I missionari della Consolata che lavorano a Nairobi e nella zona di Lang'ata in Kenya si sono riuniti il 15 novembre 2024 nella cappella della casa regionale per celebrare la Messa in commemorazione dei confratelli e consorelle defunti  nel periodo fra novembre 2023 e novembre 2024.

L’Eucaristia è stata presieduta dal vescovo di Isiolo, mons. Peter Makau che ha elogiato i missionari defunti per la loro dedizione alla missione.

Erano presenti circa 35 missionari della Consolata che lavorano nelle due zone e anche il Superiore Generale, padre James Lengarin,  accompagnato da padre Michelangelo Piovano, il Vice Superiore Generale e dagli altri tre consiglieri radunati nel Consiglio Generale di novembre a Nairobi.

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Mons. Peter Makau, IMC, vescovo della diocesi di Isiolo.

“È un momento in cui siamo chiamati a guardare questi nostri confratelli e consorelle e a vedere il modo in cui hanno vissuto la loro vita qui sulla terra”, ha detto il vescovo all'inizio della Messa.

Il Superiore della Casa regionale, padre Felix Mulwa, ha letto i nomi dei 42 missionari e missionarie della Consolata morti nell'ultimo anno: 19 sacerdoti, 22 suore e 1 fratello.

Nella sua omelia, Mons. Makau ha ricordato i nomi di alcuni dei missionari defunti che hanno lavorato in Kenya o che sono molto conosciuti dai presenti.

Ha citato in modo particolare il padre Giuseppe Demarie, che è stato direttore vocazionale, direttore spirituale e insegnante di latino per molti in Kenya. Ha anche menzionato tra gli altri il padre Giovanni Bonanomi, formatore di molti, padre Antonio Bianchi, padre Josiah KoKal, morto in Venezuela.

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La Santa Messa è stata organizzata dai missionari della Consolata che lavorano a Nairobi e nella zona di Lang'ata della Regione Kenya/Uganda.

“L'anno scorso eravamo insieme, ma quest'anno non sono più con noi. Questo ci ricorda che la morte è parte integrante di noi e non sappiamo il prossimo anno a novembre chi di noi non ci sarà più”, ha osservato il vescovo della diocesi di Isiolo. Poi ha invitato i missionari a pregare per i nostri defunti, ma anche per le anime del purgatorio per le quali nessuno si ricorda di pregare.

Commentando il Vangelo di Matteo 25, 31-40, il vescovo Makau ha sottolineato che la lettura ci ricorda l'ultimo esame in cui il Signore verrà a giudicarci e le domande che ci porrà. Il Vangelo dice: “venite, voi che siete i benedetti dal Padre mio; entrate nel regno che è stato preparato per voi fin dalla creazione del mondo” (v. 34). Sono le parole che ognuno di noi vorrebbe che il Signore pronunciasse per ciascuno dei presenti”, ha detto sfidando i missionari a chiedersi se quello che stanno facendo “è per il bene degli altri o per un’autopromozione”.

“La tendenza è sempre quella di guardare a ciò che va a mio vantaggio. Gesù ha detto chiaramente nel Vangelo che dobbiamo pensare all'altro che ha bisogno. È questo che ci farà raggiungere il regno dei cieli” - ha poi aggiunto che - “sono i piccoli atti di carità che ci faranno avere una stanza in cielo”.

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Nelle sue osservazioni dopo la Messa, il Superiore Generale, padre James Lengarin ha ricordato quello che aveva scritto nel su messaggio per la commemorazione, ciòè che “pregando per i defunti, celebriamo la loro santità”.

“È una grande gioia per noi essere qui e sentirci parte integrante di tutti voi. Noi della Direzione Generale siamo venuti a Nairobi per fare la sessione di novembre del Consiglio, ma anche per percepire  che questa è la terra che ha fatto sì che i missionari della Consolata diventassero ciò che sono oggi”, ha detto il Padre Generale. Poi ha incoraggiato i missionari a promuovere l'eredità che i missionari defunti hanno lasciato.

Per le due congregazioni fondate da San Giuseppe Allamano, il 15 novembre di ogni anno è un giorno dedicato alla commemorazione di tutti i defunti, missionari e missionarie dalle Consolata.

* Padre Daniel Mkado, IMC, è il coordinatore continentale della comunicazione per l'Africa.

In occasione della Commemorazione dei nostri missionari e delle missionarie defunti, il 15 novembre 2024, la comunità della Casa Generalizia a Roma ha celebrato l’Eucaristia presieduta da padre Antonio Rovelli. All’inizio della S. Messa sono stati proclamati i nomi dei confratelli e delle consorelle scomparsi nell’anno scorso a cui abbiamo aggiunto padre Giuseppe Demarie, morto ieri sera e ricordato Laura, la mamma del nostro Card. Giorgio Marengo.

Pubblichiamo l’omelia tenuta da padre Antonio Rovelli nella messa.

La comunità sarà sempre formata dai vivi e dai defunti, né questo vincolo si scioglierà più, neppure in paradiso” (Così Vi Voglio n.84).

“Il ricordo dei nostri defunti deve diventare memoria viva della santità di tanti confratelli che hanno segnato la storia dell’Istituto, spendendo la vita per la gente, a volte fino al martirio, nei diversi contesti di missione, seguendo l’esempio, gli insegnamenti e le raccomandazioni del “Santo Rettore” della Consolata. Allora, facciamo memoria dell’esempio della “santità missionaria” dei nostri confratelli, affinché ci stimoli a portare avanti, con la stessa dedizione e zelo, il servizio alla missione.  Anche se non ci sono più, la luce della loro santità resta in noi e deve continuare ad illuminare i nostri passi”.

Così il Padre Generale ha motivato il suo Messaggio all’Istituto in occasione dell’annuale commemorazione dei nostri fratelli e sorelle defunti.

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Mi domando

Come far in modo che il ricordo dei nostri confratelli diventi “memoria viva” della loro “santità missionaria” in modo tale che la luce della loro santità continui ad illuminare i nostri passi nel servizio alla missione?

Fare memoria

Vedo volti, leggo dei nomi con delle date, ma non mi dicono niente, non li ho mai incontrati, mai conosciuti, tutto finisce con il 15 novembre… aggiungo l’album di foto di quest’anno a quelli degli anni scorsi, tutti in un contenitore dove alloggiano altri ricordi di un passato che non c’è, che non mi tocca. È la memoria-baule, la memoria-soffitta, dove il passato si è depositato, non è più tra noi, è diventato nulla, si è dissolto, può esistere solo nell’immaginario del ricordo. Ancor di più oggi dove gli album fotografici sono sostituiti dai Dropbox, oppure i blogs e i clouds nella liquidità delle infosfere.

Invece, la memoria è viva quando i volti, con i loro sorrisi, i loro sguardi iniziano a parlare, le date sono tracce che aprono cammini nella storia di una famiglia numerosa. Mi sento interpellato, coinvolto.

Qui c’è del paradossale perché questo ricordo, questa memoria diventa un attributo del futuro. Nel senso che mi fanno guardare avanti. I ricordi si certo mi riportano indietro, ma diventano stimolo a continuare dove hanno lasciato, una eredità preziosa, ma impegnativa, da trasmettere. L’invito a far si che la memoria diventi “viva” è che non deve ridursi a essere il culto passivo del passato, non deve generare solo venerazione. La memoria diventa “viva” se impariamo ad usarla per creare attivamente il nostro avvenire.

Il che significa farsi responsabili della memoria. La memoria non si riduce ad essere una “cartella”, un “file” contenitore di ricordi, ma si costituisce solo a partire dal futuro.

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L’esempio dei nostri confratelli o consorelle non è alle nostre spalle come un “vano ricordo”, ma può assumere forme e significati diversi a partire da come viene ripreso attivamente dalla vita dell’Istituto, dai cammini della missione mentre essa si sta muovendo verso il proprio avvenire.

Ritorniamo alla domanda iniziale

Come ricordare questi missionari e missionarie con responsabilità? Come quest’anno la memoria diventa attributo del futuro?

Impariamo dalla storia de popolo di Israele

Israele ha sempre costruito il proprio futuro guardando al passato e nella sua storia ha sempre trovato nuovi spunti e nuovo slancio per andare avanti. Qualcuno ha paragonato questo popolo ai rematori che avanzano volgendo le spalle alla meta, si orientano puntando gli occhi sul punto di partenza e sul percorso già fatto. Israele ha superato momenti drammatici, è rimasto sempre popolo anche quando era deportato e disperso fra

La raccomandazione: «Ricorda i giorni del tempo antico, medita gli anni lontani. Interroga tuo padre e te lo farà sapere, i tuoi vecchi e te lo diranno» (Dt 32,7) ha un altro obiettivo, vuole che il ricordo aiuti a capire il presente e stimoli a guardare con lucidità al futuro.

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Così dovrebbe essere anche per noi. Cioè, ricordarli, farne memoria significa lasciarsi interpellare dal loro esempio, passioni, dedizione e scelte concrete da loro attuate, convinti che i loro cammini sono anche i nostri, le loro scelte, le nostre.

Proviamo a rendere “viva” la memoria di alcuni dei nostri confratelli e della preziosa eredità che ci hanno lasciato e pensare insieme come tale memoria ci esorta a tracciare cammini nel futuro.

Un dono per me aver conosciuto tanti di loro, in occasioni e con una diversa intensità. Scorro lentamente questo puzzle di santità, lascio che i loro volti mi riportino tra la gente dove hanno vissuto, agli incontri e ai dialoghi avuti … atteggiamenti e scelte caratterizzanti la loro vita: quanti doni per me.

- La preparazione, la professionalità, il lavoro e l’insegnamento nelle università (elevazione dell’ambiente).
- La conoscenza delle lingue locali, conoscenze e studi anche accademici sulle tradizioni e culture dei popoli.
- Le frontiere, la scelta degli ultimi, dei profughi, della foresta, dei popoli oppressi.
- Diventare strumenti per ridare dignità e liberazione di popoli e di intere nazioni.
- Il dialogo interreligioso.

Saper fare di tutto, il cavarsela:
- La passione, lo zelo che traspare dalla convinzione nel parlare e radicalità di vita.
- Apertura al rischio di nuovi cammini.
- La dedizione, la passione per la gente unita ad una profonda vita di preghiera (non solo santità “per” la missione, ma “nella” missione).
- La gentilezza, affabilità, il tatto nel rapporto con le persone.
- La cura, la custodia, farsi carico e l’accompagnamento delle persone, soprattutto dei formandi.
- La fedeltà fino all’ultimo ….

La loro vita deve diventare memoria viva

20241115Defunti6Per me e per tutti noi, guardando a loro, alla loro vita, “se vogliamo stare uniti a loro, sempre” come ci invita il Santo Fondatore, non dobbiamo relegare il ricordo, “al passato” gettarlo alle spalle, ma in me, in noi deve diventare memoria viva, cioè “impegnativa”, forse anche “fastidiosa” (scandalosa) perché ci richiama la frontiera, l’oltre della missione, ci provoca a scuoterci di dosso l’apatia, l’inerzia … la miopia di orizzonti limitati, dal chiuderci in noi stessi, dal vivere di rendita, peggio ancora dal si è sempre fatto così … Una memoria che mi fa sentire parte di una storia ancora aperta grazie a Dio …perché da continuare. E chi se non noi, ma voi soprattutto più giovani …

Perché ciò che mi hanno insegnato, questi atteggiamenti, queste scelte concrete indicano il dove, il con chi e il come essere missionari il come diventare “semi di santità” che sono stati piantati nei vari contesti di missione, hanno prodotto frutti di consolazione e che noi siamo chiamati a continuare.

“Santità” perché in tanti di loro ho visto amore grande per l’Istituto, sofferenza e lotta per renderlo di verso, santità di una vita di preghiera profonda, radicata nella Parola di Dio al seguito dell’unico Maestro, Gesù il missionario del Padre.

La vita stessa dei nostri missionari è stata un riferimento per tanti popoli, per intere Diocesi e Nazioni, stimolo per risollevare il capo per prendere in mano il proprio destino

Pagine di storia dell’Istituto scritte: in Colombia, Venezuela, Costa D’Avorio, nel Marsabit, in Mozambico, con i popoli della foresta amazzonica, nella formazione in Kenya, Mozambico e Torino …e Argentina…

A noi spetta adesso continuare a scrivere altre pagine di storia dell’Istituto, spendendo la vita per la gente, nei diversi contesti di missione, sempre e comunque seguendo l’esempio, gli insegnamenti e le raccomandazioni del “Santo Fondatore”.

Per l’Allamano, ci si santifica evangelizzando e si evangelizza santificandoci” (XIV CG 28). Citato anche dal Padre Generale nel suo Messaggio.

Allora, facciamo memoria dell’esempio di questa “santità missionaria” dei nostri confratelli, affinché ci stimoli a portare avanti, con la stessa dedizione e zelo, il servizio alla missione. Anche se non ci sono più, la luce della loro santità resta in noi e deve continuare ad illuminare i nostri passi.

Guardarli in faccia, ci interpellano, ora tocca a te. Io ho fatto la mia parte.

* Padre Antonio Rovelli, IMC, membro dell’Equipe per la formazione, Roma.

Messaggio del Superiore Generale per la commemorazione, il 15 novembre 2024, dei confratelli e consorelle della Consolata defunti fra novembre 2023 e novembre 2024.

“Noi viviamo la comunione con i nostri confratelli defunti, ricordando la vita trascorsa insieme, il loro esempio di fede profonda, lo zelo per la missione e con la preghiera nell’anniversario della morte e nella commemorazione di tutti i defunti ogni anno il 15 novembre” (cf. Cost. 34). Queste le parole di padre James Lengarin, Superiore Generale, nel suo messaggio per la Commemorazione dei nostri confratelli defunti.

“Il ricordo dei nostri confratelli defunti deve diventare memoria viva dei momenti belli trascorsi insieme e, se non li abbiamo conosciuti personalmente, dovremmo interpellare i missionari anziani affinché ci parlino di loro oppure leggere appassionatamente i loro profili nella rubrica ‘Qui non praecesserunt’ nei Bollettini Ufficiali dell’Istituto”, sottolinea il Padre Generale.

Lista defunti MC-IMC 2023-2024

Poster dei defunti MC-IMC 2023-2024

Nel suo messaggio dal titolo “Facciamo memoria della santità dei nostri confratelli defunti”, padre James Lengarin ricorda il nostro Santo Fondatore. “Per l’Allamano, ci si santifica evangelizzando e si evangelizza santificandoci.” (XIV CG 28). In questo senso le loro vite sono diventate ‘semi di santità’ che, piantati nei vari contesti di missione, con gli anni, hanno prodotto frutti di consolazione e di fraternità tra i popoli. Da quando nacque l’Istituto ad oggi abbiamo 956 missionari defunti che ci hanno preceduto e che, come noi, stanno celebrando in cielo la santità del Fondatore”.

Il Superiore Generale esorta a fare “memoria dell’esempio di questa ‘santità missionaria’ dei nostri confratelli, affinché ci stimoli a portare avanti, con la stessa dedizione e zelo, il servizio alla missione. Anche se non ci sono più, la luce della loro santità resta in noi e deve continuare ad illuminare i nostri passi”, afferma e conclude. “Possiamo così comprendere la confidenza del santo Fondatore: ‘Il giorno della commemorazione dei defunti non è per me un giorno di malinconia, ma di allegrezza, non oso dirlo agli altri, ma voi comprendente’. (San Giuseppe Allamano)”.

Leggi qui il testo integrale del Messagio del Superiore Generale

 

Siamo in Kenya dove, dopo alcuni giorni di pioggia, anche il cielo ha diradato le sue nubi, per illuminare il sabato, 9 novembre 2024, giorno in cui si è voluto innalzare il ringraziamento per la canonizzazione di San Giuseppe Allamano con un’Eucarestia celebrata presso il Campus Universitario di Nairobi.

Dopo la sua canonizzazione, avvenuta a Roma il 20 ottobre e le diverse celebrazioni in Italia, era d’obbligo una grande celebrazione di azione di grazie nella terra in cui l’Allamano non è mai arrivato fisicamente, ma vi è però arrivato con la mente, il cuore e tutte le sue forze mediante i suoi missionari e missionarie. Terra da lui sognata, conosciuta e amata, terra nella quale sapeva che il seme piantato dai primi quattro missionari, partiti nel 1902, avrebbe dato frutti abbondanti. È così è stato.

Messa di ringraziamento nel Campus universitario di Nairobi (Capuchin TV)

Celebrare i frutti della missione in Kenya

La sua santità, proclamata ora ufficialmente dalla Chiesa, si era manifestata qui fan dall’inizio. È stata seminata giorno per giorno dalla dedicazione, zelo, lavoro e passione dei suoi figli e figlie. “Bene fatto bene, senza fare rumore”, come dice lo slogan e parola carismatica per questo giorno stampato su capulane e sciarpe colorate. Ma, ad un certo punto, il bene silenzioso non può rimanere nascosto, ma appare, deve essere proclamato e annunciato come motivo di gloria tra i popoli.

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Messa di ringraziamento nel Campus Universitario di Nairobi. Foto: Francisco Martínez

Ed oggi si è celebrato questo bene, questa “gloria” dai tanti frutti e colori della nostra missione in Kenya. Ogni incontro, ogni gesto, ogni parola detta, ogni sguardo, ogni persona non era che l’espressione di una stagione matura con tutti i suoi frutti e non si poteva non rendere grazie al Dio e a colui che in qualche modo ne è stato lo strumento, come buon seminatore, come buon padre e pastore, San Giuseppe Allamano.

Fin dal mattino nella Casa Regionale di Nairobi arrivano giovani missionari, novizi, studenti professi, diaconi, sacerdoti, fratelli, suore e laici. C’è un clima di festa e di gioia, c’è chi si rivede dopo tanti anni, chi ha fatto insieme la formazione in seminario o coloro con cui si è lavorato in altre terre di missione lontane. Come ha ricordato il Superiore Generale, padre James Lengarin, nelle sue parole alla fine della celebrazione, questi sono i frutti che il Kenya ha dato e continua a dare alla Chiesa e al mondo, tanti missionari che continuano a rendere vivo il sogno e carisma di San Giuseppe Allamano di annunciare il vangelo, di fare conoscere Gesù ed il suo amore.

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Celebrazione dell’Eucarestia di ringraziamento

Si arriva poi al Campus Universitario di Nairobi dove tutto è stato preparato con molto lavoro per la celebrazione dell’Eucarestia di ringraziamento. C’è aria di festa, si preparano le danze, i canti, gli ultimi dettagli affinché tutto riesca al meglio, ben fatto, come desiderava l’Allamano.

Alla 10.00 in punto la processione con oltre cento sacerdoti, la presenza della nostra Direzione Generale, quasi tutti nostri vescovi del Kenya delle diocesi di Marsabit, Mararal, Isiolo, il vescovo di Muranga, di Meru, l’arcivescovo di Nyeri ed il Nunzio Apostolico, si dirigono verso l’altare dove nove anni fa, nel 2015, celebrò l’Eucarestia papa Francesco quando fece visita al Kenya. I nostri studenti e diaconi fanno il servizio all’altare in questo giorno e celebrazione che rimarrà a tutti nel cuore.

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 Ha presieduto la Messa, mons. Hubertus Matheus van Megen, Nunzio Apostolico in Kenya e in Sud Sudan. Foto: Daniel Mkado

Viene proclamato il Vangelo di Marco (Mc 16,15-18) con il mandato di Gesù. “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura”. Con queste parole, dal Santuario della Consolata di Torino, l’Allamano mandava i suoi missionari. Ne sono partiti tanti e tante, ne sono nate comunità cristiane, parrocchie, diocesi, vocazioni alla vita sacerdotale e religiosa, vescovi e laici testimoni di questo vangelo creduto, vissuto ed annunciato in tante lingue e nazioni. Ne ha dato prova la preghiera dei fedeli pronunciata in lingua swahili, kikuyu, meru, samburu…lingue di popoli nei quali il Vangelo si è inculturato portando vita e consolazione.

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Il miracolo di Sorino Yanomami

Alla fine della celebrazione le testimonianze e parole di ringraziamento di laici, suore, superiori e vescovi. Ma una di essa è andata in particolare al cuore di tutti: quella di Suor Felicita Muthoni, missionaria della Consolata keniana, che lavorando nella missione del Catrimani nella foresta amazzonica quasi trent’anni fa, ha prestato le prime cure a Sorino Yanomami, guarito in modo miracoloso per intercessione del Beato Giuseppe Allamano, che grazie anche a questa guarigione, è stato proclamato santo.

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Missionarie della Consolata presenti alla celebrazione. Foto: Francisco Martínez

Suor Felicita ha parlato di quel 7 febbraio 1996 nel quale ha trovato Sorino con il cranio divelto da un giaguaro, le prime cure che gli ha prestato e la ferma decisone di inviarlo all’ospedale di Boa Vista perché si tentasse l’impossibile, nonostante avesse attorno a lei più di 200 indigeni contrari a questa sua decisione. Sorino gli aveva sussurrato che non voleva morire e che voleva vivere ed allora prende quella decisione avventata, ma certamente ispirata da Colui che promise ai suoi discepoli che, se avessero avuto fede avrebbero potuto fare opere anche più grandi di quelle da Lui compiute. È così è stato, ma la fede di Suor Felicita viene fuori quando si rifugia nella cappella della missione e fa al Signore, per intercessione del suo Fondatore, una preghiera accorata e imperativa:

“Sorino deve guarire, deve ritornare in piena salute per potere vivere e sopravvivere nella foresta, tra la sua gente, per poter cacciare e pescare e perché anche la vita dei missionari sia preservata”.

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Il seme gettato in Kenya ha prodotto abbondanti frutti di evangelizzazione. Foto: Daniel Mkado

È così è stato, e ancora dopo 28 anni, Sorino vive la sua vita nella foresta con le forze e la salute di un anziano. Suor Felicita continua dicendo che il miracolo di Sorino è un miracolo che ha visto, oltre l’intercessione di San Giuseppe Allamano, anche l’impegno e la collaborazione delle sue consorelle di diverse nazioni, dei medici e delle persone che gli sono state accanto. Un miracolo che è espressione di una missione benedetta dal Signore, un miracolo che oggi contempliamo anche nelle missioni del Kenya e di tanti altri paesi nei quali lavoriamo. Una missione comune che quando è fatta con fede, in unità di intenti e a favore dei più bisognosi diventa grazia, vita e consolazione in tante opere a servizio dell’educazione, della salute, del dialogo, della marginalità, dell’accoglienza, della giustizia e della pace.

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San Giuseppe Allamano continua a illuminarci

Al termine della celebrazione un grande convivio fraterno, un banchetto preparato e servito con amore e gentilezza per tutti, che, con l’Eucarestia appena celebrata, è preludio di quello del cielo. San Giuseppe Allamano era con noi: nel volto, nel cuore, nei gesti di servizio e nella vita di tutti coloro che oggi hanno voluto dire a Dio e a lui grazie. Grazie per una missione che non è finita, ma che continua nella vita di chi poi, subito dopo, è ripartito per le sue case e comunità con nel cuore il desiderio di annunciare il Vangelo e camminare sulla via della santità illuminati dal carisma di San Giuseppe Allamano.

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Padre James Lengarin, Superiore Generale, parla dei frutti che il Kenya ha dato e continua a dare alla Chiesa e al mondo. Foto: Daniel Mkado

Kenya, terra fecondata anche dalla santità delle Beate Irene Stefani, Leonella Sgorbati e Carola Cecchin, come ha ricordato l’arcivescovo di Nyeri. Alla loro intercessione, a quella di San Giuseppe Allamano e della Vergine Consolata affidiamo ogni nostra comunità, ogni missionario e missionaria, il “bene fatto bene” che si è fatto e che ancora si farà per continuare ad essere semi e segni di consolazione.

* Padre Michelangelo Piovano, IMC, Vice Superiore Generale. Nairobi, 9 novembre 2024.

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Condividiamo un Album di fotografie: Francisco Martínez

 

Come famiglia Consolata viviamo ancora in un'atmosfera di festa e di gioia per la canonizzazione di San Giuseppe Allamano. Vogliamo quindi condividere alcune testimonianze sulle caratteristiche del nostro Santo Fondatore per ascoltare ciò che lui ha da dirci oggi nella nostra vita e missione.

La santità

“Sono sempre stato affascinato dalla santità di Giuseppe Allamano, una santità che è stata una meta nella sua vita fin dalla formazione, in tutto il suo lavoro apostolico e missionario”, dice padre Aquileo Fiorentini, Superiore Generale dal 2005 al 2011, ora parroco della parrocchia di San Marco a San Paolo, in Brasile. “Quindi, questa santità che cercava per sé, la cercava anche per tutti i suoi figli e figlie, incoraggiandoli a vivere la dimensione della santità nella loro vita personale, comunitaria e apostolica”. (Video in protoghese)

La paternità

“Vorrei anche sottolineare la dimensione della paternità dell'Allamano. Nella mia vita, fin da piccolo quando sono entrato nell'Istituto, ho ammirato molto questa dimensione di paternità nei suoi scritti e nelle sue conferenze. Ho sperimentato questa paternità nella mia vita e nel mio servizio all'Istituto. Quando incontravo i missionari vedevo nei loro cuori questa visione dell'Allamano come padre”.

Guida

Padre Aquileo ricorda anche un'altra caratteristica dell'Allamano: “la sua capacità di accompagnare, di essere un maestro per i missionari. Quindi per me l'Allamano è stato un padre, un maestro e una guida”.

Dimensione missionaria

“L'ultima cosa che vorrei sottolineare è la dimensione missionaria. Non potendo mettere in pratica lui stesso questa dimensione nei paesi di missione lontani da Torino (Italia), ha fondato i missionari e le missionarie della Consolata. Io sono un figlio e mi sento privilegiato di essere figlio di questo padre che è stato anche missionario nella Chiesa locale inviando missionari in tutto il mondo”.

“A voi che mi ascoltate - esorta padre Aquileo – facciamo in. modo che insieme possiamo sempre amare in San Giuseppe Allamano, nostro santo padre Fondatore, questa dimensione della santità nella nostra vita; la dimensione della paternità nella vita quotidiana e nell'incontro con le persone; e la dimensione della guida delle persone come metodologia per vivere la propria vocazione con amore e affetto”.

* Video realizzato dal Segretariato Generale per la Comunicazione.

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Padre Aquileo con i vescovi della Consolata e la Direzione Generale durante la canonizzazione di San Giuseppe Allamano a Roma

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