Non appena è stata annunciata la notizia della canonizzazione di Giuseppe Allamano, una luce ha cominciato a brillare negli occhi di tutti coloro che lo conoscevano o ne avevano sentito parlare. Un'energia contagiosa ha cominciato a permeare i continenti, e tutti gli angoli della terra dove c'erano missionari, missionarie, laici e amici della famiglia Consolata.

Così è stato nella piccola comunità ecclesiale il cui Patrono è San Giuseppe Allamano, situata tra le case ed edifici in São Miguel Paulista, San Paolo, in Brasile. La piccola cappella può passare inosservata per i passanti che percorrono la via Espírito Santo do Dourado - Vila Clara, ma non per i devoti di San Giuseppe Allamano.

Quando sono entrata per la prima volta nella piccola cappella, sono stata colpita innanzitutto dalla luce del tabernacolo al centro e dalle immagini della Consolata e dell'Allamano in alto. Come non commuovermi? Come non vibrare? Come non ricordare le parole dell'Allamano? Piccola chiesa, umile, semplice, ma molto curata, non manca dell'essenziale per celebrare degnamente i misteri della salvezza; rispecchia lo stile di San Giuseppe Allamano, che dava grande valore alla liturgia e alla cura dell'altare, “al bene fatto senza rumore”.

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Venuti a conoscenza di un evento così grande (la canonizzazione), i leaders della comunità hanno iniziato a riflettere e a pianificare la preparazione della giornata. Tutto è stato molto semplice, ma fatto con impegno, immensa gioia ed entusiasmo.

Fin dagli inizi, questa comunità ha avuto la presenza delle Missionarie della Consolata che hanno piantato radici di fede e di amore per la Madonna Consolata e per l'Allamano, alcune di loro già nell'eternità, altre molto fragili, ma molto amate da chi le ha conosciute.

Quando scelsero l'Allamano come patrono, erano sicure che un giorno sarebbe stato canonizzato, e quindi avrebbero poi potuto invocarlo con il titolo di San Giuseppe Allamano, spiega qualcuno della comunità. Essendo anche il mese missionario, si è ripreso la recita del Rosario in famiglia, con le suore che si alternavano per partecipare, incoraggiate da ciò che stava per accadere.

I preparativi più stretti riguardavano la liturgia del giorno: prove di canti appropriati, scelta di simboli per la celebrazione e dinamiche per pubblicizzare il grande evento, coinvolgendo così la gente nella preparazione.

Sono state confezionate magliette per l’occasione con le parole del nuovo santo: “Coraggio, ti benedico”, con la certezza che lui era e sarà sempre presente.

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Il parroco, Fra Ailton Araújo (trinitario), ha invitato il vescovo diocesano, monsignor Algacir Munhak (missionario scalabriniano), a presiedere la celebrazione di ringraziamento. La risposta, per la gioia di tutti, è stata affermativa. Mons. Algacir ha fatto il possibile per essere presente, sebbene lo stesso giorno avesse la celebrazione della Cresima in un'altra parrocchia.

Finalmente è arrivato il grande giorno. Un gruppo di suore della Consolata, dopo aver assistito alla canonizzazione attraverso la TV (20 ottobre), si è recato alla comunità “Allamano” per la solenne celebrazione. La pioggia benedetta non ha impedito la partecipazione della gente che traboccava di gioia, insieme a noi Missionarie.

Anche la presenza dei Laici Missionari della Consolata (LMC) di São Miguel Paulista è stata caratterizzata da gioia ed entusiasmo. La cappella che già era piccola, è diventata ancora più piccola per ospitare così tante persone provenienti da altre comunità.

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Era impossibile non commuoversi quando è stata intronizzata l'immagine di San Giuseppe Allamano nella processione d'ingresso e collocata nel luogo preparato con grande cura, così come la sua Reliquia, accompagnata dalla canzone: “Allamano le tue benedizioni si riversano...”.

Il vescovo, pieno di ardore missionario e di gioia per la canonizzazione, ha contagiato il popolo con un saggio messaggio. Esprimendo la sua ammirazione per San Giuseppe Allamano, ha detto che l'anno prossimo tornerà in questa comunità per celebrare solennemente la Messa con la liturgia del nuovo Santo e consacrare l'altare e la cappella, se non ancora consacrati. Questa promessa del vescovo impegna la comunità a rimanere salda nel cammino.

Dopo la Messa, è stata benedetta la targa al cancello d'ingresso, tra gli applausi della comunità.

Come è consuetudine dopo la Messa, è stata servita la colazione, condividendo ciò che la gente aveva portato con generosità, così come la deliziosa torta con la foto dell'Allamano! E la gente non aveva fretta di andarsene, perché questo giorno era molto speciale e resterà memorabile.

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Già prima della canonizzazione, partecipando alle Messe della comunità, ho avuto modo di ascoltare alcune storie di persone che sono state benedette per intercessione del Beato Giuseppe Allamano. Tutto senza “rumore”.

“Guardate questo santo semplice, gentile e paterno nella Chiesa. E Gesù Cristo gli ha dato l'amore per le cose celesti”.

Per questo siamo immensamente grati a Dio per le meraviglie che opera nei suoi santi e in special modo nella persona di San Giuseppe Allamano!

* Suor Dinalva Moratelli, MC, São Miguel Paulista (San Paolo) in Brasile.

Per i Missionari e le Missionarie della Consolata in America, il riconoscimento del miracolo di Sorino Yanomami per intecerssione del Beato Giuseppe Allamano ha un significato molto particolare: è il sigillo, la conferma di un’opzione che assunsero negli ultimi decenni e che caratterizza la missione nel continente: la missione con i popoli indigeni.

Perché questa opzione? Perché si può dire con chiarezza oggi che l’ad gentes in America trova piena espressione in questa scelta apostolica? Per rispondere a queste domande, ripercorriamo a grandi linee la storia del movimento indigenista e il ruolo della Chiesa accanto ai popoli nativi.

Un movimento che dà voce a chi non ha voce

Il movimento indigenista in America Latina sorge attorno agli anni Settanta, quando si formano organizzazioni che agglutinano persone che si riconoscono in un’appartenenza etnica, più o meno direttamente (in Ecuador: la federazione SHUAR è una delle prime, fondata nel 1961, raggruppa popoli amazzonici; CRIC è un’associazione dei popoli andini della Colombia; il movimento katarista nella Bolivia andina e il CIDOB nell’area amazzonica).

Prima d’allora, infatti, se escludiamo il caso dei Mapuche in Cile, che sempre sottolinearono l’elemento etnico, le organizzazioni popolari nei vari paesi latinoamericani si riunivano generalmente come associazioni rurali. Questo cambio di rotta è significativo: oltre al riconoscersi come un gruppo sociale di estrazione popolare, i membri di queste associazioni iniziarono a sottolinerare l’aspetto etnico, cambiando anche la prospettiva dei problemi e delle rivendicazioni.

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Argentina: visita alle famiglie Wichi e Toba. Foto: Archivio MC

Un esempio molto significativo è la rivendicazione della terra, un problema sociale spinoso fino al giorno d’oggi in America Latina: molte persone si vedono private del diritto di possedere terra per coltivare, concentrata nelle mani di pochi latifondisti.  Nel corso della riflessione e della rivendicazione, oltre a parlare di diritto alla terra, si inizia a considerare il territorio, che è un concetto molto più ampio e complesso.

Il territorio non si riferisce solo a un’estensione geografica riservata a un gruppo etnico-sociale, ma contempla diversi punti di riferimento che un determinato spazio contiene: quelli simbolici, significativi per la cosmovisione del popolo e per la religiosità del gruppo (esempio: montagne o altri luoghi considerati sacri, per la presenza di spiriti o degli antenati, i luoghi di culto, tutto ciò che costituisce la “geografia simbolica” o “geografia sacra” di un popolo) come anche quelli produttivi per la vita concreta di lavoro e produzione (foresta, fiumi e laghi per la caccia, la pesca, il raccolto dei frutti, i campi per coltivare).

Il momento storico che stava vivendo gran parte dell’America Latina era molto particolare: il movimento indigenista nasce durante il tempo delle dittature militari di estrema destra, che riducevano la libertà e opprimevano le classi più umili, a favore di un’oligarchia minoritaria. Sappiamo le atrocità commesse in tanti Paesi (i desaparecidos, cioè le persone scomparse, le torture, gli esili...) e i tanti martiri anche tra gli indigeni che furono trucidati per l’opposizione manifestata alla politica repressiva e oligarchica.

Nello stesso periodo inizia la migrazione dalle aree rurali alle città di un consistente numero di famiglie; la conseguente urbanizzazione di masse di contadini per un certo verso facilita l’organizzazione e il reclutamento di membri per le nascenti organizzazioni indigene.

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Brasile: educazione nelle comunità Yanomami. Foto: Archivio MC

L’apporto della Chiesa e di altre istituzioni

Un aiuto grande per l’organizzazione di questi nuovi movimenti fu dato dalle ONG, sempre più presenti e vicine alle realtà locali. Si tratta di istituzioni di diversa posizione politica/ideologica/religiosa: dai “verdi” che iniziano a battersi per la difesa dell’Amazzonia, a ONG di stampo cristiano, passando per una numerosa serie di altre posture ideologiche, inclusi i movimenti di sinistra estrema e moderata. Sono proprio queste organizzazioni internazionali che promuovono la formazione di leader locali a livello universitario che assumono quindi un ruolo da protagonisti nei negoziati tra Stato e movimenti indigeni.

“La lucha ya no debe ser con arcos y flechas, sino con lápiz y papel” (Mateo Chumira, leader guaranì). “la lotta non deve più essere con arco e freccia, ma con lapis e carta”

Negli anni Ottanta, con il graduale ritorno alla democrazia, il movimento indigenista continua le negoziazioni con i nuovi governi, fino ad ottenere importanti risultati, in modo speciale la riforma delle Costituzioni nazionali, in cui vengono inseriti articoli che riconoscono i popoli indigeni e i loro diritti (diritto alla terra, diritto all’istruzione bilingue...).

Il 19 aprile 1989 è stato creato il Coordinamento delle Organizzazioni Indigene dell'Amazzonia Brasiliana (COIAB), un'organizzazione regionale del movimento indigeno che fa parte dell'Articolazione nazionale dei Popoli Indigeni del Brasile (APIB) con 75 organizzazioni membri.

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Manifestazione dei popoli indigeni organizzata dal COIAB a Brasilia. Fonto: Felipe Beltrame

E così la Chiesa cattolica, e in essa i Missionari e Missionarie della Consolata, che stette al fianco dei fratelli e sorelle nativi nella fatica della rivendicazione, poté condividere con loro anche la gioia immensa che diede questo risultato.

In questo breve scorcio della realtà dell’ America Latina negli Anni Settanta/Ottanta/Novanta, possiamo adesso inserire le scelte che i Missionari e le Missionarie della Consolata hanno assunto, focalizzandoci sulla presenza consolatina in Roraima, stato del Nord de Brasile, in piena area amazzonica.

L’opzione dei popoli indigeni dei Missionari e Missionarie della Consolata

Le Missionarie della Consolata arrivarono in Roraima nel 1949, mentre i confratelli erano già arrivati nel 1948. Nei primi decenni le attività principali si svolgevano nel campo della sanità, dell’educazione e dell’assistenza sociale nella città di Boa Vista. Nell’epoca precedente il Concilio Vaticano II, i Missionari e le Missionarie visitavano l’area rurale per la “desobriga”, ovvero: per amministrare i Sacramenti e permettere a tutti i cristiani di confessarsi e fare la comunione almeno una volta all’anno per Pasqua, secondo il precetto della Chiesa.

I Missionari della Consolata arrivano a Catrimani nel 1965. Già negli Anni Settanta le Sorelle raggiungevano l’area Yanomami per assistenza sanitaria; è nel 1990 che le Missionarie si stabiliscono come comunità in Catrimani, condividendo la vita con il popolo Yanomami e lavorando in modo speciale nella sanità e nell’educazione, insieme ai confratelli. La decisione di aprire questa comunità è stata presa come “ringraziamento per la beatificazione di Giuseppe Allamano, il Padre Fondatore”, che proprio quell’anno veniva beatificato.

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Incontro di formazione dei leader indigeni nel 1977 nella Terra Raposa Serra do Sol, Roraima. Foto: Lirio Girardi

La scelta di vivere insieme ai popoli indigeni è stata abbracciata in diverse realtà dell’America Latina: per quanto riguarda le Missionarie della Consolata, nel 1991 in Bolivia aprono la presenza a Poopò con il popolo quechua e a Tencua, con il popolo Yecuana, nell’Amazzonia venezuelana; nel 1992 le Sorelle in Argentina aprono la comunità di Comandancia Frías, con il popolo Wichi, nell’Impenetrabile chaqueño e nel 1994 in Colombia le comunità di Puerto Cayetán e Resguardo Guacoyo.

Dopo 30 anni, una certezza e una conferma

Nel documento Ratio Missionis delle Suore Missionarie della Consolata, si dà questa lettura del cammino compiuto:

“Dagli Anni Novanta del secolo scorso le varie Circoscrizioni del Continente si sono decisamente orientate verso la presenza tra i popoli originari o nativi. L’esperienza e la riflessione hanno mostrato e sempre più confermato che l’ad gentes in America trova la sua espressione in questa opzione apostolica. La Regione America [nata nel 2018, n.d.r.] ha riconfermato la scelta della missione tra i popoli originari come priorità della Circoscrizione.

In un primo tempo, le Missionarie della Consolata hanno affiancato i gruppi nativi nella rivendicazione dei propri diritti, negati dagli Stati nazionali e usurpati dai potenti locali. Con il tempo, si è unito l’impegno per conoscere sempre più profondamente le culture e le spiritualità dei popoli, in un dialogo semplice, quotidiano, che richiede tempi prolungati e relazioni significative con la gente” (Ratio Missionis, 4.8.2).

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Questo piccolo inquadramento storico può dare un’idea di cosa significa per i Missionari e le Missionarie della Consolata in America questo miracolo riconosciuto all’intercessione di Padre Fondatore a favore di un uomo Yanomami, nel 1996, proprio in quegli anni in cui tanti missionari e missionarie davano il meglio di sé, anche a rischio della vita, per i fratelli e le sorelle indigeni dell’America.

È il riconoscimento di un’opzione assunta a favore dei più emarginati delle società latinoamericane, suggellato da un miracolo che porta alla canonizzazione il nostro Fondatore. È la benedizione di un cammino che continua oggi, con l’opzione prioritaria della missione ad gentes con i popoli originari del Continente.

* Suor Stefania Raspo, MC, Consigliera Generale.

Riferimenti bibliografici:

ALBÓ, Xavier, “El retorno del indioin: Revista Andina, Cuzco, Perú, 1991.

CAUREY, Elías, Asamblea del pueblo guaraní. Un breve repaso a su historia. Bolivia, 2015.

MISSIONARIE DELLA CONSOLATA, Ratio Missionis. Visione della missione secondo il Carisma delle Suore Missionarie della Consolata. Nepi, 2023.

Vita di Giuseppe Allamano

Nipote di san Giuseppe Cafasso per parte di madre, Giuseppe Allamano nasce a Castelnuovo d'Asti il 21 gennaio 1851. Frequenta il ginnasio a Valdocco e, come educatore, vanta nientemeno che don Bosco. A 22 anni è ordinato sacerdote a Torino e subito incaricato della formazione dei giovani seminaristi. A 29 è rettore del santuario mariano della città, dedicato alla «Madonna Consolata», e formatore del giovane clero al Convitto ecclesiastico.

Il 29 gennaio 1901 fonda a Torino l'Istituto dei Missionari della Consolata. L'8 maggio 1902 partono per il Kenya i primi quattro missionari, due sacerdoti e due fratelli coadiutori, seguiti, alla fine dello stesso anno, da altri quattro sacerdoti e un laico. Nel 1910 Allamano fonda le Missionarie della Consolata.

Muore a Torino il 16 febbraio 1926. La sua salma è conservata e venerata nella Casa Madre dei Missionari della Consolata, a Torino. Il Fondatore dei missionari e delle missionarie della Consolata è stato beatificato da Papa Giovanni Paolo II il 7 ottobre 1990 e la sua festa è stata fissata per il 16 febbraio, giorno del suo ritorno alla Casa del Padre.

Durante il Concistoro Ordinario Pubblico del lunedì 1° luglio 2024, Papa Francesco ha annunciato che la canonizzazione del Beato Giuseppe Allamano si terrà domenica 20 ottobre 2024 a Roma, giornata missionaria Mondiale.

* Video realizzato dall'equipe Comunicazione per la Canonizzazione

Vedi anche: Suor Cecilia Pedroza: “Chi è Giuseppe Allamano per me”

Padre Diego Cazzolato. “Chi è il Fondatore per me”

La missionaria della Consolata colombiana, Suor Cecilia Pedroza Saavedra, vive accanto alla casa natale del Beato Giuseppe Allamano, in Castelnuovo Don Bosco.

La religiosa ci racconta chi è il Fondatore per lei e per la nostra famiglia missionaria. “Un richiamo a vivere sempre secondo il suo spirito nel carisma che lui ci dà”. La fedeltà carismatica...

* Video realizzato dall'equipe Comunicazione per la Canonizzazione

Vedi anche: Padre Diego Cazzolato. “Chi è il Fondatore per me”

Mancano ormai due mesi all’evento tanto atteso della canonizzazione del Beato Giuseppe Allamano, fondatore dei Missionari e Missionarie della Consolata.

Per l’occasione è stato ideato un logo in varie lingue, che con linee e colori vuole comunicare la Santità del Canonico Allamano e il suo significato per la Chiesa di oggi. Il logo è stato realizzato da Suor Luz Mary, MC, a partire di diverse idee raccolte e messe insieme.

Il volto di Giuseppe Allamano, sulla sinistra, è tratto da una foto celebre del sacerdote.

Al suo fianco, stilizzato, il Santuario della Consolata, da cui tutto è partito: l’ispirazione della fondazione dei due Istituti, i valori fondanti del Carisma, la protezione e benedizione della Madonna Consolata; l’Allamano affermava: “Lei è la Fondatrice!”

In alto, a destra: cinque persone stilizzate, unite in una danza: sono di diversi colori per rappresentare tutti i popoli che hanno accolto il Vangelo e quelli che ancora attendono l’annuncio della Buona Nuova.

Il tutto è abbracciato da una striscia verde, che rappresenta la vita, in particolare la vita rigogliosa dell’Amazzonia, luogo in cui è avvenuto il miracolo attribuito all’Allamano, a favore di Sorino Yanomami.

Infine, la frase: “Prima Santi, poi Missionari”, che era ripetuta da Giuseppe Allamano ai suoi giovani figli e figlie: non si può convertire le persone, diceva il Fondatore, se prima non si arde d’amore per Dio: non possiamo dare ciò che non abbiamo. Non possiamo parlare di Dio, se con Lui non abbiamo una relazione profonda e autentica.

Equipe Comunicazione per la Canonizzazione

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