattutto durante le festività per essere ‘luce nell’oscurità’ per chi è emarginato e ha perso la speranza”.
Il Padre Generale ricorda anche, che questo sarà il primo Natale in compagnia di Giuseppe Allamano Santo e invita a continuare “a ringraziare il Signore per la canonizzazione del nostro amato Padre e Fondatore e per le migliaia di altre grazie che il Buon Dio ha elargito a noi e a tutto l’Istituto, attraverso di Lui”.
“Oggi per tutti noi sarà un Natale speciale, nella misura in cui la preghiera personale e comunitaria, i momenti di convivialità e di festa saranno accompagnati e illuminati dalla santità del nostro Fondatore. Immaginiamolo nel presepe che ci invita ad ‘Esercitarci in quelle virtù che sono proprie del santo Bambino: la semplicità e l’umiltà’ e che poi ci indica la strada per incontrarlo e servirlo nei più poveri e nei più lontani”.
Padre James conclude auspicando che il “Natale sia pieno di pace, gioia e benedizioni” e che il “Anno Nuovo 2025 sia pieno di speranza e di rinascita nello Spirito”.
Lc 2,15-20
Dopo la narrazione di come avvenne la nascita di Gesù a Betlemme e come tale nascita fu annunciata ai poveri pastori che vegliavano sulle loro greggi (Lc 2,1-14), la pagina del Vangelo che ci è proposta nella messa dell’Aurora, fa seguito alla narrazione della nascita, raccontando, con gran movimento, come i pastori reagiscono alla notizia.
Nel tempo in cui nacque Gesù, pur essendo i pastori dei disgraziati, la feccia della società, degli emarginati, essi (però) diventano i primi destinatari privilegiati dell’evento della nascita del Salvatore del mondo e furono, nel contempo, i protagonisti, i primi a rendere omaggio al Salvatore. Le caratteristiche dei pastori e di tutti coloro che vogliono vedere il bambino Gesù sono l’umiltà e la curiosità ed avere Dio come massima priorità.
Da persone umili, semplici curiose, essi si mettono in movimento per andare e per tornare: andare per vedere e tornare “glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto”. Sottolineiamo dunque alcune delle reazioni dei pastori.
La prima è quella di aver bisogno di vedere perciò i pastori vanno a vedere per verificare l’accaduto: “andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere”. Andare per vedere: i pastori non rimangono nel torpore e nell’indifferenza della vita quotidiana davanti al grande annuncio ma sentono il bisogno di mettersi in cammino per il luogo dove è avvenuta la nascita del Salvatore. Nulla impedisce loro di mettersi in cammino: né la notte, né la paura dell’ignoto: essi vanno senza indugio.
La seconda reazione è “mettersi in cammino”. Non si tratta di un semplice aver bisogno di andare, un mero desiderio ma questo desiderio deve diventare realtà. Essi, lasciando il gregge, si mettono subito in cammino. L’evangelista sottolinea che essi sono andati subito senza indugio cioè un andare senza troppi calcoli, dando tutto per scontato o per abitudine, muri alzati, amarezze, egoismi, rancori, pettegolezzi. Si liberano di tutti questi ostacoli per passare dal desiderio all’esecuzione. Compiono questo gesto perché la notizia della nascita del bambino Gesù ha la massima priorità.
In una società come la nostra dove “nell’elenco delle priorità Dio si trova all’ultimo posto”, come l’aveva detto Papa Benedetto XVI, occorre smuoversi e seguire l’esempio dei pastori che mettono al primo posto Dio e la salvezza che ne deriva. Il nostro mondo può mettersi in cammino senza indugio solo se è capace di cambiare l’ordine dei valori, eliminando tutte le cose che sembrano urgentissime e quindi occupano il primo posto. Invece, bisogna vedere l’importanza di Dio e lasciarsi innamorare di lui.
Solo se ci smuoviamo avremo la possibilità di trovare Maria, Giuseppe e il Bambino, come fecero i pastori. Avendolo trovato possono testimoniare ciò che del Bambino è stato detto loro. Loro non parlano di se stessi, dei loro sentimenti, di quello che sanno ma parlano di Dio, danno testimonianza.
La terza reazione dei pastori è quella di glorificare e lodare Dio. Infatti, essi “se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro”. Mentre davanti a Maria e Giuseppe i pastori testimoniano tutto ciò che avevano udito, ritornando glorificano e lodano Dio.
Il discepolo missionario è colui che si muove davanti alla novità della nascita come fecero i pastori. Infatti, come ha sottolineato il Santo Padre, essi si muovono: “Non stanno fermi come chi si sente arrivato e non ha bisogno di nulla, ma vanno, lasciano il gregge incustodito, rischiano per Dio. E dopo aver visto Gesù, pur non essendo esperti nel parlare, vanno ad annunciarlo, tanto che «tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori» (v. 18)”.
“Mettiamoci in cammino senza paura.
Il Natale di quest’anno ci farà trovare Gesù e, con Lui,
il bandolo della nostra esistenza redenta,
la festa di vivere, il gusto dell’ essenziale….
Allora finalmente non solo il cielo dei nostri presepi,
sarà libero di smog, privo di segni di morte
e illuminato di stelle.
E dal nostro cuore, non più pietrificato dalle delusioni,
strariperà la speranza” (Don Tonino Bello).
Buon Santo Natale
* Mons. Osório Citora Afonso, IMC, è vescovo ausiliare dell’Archidiocesi di Maputo e segretario della Conferenza Episcopale del Mozambico (CEM).
Nel paese latinoamericano, tra repressione e commedia
La trasmissione si chiama Con Maduro+ e viene trasmessa tutti i lunedì alle cinque del pomeriggio. Il conduttore è lo stesso Nicolás Maduro, il controverso presidente del Venezuela.
Nella puntata dello scorso 2 settembre Maduro ha fatto un annuncio importante (ma non sorprendente per il personaggio): l’anticipo del Natale 2024 al primo di ottobre. Non è la prima volta che Maduro gioca la carta dell’anticipo delle festività del Natale. Lo aveva fatto anche nel 2020 anticipandole al 15 ottobre e nel 2021, al 4 ottobre.
La mossa ha una doppia valenza: politica (ingraziarsi la popolazione) ed economica (dare una scossa al sistema). Nelle settimane che precedono il Natale, il governo venezuelano è, infatti, solito aumentare aiuti e bonus, ai dipendenti statali attraverso il cosiddetto «aguinaldo» (una sorta di tredicesima), ai più poveri tramite le «cajas Clap», le scatole di alimenti essenziali.
L’annuncio sul Natale è stato dato poche ore dopo un altro, quello del mandato di cattura per Edmundo González Urrutia, il candidato dell’opposizione nelle elezioni dello scorso 28 luglio.
Secondo il Consiglio elettorale nazionale (Cne), le elezioni sarebbero state vinte da Maduro, mentre secondo l’opposizione e gran parte della comunità internazionale il vincitore (con ben il 67 per cento dei voti) è Edmundo González. Questi, lo scorso 7 settembre, ha lasciato il Paese latinoamericano e chiesto asilo politico in Spagna.
«Particolarmente preoccupante – ha scritto in uno dei suoi messaggi la Conferenza episcopale venezuelana (Cev) – è la persecuzione a cui sono sottoposti i rappresentanti dei seggi elettorali, comunicatori sociali, il candidato più votato e leader dell’opposizione, in palese contraddizione con i principi di pluralismo politico e di indipendenza dei poteri pubblici garantiti dalla Costituzione e dalle leggi della Repubblica».
Nelle settimane successive alle elezioni il governo ha represso con forza le proteste mettendo in carcere almeno duemila persone, tra cui anche molti minori. Le aspettative sono diventate più cupe con la nomina, lo scorso 27 agosto, di Diosdado Cabello Rondón, politico potente e temuto, a ministro dell’Interno (della Giustizia e della Pace, secondo la denominazione completa).
Il suo operato è iniziato con la scoperta di un presunto complotto straniero per assassinare Maduro e rovesciare il regime. L’operazione ha comportato l’arresto – lo scorso 14 settembre – di sei persone: tre statunitensi, due spagnoli e un ceco. Il ministro venezuelano ha accusato i servizi segreti degli Stati Uniti (la Cia) e della Spagna (il Cni).
È in questo clima avvelenato che Maduro ha anticipato il Natale: «È arrivato per tutti e tutte con pace, felicità e sicurezza», ha detto il presidente. I suoi (tanti) oppositori hanno risposto con amara ironia: «Por una Navidad sin Maduro». Al momento, un Natale senza Maduro sembra, però, nulla più che una mera speranza.
* Paolo Moiola è giornalista, rivista Missioni Consolata. Pubblicato originalmente in: www.rivistamissioniconsolata.it