Siamo in Kenya dove, dopo alcuni giorni di pioggia, anche il cielo ha diradato le sue nubi, per illuminare il sabato, 9 novembre 2024, giorno in cui si è voluto innalzare il ringraziamento per la canonizzazione di San Giuseppe Allamano con un’Eucarestia celebrata presso il Campus Universitario di Nairobi.
Dopo la sua canonizzazione, avvenuta a Roma il 20 ottobre e le diverse celebrazioni in Italia, era d’obbligo una grande celebrazione di azione di grazie nella terra in cui l’Allamano non è mai arrivato fisicamente, ma vi è però arrivato con la mente, il cuore e tutte le sue forze mediante i suoi missionari e missionarie. Terra da lui sognata, conosciuta e amata, terra nella quale sapeva che il seme piantato dai primi quattro missionari, partiti nel 1902, avrebbe dato frutti abbondanti. È così è stato.
La sua santità, proclamata ora ufficialmente dalla Chiesa, si era manifestata qui fan dall’inizio. È stata seminata giorno per giorno dalla dedicazione, zelo, lavoro e passione dei suoi figli e figlie. “Bene fatto bene, senza fare rumore”, come dice lo slogan e parola carismatica per questo giorno stampato su capulane e sciarpe colorate. Ma, ad un certo punto, il bene silenzioso non può rimanere nascosto, ma appare, deve essere proclamato e annunciato come motivo di gloria tra i popoli.
Messa di ringraziamento nel Campus Universitario di Nairobi. Foto: Francisco Martínez
Ed oggi si è celebrato questo bene, questa “gloria” dai tanti frutti e colori della nostra missione in Kenya. Ogni incontro, ogni gesto, ogni parola detta, ogni sguardo, ogni persona non era che l’espressione di una stagione matura con tutti i suoi frutti e non si poteva non rendere grazie al Dio e a colui che in qualche modo ne è stato lo strumento, come buon seminatore, come buon padre e pastore, San Giuseppe Allamano.
Fin dal mattino nella Casa Regionale di Nairobi arrivano giovani missionari, novizi, studenti professi, diaconi, sacerdoti, fratelli, suore e laici. C’è un clima di festa e di gioia, c’è chi si rivede dopo tanti anni, chi ha fatto insieme la formazione in seminario o coloro con cui si è lavorato in altre terre di missione lontane. Come ha ricordato il Superiore Generale, padre James Lengarin, nelle sue parole alla fine della celebrazione, questi sono i frutti che il Kenya ha dato e continua a dare alla Chiesa e al mondo, tanti missionari che continuano a rendere vivo il sogno e carisma di San Giuseppe Allamano di annunciare il vangelo, di fare conoscere Gesù ed il suo amore.
Si arriva poi al Campus Universitario di Nairobi dove tutto è stato preparato con molto lavoro per la celebrazione dell’Eucarestia di ringraziamento. C’è aria di festa, si preparano le danze, i canti, gli ultimi dettagli affinché tutto riesca al meglio, ben fatto, come desiderava l’Allamano.
Alla 10.00 in punto la processione con oltre cento sacerdoti, la presenza della nostra Direzione Generale, quasi tutti nostri vescovi del Kenya delle diocesi di Marsabit, Mararal, Isiolo, il vescovo di Muranga, di Meru, l’arcivescovo di Nyeri ed il Nunzio Apostolico, si dirigono verso l’altare dove nove anni fa, nel 2015, celebrò l’Eucarestia papa Francesco quando fece visita al Kenya. I nostri studenti e diaconi fanno il servizio all’altare in questo giorno e celebrazione che rimarrà a tutti nel cuore.
Ha presieduto la Messa, mons. Hubertus Matheus van Megen, Nunzio Apostolico in Kenya e in Sud Sudan. Foto: Daniel Mkado
Viene proclamato il Vangelo di Marco (Mc 16,15-18) con il mandato di Gesù. “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura”. Con queste parole, dal Santuario della Consolata di Torino, l’Allamano mandava i suoi missionari. Ne sono partiti tanti e tante, ne sono nate comunità cristiane, parrocchie, diocesi, vocazioni alla vita sacerdotale e religiosa, vescovi e laici testimoni di questo vangelo creduto, vissuto ed annunciato in tante lingue e nazioni. Ne ha dato prova la preghiera dei fedeli pronunciata in lingua swahili, kikuyu, meru, samburu…lingue di popoli nei quali il Vangelo si è inculturato portando vita e consolazione.
Alla fine della celebrazione le testimonianze e parole di ringraziamento di laici, suore, superiori e vescovi. Ma una di essa è andata in particolare al cuore di tutti: quella di Suor Felicita Muthoni, missionaria della Consolata keniana, che lavorando nella missione del Catrimani nella foresta amazzonica quasi trent’anni fa, ha prestato le prime cure a Sorino Yanomami, guarito in modo miracoloso per intercessione del Beato Giuseppe Allamano, che grazie anche a questa guarigione, è stato proclamato santo.
Missionarie della Consolata presenti alla celebrazione. Foto: Francisco Martínez
Suor Felicita ha parlato di quel 7 febbraio 1996 nel quale ha trovato Sorino con il cranio divelto da un giaguaro, le prime cure che gli ha prestato e la ferma decisone di inviarlo all’ospedale di Boa Vista perché si tentasse l’impossibile, nonostante avesse attorno a lei più di 200 indigeni contrari a questa sua decisione. Sorino gli aveva sussurrato che non voleva morire e che voleva vivere ed allora prende quella decisione avventata, ma certamente ispirata da Colui che promise ai suoi discepoli che, se avessero avuto fede avrebbero potuto fare opere anche più grandi di quelle da Lui compiute. È così è stato, ma la fede di Suor Felicita viene fuori quando si rifugia nella cappella della missione e fa al Signore, per intercessione del suo Fondatore, una preghiera accorata e imperativa:
“Sorino deve guarire, deve ritornare in piena salute per potere vivere e sopravvivere nella foresta, tra la sua gente, per poter cacciare e pescare e perché anche la vita dei missionari sia preservata”.
Il seme gettato in Kenya ha prodotto abbondanti frutti di evangelizzazione. Foto: Daniel Mkado
È così è stato, e ancora dopo 28 anni, Sorino vive la sua vita nella foresta con le forze e la salute di un anziano. Suor Felicita continua dicendo che il miracolo di Sorino è un miracolo che ha visto, oltre l’intercessione di San Giuseppe Allamano, anche l’impegno e la collaborazione delle sue consorelle di diverse nazioni, dei medici e delle persone che gli sono state accanto. Un miracolo che è espressione di una missione benedetta dal Signore, un miracolo che oggi contempliamo anche nelle missioni del Kenya e di tanti altri paesi nei quali lavoriamo. Una missione comune che quando è fatta con fede, in unità di intenti e a favore dei più bisognosi diventa grazia, vita e consolazione in tante opere a servizio dell’educazione, della salute, del dialogo, della marginalità, dell’accoglienza, della giustizia e della pace.
Al termine della celebrazione un grande convivio fraterno, un banchetto preparato e servito con amore e gentilezza per tutti, che, con l’Eucarestia appena celebrata, è preludio di quello del cielo. San Giuseppe Allamano era con noi: nel volto, nel cuore, nei gesti di servizio e nella vita di tutti coloro che oggi hanno voluto dire a Dio e a lui grazie. Grazie per una missione che non è finita, ma che continua nella vita di chi poi, subito dopo, è ripartito per le sue case e comunità con nel cuore il desiderio di annunciare il Vangelo e camminare sulla via della santità illuminati dal carisma di San Giuseppe Allamano.
Padre James Lengarin, Superiore Generale, parla dei frutti che il Kenya ha dato e continua a dare alla Chiesa e al mondo. Foto: Daniel Mkado
Kenya, terra fecondata anche dalla santità delle Beate Irene Stefani, Leonella Sgorbati e Carola Cecchin, come ha ricordato l’arcivescovo di Nyeri. Alla loro intercessione, a quella di San Giuseppe Allamano e della Vergine Consolata affidiamo ogni nostra comunità, ogni missionario e missionaria, il “bene fatto bene” che si è fatto e che ancora si farà per continuare ad essere semi e segni di consolazione.
* Padre Michelangelo Piovano, IMC, Vice Superiore Generale. Nairobi, 9 novembre 2024.
Come famiglia Consolata viviamo ancora in un'atmosfera di festa e di gioia per la canonizzazione di San Giuseppe Allamano. Vogliamo quindi condividere alcune testimonianze sulle caratteristiche del nostro Santo Fondatore per ascoltare ciò che lui ha da dirci oggi nella nostra vita e missione.
“Sono sempre stato affascinato dalla santità di Giuseppe Allamano, una santità che è stata una meta nella sua vita fin dalla formazione, in tutto il suo lavoro apostolico e missionario”, dice padre Aquileo Fiorentini, Superiore Generale dal 2005 al 2011, ora parroco della parrocchia di San Marco a San Paolo, in Brasile. “Quindi, questa santità che cercava per sé, la cercava anche per tutti i suoi figli e figlie, incoraggiandoli a vivere la dimensione della santità nella loro vita personale, comunitaria e apostolica”. (Video in protoghese)
“Vorrei anche sottolineare la dimensione della paternità dell'Allamano. Nella mia vita, fin da piccolo quando sono entrato nell'Istituto, ho ammirato molto questa dimensione di paternità nei suoi scritti e nelle sue conferenze. Ho sperimentato questa paternità nella mia vita e nel mio servizio all'Istituto. Quando incontravo i missionari vedevo nei loro cuori questa visione dell'Allamano come padre”.
Padre Aquileo ricorda anche un'altra caratteristica dell'Allamano: “la sua capacità di accompagnare, di essere un maestro per i missionari. Quindi per me l'Allamano è stato un padre, un maestro e una guida”.
“L'ultima cosa che vorrei sottolineare è la dimensione missionaria. Non potendo mettere in pratica lui stesso questa dimensione nei paesi di missione lontani da Torino (Italia), ha fondato i missionari e le missionarie della Consolata. Io sono un figlio e mi sento privilegiato di essere figlio di questo padre che è stato anche missionario nella Chiesa locale inviando missionari in tutto il mondo”.
“A voi che mi ascoltate - esorta padre Aquileo – facciamo in. modo che insieme possiamo sempre amare in San Giuseppe Allamano, nostro santo padre Fondatore, questa dimensione della santità nella nostra vita; la dimensione della paternità nella vita quotidiana e nell'incontro con le persone; e la dimensione della guida delle persone come metodologia per vivere la propria vocazione con amore e affetto”.
* Video realizzato dal Segretariato Generale per la Comunicazione.
Padre Aquileo con i vescovi della Consolata e la Direzione Generale durante la canonizzazione di San Giuseppe Allamano a Roma
Papa Francesco ha scelto il 20 ottobre per proclamare santo il nostro Fondatore. Nella parrocchia “Maria Speranza Nostra” di Torino, abbiamo inaugurato domenica 27 ottobre il primo “angolo” dedicato a San Giuseppe Allamano, sette giorni dopo essere stato proposto come modello di santità per tutta la Chiesa.
In questo angolo abbiamo voluto riunire i temi principali della canonizzazione di Giuseppe Allamano. Vogliamo mostrare l'opera dei Missionari e delle Missionarie della Consolata, il miracolo di Sorino, la vita e la missione di San Giuseppe Allamano.
Per realizzare l'opera, Marcello Morello e io abbiamo raccolto varie idee che hanno dato forma a questo piccolo spazio della nostra chiesa parrocchiale dedicato a San Giuseppe Allamano e al suo sogno missionario. Un sogno che ha attraversato tutta la sua vita, ma che si è realizzato nel 1901 con la fondazione dei Missionari e nel 1910 con la fondazione delle Missionarie della Consolata. La missione ad gentes intesa come consolazione (cfr. Isaia 40,1-2) è il cuore di questo sogno: illumina i suoi missionari e missionarie e cerca di raggiungere nuovi orizzonti e realtà umane bisognose di vera consolazione.
Santa Messa presieduta dal parroco. padre Nicholas Muthoka, IMC.
L'immagine del Santo è quella che è stata appesa al balcone del Vaticano il giorno della sua canonizzazione. Lo vediamo come un faro che permette al carisma della consolazione di raggiungere tutti i popoli e le culture e all'annuncio della Buona Novella di arrivare fino agli estremi confini della terra: “Andate e fate discepoli tutti i popoli, battezzando nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho detto” (cfr. Mt 28,19-20). Nella foresta amazzonica, tra il popolo Yanomami, San Giuseppe Allamano guarda Sorino e lo guarisce. Oggi, da qui, continuerà a guardarci e a guarirci.
La parte più importante del nostro “angolo dell'Allamano” simboleggia la missione che si estende in tutto il mondo: è la missione che inizia in una chiesa locale e si estende fino ad abbracciare la chiesa universale. È la missione qui, là e oltre. È la missione che risponde a tutti i bisogni profondi di un'umanità dispersa e ferita.
Per San Giuseppe Allamano la Consolata “è la Fondatrice”. Nell'“angolo” è inquadrata nell'Eucaristia, con il suo Santuario, come un Sole che illumina la missione. La Consolata è colei che ci consola, l'illuminata che ci illumina.
L'indigeno Sorino Yanomami, il giaguaro che lo ferì a morte, la “maloca” (abitazione comune) in cui viveva, il fiume Catrimani, ricordano un miracolo che diventa simbolo della missione ad gentes incarnata in Amazzonia brasiliana, dove avvenne questo evento prodigioso.
Suor Felicita Muthoni, MC, testimone del miracolo di Sorino partecipa all'inaugurazione dell'Angolo dell'Allamano”
Questo angolo della nostra chiesa vuole essere un luogo di incontro che stabilisce un ponte tra l'umano e il divino, tra la natura e il trascendentale, tra la missione e l'invio. Il giorno in cui Giuseppe Allamano è stato riconosciuto Santo era la Giornata Missionaria Mondiale: tutta la sua vita è stata permeata di missionarietà e di impegno “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a tutta la creazione” (Mc 16,15). Oggi la Chiesa lo propone come modello di santità, uomo di Dio, e dal nostro “angolo” continua ad invitarci a riflettere sulla nostra missione nel mondo.
* Padre Elmer Peláez Epitacio, IMC, parrocchia Maria Speranza Nostra di Torino, Italia.
Torino, 25 ottobre. È una mattina piovosa, ma il cortile della Casa Madre si sta già animando con i primi gruppi di pellegrini, reduci delle tre giornate di Roma e delle due piemontesi. Oggi il ritrovo è il santuario di san Giuseppe Allamano a «casa sua», in corso Ferrucci. Nella chiesa fervono i preparativi.
Incontriamo il gruppo giunto da Oujda, in Marocco, quello della Costa d’Avorio, del Congo Rd, i mozambicani, i laici del Brasile e della Colombia. Ma anche padre Jasper, kenyano arrivato da Taiwan, padre Dieudonné, congolese dalla Mongolia, e la signora Lina, dal Kazakistan insieme a una suora che lavora nel paese dell’Asia centrale. Solo per citarne alcuni. Poi gli europei, e molti amici dei missionari e delle missionarie di Torino e del quartiere. Tutto il mondo è qui.
Padre Antonio e padre Sandro, i responsabili dell’organizzazione di accoglienza dei pellegrini a Roma e Piemonte, corrono indaffarati per gli ultimi dettagli.
Allo scoccare delle 10,30 fanno il loro ingresso nella chiesa affollata le danzatrici: sono le novizie delle suore, vestite con abiti africani a dominante verde intenso. Danzano e cantano fino all’altare seguite dai cinque vescovi e dai sacerdoti che celebreranno la messa. Alle ali dell’altare siedono almeno un centinaio di preti nei loro abiti bianchi, la maggior parte missionari della Consolata. Altrettante sono le missionarie o forse di più.
Padre Gianni Treglia prende la parola ed esordisce arringando i presenti: «Allamano!». E tutti rispondono:«Viva!». E ancora padre Gianni «Viva!» e tutti «Allamano!». E poi, tutti insieme: «Grazie per averci dato Giuseppe Allamano!».
Il superiore della Regione Europa ringrazia il Signore per il dono di san Giuseppe Allamano: «Questo è anche il luogo del suo sogno missionario che, non potendolo realizzare personalmente lo ha realizzato con la fondazione di due istituti missionari. [...] Il sogno stesso di Dio che vuole che tutta l'umanità abbia la salvezza. Giuseppe Allamano l’ha affidato a noi, suoi figli e figlie missionari».
La celebrazione è presieduta da monsignor Francisco Múnera Correa, IMC, arcivescovo di Cartagena e presidente della Conferenza episcopale colombiana.
Le letture vengono fatte in italiano e kiswahili.
È poi monsignor Osório Citora Afonso, mozambicano e neo vescovo ausiliario della capitale Maputo, che affronta l’omelia: «Dopo i fasti di piazza san Pietro […] ci siamo recati nei paesi che videro la vita quotidiana di san Giuseppe Allamano, prima a Castelnuovo don Bosco, quindi al santuario della Consolata, e oggi qui in Casa Madre, dove si trova il suo sepolcro. È un luogo che ci invita a sostare, in preghiera, in meditazione. Un luogo che è anche un’oasi di relazione. È una casa. È la sua dimora dalla quale continua a spandere benedizione, incoraggiamento e consolazione».
Riferendosi al Vangelo appena letto (Marco 16,14) monsignor Osorio dice: «Gesù, l’ultimo gesto, quello del mandato missionario, lo fa in una casa, un luogo di relazione, così non è casuale che anche noi veniamo nella casa di Allamano per riascoltare il mandato missionario. È in questa casa che si sente ancora: “Andate e predicate”».
«Perché una casa è un luogo di vita, di incontri, dove i religiosi e i laici cercano di vivere e testimoniare la passione per la missione. Parlando dello spirito di famiglia, Allamano parlava della casa dove si sta insieme, dove si vive il quotidiano. Casa come luogo di invio missionario: è da casa che si parte. […]».
Ritorna poi su una famosa frase del santo: «Allamano diceva: “Siate straordinari nell’ordinario”.
Per vivere questa santità, ripartiamo dalle nostre case, ripartiamo dalle relazioni, dalle piccole cose.
Sono partiti da Torino tanti anni fa, erano quasi tutti piemontesi, e per questo motivo adesso siamo qua in tanti, e veniamo da molte parti del mondo».
E per evidenziare questa «mondialità» chiede: «Dove è avvenuto il miracolo? Non a Torino, Roma, o in una grande città, ma tra il popolo dell’Amazzonia».
Un aspetto del popolo di Giuseppe Allamano che ci ricorda anche la preghiera dei fedeli, letta in tante lingue: inglese, portoghese, francese, kiswahili, italiano e spagnolo.
La celebrazione continua, si canta seguendo il coro italiano diretto da padre Sergio. L’atmosfera è quella delle grandi feste. C’è gioia, c’è voglia di viverla tutti insieme, provenienti da tante nazioni e da popoli dei quattro continenti, ma in sintonia.
Suor Lucia Bortolomasi, madre generale delle missionarie dalla Consolata, prende infine la parola, con la sua voce dolce, ma ferma: «È qui che vogliamo esprimere il nostro grazie a Dio e alla Consolata, per questo immenso dono, che è san Giuseppe Allamano. Vogliamo ringraziare tutti voi, amiche e amici, perché ci siete stati vicino in questi giorni di festa, e anche perché, in diversi modi, ci accompagnate nella nostra missione. Un grazie tutto speciale alle nostre missionarie e missionari e alle persone che sono ammalate, ma che ogni giorno offrono la loro preghiera e la loro sofferenza a Dio per l’annuncio del Vangelo, e per sostenerci. Ci danno forza».
Poi aggiunge: «Vogliamo fare un regalo speciale a san Giuseppe Allamano. Vogliamo regalargli il nostro impegno di vivere quella santità che lui ci ha sempre indicato. Essere presenze umili, semplici di consolazione, nella vita di tutti i giorni».
Padre James Lengarin, superiore generale dei missionari, visibilmente contento, quasi euforico, esprime il suo ringraziamento: «Sono qui per dire grazie a tutte le persone che hanno fatto partire questa macchina organizzativa. Tutto è andato bene vero?». E parte un applauso alla commissione organizzatrice.
«Tutti i 35 paesi del mondo in cui siamo presenti, erano rappresentati in questo momento speciale. Siamo una famiglia grande, che si vuole bene».
Ringrazia l’arcidiocesi di Torino, «dove siamo nati e da dove siamo partiti. E anche per gli aiuti concreti che sono arrivati da qui» alle missioni.
Ricorda poi i missionari e le missionarie defunte: «Fanno parte di questa grande famiglia. Loro ci hanno aiutato a essere ciò che siamo oggi. Anche in cielo sono tutti in festa».
Ringrazia la Regione Europa e la Casa Madre e tutti «fratelli vescovi che hanno partecipato».
Conclude con un grazie caloroso «a tutti i pellegrini che sono venuti. Siamo tutti membri di questa famiglia. Ripartiamo da questo santo. Portiamo la consolazione nel mondo e siamo seminatori di speranza».
Con le parole di padre James, si chiude la celebrazione, ma la festa continua, e i pellegrini si accalcano presso la tomba di san Giuseppe Allamano, per un saluto, una preghiera, ma anche per portare a casa una foto con lui, perché da oggi c’è un santo in famiglia.
* Marco Bello, rivista Missioni Consolata.
La varietà e la bellezza della missione di Dio adorna il santuario della Consolata
Con il cuore pieno di gratitudine e di gioia, oggi 24 ottobre i pellegrini di San Giuseppe Allamano hanno riempito il Santuario della Consolata di Torino dove il nuovo santo ha lavorato per 46 anni e ha fondato due congregazioni al servizio della missione ad gentes.
Il rettore del Santuario, canonico Giacomo Martinacci, ha dato il benvenuto ai presenti sottolineando una delle virtù di San Giuseppe Allamano da mettere in pratica nella nostra vita e nella vita della Chiesa: la “fiducia” in Dio e nella Consolata a cui ha consegnato tutto il suo lavoro.
Gli spazi del santuario erano ricolmi di fervore e preghiera ma anche di festa, colori e musicalità, quella del coro che provava i suoi canti. Una chiesa proveniente da tutto il mondo lo abbelliva e accoglieva anche quelle persone che da lontano ci seguivano grazie alla connessione in Streaming che ha accompagnato tutte le celebrazioni di questi giorni festivi.
Da questa casa della Consolata San Giuseppe Allamano inviò i suoi primi missionari nel mondo e oggi questa stessa casa riceve i frutti abbondanti della diversità culturale rappresentanti da missionari, fedeli e pellegrini provenienti dai più diversi contesti geografici. Il Santuario, luogo di partenza per i missionari e le missionarie della Consolata, si è riempito della bellezza della missione di Dio.
Prende la parola padre Gianni Treglia, superiore della Regione Europa e in diverse lingue introduce la celebrazione: “In questo Santuario, Giuseppe Allamano ha speso tutta la sua vita e da questo Santuario è stato lampada che fa luce per molti: sacerdoti, religiosi, laici, ricchi e poveri. Giuseppe Allamano è stato un sacerdote pieno di zelo: sempre pronto a donare a ciascuno una giusta parola, un sorriso di conforto o uno sguardo pieno di tenerezza. Due amori hanno rapito e plasmato la sua vita – sottolinea padre Treglia – l'amore per Gesù Eucaristia e l'amore per la Vergine Maria con il titolo di Consolata nostre Madre tenerissima. Oggi noi lo possiamo nominare santo tra i santi e per questo ringraziamo il Signore”.
I canti in diverse lingue, animati dallo splendido coro di missionari e missionarie della Consolata, armonizza la celebrazione presieduta da mons. Alessandro Giraudo, vescovo ausiliare di Torino. Nella sua omelia invita a seguire l’esempio di San Giuseppe Allamano nell’ascolto della Parola de Dio e nel mettere Cristo al centro della nostra vita e missione. “Lui –ci ricorda il vescovo– continua a indicarci di non smarrire la consapevolezza che se il Signore non è il protagonista allora la nostra vita finisce per riempirsi di tante cose, magari anche opere buone e zelo apostolico, ma rischiamo disperdici. La santità di Giuseppe Allamano risplende perché è rimasto profondamente unito a Cristo e ha vissuto sempre fidandosi di Dio; ha desiderato che altri potessero conoscere il Vangelo e innamorarsi della sua parola di vita; ha sperimentato la dolcezza della consolazione di Maria e con Lei ci invia all’incontro della vita e del cuore delle persone vicine e lontane”.
Mons. Alessandro ha spiegato che “il Vangelo continua a compiersi ogni volta che diventiamo anche noi strumenti nelle mani di Cristo; siamo portatori della sua parola e della sua presenza; usciamo da noi stessi per entrare nella vita di coloro che Dio ci mette sul cammino”. Secondo il vescovo, “San Giuseppe Allamano ha saputo far partire gli altri ed essere padre senza sostituirsi o confondersi con i figli e le figlie”.
Per continuare a portare la luce del Vangelo al mondo dobbiamo far tesoro e moltiplicare il suo insegnamento. Il miracolo che la Chiesa ha riconosciuto come segno di santità, la prodigiosa guarigione di Sorino Yanomami, è il miracolo che avviene quando, lasciandoci condurre da Dio, impariamo a prenderci cura degli altri.
In san Giuseppe Allamano la Chiesa di Torino riceve ancora un grandissimo dono: un concreto cammino di santità offerto a tutti e alla portata di ciascuno. Questo dono, per mezzo dei suoi figli e delle sue figlie, raggiunge anche i popoli di ogni parte del mondo.
Il canto finale esprime appropriatamente il momento di festa e l’impegno che scaturisce da questa celebrazione: “la tua luce, oh Consolata, illumini il nostro lungo cammino, vogliamo seguire le tue orme… Regina caeli laetare”. Ai piedi della Consolata, nutriti dalla Parola e dell’eucaristia, anche noi come pellegrini, animati dalla santità di Giuseppe Allamano, ripartiamo alla volta del mondo per mostrare la luce del Vangelo fino agli estremi confini della terra.
Dopo la celebrazione, tutti si sono riuniti nel cortile del Santuario dove hanno potuto vedere una Mostra sulla vita di San Giuseppe Allamano. Poi, organizzati in gruppi linguistici, si sono recati all'Ospiteria del Servizio Missionario Giovani (SERMIG) per pranzo e una visita alle strutture.
* Padre Jaime C. Patias, IMC, Comunicazione Generale.
Gruppo di pellegrini provenienti da Roraima nel Brasile.