Ne parlano padre Michelangelo Piovano, vice Superiore Generale; padre Sandro Faedi, a lungo missionario in Mozambico; padre Gianfranco Graziola, membro della Coordinamento nazionale della pastorale carceraria in Brasile; padre Flavio Pante, missionario in Congo; padre Adolfo De Col, a lungo missionario in Kenya.

Video CAM Cultures And Mission – IMC Torino

Per i Missionari e le Missionarie della Consolata in America, il riconoscimento del miracolo di Sorino Yanomami per intecerssione del Beato Giuseppe Allamano ha un significato molto particolare: è il sigillo, la conferma di un’opzione che assunsero negli ultimi decenni e che caratterizza la missione nel continente: la missione con i popoli indigeni.

Perché questa opzione? Perché si può dire con chiarezza oggi che l’ad gentes in America trova piena espressione in questa scelta apostolica? Per rispondere a queste domande, ripercorriamo a grandi linee la storia del movimento indigenista e il ruolo della Chiesa accanto ai popoli nativi.

Un movimento che dà voce a chi non ha voce

Il movimento indigenista in America Latina sorge attorno agli anni Settanta, quando si formano organizzazioni che agglutinano persone che si riconoscono in un’appartenenza etnica, più o meno direttamente (in Ecuador: la federazione SHUAR è una delle prime, fondata nel 1961, raggruppa popoli amazzonici; CRIC è un’associazione dei popoli andini della Colombia; il movimento katarista nella Bolivia andina e il CIDOB nell’area amazzonica).

Prima d’allora, infatti, se escludiamo il caso dei Mapuche in Cile, che sempre sottolinearono l’elemento etnico, le organizzazioni popolari nei vari paesi latinoamericani si riunivano generalmente come associazioni rurali. Questo cambio di rotta è significativo: oltre al riconoscersi come un gruppo sociale di estrazione popolare, i membri di queste associazioni iniziarono a sottolinerare l’aspetto etnico, cambiando anche la prospettiva dei problemi e delle rivendicazioni.

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Argentina: visita alle famiglie Wichi e Toba. Foto: Archivio MC

Un esempio molto significativo è la rivendicazione della terra, un problema sociale spinoso fino al giorno d’oggi in America Latina: molte persone si vedono private del diritto di possedere terra per coltivare, concentrata nelle mani di pochi latifondisti.  Nel corso della riflessione e della rivendicazione, oltre a parlare di diritto alla terra, si inizia a considerare il territorio, che è un concetto molto più ampio e complesso.

Il territorio non si riferisce solo a un’estensione geografica riservata a un gruppo etnico-sociale, ma contempla diversi punti di riferimento che un determinato spazio contiene: quelli simbolici, significativi per la cosmovisione del popolo e per la religiosità del gruppo (esempio: montagne o altri luoghi considerati sacri, per la presenza di spiriti o degli antenati, i luoghi di culto, tutto ciò che costituisce la “geografia simbolica” o “geografia sacra” di un popolo) come anche quelli produttivi per la vita concreta di lavoro e produzione (foresta, fiumi e laghi per la caccia, la pesca, il raccolto dei frutti, i campi per coltivare).

Il momento storico che stava vivendo gran parte dell’America Latina era molto particolare: il movimento indigenista nasce durante il tempo delle dittature militari di estrema destra, che riducevano la libertà e opprimevano le classi più umili, a favore di un’oligarchia minoritaria. Sappiamo le atrocità commesse in tanti Paesi (i desaparecidos, cioè le persone scomparse, le torture, gli esili...) e i tanti martiri anche tra gli indigeni che furono trucidati per l’opposizione manifestata alla politica repressiva e oligarchica.

Nello stesso periodo inizia la migrazione dalle aree rurali alle città di un consistente numero di famiglie; la conseguente urbanizzazione di masse di contadini per un certo verso facilita l’organizzazione e il reclutamento di membri per le nascenti organizzazioni indigene.

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Brasile: educazione nelle comunità Yanomami. Foto: Archivio MC

L’apporto della Chiesa e di altre istituzioni

Un aiuto grande per l’organizzazione di questi nuovi movimenti fu dato dalle ONG, sempre più presenti e vicine alle realtà locali. Si tratta di istituzioni di diversa posizione politica/ideologica/religiosa: dai “verdi” che iniziano a battersi per la difesa dell’Amazzonia, a ONG di stampo cristiano, passando per una numerosa serie di altre posture ideologiche, inclusi i movimenti di sinistra estrema e moderata. Sono proprio queste organizzazioni internazionali che promuovono la formazione di leader locali a livello universitario che assumono quindi un ruolo da protagonisti nei negoziati tra Stato e movimenti indigeni.

“La lucha ya no debe ser con arcos y flechas, sino con lápiz y papel” (Mateo Chumira, leader guaranì). “la lotta non deve più essere con arco e freccia, ma con lapis e carta”

Negli anni Ottanta, con il graduale ritorno alla democrazia, il movimento indigenista continua le negoziazioni con i nuovi governi, fino ad ottenere importanti risultati, in modo speciale la riforma delle Costituzioni nazionali, in cui vengono inseriti articoli che riconoscono i popoli indigeni e i loro diritti (diritto alla terra, diritto all’istruzione bilingue...).

Il 19 aprile 1989 è stato creato il Coordinamento delle Organizzazioni Indigene dell'Amazzonia Brasiliana (COIAB), un'organizzazione regionale del movimento indigeno che fa parte dell'Articolazione nazionale dei Popoli Indigeni del Brasile (APIB) con 75 organizzazioni membri.

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Manifestazione dei popoli indigeni organizzata dal COIAB a Brasilia. Fonto: Felipe Beltrame

E così la Chiesa cattolica, e in essa i Missionari e Missionarie della Consolata, che stette al fianco dei fratelli e sorelle nativi nella fatica della rivendicazione, poté condividere con loro anche la gioia immensa che diede questo risultato.

In questo breve scorcio della realtà dell’ America Latina negli Anni Settanta/Ottanta/Novanta, possiamo adesso inserire le scelte che i Missionari e le Missionarie della Consolata hanno assunto, focalizzandoci sulla presenza consolatina in Roraima, stato del Nord de Brasile, in piena area amazzonica.

L’opzione dei popoli indigeni dei Missionari e Missionarie della Consolata

Le Missionarie della Consolata arrivarono in Roraima nel 1949, mentre i confratelli erano già arrivati nel 1948. Nei primi decenni le attività principali si svolgevano nel campo della sanità, dell’educazione e dell’assistenza sociale nella città di Boa Vista. Nell’epoca precedente il Concilio Vaticano II, i Missionari e le Missionarie visitavano l’area rurale per la “desobriga”, ovvero: per amministrare i Sacramenti e permettere a tutti i cristiani di confessarsi e fare la comunione almeno una volta all’anno per Pasqua, secondo il precetto della Chiesa.

I Missionari della Consolata arrivano a Catrimani nel 1965. Già negli Anni Settanta le Sorelle raggiungevano l’area Yanomami per assistenza sanitaria; è nel 1990 che le Missionarie si stabiliscono come comunità in Catrimani, condividendo la vita con il popolo Yanomami e lavorando in modo speciale nella sanità e nell’educazione, insieme ai confratelli. La decisione di aprire questa comunità è stata presa come “ringraziamento per la beatificazione di Giuseppe Allamano, il Padre Fondatore”, che proprio quell’anno veniva beatificato.

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Incontro di formazione dei leader indigeni nel 1977 nella Terra Raposa Serra do Sol, Roraima. Foto: Lirio Girardi

La scelta di vivere insieme ai popoli indigeni è stata abbracciata in diverse realtà dell’America Latina: per quanto riguarda le Missionarie della Consolata, nel 1991 in Bolivia aprono la presenza a Poopò con il popolo quechua e a Tencua, con il popolo Yecuana, nell’Amazzonia venezuelana; nel 1992 le Sorelle in Argentina aprono la comunità di Comandancia Frías, con il popolo Wichi, nell’Impenetrabile chaqueño e nel 1994 in Colombia le comunità di Puerto Cayetán e Resguardo Guacoyo.

Dopo 30 anni, una certezza e una conferma

Nel documento Ratio Missionis delle Suore Missionarie della Consolata, si dà questa lettura del cammino compiuto:

“Dagli Anni Novanta del secolo scorso le varie Circoscrizioni del Continente si sono decisamente orientate verso la presenza tra i popoli originari o nativi. L’esperienza e la riflessione hanno mostrato e sempre più confermato che l’ad gentes in America trova la sua espressione in questa opzione apostolica. La Regione America [nata nel 2018, n.d.r.] ha riconfermato la scelta della missione tra i popoli originari come priorità della Circoscrizione.

In un primo tempo, le Missionarie della Consolata hanno affiancato i gruppi nativi nella rivendicazione dei propri diritti, negati dagli Stati nazionali e usurpati dai potenti locali. Con il tempo, si è unito l’impegno per conoscere sempre più profondamente le culture e le spiritualità dei popoli, in un dialogo semplice, quotidiano, che richiede tempi prolungati e relazioni significative con la gente” (Ratio Missionis, 4.8.2).

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Questo piccolo inquadramento storico può dare un’idea di cosa significa per i Missionari e le Missionarie della Consolata in America questo miracolo riconosciuto all’intercessione di Padre Fondatore a favore di un uomo Yanomami, nel 1996, proprio in quegli anni in cui tanti missionari e missionarie davano il meglio di sé, anche a rischio della vita, per i fratelli e le sorelle indigeni dell’America.

È il riconoscimento di un’opzione assunta a favore dei più emarginati delle società latinoamericane, suggellato da un miracolo che porta alla canonizzazione il nostro Fondatore. È la benedizione di un cammino che continua oggi, con l’opzione prioritaria della missione ad gentes con i popoli originari del Continente.

* Suor Stefania Raspo, MC, Consigliera Generale.

Riferimenti bibliografici:

ALBÓ, Xavier, “El retorno del indioin: Revista Andina, Cuzco, Perú, 1991.

CAUREY, Elías, Asamblea del pueblo guaraní. Un breve repaso a su historia. Bolivia, 2015.

MISSIONARIE DELLA CONSOLATA, Ratio Missionis. Visione della missione secondo il Carisma delle Suore Missionarie della Consolata. Nepi, 2023.

Un percorso tematico alla scoperta del Fondatore della famiglia della Consolata: Giuseppe Allamano. La seconda delle parole chiave per comprendere la profondità della sua ispirazione è "missione".

Lo raccontano padre Francesco Bernardi e padre Jacques Kuziala, missionari della Consolata, e suor Raquel del Transito Soria, missionaria della Consolata.

* Una realizzazione di Mediacor con la regia di Luca Olivieri.

 

Si avvicina il momento tanto atteso della canonizzazione del nostro Padre Fondatore, il Beato Giuseppe Allamano. Suor Simona Brambilla, MC, segretario del Dicastero per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, ci propone un messaggio.

“Il motto che è stato scelto per accompagnare questo cammino verso la canonizzazione racchiude molto bene, in sintesi, quello che l’Allamano ha da offrirci: ‘Prima santi e poi missionari’. (…) Questa è una priorità… come un cammino di luce e di unificazione interiore, non per rimanere in noi stessi, ma proprio per uscire in missione”.

* Video realizzato dall'equipe di comunicazione per la Canonizzazione

I missionari e le missionarie della Consolata che hanno scritto articoli pubblicati nella edizione speciale della rivista Dimensión Misionera (n. 349), curata della Regione Colombia, sono stati invitati a incontro via zoom sull'avvicinarsi la data della canonizzazione del Fondatore.

Pubblichiamo il video prodotto che riporta la condivisione molto significativa e avvincente. Infatti si sono toccati aspetti riguardanti la persona, la spiritualità, la missione e il carisma che il Beato Allamano ci ha trasmesso, anche del suo impegno per la comunicazione e su altri ambiti della sua vita. La conversazione ha avuto come focus l'Amazzonia, luogo del miracolo di Sorino Yanomami attribuito alla intercessione di Giuseppe Allamano, riconosciuto e approvato per la sua canonizzazione.

Leggi qui la versione digitale della rivista Dimensión Misionera

* Video realizzato dall’Equipe di comunicazione Regione Colombia.

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