Il Papa Francesco ha nominato il missionario della Consolata, mons. Lisandro Alirio Rivas Durán, finora vescovo ausiliare dell'arcidiocesi Metropolitana di Caracas, vescovo di San Cristóbal de Venezuela (Venezuela). In un'intervista al nostro Ufficio per la Comunicazione a Roma, il vescovo parla sulla missione della Chiesa di fronte la grave situazione sociale e politica del Venezuela.
Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di San Cristóbal de Venezuela, presentata dal vescovo Mario del Valle Moronta Rodríguez, il 10 febbraio, in occasione del suo 75° compleanno, come riferisce la Sala Stampa della Santa Sede nel bollettino del 31 ottobre 2024. Contemporaneamente, mons. Lisandro Rivas, finora vescovo titolare di Dardano e vescovo Ausiliare di Caracas, è stato nominato vescovo della stessa diocesi.
Pochi giorni fa, mons. Lisandro Rivas era a Roma per partecipare alla canonizzazione di San Giuseppe Allamano e ha parlato della situazione sociale e politica del Venezuela e della missione della Chiesa in un Paese che negli ultimi anni vive una grave crisi economica, sociale e politica. Ascoltiamo l'intervista in spagnolo.
“In questo momento sto accompagnando la gente più povera nei quartieri della periferia di Caracas. Quando il Santo Padre mi ha nominato vescovo, ho cominciato a entrare in questa realtà complessa, difficile e impegnativa”, spiega mons. Lisandro Rivas. “Dopo il 28 luglio 2024, quando si sono svolte le elezioni presidenziali, abbiamo una Venezuela diverso, soprattutto per la situazione di violenza, la violazione dei diritti umani, della dignità della persona umana nei suoi diritti fondamentali alla vita, all'educazione, alla libertà di espressione e al diritto di scegliere liberamente il destino del Paese”.
Quartiere nella periferia di Caracas, la capitale venezuelana.
Mons. Lisandro dice che le elezioni sono state “un'esperienza straordinaria di democrazia, perché tante persone hanno espresso le loro preferenze, ma quello che abbiamo sperimentato dopo il ballottaggio è stato un grande broglio elettorale”. Il Consiglio Nazionale Elettorale (CNE) ha dichiarato la vittoria del presidente Nicolás Maduro, lasciando fuori Edmundo González Urrutia, che per la maggioranza sarebbe stato eletto”.
Anche di fronte alle pressioni internazionali, il regime di Nicolás Maduro non ha ancora presentato i verbali che attestano i risultati delle elezioni. Poiché il principio di trasparenza non è stato rispettato, molti Paesi non riconoscono la vittoria proclamata dell'attuale presidente con il 51,2% dei voti. L'opposizione non ha riconosciuto il risultato e parla di irregolarità.
Manifestazioni dopo le elezioni del 28 luglio 2024 a Caracas. Foto: Brasil de Fato
“Ciò ha avuto gravi conseguenze – spiega il vescovo -. In primo luogo, c'è una persecuzione di tutti coloro che si sono opposti a questa decisione: molti giovani, più di 1.200, soprattutto minorenni, sono stati arrestati dalla polizia. Allo stesso tempo, sono stati perseguitati coloro che hanno partecipato delle manifestazioni. Questo ha avuto conseguenze a livello economico, politico e sociale, e soprattutto in termini di migrazione, che entro la fine di quest'anno si prevede sarà di oltre 9 milioni di venezuelani che lasceranno il Paese in cerca di opportunità, lasciando un vuoto enorme. Rimangano nel Paese soltanto i bambini, gli adolescenti e gli anziani. La forza lavoratrice se n'è andata”.
Mons. Lisandro Rivas ha parlato inoltre, delle sfide per la missione della Chiesa. “La Chiesa, che ha sempre accompagnato il popolo, è dalla parte di chi soffre ed è anche espressione di speranza con azioni concrete. Di fronte alla fame, la Chiesa cerca di sfamare rafforzando la solidarietà in modo che le persone possano portare a casa un piatto di minestra. La Caritas si occupa anche della salute con la distribuzione di medicinali e giornate di assistenza medica”.
Immigrati venezuelani ricevono cibo a Boa Vista, Stato di Roraima, Brasile
“La Chiesa si è sempre pronunciata attraverso comunicati, soprattutto dopo le ultime elezioni, facendo sentire la sua missione profetica da un punto di vista morale ed etico”, sottolinea il vescovo Lisandro. “La Chiesa sta anche cercando di riflettere su come affrontare questa realtà. Una cosa che ci è chiara come pastori è che dobbiamo accompagnare le persone che gridano al cielo implorando giustizia in termini di dignità umana e di diritti fondamentali. Come Chiesa, siamo parte di questo popolo e siamo un segno di speranza. Come pastori, dobbiamo essere con il popolo nei luoghi in cui gridano, a volte davanti alla gente, a volte in mezzo, a volte dietro, per non permettere a nessuno di prendere la strada sbagliata”, ribadisce il vescovo.
Mons. Lisandro vede il futuro del Venezuela incerto e non si sa quando ci sarà un cambiamento nella presidenza. “La missione della Chiesa nei diversi scenari è continuare ad accompagnare le persone che vogliono un'alternativa alla situazione attuale. Le persone che escono a manifestare sono quelle che vivono nelle periferie di Caracas e che prima appoggiavano il ‘chavismo’, ma che oggi stanno subendo le maggiori conseguenze di quanto sta accadendo. Come Chiesa, siamo chiamati a essere discepoli missionari nelle periferie esistenziale come segno di speranza che accompagna il popolo nella ricerca di soluzioni per il bene del Venezuela”, conclude il vescovo.
Distribuzione di minestra comunitaria a Carapita nella periferia di Caracas.
L'ufficio stampa della diocesi di San Cristóbal ha condiviso le parole del vescovo Mario del Valle, che ha incoraggiato la comunità a ricevere il vescovo Lisandro Rivas con affetto e preghiere: “Accoglietelo con affetto, entusiasmo e come figlio di Táchira... Vi chiedo di cuore di pregare per lui e per il suo ministero in questo momento”.
Mons. Lisandro Rivas è il sesto vescovo della diocesi e ha espresso gratitudine al Papa Francesco per la sua nomina: “Il Santo Padre mi ha veramente sorpreso con questa notizia, che mi fa andare incontro alle persone che sono in pellegrinaggio a San Cristóbal”.
Eretta da Papa Pio XI il 12 ottobre 1922, la diocesi di San Cristobal si trova nello Stato di Táchira, al confine con la Colombia, ed è suffraganea dell'arcidiocesi di Mérida. Durante questi 100 anni di storia ha fondato il Giornale Cattolico, il Seminario San Tommaso d'Aquino, l'Università Cattolica di Táchira, diverse scuole cattoliche e di tre chiese sono state elevate a basiliche minori e 94 parrocchie. Attualmente, la diocesi conta 173 sacerdoti, tra cui diversi religiosi Redentoristi, Agostiniani, Francescani e Domenicani, tra gli altri, e 225 seminaristi. Mons. Juan Alberto Ramírez, è il vescovo ausiliare, dal 2020.
La celebrazione del centenario della diocesi di San Cristobal nel 2022. Foto: Archivio diocesano
Mons. Lisandro Alirio Rivas, IMC, è nato il 17 luglio 1969 a Boconó, nello Stato di Trujillo. Nel 1985 è entrato nel Seminario Filosofico della Consolata. Al termine del noviziato, ha emesso la professione religiosa il 7 gennaio 1990 a Bucaramanga (Colombia) e il 3 dicembre 1994 la professione perpetua. Nel 1990 ha studiato teologia a Londra (Regno Unito) e il 19 agosto 1995 è stato ordinato sacerdote nella sua città natale ed è partito in missione per il Kenya dove ha lavorato fino 2000; al ritorno in Venezuela è stato responsabile della formazione e rettore del Seminario Filosofico; vice superiore e superiore della propria congregazione; rettore del Seminario Teologico di Bogotá in Colombia; dal 2014 rettore del Pontificio Collegio San Paolo a Roma.
Il 23 dicembre 2021 è stato nominato vescovo titolare di Dardano e ausiliare dell'arcidiocesi metropolitana di Caracas e ha ricevuto l'ordinazione episcopale il 12 marzo 2022.
Nella Conferenza episcopale venezuelana è direttore dell'Istituto Nazionale di Pastorale (INPAS), membro della Commissione episcopale per la vita consacrata e della Commissione per le missioni, l'indigenismo e gli afroamericani.
* Padre Jaime C. Patias, IMC, Comunicazione Generale, Roma.
Questa figura è presente nella mente del Fondatore fin dalla fase di progettazione dell'Istituto. Nel primo documento che redige per la presentazione del suo progetto alla Santa Sede, afferma di aver sviluppato il suo progetto in contatto con sacerdoti e seminaristi, ma aggiunge, a margine: “non mancheranno i laici” (Lettera a C. Mancini, 6 aprile 1891).
Sappiamo che nella Chiesa cattolica esistono Sacerdoti diocesani che prestano il loro servizio in una Chiesa particolare che può essere un'Arcidiocesi, una Diocesi o un Vicariato Apostolico. Vivono nel celibato e promettono obbedienza al loro Vescovo. Ci sono poi i sacerdoti religiosi, consacrati con i voti di povertà, castità e obbedienza, appartenenti a Ordini, Congregazioni o Istituti di vita consacrata, tutti chiamati alla vita comunitaria. Alcune di queste istituzioni sono composte da sacerdoti ma ancheda laici o fratelli. La Vita Consacrata o Vita Religiosa esiste nella sua versione maschile e femminile, con carismi e ministeri diversi.
L'Istituto Missioni Consolata, secondo la volontà del Fondatore Giuseppe Allamano, è composto da sacerdoti e fratelli coadiutori (laici consacrati) per la missione ad gentes e vive in spirito di famiglia (XI Capitolo Generale 59).
Fratello Fortunato Rosin. Foto: Archivio IMC Colombia
Il Concilio Vaticano II nella “Perfectae catitatis”, il documento che scrive sul rinnovamento della vira religiosa (n. 10) li presenta così: “La vita religiosa laicale, tanto maschile quanto femminile, costituisce uno stato in sé completo di professione dei consigli evangelici. Perciò il sacro Concilio, che ha grande stima di esso poiché tanta utilità arreca all'attività pastorale della Chiesa nell'educazione della gioventù, nell'assistenza agli infermi e in altri ministeri, conferma i membri di tale forma di vita religiosa nella loro vocazione e li esorta ad adattare la loro vita alle odierne esigenze”. La vita religiosa laicale è quindi completa in se stessa. Non deve essere definita per ciò che le manca (non essere sacerdoti), ma per ciò che è. Da parte sua, Giovanni Paolo II ha affermato: “Sono convinto che questo tipo di vita religiosa che, nel corso della storia, ha reso così grandi servizi alla Chiesa, rimane oggi uno dei più adatti alle nuove sfide apostoliche dell'annuncio del messaggio evangelico”.
Questa figura era presente nella mente del Fondatore fin dal principio. Nel primo documento redatto per la presentazione del suo progetto alla Santa Sede afferma di averlo sviluppato in contatto con sacerdoti e seminaristi ma –aggiunge, a margine– “non mancheranno i laici” (Lettera a C. Mancini, 6 aprile 1891). Infatti, nella bozza di Regolamento dello stesso anno, sacerdoti e laici sono considerati “desiderosi di dedicarsi alle missioni”, “di consacrarsi all'evangelizzazione degli infedeli”.
Quando Giuseppe Allamano parla di comunione e comunità, le pensa sempre nel contesto dello “spirito di famiglia”. I suoi studiosi dicono che non si tratta di una semplice “strategia” per affrontare la vita, ma di una motivazione che l’ha portato a pensare di fondare l'Istituto. Questo lo pensava e proponeva, come una famiglia e non come un seminario o un collegio e in una famiglia non è possibile dire che ci siano membri di prima classe (i genitori) e membri di seconda classe (i fratelli). In una famiglia si intrecciano relazioni di uguaglianza e fraternità, tutti con la missione ad gentes nella testa, nel cuore, nelle mani e nei piedi. Ognuno svolge il proprio ruolo o ministero e tutti in “unità di intenti”.
(Foto: Fratelli Vincenzo Clerici, Carlo Zacquini, Adolphe Mulenguzi e Domenico Brusa)
I Fratelli sono parte costitutiva della Famiglia dei Missionari della Consolata e non solo, sono anche i più cari al Fondatore. Lo dimostrano espressioni come la seguente: “Che una sorella mi scriva dall'Africa mi fa piacere; che un padre mi scriva, altrettanto; ma che lo faccia un fratello coadiutore mi rallegra ancora di più”. Ciò non significa che siamo esenti dal ripensare e ricreare il ruolo, la figura e la presenza dei Fratelli nella missione dell’Istituto con maggior ragione oggi che viviamo un tempo di protagonismo laico e di messa in discussione del clericalismo esacerbato.
Il primo gruppo, inviato il 5/8/1901 era composto dai padri Tomaso Gays e Filippo Perlo e dai fratelli Celeste Lusso e Gabriele Perlo. Il secondo –inviato il 15/12/1902– era composto da p. Borda Bossana, il seminarista G. Cravero e fratel Andrea Anselmetti. Il terzo inviato il 24/4/1903 era composto da 8 suore, 4 sacerdoti, 1 seminarista e da fratel Benedetto Falda. Nel quarto invio (il 24/12/1903) c’erano 12 religiose, 3 sacerdoti e i fratelli Anselmo Jeantet e Agostino Negro e finalmente nel quinto (il 27/11/1905) c’erano 6 suore, 2 sacerdoti e fratel Aquilino Caneparo.
Senza grande sforzo possiamo dedurre, dalla formazione dei primi gruppi missionari, composti da uomini e donne, sacerdoti e religiosi laici, la comprensione di una missione interdisciplinare e integrale, avviata su due binari, come il treno: l'annuncio esplicito del Vangelo oltre alla promozione umana e dell’ambiente. A questo scopo i missionari vengono formati e preparati, all'inizio con evidente fretta, sperando che la missione stessa continui a formarli, nell'esperienza comunitaria che li tempra nella loro personalità, nella pratica religiosa-spirituale che li conduce sulla via della santità, negli studi accademici e nella formazione tecnico-pratica che li facilita ad agire con saggezza, conoscenza e creatività pratica per il lavoro con la gente del luogo dove il Dio della missione li dirige.
Incontro dei Fratelli dell'IMC, Miguel Angel Millán, Laureano Galindo, Fortunato Rosin e Antonio Martín. Bogotà, 1983. Foto: Archivio IMC Colombia
L'ultimo Capitolo Generale (XIV) ha dedicato brevi paragrafi ai Fratelli e, al numero 529, ha dato mandato che “nei prossimi sei anni, la Direzione Generale organizzi un ‘Anno dei Fratelli imc’ invitando tutto l'Istituto a pregare e a riflettere sulla vocazione alla fraternità nella comunità dei Missionari della Consolata. Sarà un'opportunità per integrare più chiaramente la vocazione di Fratello nelle attività di animazione missionaria.
Si apre quindi un tempo di riflessione e di ricreazione. La presenza di giovani missionari laici nell'animazione missionaria giovanile e vocazionale della nostra Regione Colombia e dei Missionari Laici della Consolata diviene molto significativa, provocatoria e opportuna, nel momento in cui la figura del Fratello, come la conosciamo tradizionalmente, tende a scomparire.
* Padre Salvador Medina, IMC, Equipe di promozione della missione in Colombia. Articolo pubblicato originariamente sulla rivista Dimensión Misionera (qui per vedere)
Nella missione, “nonostante le sfide da affrontare, dobbiamo sempre accompagnare il popolo di Dio perché il popolo non vede noi, ma Gesù che è in noi. Quindi più siamo vicini a loro, più Dio è presente. Questa è un'esperienza che mi ha aiutato molto nella mia vita”.
Queste sono parole di mons. Peter Munguti Makau, missionario della Consolata, in un'intervista rilasciata al Segretariato per la Comunicazione a Roma durante la sua prima visita ad limina nello scorso mese di settembre.
Il 28 settembre 2024, Papa Francesco lo ha nominato vescovo titolare della diocesi di Isiolo nel Kenya dove era stato fino a quel momento vescovo coadiutore. Il primo vescovo di quella giovane diocesi, creata il 15 febbraio 2023, era stato Mons. Anthony Mukobo, IMC, che ha raggiunto l’età canonica e si è dimesso.
Nell’intervista in inglese, che pubblichiamo di seguito, parlando ancora come vescovo coadiutore di Isiolo, Mons. Peter Makau ci racconta la sua storia e il percorso che ha fatto in diversi spazi missionari. Ricorda gli anni del seminario e del noviziato in Kenya; gli studi di teologia a Kinshasa nella Repubblica Democratica del Congo; la sfidante missione del Venezuela dove è stato anche superiore e, ancora una volta superiore, gli anni della presenza nella Regione IMC del Kenya e Uganda. Poi il 4 maggio 2024 e all’età di 49 anni Papa Francesco lo ha nominato vescovo.
Leggi anche: Mons. Anthony Mukobo: “La diocesi di Isiolo tra crescita e sfide pastorali”
Peter Munguti Makau è nato il 6 maggio 1975 a Nairobi dove ha ingressato nell’Istituto e ha fatto la sua formazione religiosa. L'anno di noviziato l’ha compiuto a Sagana (Kenya) dove ha emesso i primi voti il 6 agosto 1999. Pois ha fatto gli studi teologici a Kinshasa, RD Congo e è stato ordinato presbitero il 20 novembre 2004 nella Diocesi di Machakos (Kenya).
Dopo l'ordinazione è stato inviato in Venezuela dove ha lavorato nella pastorale e nell’animazione missionaria. È stato Superiore Delegato IMC per il Venezuela per due mandati (2014-2019). Poi, nel 2019 è tornato in Kenya come Superiore Regionale IMC.
Nominato dal Papa Francesco vescovo coadiutore della diocesi di Isiolo nel Kenya il 4 maggio 2024, la sua ordinazione episcopale ha avuto luogo il 27 luglio 2024, nella cattedrale di Sant'Eusebio nella Diocesi di Isiolo.
Situata nella parte centrale del Kenya, la diocesi ha una superficie di 25.700 km2 e una popolazione di 268 mila abitanti di cui il 19% sono cattolici. Ci sono 15 parrocchie, 74 istituzioni educative ed 11 di carità, tra cui 5 dispensari ed 1 maternità. Nella diocesi di Isiolo lavorano 27 sacerdoti diocesani e 6 sacerdoti religiosi, assieme ad altri 58 fra religiosi e religiose. Sono presenti anche 10 catechisti a tempo pieno e tantissimi laici impegnati nella cura pastorale delle comunità cristiane.
* Padre Jaime C. Patias, IMC, Segretariato per la Comunicazione
Per i Missionari e le Missionarie della Consolata in America, il riconoscimento del miracolo di Sorino Yanomami per intecerssione del Beato Giuseppe Allamano ha un significato molto particolare: è il sigillo, la conferma di un’opzione che assunsero negli ultimi decenni e che caratterizza la missione nel continente: la missione con i popoli indigeni.
Perché questa opzione? Perché si può dire con chiarezza oggi che l’ad gentes in America trova piena espressione in questa scelta apostolica? Per rispondere a queste domande, ripercorriamo a grandi linee la storia del movimento indigenista e il ruolo della Chiesa accanto ai popoli nativi.
Il movimento indigenista in America Latina sorge attorno agli anni Settanta, quando si formano organizzazioni che agglutinano persone che si riconoscono in un’appartenenza etnica, più o meno direttamente (in Ecuador: la federazione SHUAR è una delle prime, fondata nel 1961, raggruppa popoli amazzonici; CRIC è un’associazione dei popoli andini della Colombia; il movimento katarista nella Bolivia andina e il CIDOB nell’area amazzonica).
Prima d’allora, infatti, se escludiamo il caso dei Mapuche in Cile, che sempre sottolinearono l’elemento etnico, le organizzazioni popolari nei vari paesi latinoamericani si riunivano generalmente come associazioni rurali. Questo cambio di rotta è significativo: oltre al riconoscersi come un gruppo sociale di estrazione popolare, i membri di queste associazioni iniziarono a sottolinerare l’aspetto etnico, cambiando anche la prospettiva dei problemi e delle rivendicazioni.
Argentina: visita alle famiglie Wichi e Toba. Foto: Archivio MC
Un esempio molto significativo è la rivendicazione della terra, un problema sociale spinoso fino al giorno d’oggi in America Latina: molte persone si vedono private del diritto di possedere terra per coltivare, concentrata nelle mani di pochi latifondisti. Nel corso della riflessione e della rivendicazione, oltre a parlare di diritto alla terra, si inizia a considerare il territorio, che è un concetto molto più ampio e complesso.
Il territorio non si riferisce solo a un’estensione geografica riservata a un gruppo etnico-sociale, ma contempla diversi punti di riferimento che un determinato spazio contiene: quelli simbolici, significativi per la cosmovisione del popolo e per la religiosità del gruppo (esempio: montagne o altri luoghi considerati sacri, per la presenza di spiriti o degli antenati, i luoghi di culto, tutto ciò che costituisce la “geografia simbolica” o “geografia sacra” di un popolo) come anche quelli produttivi per la vita concreta di lavoro e produzione (foresta, fiumi e laghi per la caccia, la pesca, il raccolto dei frutti, i campi per coltivare).
Il momento storico che stava vivendo gran parte dell’America Latina era molto particolare: il movimento indigenista nasce durante il tempo delle dittature militari di estrema destra, che riducevano la libertà e opprimevano le classi più umili, a favore di un’oligarchia minoritaria. Sappiamo le atrocità commesse in tanti Paesi (i desaparecidos, cioè le persone scomparse, le torture, gli esili...) e i tanti martiri anche tra gli indigeni che furono trucidati per l’opposizione manifestata alla politica repressiva e oligarchica.
Nello stesso periodo inizia la migrazione dalle aree rurali alle città di un consistente numero di famiglie; la conseguente urbanizzazione di masse di contadini per un certo verso facilita l’organizzazione e il reclutamento di membri per le nascenti organizzazioni indigene.
Brasile: educazione nelle comunità Yanomami. Foto: Archivio MC
Un aiuto grande per l’organizzazione di questi nuovi movimenti fu dato dalle ONG, sempre più presenti e vicine alle realtà locali. Si tratta di istituzioni di diversa posizione politica/ideologica/religiosa: dai “verdi” che iniziano a battersi per la difesa dell’Amazzonia, a ONG di stampo cristiano, passando per una numerosa serie di altre posture ideologiche, inclusi i movimenti di sinistra estrema e moderata. Sono proprio queste organizzazioni internazionali che promuovono la formazione di leader locali a livello universitario che assumono quindi un ruolo da protagonisti nei negoziati tra Stato e movimenti indigeni.
“La lucha ya no debe ser con arcos y flechas, sino con lápiz y papel” (Mateo Chumira, leader guaranì). “la lotta non deve più essere con arco e freccia, ma con lapis e carta”
Negli anni Ottanta, con il graduale ritorno alla democrazia, il movimento indigenista continua le negoziazioni con i nuovi governi, fino ad ottenere importanti risultati, in modo speciale la riforma delle Costituzioni nazionali, in cui vengono inseriti articoli che riconoscono i popoli indigeni e i loro diritti (diritto alla terra, diritto all’istruzione bilingue...).
Il 19 aprile 1989 è stato creato il Coordinamento delle Organizzazioni Indigene dell'Amazzonia Brasiliana (COIAB), un'organizzazione regionale del movimento indigeno che fa parte dell'Articolazione nazionale dei Popoli Indigeni del Brasile (APIB) con 75 organizzazioni membri.
Manifestazione dei popoli indigeni organizzata dal COIAB a Brasilia. Fonto: Felipe Beltrame
E così la Chiesa cattolica, e in essa i Missionari e Missionarie della Consolata, che stette al fianco dei fratelli e sorelle nativi nella fatica della rivendicazione, poté condividere con loro anche la gioia immensa che diede questo risultato.
In questo breve scorcio della realtà dell’ America Latina negli Anni Settanta/Ottanta/Novanta, possiamo adesso inserire le scelte che i Missionari e le Missionarie della Consolata hanno assunto, focalizzandoci sulla presenza consolatina in Roraima, stato del Nord de Brasile, in piena area amazzonica.
Le Missionarie della Consolata arrivarono in Roraima nel 1949, mentre i confratelli erano già arrivati nel 1948. Nei primi decenni le attività principali si svolgevano nel campo della sanità, dell’educazione e dell’assistenza sociale nella città di Boa Vista. Nell’epoca precedente il Concilio Vaticano II, i Missionari e le Missionarie visitavano l’area rurale per la “desobriga”, ovvero: per amministrare i Sacramenti e permettere a tutti i cristiani di confessarsi e fare la comunione almeno una volta all’anno per Pasqua, secondo il precetto della Chiesa.
I Missionari della Consolata arrivano a Catrimani nel 1965. Già negli Anni Settanta le Sorelle raggiungevano l’area Yanomami per assistenza sanitaria; è nel 1990 che le Missionarie si stabiliscono come comunità in Catrimani, condividendo la vita con il popolo Yanomami e lavorando in modo speciale nella sanità e nell’educazione, insieme ai confratelli. La decisione di aprire questa comunità è stata presa come “ringraziamento per la beatificazione di Giuseppe Allamano, il Padre Fondatore”, che proprio quell’anno veniva beatificato.
Incontro di formazione dei leader indigeni nel 1977 nella Terra Raposa Serra do Sol, Roraima. Foto: Lirio Girardi
La scelta di vivere insieme ai popoli indigeni è stata abbracciata in diverse realtà dell’America Latina: per quanto riguarda le Missionarie della Consolata, nel 1991 in Bolivia aprono la presenza a Poopò con il popolo quechua e a Tencua, con il popolo Yecuana, nell’Amazzonia venezuelana; nel 1992 le Sorelle in Argentina aprono la comunità di Comandancia Frías, con il popolo Wichi, nell’Impenetrabile chaqueño e nel 1994 in Colombia le comunità di Puerto Cayetán e Resguardo Guacoyo.
Nel documento Ratio Missionis delle Suore Missionarie della Consolata, si dà questa lettura del cammino compiuto:
“Dagli Anni Novanta del secolo scorso le varie Circoscrizioni del Continente si sono decisamente orientate verso la presenza tra i popoli originari o nativi. L’esperienza e la riflessione hanno mostrato e sempre più confermato che l’ad gentes in America trova la sua espressione in questa opzione apostolica. La Regione America [nata nel 2018, n.d.r.] ha riconfermato la scelta della missione tra i popoli originari come priorità della Circoscrizione.
In un primo tempo, le Missionarie della Consolata hanno affiancato i gruppi nativi nella rivendicazione dei propri diritti, negati dagli Stati nazionali e usurpati dai potenti locali. Con il tempo, si è unito l’impegno per conoscere sempre più profondamente le culture e le spiritualità dei popoli, in un dialogo semplice, quotidiano, che richiede tempi prolungati e relazioni significative con la gente” (Ratio Missionis, 4.8.2).
Questo piccolo inquadramento storico può dare un’idea di cosa significa per i Missionari e le Missionarie della Consolata in America questo miracolo riconosciuto all’intercessione di Padre Fondatore a favore di un uomo Yanomami, nel 1996, proprio in quegli anni in cui tanti missionari e missionarie davano il meglio di sé, anche a rischio della vita, per i fratelli e le sorelle indigeni dell’America.
È il riconoscimento di un’opzione assunta a favore dei più emarginati delle società latinoamericane, suggellato da un miracolo che porta alla canonizzazione il nostro Fondatore. È la benedizione di un cammino che continua oggi, con l’opzione prioritaria della missione ad gentes con i popoli originari del Continente.
* Suor Stefania Raspo, MC, Consigliera Generale.
ALBÓ, Xavier, “El retorno del indio” in: Revista Andina, Cuzco, Perú, 1991.
CAUREY, Elías, Asamblea del pueblo guaraní. Un breve repaso a su historia. Bolivia, 2015.
MISSIONARIE DELLA CONSOLATA, Ratio Missionis. Visione della missione secondo il Carisma delle Suore Missionarie della Consolata. Nepi, 2023.
La celebrazione della V Conferenza della Delegazione dei Missionari della Consolata in Costa d'Avorio programmata per il mese di Aprile scorso si è finalmente svolta dal 23 al 26 settembre 2024 presso il Centro di Animazione Missionaria (CAM) di San Pedro.
L’incontro è stato un momento di revisione totale, di ascolto profondo, e dall’elaborazione di una visione comune per l’avvenire della Delegazione, illuminati dallo Spirito, e richiamando i valori fondamentali, irrinunciabili del nostro carisma di Consolazione.
La Conferenza, programmata per l’Aprile scorso è stata rinviata a Settembre a causa della morte imprevista del Superiore delegato, padre Matteo Pettinari mentre si recava a San Pedro proprio per la preparazione della Conferenza. Questa Conferenza è stata caratterizzata dal rinnovato impegno di ogni missionario a preservare comunione fraterna nello spirito profetico del Vangelo.
I missionari in Costa d'Avorio con gli Amici della Consolata del CAM di San Pedro
Padre Celestino Marandu, attuale superiore della Delegazione, ha aperto la Conferenza e ha sottolineato ai missionari che “la comunione in unità di intenti non si limita a un semplice scambio di idee, ma implica una responsabilità personale e reciproca; un impegno a costruire insieme il presente e il futuro della Consolata in Costa d’Avorio”.
La Conferenza ha permesso agli undici missionari presenti assieme a padre Erasto Colnel Mgalama, Consigliere Generale per l'Africa, di condividere le proprie esperienze e riflessioni, rafforzando così i legami all'interno della comunità della Delegazione.
I missionari hanno convenuto che per portare a termine la loro missione evangelizzatrice è essenziale adottare un approccio collaborativo e uscire dalla propria zona di comfort che neutralizza la grazia di una conversione pastorale e missionaria. Ciò significa ascoltare tutte le voci, soprattutto all'interno della propria comunità locale e lavorare insieme per stabilire linee d'azione chiare, concrete e verificabili.
Così, i missionari hanno rivisitato ed elaborato nuove linee d’azione per integrare questa visione complessiva nelle loro attività missionarie, assicurandosi che ogni membro si senta valorizzato e coinvolto nella costruzione di una missione ad gentes feconda e contestualizzata in terra ivoriana.
L'accoglienza tradizionale offerta dagli Amici della Consolata del CAM di San Pedro che condivide la spiritualità missionaria ricevuta dal Fondatore, il Beato Giuseppe Allamano, è stata apprezzata da tutti. La loro presenza all’Eucaristia quotidiana e l'accoglienza calorosa, hanno arricchito il clima della Conferenza, e approfondito la collaborazione tra i missionari e gli Amici della Consolata al fine di rafforzare l'opera di evangelizzazione e l’animazione missionaria.
La Conferenza è stata un'occasione preziosa per rafforzare i legami fraterni e promuovere lo spirito di famiglia, permettendoci anche di vivere una vera partecipazione, celebrare una comunione duratura e rivitalizzare la missione ad gentes in modo rinnovato e dinamico.
* Padre Ariel Tosoni, IMC, è missionario argentino nella Costa d’Avorio.
Padre Erasto Mgalama, Consigliere Generale per l'Africa, padre Celestino Marandu e un amico della missione.