In cammino verso la riconciliazione

  • , Lug 06, 2022
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Lo scorso 28 giugno La "Commissione per la verità" ha presentato a tutta la società colombiana i risultati del suo lavoro. Questa commissione è una delle tre istituzioni che compongono il Sistema globale di verità, giustizia, riparazione e non ripetizione creato dall'accordo di pace del 2016. Da quando è diventata operativa nel 2018, la Commissione ha lavorato, a volte in circostanze difficili, per far luce su cinque decenni di atrocità e violazioni dei diritti umani commesse durante il conflitto armato del Paese. Alla fine della presentazione, che nei prossimi mesi sarà divulgata in modo capillare in tutto il paese, i membri della commissione si sono diretti al paese con un appello e un chiaro invito alla riconciliazione.

Un appello alla società

Vogliamo rivolgere un appello alla società, allo Stato e alla comunità internazionale. Poiché il riconoscimento della verità permette di curare le ferite delle vittime, di trasformare i responsabili e di aprire la strada per costruire insieme il futuro, la Commissione chiede che la verità venga riconosciuta:

1. Chiediamo ai colombiani, senza distinzioni, che accettino la verità della tragedia della distruzione della vita umana tra noi e si decidano a non uccidere più per nessun motivo. Ogni morte violenta deve essere rifiutata collettivamente e con chiarezza; la vita degli esseri umani e della natura deve essere messa al centro prima di ogni interesse particolare. Più nessun colombiano deve fuggire in esilio per proteggere la propria vita.

2. Chiediamo a tutto il popolo colombiano di riconoscere le vittime del conflitto armato nel loro dolore, nella loro dignità e nella loro resistenza. È necessario riconoscere l'ingiustizia di ciò che abbiamo vissuto; il trauma collettivo che condividiamo come società; l'esigenza della riparazione integrale e trasformativa per gli oltre 9 milioni di vittime del conflitto armato interno.

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Foto Museo Casa de la Memoria

3. Chiediamo di guardare criticamente la storia in una prospettiva che dia spazio alla presenza costante della memoria necessaria alla costruzione della pace e all'impegno per la non ripetizione. Lo Stato e la società nel suo complesso dovranno contrinuire al rafforzamento dei valori democratici.

4. Chiediamo ai giovani di affrontate la verità delle cause e degli orrori del conflitto armato per costruite la nuova nazione che è nelle loro mani, perché loro sono il futuro. A voi giovani chiediamo di non collaborare mai a nulla che aggravi la morte, l'odio e la disperazione e di essere leader nel realizzare le raccomandazioni di questa commissione.

5. Chiediamo alla società e allo Stato di portare a pieno compimento l'Accordo di pace firmato (con la guerriglia delle Forza Armate Rivoluzionare della Colombia, FARC); di avanzare verso il consenso sulle trasformazioni necessarie per superare i fattori che hanno facilitato la riproduzione dei cicli di violenza; di rafforzare la convivenza nelle diverse regioni del paese per mezzo della ricostruzione della fiducia dei cittadini tra loro e con le istituzioni, e sempre nella prospettiva nazionale di una grande pace.

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Foto SozziJA

6. Chiediamo allo Stato di partire dalla verità che ogni giorno di guerra allontana la possibilità di coesistenza e governabilità; prendere l'iniziativa per la pace con l'Esercito di Liberazione Nazionale (ELN) e gli altri gruppi armati e cercare il dialogo con gli altri gruppi illegali per negoziare o sottomettersi alla giustizia.

7. Chiediamo alle organizzazioni che non accettano la legittimità dello Stato, così come all'ELN, ai dissidenti e agli altri gruppi insurrezionali che continuano a fare la guerra, di ascoltate il grido del popolo che chiede di "fermare subito la guerra da tutte le parti" e di intraprendere la strada del dialogo fino al raggiungimento della pace, nella diversità delle metodologie e delle situazioni regionali.

8. Chiediamo a tutti gli strati sociali e politici di approfondire la democrazia attraverso la definitiva esclusione delle armi dall'arena pubblica e per attuare una riforma che apra spazi per i settori e i gruppi esclusi, in una democrazia rappresentativa che rifletta la pluralità territoriale ed etnica del Paese e che abbia al centro il dialogo, la partecipazione diretta dei cittadini e la mobilitazione come strumenti fondamentali per garantire i diritti, il ripristino del tessuto sociale, la costruzione della fiducia istituzionale e il definitivo rifiuto della violenza contro chi la pensa diversamente.

9. Al sistema giudiziario, per porre fine all'impunità, ricostruire la fiducia nello Stato e garantire l'imparzialità e l'indipendenza degli organi investigativi e giudiziari; per proteggere i funzionari giudiziari, le vittime e coloro che partecipano ai processi, e per far luce sulla criminalità organizzata e punire i responsabili.

10. Chiediamo al Governo, alle forze di sicurezza, ai partiti politici, agli uomini d'affari, alle chiese, agli educatori e agli altri responsabili delle decisioni in Colombia, di riconoscere la penetrazione del narcotraffico nella cultura, nello Stato, nella politica e nell'economia e il modo in cui la guerra alla droga è uno dei principali fattori di persistenza del conflitto. Chiediamo loro di sviluppare meccanismi investigativi che permettano di affrontare con reale efficacia sia il sistema di alleanze e interessi coinvolti nel narcotraffico; di sottomettere alla giustizia gli apparati politici, finanziari e armati che lo rendono possibile; di cambiare la politica nei confronti dei contadini e degli anelli più deboli della catena per superare i problemi strutturali di povertà, esclusione e stigmatizzazione. Tutto ciò dovrebbe basarsi su un approccio basato sui diritti umani e sulla salute pubblica, al fine di intraprendere un dialogo approfondito verso soluzioni etiche, educative, legali, politiche ed economiche, sia a livello nazionale che internazionale, che consentano di compiere progressi nella regolamentazione del mercato delle droghe e nel superamento del proibizionismo.

11. Chiediamo allo Stato e alla società di stabilire una nuova visione della sicurezza per la costruzione della pace come bene pubblico incentrato sulle persone, in cui la protezione di tutti gli esseri umani e della natura viene prima di tutto. Questa visione di sicurezza non può centrarsi sulle forze armate ma si deve costruire sulla fiducia collettiva, con il sostegno di tutti gli organi statali, delle comunità e dei gruppi etnici, sulla base del dialogo tra cittadini e istituzioni, al fine di operare le necessarie trasformazioni nello Stato, nelle forze armate, nella polizia e nelle organizzazioni della società civile, come elemento fondamentale per la pace.

12. Chiediamo alla burocrazia statale e agli amministratori pubblici e privati di rifiutare e porre fine alla corruzione a diversi livelli, rompendo abitudini e complicità e agendo con determinazione nel controllo dei cittadini e nell'effettiva sanzione delle leggi per fermarla.

13. Chiediamo allo Stato, alla società e, in particolare, al settore imprenditoriale impegnato in grandi progetti industriali e finanziari, di dare la priorità alla garanzia di condizioni di benessere e di vita dignitosa per le persone e le comunità, senza esclusioni, sulla base di una visione condivisa del futuro per superare le disuguaglianze strutturali che rendono questo Paese uno dei più iniqui al mondo in termini di concentrazione di reddito, ricchezza e territorio. È necessario che gli investimenti statali, imprenditoriali e finanziari siano incorporati nella creatività e nella passione della gioventù popolare e rurale, che chiede di partecipare alla produzione della vita che è cara a tutti i colombiani.

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Foto SozziJA

14. Chiediamo a tutti i colombiani di dare ai contadini l'immenso riconoscimento che è loro dovuto per la vita di tutto il paese.  Dobbiamo garantire un'equa ridistribuzione della terra; la prevenzione e l'inversione dell'esproprio; le condizioni per una produzione sostenibile; l'accesso a beni e servizi pubblici tra i quali sicurezza, giustizia e istruzione di qualità. Sarà necessario assicurare anche le condizioni necessarie per la cura degli ecosistemi, dell'acqua, della terra e delle specie native.

15. Chiediamo a tutta la nazione di superare il razzismo strutturale, il colonialismo e l'ingiusta e maldestra esclusione che è stata inflitta ai molti popoli che compongono la nazione colombiana colpiti in modo sproporzionato dalla guerra. Rendere le loro culture e tradizioni un'indispensabile parte sostanziale dell'identità di tutti noi come colombiani è una condizione "sine qua non" per vivere in tranquillità, giustizia e pace.

16. Chiediamo a tutti di rispettare le differenze di pari dignità delle donne, delle persone LGBTIQ+, dei bambini, degli adolescenti, dei giovani, delle persone con disabilità o diversità funzionali e degli anziani, che sono stati particolarmente colpiti dal conflitto armato.

17. Chiediamo alle nazioni amiche della Colombia -che riconosciamo e ringraziamo per l'accompagnamento delle vittime nei territori, per l'aiuto umanitario e ai diritti umani e per il contributo alla pace- di fare questo passo: aiutare la Colombia a essere un esempio di riconciliazione nel mondo; smettere di vederci come un Paese che sopravvive solo in "modo guerra" e che ha bisogno di un sostegno militare che perpetua il conflitto. Abbiamo subito 60 anni di violente vittimizzazioni e vi chiediamo di non darci nulla per la guerra, non lo vogliamo. Non vogliamo la guerra in nessuna parte del mondo. Sosteneteci in tutto ciò che fa fiorire la vita e la natura, la fiducia civica e l'economia, in armonia con la ricchezza naturale di questa terra; sosteneteci nell'amicizia che rispetta le differenze in una comunità internazionale che condivide la casa comune del pianeta.

18. Chiediamo alla società nel suo insieme di impegnarsi a cambiare profondamente gli elementi culturali che hanno portato alla nostra incapacità di riconoscere l'altro come essere umano di pari dignità. È necessario costruire un futuro nel dialogo, a partire dalle diverse concezioni della vita e tradizioni spirituali, con un'etica pubblica in cui ci riconosciamo semplicemente come persone e cittadini, disposti a intraprendere trasformazioni a livello istituzionale, normativo, personale e quotidiano. È urgente cancellare le narrazioni di odio, discriminazione e stigmatizzazione, per costruire invece la fiducia e la passione per un futuro di speranza condivisa e di vita appagata che dobbiamo alle future generazioni colombiane.

19. Chiediamo ai leader religiosi di riflettere sul vuoto spirituale che si è prodotto in un popolo con solide tradizioni di fede che è vissuto per anni invischiato nelle vie della guerra e impantanato in una crisi umanitaria marcata dall'odio, la sfiducia e la morte. Chiediamo di intraprendere con coraggio la missione di riconciliazione della Chiesa cattolica con le altre Chiese e con i saggi e gli anziani, Uomini e donne della tradizione indigena e afrocolombiana.

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Foto SozziJA

La sfida della riconciliazione

La maggior parte delle commissioni per la verità nel mondo sono state istituite alla fine di una dittatura violenta o alla fine di un conflitto. In questi casi, la verità dà luogo alla costruzione dello Stato di diritto che era assente. Il caso della Colombia è particolare perché non c'è stata una dittatura di questo tipo; al contrario, c'è una Costituzione che garantisce una democrazia continua e i diritti in essa sanciti. Sebbene il confronto tra lo Stato e la guerriglia delle FARC sia terminato, la violenza legata alla politica e al denaro continua in varie forme, perché i problemi non sono stati risolti: la pace fatta dagli eserciti ha lasciato la frattura che continua nella società. Per risolverli, dobbiamo essere una società che fa proprio il dolore delle vittime, che dice "basta", che assume la giustizia della transizione. Una società che, senza voltare la pagina dell'oblio, abbia il coraggio di costruire sulle differenze, incorporando coloro che si sono odiati, per consentire un dialogo nel rispetto che fa la vera democrazia.

Noi ci siamo abituati a vivere in "modalità guerra" anche se la stragrande maggioranza di noi non ha un fucile. Per questo abbiamo ricevuto un messaggio che le altre commissioni del mondo non hanno avuto, un messaggio richiesto dai firmatari dell'accordo del Teatro Colón, dai garanti dell'accordo, dalle Nazioni Unite, dalla comunità internazionale, dalla Corte Costituzionale, dalla Chiesa cattolica e dalle altre Chiese cristiane, dai saggi indigeni e afrodiscendenti e, soprattutto, dalle vittime sopraffatte dalla disperazione: "che la cruda verità che ci consegnate ci porti alla riconciliazione". Questa è la richiesta, formulata in molti modi diversi, ma sempre la stessa.

Riconciliazione significa accettare la verità come condizione per la costruzione collettiva e superare il negazionismo e l'impunità. Significa prendere la decisione di non uccidersi più a vicenda e di togliere le armi dalla politica. Significa accettare che molti di noi - in varia misura, per azione o omissione - sono responsabili della tragedia. Significa rispettare l'altro, l'altra, al di là dei retaggi culturali e della rabbia accumulata. Significa prendere in considerazione la ferita dell'altro, le sue preoccupazioni e i suoi interessi. Significa costruire in modo che lo Stato, la giustizia, la politica, l'economia e la sicurezza siano al servizio della pari e sacra dignità umana dei colombiani. 

Riconciliazione significa che lo Stato attuale si trasformi in uno Stato per il popolo; che i politici abbandonino la corruzione; che gli imprenditori non escludano dalla partecipazione alla produzione una moltitudine di persone che reclama il diritto di farne parte; che coloro che monopolizzano la terra la cedano; che tutti coloro che collaborano con il narcotraffico, con la guerra, con l'esclusione, con la distruzione della natura siano disposti a cambiare. 

Riconciliazione significa la fine dell'impunità e che coloro che continuano a fare la guerra capiscano che non c'è alcun diritto di continuare a farla, perché non permette la democrazia o la giustizia e porta solo alla sofferenza. 

Malgrado le differenze, ma contando con la speranza e la fiducia collettiva, possiamo costruire un paese che sia possibile per oggi e per le generazioni di domani.

Carissimi amici, non finiró mai di ringraziarvi per la vostra solidarietà e vorrei anche condividere con voi una piccola esperienza fatta oltre confine in Ucraina in un viaggio nato da una proposta arrivata da don Leszez Kryza direttore nazionale dell’Ufficio di aiuto alla chiesa in oriente, struttura appartente alla Conferenza episcopale polacca.

Dopo aver riempito completamente  la macchina di beni di prima necessità, quali cibo e medicinali, siamo partiti all’alba di giovedi 31 marzo,  in direzione della frontiera di Medyka a sud est della Polonia. Con noi si e unita Clara la volontaria infermiera che da settimane è con noi. Dopo 5 ore di viaggio in un clima che si è fatto improvvisamente invernale alternando la pioggia alla neve, arriviamo alla frontiera. 

Anche se non sono tanti i mezzi che passano il confine dalla Polonia all’Ucraina, tuttavia i tempi di controllo dei documenti sono lunghi: entrando in un paese in guerra i soldati vogliono essere certi di cosa si trasporta. 

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Abbiamo dei problemi con un documento del nostro veicolo e quindi siamo costretti a lasciare temporalmente i nostri aiuti presso la sala di una parrocchia di francescani prossima alla frontiera: saranno spediti posteriormente in un altro trasporto. Ad ogni modo non rinunciamo ad attraversare la frontiera per vedere in opera le molte iniziative solidali che si sono avviate in tutto il continente e decidiamo attraversare la frontiera a piedi.

Quando raggiungiamo il posto di frontiera dell’Ucraina ci offriamo per aiutare una giovane donna a portare due borse della spesa pesanti. che è tutto quel che è riuscita a portare a salvo, poi una soldatessa ucraina mi chiede cosa andiamo a fare in Ucraina. Le spiego il problema che abbiamo avuto e lei fissandomi seriamente negli occhi per un momento fa poi  un mezzo sorriso e ringrazia per quello che stiamo facendo. Sono parole che mi colpiscono perché dette da un soldato non sono per niente scontate. 

Entrando in Ucraina notiamo una coda molto più lunga di rifugiati che attendono di entrare in Polonia e vediamo l’impegno di tanti volontari provenienti da tutto il mondo: americani, spagnoli, portoghesi, ebrei... sono tutti giovani sorridenti che trasmettono un calore umano fatto di sorrisi di mille piccole attenzioni verso i profughi. Alcuni sono vestiti da clown come al circo per strappare un sorriso ai bambini che scappano dalla guerra. Altri si prestano con carrelli della spesa ad aiutare a portare i pochi bagagli dei profughi. Altri ancora offrono bevande calde, pasti, cioccolata.

Ci troviamo con un gruppo di volontari polacchi che fin dall’inizio sono qui presenti. ci troviamo con Magdalena che conoscevamo già.  Lei ci racconta che la situazione in questi giorni è meno pesante rispetto all’inizio, ma tuttavia non c’è sicurezza e da un momento all’altro potrebbe di nuovo tutto precipitare a seconda degli sviluppi della guerra. Solo da questa frontiera sono passate circa 700 mila persone su un totale di 2,7 milioni che hanno varcato il confine con la Polonia.  I primi giorni -ci racconta- sono stati i più drammatici: ci sono video che mostrano code di oltre 30 km di macchine in attesa di passare il confine.  Eppure quelli erano tra i più fortunati perché stavano al caldo e seduti, al contrario della maggioranza di quelli di adesso che aspettano all’aperto giorno e notte, anche per tre e quattro giorni, per poter passare il confine. Anche se le pratiche burocratiche sono state semplificate l’ondata di profughi da smaltire è stata così grande che non lasciava alternative. 

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Per scaldarsi durante la notte si bruciava tutto quel poco che si trovava compresi i vestiti non utilizzati. Ci sono stati, ci raccontano i volontari, anche casi di parti precoci a seguito delle stress e della stanchezza. 

Ci colpisce molto la dignità di queste persone: non sentiamo un lamento o una imprecazione. Ci si guarda solo negli occhi. Le storie che ci raccontano sono terribili e talmente crudeli che si fa fatica a vuotare il sacco. Sono tutte persone che scappano dall’estremo est del paese, Mariopol, Charchowy, Donbas, Kiew...

Gli unici accompagnati da volontari e avvolti in coperte sono solo alcuni anziani su carrozzine un altro lato debole della popolazione. 

Dopo circa tre ore in fila ritorniamo in Polonia. A differenza dei profughi, abbiamo una macchina ad attenderci e un luogo sicuro dove ritornare. ritorniamo a casa presso la nostra comunità dopo quasi 24 ore di viaggio. Siamo stanchissimi ma anche  coscienti che abbiamo visto molto e come testimoni molto possiamo continuare a fare insieme a tutti voi.

*Luca Bovio è superiore dei missionari della Consolata in Polonia. Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.; +48 512.693.184

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