Papa Francesco ha scelto il 20 ottobre per proclamare santo il nostro Fondatore. Nella parrocchia “Maria Speranza Nostra” di Torino, abbiamo inaugurato domenica 27 ottobre il primo “angolo” dedicato a San Giuseppe Allamano, sette giorni dopo essere stato proposto come modello di santità per tutta la Chiesa.
In questo angolo abbiamo voluto riunire i temi principali della canonizzazione di Giuseppe Allamano. Vogliamo mostrare l'opera dei Missionari e delle Missionarie della Consolata, il miracolo di Sorino, la vita e la missione di San Giuseppe Allamano.
Per realizzare l'opera, Marcello Morello e io abbiamo raccolto varie idee che hanno dato forma a questo piccolo spazio della nostra chiesa parrocchiale dedicato a San Giuseppe Allamano e al suo sogno missionario. Un sogno che ha attraversato tutta la sua vita, ma che si è realizzato nel 1901 con la fondazione dei Missionari e nel 1910 con la fondazione delle Missionarie della Consolata. La missione ad gentes intesa come consolazione (cfr. Isaia 40,1-2) è il cuore di questo sogno: illumina i suoi missionari e missionarie e cerca di raggiungere nuovi orizzonti e realtà umane bisognose di vera consolazione.
Santa Messa presieduta dal parroco. padre Nicholas Muthoka, IMC.
L'immagine del Santo è quella che è stata appesa al balcone del Vaticano il giorno della sua canonizzazione. Lo vediamo come un faro che permette al carisma della consolazione di raggiungere tutti i popoli e le culture e all'annuncio della Buona Novella di arrivare fino agli estremi confini della terra: “Andate e fate discepoli tutti i popoli, battezzando nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho detto” (cfr. Mt 28,19-20). Nella foresta amazzonica, tra il popolo Yanomami, San Giuseppe Allamano guarda Sorino e lo guarisce. Oggi, da qui, continuerà a guardarci e a guarirci.
La parte più importante del nostro “angolo dell'Allamano” simboleggia la missione che si estende in tutto il mondo: è la missione che inizia in una chiesa locale e si estende fino ad abbracciare la chiesa universale. È la missione qui, là e oltre. È la missione che risponde a tutti i bisogni profondi di un'umanità dispersa e ferita.
Per San Giuseppe Allamano la Consolata “è la Fondatrice”. Nell'“angolo” è inquadrata nell'Eucaristia, con il suo Santuario, come un Sole che illumina la missione. La Consolata è colei che ci consola, l'illuminata che ci illumina.
L'indigeno Sorino Yanomami, il giaguaro che lo ferì a morte, la “maloca” (abitazione comune) in cui viveva, il fiume Catrimani, ricordano un miracolo che diventa simbolo della missione ad gentes incarnata in Amazzonia brasiliana, dove avvenne questo evento prodigioso.
Suor Felicita Muthoni, MC, testimone del miracolo di Sorino partecipa all'inaugurazione dell'Angolo dell'Allamano”
Questo angolo della nostra chiesa vuole essere un luogo di incontro che stabilisce un ponte tra l'umano e il divino, tra la natura e il trascendentale, tra la missione e l'invio. Il giorno in cui Giuseppe Allamano è stato riconosciuto Santo era la Giornata Missionaria Mondiale: tutta la sua vita è stata permeata di missionarietà e di impegno “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a tutta la creazione” (Mc 16,15). Oggi la Chiesa lo propone come modello di santità, uomo di Dio, e dal nostro “angolo” continua ad invitarci a riflettere sulla nostra missione nel mondo.
* Padre Elmer Peláez Epitacio, IMC, parrocchia Maria Speranza Nostra di Torino, Italia.
Torino, 25 ottobre. È una mattina piovosa, ma il cortile della Casa Madre si sta già animando con i primi gruppi di pellegrini, reduci delle tre giornate di Roma e delle due piemontesi. Oggi il ritrovo è il santuario di san Giuseppe Allamano a «casa sua», in corso Ferrucci. Nella chiesa fervono i preparativi.
Incontriamo il gruppo giunto da Oujda, in Marocco, quello della Costa d’Avorio, del Congo Rd, i mozambicani, i laici del Brasile e della Colombia. Ma anche padre Jasper, kenyano arrivato da Taiwan, padre Dieudonné, congolese dalla Mongolia, e la signora Lina, dal Kazakistan insieme a una suora che lavora nel paese dell’Asia centrale. Solo per citarne alcuni. Poi gli europei, e molti amici dei missionari e delle missionarie di Torino e del quartiere. Tutto il mondo è qui.
Padre Antonio e padre Sandro, i responsabili dell’organizzazione di accoglienza dei pellegrini a Roma e Piemonte, corrono indaffarati per gli ultimi dettagli.
Allo scoccare delle 10,30 fanno il loro ingresso nella chiesa affollata le danzatrici: sono le novizie delle suore, vestite con abiti africani a dominante verde intenso. Danzano e cantano fino all’altare seguite dai cinque vescovi e dai sacerdoti che celebreranno la messa. Alle ali dell’altare siedono almeno un centinaio di preti nei loro abiti bianchi, la maggior parte missionari della Consolata. Altrettante sono le missionarie o forse di più.
Padre Gianni Treglia prende la parola ed esordisce arringando i presenti: «Allamano!». E tutti rispondono:«Viva!». E ancora padre Gianni «Viva!» e tutti «Allamano!». E poi, tutti insieme: «Grazie per averci dato Giuseppe Allamano!».
Il superiore della Regione Europa ringrazia il Signore per il dono di san Giuseppe Allamano: «Questo è anche il luogo del suo sogno missionario che, non potendolo realizzare personalmente lo ha realizzato con la fondazione di due istituti missionari. [...] Il sogno stesso di Dio che vuole che tutta l'umanità abbia la salvezza. Giuseppe Allamano l’ha affidato a noi, suoi figli e figlie missionari».
La celebrazione è presieduta da monsignor Francisco Múnera Correa, IMC, arcivescovo di Cartagena e presidente della Conferenza episcopale colombiana.
Le letture vengono fatte in italiano e kiswahili.
È poi monsignor Osório Citora Afonso, mozambicano e neo vescovo ausiliario della capitale Maputo, che affronta l’omelia: «Dopo i fasti di piazza san Pietro […] ci siamo recati nei paesi che videro la vita quotidiana di san Giuseppe Allamano, prima a Castelnuovo don Bosco, quindi al santuario della Consolata, e oggi qui in Casa Madre, dove si trova il suo sepolcro. È un luogo che ci invita a sostare, in preghiera, in meditazione. Un luogo che è anche un’oasi di relazione. È una casa. È la sua dimora dalla quale continua a spandere benedizione, incoraggiamento e consolazione».
Riferendosi al Vangelo appena letto (Marco 16,14) monsignor Osorio dice: «Gesù, l’ultimo gesto, quello del mandato missionario, lo fa in una casa, un luogo di relazione, così non è casuale che anche noi veniamo nella casa di Allamano per riascoltare il mandato missionario. È in questa casa che si sente ancora: “Andate e predicate”».
«Perché una casa è un luogo di vita, di incontri, dove i religiosi e i laici cercano di vivere e testimoniare la passione per la missione. Parlando dello spirito di famiglia, Allamano parlava della casa dove si sta insieme, dove si vive il quotidiano. Casa come luogo di invio missionario: è da casa che si parte. […]».
Ritorna poi su una famosa frase del santo: «Allamano diceva: “Siate straordinari nell’ordinario”.
Per vivere questa santità, ripartiamo dalle nostre case, ripartiamo dalle relazioni, dalle piccole cose.
Sono partiti da Torino tanti anni fa, erano quasi tutti piemontesi, e per questo motivo adesso siamo qua in tanti, e veniamo da molte parti del mondo».
E per evidenziare questa «mondialità» chiede: «Dove è avvenuto il miracolo? Non a Torino, Roma, o in una grande città, ma tra il popolo dell’Amazzonia».
Un aspetto del popolo di Giuseppe Allamano che ci ricorda anche la preghiera dei fedeli, letta in tante lingue: inglese, portoghese, francese, kiswahili, italiano e spagnolo.
La celebrazione continua, si canta seguendo il coro italiano diretto da padre Sergio. L’atmosfera è quella delle grandi feste. C’è gioia, c’è voglia di viverla tutti insieme, provenienti da tante nazioni e da popoli dei quattro continenti, ma in sintonia.
Suor Lucia Bortolomasi, madre generale delle missionarie dalla Consolata, prende infine la parola, con la sua voce dolce, ma ferma: «È qui che vogliamo esprimere il nostro grazie a Dio e alla Consolata, per questo immenso dono, che è san Giuseppe Allamano. Vogliamo ringraziare tutti voi, amiche e amici, perché ci siete stati vicino in questi giorni di festa, e anche perché, in diversi modi, ci accompagnate nella nostra missione. Un grazie tutto speciale alle nostre missionarie e missionari e alle persone che sono ammalate, ma che ogni giorno offrono la loro preghiera e la loro sofferenza a Dio per l’annuncio del Vangelo, e per sostenerci. Ci danno forza».
Poi aggiunge: «Vogliamo fare un regalo speciale a san Giuseppe Allamano. Vogliamo regalargli il nostro impegno di vivere quella santità che lui ci ha sempre indicato. Essere presenze umili, semplici di consolazione, nella vita di tutti i giorni».
Padre James Lengarin, superiore generale dei missionari, visibilmente contento, quasi euforico, esprime il suo ringraziamento: «Sono qui per dire grazie a tutte le persone che hanno fatto partire questa macchina organizzativa. Tutto è andato bene vero?». E parte un applauso alla commissione organizzatrice.
«Tutti i 35 paesi del mondo in cui siamo presenti, erano rappresentati in questo momento speciale. Siamo una famiglia grande, che si vuole bene».
Ringrazia l’arcidiocesi di Torino, «dove siamo nati e da dove siamo partiti. E anche per gli aiuti concreti che sono arrivati da qui» alle missioni.
Ricorda poi i missionari e le missionarie defunte: «Fanno parte di questa grande famiglia. Loro ci hanno aiutato a essere ciò che siamo oggi. Anche in cielo sono tutti in festa».
Ringrazia la Regione Europa e la Casa Madre e tutti «fratelli vescovi che hanno partecipato».
Conclude con un grazie caloroso «a tutti i pellegrini che sono venuti. Siamo tutti membri di questa famiglia. Ripartiamo da questo santo. Portiamo la consolazione nel mondo e siamo seminatori di speranza».
Con le parole di padre James, si chiude la celebrazione, ma la festa continua, e i pellegrini si accalcano presso la tomba di san Giuseppe Allamano, per un saluto, una preghiera, ma anche per portare a casa una foto con lui, perché da oggi c’è un santo in famiglia.
* Marco Bello, rivista Missioni Consolata.
La varietà e la bellezza della missione di Dio adorna il santuario della Consolata
Con il cuore pieno di gratitudine e di gioia, oggi 24 ottobre i pellegrini di San Giuseppe Allamano hanno riempito il Santuario della Consolata di Torino dove il nuovo santo ha lavorato per 46 anni e ha fondato due congregazioni al servizio della missione ad gentes.
Il rettore del Santuario, canonico Giacomo Martinacci, ha dato il benvenuto ai presenti sottolineando una delle virtù di San Giuseppe Allamano da mettere in pratica nella nostra vita e nella vita della Chiesa: la “fiducia” in Dio e nella Consolata a cui ha consegnato tutto il suo lavoro.
Gli spazi del santuario erano ricolmi di fervore e preghiera ma anche di festa, colori e musicalità, quella del coro che provava i suoi canti. Una chiesa proveniente da tutto il mondo lo abbelliva e accoglieva anche quelle persone che da lontano ci seguivano grazie alla connessione in Streaming che ha accompagnato tutte le celebrazioni di questi giorni festivi.
Da questa casa della Consolata San Giuseppe Allamano inviò i suoi primi missionari nel mondo e oggi questa stessa casa riceve i frutti abbondanti della diversità culturale rappresentanti da missionari, fedeli e pellegrini provenienti dai più diversi contesti geografici. Il Santuario, luogo di partenza per i missionari e le missionarie della Consolata, si è riempito della bellezza della missione di Dio.
Prende la parola padre Gianni Treglia, superiore della Regione Europa e in diverse lingue introduce la celebrazione: “In questo Santuario, Giuseppe Allamano ha speso tutta la sua vita e da questo Santuario è stato lampada che fa luce per molti: sacerdoti, religiosi, laici, ricchi e poveri. Giuseppe Allamano è stato un sacerdote pieno di zelo: sempre pronto a donare a ciascuno una giusta parola, un sorriso di conforto o uno sguardo pieno di tenerezza. Due amori hanno rapito e plasmato la sua vita – sottolinea padre Treglia – l'amore per Gesù Eucaristia e l'amore per la Vergine Maria con il titolo di Consolata nostre Madre tenerissima. Oggi noi lo possiamo nominare santo tra i santi e per questo ringraziamo il Signore”.
I canti in diverse lingue, animati dallo splendido coro di missionari e missionarie della Consolata, armonizza la celebrazione presieduta da mons. Alessandro Giraudo, vescovo ausiliare di Torino. Nella sua omelia invita a seguire l’esempio di San Giuseppe Allamano nell’ascolto della Parola de Dio e nel mettere Cristo al centro della nostra vita e missione. “Lui –ci ricorda il vescovo– continua a indicarci di non smarrire la consapevolezza che se il Signore non è il protagonista allora la nostra vita finisce per riempirsi di tante cose, magari anche opere buone e zelo apostolico, ma rischiamo disperdici. La santità di Giuseppe Allamano risplende perché è rimasto profondamente unito a Cristo e ha vissuto sempre fidandosi di Dio; ha desiderato che altri potessero conoscere il Vangelo e innamorarsi della sua parola di vita; ha sperimentato la dolcezza della consolazione di Maria e con Lei ci invia all’incontro della vita e del cuore delle persone vicine e lontane”.
Mons. Alessandro ha spiegato che “il Vangelo continua a compiersi ogni volta che diventiamo anche noi strumenti nelle mani di Cristo; siamo portatori della sua parola e della sua presenza; usciamo da noi stessi per entrare nella vita di coloro che Dio ci mette sul cammino”. Secondo il vescovo, “San Giuseppe Allamano ha saputo far partire gli altri ed essere padre senza sostituirsi o confondersi con i figli e le figlie”.
Per continuare a portare la luce del Vangelo al mondo dobbiamo far tesoro e moltiplicare il suo insegnamento. Il miracolo che la Chiesa ha riconosciuto come segno di santità, la prodigiosa guarigione di Sorino Yanomami, è il miracolo che avviene quando, lasciandoci condurre da Dio, impariamo a prenderci cura degli altri.
In san Giuseppe Allamano la Chiesa di Torino riceve ancora un grandissimo dono: un concreto cammino di santità offerto a tutti e alla portata di ciascuno. Questo dono, per mezzo dei suoi figli e delle sue figlie, raggiunge anche i popoli di ogni parte del mondo.
Il canto finale esprime appropriatamente il momento di festa e l’impegno che scaturisce da questa celebrazione: “la tua luce, oh Consolata, illumini il nostro lungo cammino, vogliamo seguire le tue orme… Regina caeli laetare”. Ai piedi della Consolata, nutriti dalla Parola e dell’eucaristia, anche noi come pellegrini, animati dalla santità di Giuseppe Allamano, ripartiamo alla volta del mondo per mostrare la luce del Vangelo fino agli estremi confini della terra.
Dopo la celebrazione, tutti si sono riuniti nel cortile del Santuario dove hanno potuto vedere una Mostra sulla vita di San Giuseppe Allamano. Poi, organizzati in gruppi linguistici, si sono recati all'Ospiteria del Servizio Missionario Giovani (SERMIG) per pranzo e una visita alle strutture.
* Padre Jaime C. Patias, IMC, Comunicazione Generale.
Gruppo di pellegrini provenienti da Roraima nel Brasile.
Il popolo di San Giuseppe Allamano in festa
Roma, 21 ottobre. «Questa mattina, alla sessione del sinodo, sono andato a ringraziare il Santo Padre, che era lì con noi, per il dono della canonizzazione», racconta il cardinale Giorgio Marengo, in chiusura alla sua omelia della messa di ringraziamento per il santo Fondatore.
Nella splendida cornice della basilica di San Paolo Fuori le Mura, si ritrovano i missionari, le missionarie e centinaia di pellegrini, che il giorno prima hanno partecipato alla canonizzazione di Giuseppe Allamano. «Mi ha colpito - continua Marengo -, perché, sedutomi davanti a lui, mi ha preso le mani e mi ha detto “Coraggio, avanti”. Quello che ci diceva sempre San Giuseppe Allamano».
La celebrazione inizia con una danza africana realizzata da suore e novizie, che scalda subito l’atmosfera. Sfilano vestite con colori africani, a dominante azzurra. Dietro alle danzatrici, fanno il loro ingresso centodieci sacerdoti vestiti di bianco, due fratelli missionari, seguiti da ventidue vescovi e, in ultimo, dal cardinale Marengo. È lui che, con la sua solita semplicità, ma al tempo stesso profondità, prende la parola: «Oggi è un giorno di ringraziamento per san Giuseppe Allamano. È il primo giorno nel quale possiamo chiamarlo così». Le sue parole, quasi emozionate, scatenano l’euforia dei presenti.
Sono di tanti Paesi, svariate lingue e culture a ritrovarsi, oggi pomeriggio, nell’abside della basilica.
Spicca una folta delegazione di fedeli di Roraima, lo stato del Brasile dove è avvenuto il miracolo della guarigione dell’indigeno yanomami Sorino. Sono riconoscibili da una maglietta fatta fare per l’occasione, con la scritta in portoghese: «Annunziate la mia gloria alle nazioni» (Is 66,19), e con i loghi della diocesi di Roraima e quello ufficiale della canonizzazione. Poi tante fedeli africane, con vestiti dai tipici colori sgargianti, e moltissime religiose. Ci sono anche i laici missionari della Consolata, e i tanti amici del nuovo santo venuti da quattro continenti. Quasi tutti hanno al collo il foulard realizzato per la canonizzazione.
Iniziano le letture. Poi il salmo viene recitato da uno studente e una studentessa missionari, e il coro risponde cantando in maniera delicata «Popoli tutti, lodate il Signore».
Dopo la seconda lettura, parte di nuovo il coro, diretto dall’accalorato Douglas Lukunza del Kenya. I musici - tastiera, batteria, due djembé (tamburi africani) e pure un bravo violino - sono altri studenti missionari, tutti africani. Il coro variegato segue i movimenti del direttore, che non si limita a muovere le braccia, ma praticamente balla. Una danza contagiosa, che in pochi secondi prende tutti i presenti che, chi più chi meno, si muovono a ritmo di musica. E parte l’entusiasmo della grande festa.
Con la preghiera dei fedeli torna la calma. Alcuni lettori e lettrici si alternano nelle diverse lingue: italiano, inglese, portoghese, spagnolo, coreano, swahili e francese. A leggere quest’ultima è una ragazza migrante del Burkina Faso, attualmente a Oujda in Marocco (dove c’è una missione della Consolata). La sua è una supplica toccante, forse perché nasce dall’esperienza personale: chiede di pregare affinché i governi rendano più vivibili i Paesi del mondo, in modo tale che i giovani non siano più costretti a partire.
Nella cerimonia di ringraziamento, come nei giorni precedenti, il collegamento con l’Amazzonia è forte: all’offertorio, oltre al pane e al vino, viene portato anche un tipico copricapo indigeno, fatto di piume blu e gialle del grande pappagallo ara, mandato da coloro, spiega la voce di commento, «che sono assetati di fede e di giustizia».
Ma oltre alla festa, il ringraziamento è pure un momento di riflessione, stimolata dalle parole, talvolta provocatorie, del cardinale Marengo che nella sua omelia si è soffermato sull’importanza della contemporaneità: l’impegno deve essere «una successione continua di oggi e qui», e occorre «attingere la forza per la missione dalla contemplazione».
«Dobbiamo dircelo: la sua santità (di Allamano, ndr) ci deve scuotere, altrimenti non ci gioverà. I nostri istituti attraversano un momento delicato della loro storia, con incertezze nei cammini del mondo. Oggi non è solo un punto di arrivo, deve essere anche un punto di ripartenza».
Card. Giorgio Marengo, IMC, Prefetto Apostolico di Ulaanbaatar (Mongolia)
Considerando il percorso e gli sforzi fatti per arrivare a questa canonizzazione, «tutto sarà ripagato se prenderemo sul serio questo oggi, l’avere gli occhi fissi sul Signore, teneramente amato e servito da san Giuseppe Allamano, e realizzeremo davvero il suo desiderio di vederci famiglia della Consolata che si vuole bene e che arde di zelo apostolico».
La cerimonia si avvia alla conclusione con il canto del Magnificat in versione africana, danzato e cantato da tutti i presenti. Il cardinale incensa lo stendardo con il volto di Giuseppe Allamano, che pare sorridente come non mai. Anche lui, oramai coinvolto nella festa per il nuovo santo.
La messa di ringraziamento conclude la fase romana delle celebrazioni, composte da veglia, canonizzazione in piazza san Pietro e, appunto, ringraziamento.
Nei prossimi giorni seguiranno eventi e celebrazioni a Castelnuovo don Bosco (At), paese natale di Allamano (il 23 ottobre) e a Torino, alla Consolata (il 24) e nella chiesa del santo in corso Ferrucci 18 (il 25).
* Marco Bello, rivista Missioni Consolata.
Le due Direzioni Generali IMC e MC con il card. Marengo,
I vescovi presenti alla celebrazione Eucaristica
Reportage da piazza San Pietro
Città del Vaticano. Oggi, 20 ottobre 2024, Giuseppe Allamano è ufficialmente santo. La messa di proclamazione, in piazza San Pietro, nella Giornata Missionaria Mondiale è stata intensissima.
Fin dalle 7 del mattino, a giorno non ancora fatto, lunghe code di pellegrini aspettano ai controlli della polizia, necessari per entrare nella piazza. Il popolo di Giuseppe Allamano è arrivato dai quattro continenti il giorno prima.
Nella coda, tra la gente che si stropiccia gli occhi, si sentono decine di lingue: portoghese, spagnolo, francese, inglese, italiano, kishawili... Ma anche l’Asia c’è, con la Corea, la Mongolia e Taiwan.
Su alcune bacchette viene issata l’immagine del futuro santo, nella sua versione colorata o «pop art», che resta un riferimento tra la marea di teste.
Oggi saranno, infatti, «canonizzati», termine tecnico, anche Elena Guerra, Marie-Léonie Paradis e gli undici martiri di Damasco (Manuel Ruiz e compagni). Ci si distingue anche per il foulard, bianco ma colorato con le 35 bandiere dei paesi dove lavorano i missionari e le missionarie della Consolata, e con l’effige di Allamano e della Consolata. L’organizzazione ha anche previsto per tutti un badge verde con il logo studiato specificamente per questo giorno.
Entriamo tra i primi, dopo il controllo metal detector. La platea davanti alla scalinata di San Pietro è ancora da riempire.
I pellegrini sono assonnati, ma si vede la gioia e l'eccitazione. Molti si salutano, si abbracciano. È spesso un rivedersi dopo anni, talvolta un incontrarsi per la prima volta, entrando subito in sintonia.
Intanto si è fatto giorno. È nuvoloso, ma non piove.
È ancora un momento di attesa, e si approfitta per farsi delle foto, dei video, scambiarsi un contatto o un sorriso. Vediamo una folta delegazione dall’Uganda, poi la bandiera del Kenya (primo paese di missione dei Missionari della Consolata). Il Congo Rdc è presente, così come la Costa d’Avorio.
A un certo punto compare la bandiera del Marocco: è il gruppo di Oujda, del quale fanno parte anche alcune migranti subsahariane. Vediamo anche il gruppo dei laici della Consolata del Portogallo, con le magliette del loro 25° anno di esistenza, i laici del Brasile, Canada, Colombia.... E poi tantissime suore, di svariate età e nazionalità. Così metà della piazza, quella con i posti a sedere, si è riempita.
Intanto, alla sinistra dell’altare si siedono cardinali, vescovi, sacerdoti e i fratelli. Alla destra, invece, le autorità e i diplomatici.
Dopo il rosario in latino, inizia uno scampanio, poi il coro ufficiale intona alcune canzoni diffuse con i potenti altoparlanti in tutta la piazza. L’attesa si fa più intensa tra le migliaia di persone da tutto il pianeta, spaccato di umanità.
Alle 10,20, quasi all’improvviso, arriva Papa Francesco sulla sua carrozzina e si siede sulla poltrona papale. Tenue, quasi sotto voce, sul lato destro della platea, un gruppo di pellegrini intona: «Papa Francesco, papa Francesco». Altri iniziano, è come se il coro si spostasse nello spazio antistante alla basilica, e intanto diventa «Papa Francisco», per culminare con un grande applauso. Nel frattempo è comparso un tenue sole.
Scorgiamo evidente, in prima fila del gruppo di sedie delle autorità, il presidente Sergio Mattarella.
La celebrazione ha inizio. Vengono lette le brevi biografie dei nuovi santi. Quando è nominato Giuseppe Allamano, parte un applauso dalla piazza.
«Vince non chi domina, ma chi serve per amore» dice il Papa nella sua omelia, a commento del Vangelo del giorno. «Gesù svela pensieri nel nostro cuore smascherando, talvolta, i nostri desideri di vanità e di potere».
E poi ci insegna lo «stile di Dio», ovvero il «servizio». Le parole magiche per il Papa sono: «Vicinanza, compassione e tenerezza, applicate all’azione di servire. […] A questo dobbiamo anelare». Uno stile che nasce dall’amore e non ha una scadenza o un limite. «I nuovi santi hanno vissuto questo stile di Gesù: il servizio» continua il Papa.
All’Angelus papa Francesco mette l’accento sui popoli indigeni: «La testimonianza di san Giuseppe Allamano ci ricorda la necessaria attenzione verso le popolazioni più fragili e vulnerabili. Penso in particolare al popolo Yanomami, nella foresta amazzonica brasiliana, tra i cui membri è avvenuto proprio il miracolo legato alla sua canonizzazione. Faccio appello alle autorità politiche e civili affinché assicurino la protezione di questi popoli e dei loro diritti fondamentali e contro ogni forma di sfruttamento della loro dignità e dei loro territori».
Il nome «Yanomami», dunque, echeggia in piazza san Pietro, proprio grazie al nuovo Santo.
Papa Francesco conclude con un giro in carrozzina a salutare i cardinali, per poi salire sulla papamobile, e fare un lungo percorso nella piazza. I pellegrini e i fedeli hanno oramai lasciato le loro sedie e si affollano alle transenne per salutare il Santo Padre.
Una volta passato, inizia il lento deflusso di alcune migliaia di persone, mentre gruppi di svariate nazionalità e lingue si fanno le ultime foto sulla piazza, con lo sfondo della Basilica di San Pietro sulla quale spicca lo stendardo di san Giuseppe Allamano.
* Marco Bello, rivista Missioni Consolata.