Una rivolta che cresce, tra morti e feriti, con migliaia di persone che protestano contro i brogli elettorali in Mozambico. «In piazza in questi giorni abbiamo visto sia giovani senza futuro né occupazione, ma soprattutto nuove generazioni disorientate, donne e uomini ingannati dalla politica che tanto ha promesso e nulla mantenuto», racconta da Maputo il vescovo ausiliare dell’arcidiocesi della capitale, mons. Osório Citora Afonso, Missionario della Consolata.
Dalle elezioni del 9 ottobre, il Mozambico sta assistendo a una radicalizzazione dei discorsi politici e a una spirale di violenza preoccupante. Infatti, Venancio Mondlane, leader dell’opposizione, ha organizzato diverse proteste a Maputo, contro il governo, a seguito delle controverse elezioni presidenziali dello scorso mese di ottobre.
Mondlane, ex deputato e pastore riformato, aveva inizialmente promesso di guidare una marcia per contestare la vittoria del candidato del partito al governo, Daniel Chapo, che ha ottenuto il 71% dei voti secondo i risultati ufficiali.
Intanto le manifestazioni dei giorni scorsi hanno provocato almeno 24 morti e spinto le autorità a limitare l’accesso a internet. L’Onu e diversi ambasciatori hanno esortato alla calma, mentre il Sudafrica ha chiuso il principale confine terrestre e sconsigliato viaggi in Mozambico.
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Sul tema si sono espressi anche i vescovi cattolici del Mozambico hanno definito le elezioni del 9 ottobre come “fraudolente” e “manipolate” e hanno esortato le autorità a non “certificare una bugia”. Il presidente della conferenza episcopale, l’arcivescovo Inacio Saure, ha lamentato gravi irregolarità, come brogli elettorali e falsificazioni nei risultati, denunciando anche l’assassinio di due leader dell’opposizione prima del voto.
I quattro principali candidati alle elezioni mozambicane del 9 ottobre. Foto: CNE
I vescovi hanno avvertito del rischio di un ritorno alla violenza, invocando pace e giustizia per il Mozambico. Sullo sfondo delle tensioni politiche, la provincia settentrionale di Cabo Delgado continua a soffrire per l’insurrezione islamista, attiva dal 2017, che ha causato oltre un milione di sfollati e migliaia di vittime.
Human Rights Watch ha denunciato la polizia che avrebbe sparato con proiettili veri e di gomma per disperdere la folla, causando numerosi feriti, compresi bambini colpiti da gas lacrimogeni nelle proprie abitazioni. A Chimoio e Gondola, nella provincia di Manica, e a Nampula, diverse persone sono morte per ferite da arma da fuoco, mentre a Maputo le forze di sicurezza hanno lanciato gas lacrimogeni indiscriminatamente nelle case vicine alle proteste. Human Rights Watch ha chiesto un’indagine imparziale sugli episodi di violenza e ha esortato le autorità a garantire il rispetto dei diritti alla libertà di espressione e di assemblea previsti dalla Costituzione.
Gran parte dei mozambicani ha avuto esperienza diretta o indiretta della guerra civile, durata 16 anni fino al 1992. Per questo in molti, a partire dai vescovi e dai preti delle parrocchie del Paese si stanno dimostrando particolarmente apprensivi davanti alla crescente radicalizzazione dei discorsi, senza che all’orizzonte sia visibile una soluzione politica.
Mons. Osório Citora Afonso durante messa nella chiesa di San Giuseppe Allamano a Torino, Italia. Foto: Jaime C. Patias
Eppure è proprio dalla Chiesa locale che molto prima della tornata elettorale, era portato un progetto di sensibilizzazione e informazione delle persone, come racconta mons. Osório Citora Afonso, IMC, nato a Ribaue in Mozambico:
«La comunità cristiana è stata preparata attraverso una nota pastorale dei vescovi della Conferenza Episcopale del Mozambico, del 22 di aprile scorso, in occasione della realizzazione censimento elettorale e anche dell'elezione generale del 9 ottobre. Con questa nota pastorale, firmata dall’Arcivescovo di Nampula e presidente della conferenza episcopale, (CEM), il Missionario della Consolata, mons. Inacio Saure, abbiamo preparato i cristiani ad arrivare a quel momento così importante della vita del popolo mozambicano, consapevoli della loro responsabilità. Per questo motivo avevamo preso la frase biblica del Salmo 106, 3 “Beati coloro che osservano ciò ch'è prescritto, che fanno ciò ch'è giusto, in ogni tempo”. In questa nota, il primo aspetto che, come vescovi, abbiamo sottolineato è quello del camminare insieme, la sinodalità: “Insieme per una nazione più fraterna e democratica».
All'approssimarsi dell'elezione generale, «ci siamo detti», continua il vescovo ausiliare dell’arcidiocesi di Maputo «vogliamo offrire ai fedeli una riflessione che nasce dalle varie lezioni imparate dalle ultime elezioni in Mozambico. E allora abbiamo sottolineato quanto fosse importate camminare insieme per costruire una nazione più fraterna e più democratica. Abbiamo fatto un Appello a tutti coloro che sono coinvolti nel processo elettorale: agli organi elettorali, i partiti politici, i candidati, le organizzazioni della società civile, gli osservatori elettorali, i media e tutti i, i partiti politici, i candidati, le organizzazioni della società civile, gli osservatori elettorali, i media e tutti i mozambicani».
Le manifestazioni in Mozambico hanno provocato almeno 24 morti e spinto le autorità a limitare l’accesso a internet.
Questo documento è stato inviato i cristiani e a tutte le parrocchie nell'aprile di quest’anno, così che avessero diversi mesi per arrivare pronti alle elezioni di ottobre. Purtroppo, però non ha arginato le violente proteste per presunti brogli elettorali. «In questi giorni abbiamo visto in piazza e per le strade abbiamo visto dei mozambicani affamati della giustizia elettorale. Hanno difeso la verità delle urne elettorali che, secondo loro, non erano trasparenti e che c'erano molte frodi. Sono delle generazioni disorientate, donne e uomini che si sentono ingannati dai politici che tanto hanno promesso e nulla mantenuto. Questo li ha portati nelle strade di Maputo, ma anche di grandi città come Beira e Nampula. Queste persone vogliono il cambiamento. La società ha bisogno di un cambiamento, un’alternativa governativa ed un nuovo modello di governo. Dopo 50 anni con lo stesso partito nel potere hanno bisogno di un altro modo di fare governare che risponde alle ansietà dei giovani e che cerca il bene comune, dove i giovani hanno un luogo e un valore nella gestione della nazione», commenta mons. Osório Afonso.
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Che conclude:«Davanti alle atrocità che si vedevano nel dopo elezione, noi i vescovi abbiamo fatto una seconda nota, del 22 ottobre scorso, dove affermavamo: “Chiediamo il rispetto del diritto alla manifestazione politica, ma avvertiamo anche i giovani di non lasciarsi strumentalizzare e trascinare in azioni di vandalismo e destabilizzazione”.
Inoltre, si leggeva che “noi, i vescovi cattolici del Mozambico, chiediamo a tutti coloro che sono direttamente coinvolti in questo processo elettorale e nel conflitto generato di fare l'esercizio del riconoscimento della colpa e del perdono e del coraggio della verità. Il Mozambico non deve tornare alla violenza”, hanno insistito.
Questo messaggio è stato ripetuto da mons. Joao Carlos, Arcivescovo di Maputo e vice-presidente della Conferenza episcopale, la sera del 6 novembre quando si aspettava la giornata del 7 in cui si era programmato una grandissima manifestazione nella capitale: “Evitiamo spargimenti di sangue e violenze. Viviamo questa situazione nei vespri del giubileo dell’Anno Santo che ha come tema: “pellegrini di speranza”. Invitiamo a tutti noi ad essere i pellegrini di speranza in questo Mozambico».
* Originalmente pubblicato in: www.famigliacristiana.it
“Mi ricordo di Dio e gemo, medito e viene meno il mio spirito (...), sono turbato e senza parole”. “Questa preghiera del Salmo 76 è il mio sentimento oggi per quello che sta accadendo in Mozambico dopo le elezioni del 9 ottobre”, ha dichiarato mons. Inácio Saure, IMC, arcivescovo di Nampula, durante la messa celebrata presso la Casa Generalizia IMC a Roma, questo mercoledì 30 ottobre.
Secondo mons. Inácio, presidente della Conferenza Episcopale Mozambicana (CEM), “tutti dicono che il candidato del partito di opposizione Podemos, Venâncio Mondlane, ha vinto le elezioni”. Tuttavia, la Commissione Elettorale nazionale (CNE), presieduta dal vescovo anglicano Carlos Matsinhe, ha annunciato la vittoria di Daniel Chapo, sostenuto dalla Frelimo, il partito al potere dall'indipendenza nel 1975, che, secondo l'organismo, ha ottenuto il 70% dei voti. Al secondo posto è il candidato di Podemos con il 20%, un risultato contestato dal partito che rivendica la vittoria di Venâncio Mondlane con il 53% dei voti. Anche il Movimento Democratico del Mozambico (MDM) e la Resistenza Nazionale Mozambicana (Renamo), ora terzo partito, hanno ritenuto che questi risultati fossero falsificati e li hanno contestati.
I quattro principali candidati alle elezioni mozambicane del 9 ottobre. Foto: CNE
La situazione di stallo ha scatenato un'ondata di manifestazione nelle principali città, con una violenta repressione che ha portato alla morte di almeno 11 persone negli ultimi giorni. Più di 450 persone sono state arrestate, la maggior parte a Maputo, tra cui, secondo il Centro per la democrazia e i diritti umani, minori e persone vulnerabili, alcune senza alcun legame con le manifestazioni.
A Roma, il vescovo Inácio Saure ha partecipato alla Seconda Assemblea del Sinodo sulla sinodalità e alla canonizzazione di San Giuseppe Allamano. In Mozambico “la situazione è grave - ha detto il vescovo - tra il 1° e il 7 novembre Vanâncio Mondlane ha proclamato uno sciopero generale nel paese e temiamo che questo porti ad altre violenze e morti. I politici dicono di voler fare del bene, ma quale bene?”, domandò il vescovo.
“Il nostro Santo Fondatore dice che ‘il bene deve essere fatto bene’. Quindi, chi vuole fare il bene deve farlo bene. Sembra che il partito al potere abbia perso il controllo della situazione. Per questo chiedo di pregare per la pace in Mozambico”. Per mons. Inácio, “l'esperienza del Sinodo è stata una grande grazia, non solo come momento di ascolto, ma anche di formazione alla pratica della sinodalità. Che il messaggio del Sinodo ci aiuti a camminare come Chiesa sinodale”, augura il vescovo prima di rientrare nel suo Paese.
Messa nella Casa Generalizia presieduta da mons. Inácio Saure
Preoccupata per la situazione di violenza, il 22 ottobre la Conferenza episcopale del Mozambico (CEM) ha rilasciato una dichiarazione, firmata da mons. Inácio Saure, in cui afferma: “Condanniamo il barbaro assassinio di due personalità politiche, che ricorda chiaramente altri omicidi di personalità politiche o della società civile, anche legate ai partiti di opposizione, avvenuti all'indomani di precedenti elezioni, con analoghe modalità”. Elvino Dias, avvocato di Venâncio Mondlane, e Paulo Guambe, due oppositori politici, sono stati uccisi la notte del 18 ottobre in un agguato nel centro della capitale, Maputo.
Nel contesto delle elezioni generali, i vescovi affermano che “la Chiesa cattolica, come istituzione, non sostiene candidati e non ha partiti. Ma questo non significa che rinunci al suo impegno politico e sociale, un percorso concreto verso la costruzione di una società più democratica, inclusiva, giusta e fraterna, in cui tutti possano vivere in pace, con dignità e un futuro. Per questo, come voce della Chiesa cattolica, noi Vescovi non possiamo non denunciare questa grave situazione che il paese sta vivendo e la violenza che genera, gettando tutti nel caos”.
Un altro punto evidenziato nel comunicato è l'affluenza alle urne, dove “più della metà dei Mozambicani registrati non si è presentata per esercitare il proprio diritto di voto”. Ciò indica “che la loro volontà, espressa alle urne, non viene rispettata, rendendo inutile l'esercizio di questo importante diritto civico”.
Mons. Inacio Saure durante conferenza stampa il 09 ottobre 2024, giorno delle elezioni in Mozambico, nella Sala Stampa della Santa Sede a Roma
La nota della CEM denuncia “frodi grossolane” come “il riempimento delle urne, la falsificazione di avvisi e tanti altri modi per coprire la verità”, che portano i funzionari eletti a perdere la loro legittimità. “Queste irregolarità praticate impunemente - denunciano i vescovi - hanno rafforzato la mancanza di fiducia negli organi elettorali, nei leader che abdicano la loro dignità e disprezzano la verità e il senso di servizio che dovrebbe guidare coloro ai quali il popolo affida il proprio voto”. “Certificare una menzogna è una frode”.
Il comunicato chiede “il rispetto del diritto a manifestare pacificamente, ma avvertiamo anche i giovani, (la più grande ricchezza nazionale), di non lasciarsi strumentalizzare e trascinare in azioni di vandalismo e destabilizzazione”, situazione che i vescovi avevano già rilevato nella nota pastorale del 16 aprile 2021.
Il messaggio è un forte appello a fermare “la violenza, i crimini politici e la mancanza di rispetto per la democrazia. Abbiano il coraggio di dialogare e di ristabilire la verità dei fatti”.
In conclusione, i vescovi chiedono a coloro che sono coinvolti in questo processo elettorale e nel conflitto che ha generato di “fare del riconoscimento delle colpe, del perdono e del coraggio della verità il cammino che permetterà il ritorno alla situazione normale”.
“Il Mozambico non deve tornare alla violenza! Il nostro Paese merita verità, pace, tranquillità e tolleranza!”
* Padre Jaime C. Patias, IMC, Comunicazione Generale a Roma.
“Speriamo che le elezioni siano libere ed eque e soprattutto pacifiche” dice all’Agenzia Fides, mons. Inacio Saure, arcivescovo di Nampula, Presidente della Conferenza Episcopale del Mozambico.
Oggi, 9 ottobre, nel Paese dell’Africa australe si tengono le elezioni generali per eleggere il Presidente e il Parlamento. Non si attendono forti sorprese; il Frelimo (Fronte di Liberazione Nazionale) al potere dall’indipendenza nel 1975 dovrebbe conservarlo anche questa volta.
Il Mozambico uscito nel 1992 dalla guerra civile scoppiata nel 1975 si trova da alcuni anni confrontato dalla guerriglia jihadista nella provincia di Cabo Delgago, la più settentrionale del Paese.
Spero innanzitutto che le elezioni siano libere ed eque e soprattutto pacifiche. La preparazione del voto è stata segnata da alcune difficoltà. Sappiamo che vi sono stati dei ritardi e delle problematicità nelle iscrizioni alle liste elettorali, dovuti a questione burocratiche ma forse anche ad altri problemi di carattere politico. Diciamo che non vi era interesse che certe persone si iscrivessero alle liste elettorali. C’è pure una certa stanchezza e delusione da parte degli elettori perché le prime elezioni libere si sono tenute nel 1994, 30 anni fa, e da allora il voto è stato seguito da polemiche e contestazioni.
Noi diciamo sono i jihadisti, ma non credo che siano loro l’unica motivazione di questa guerra. Ci sono le risorse dell’area; il gas in primo luogo, ma non solo: vi sono miniere di minerali strategici come ad esempio la grafite, a Balama, che sono fondamentali per le nuove tecnologie e la transizione energetica. Per questo non sappiamo davvero quale sia la vera causa principale di questa guerra. È soltanto religiosa? Non mi sembra. Dall’altronde il conflitto è esploso più o meno in coincidenza dell’avvio dello sfruttamento del gas naturale.
Conferenza stampa nella Sala Stampa della Santa Sede a Roma, martedì 9 ottobre
Dopo Cabo Delgado, il capoluogo della provincia dove è in atto la guerra, Nampula è la provincia che ha accolto la maggior parte dei rifugiati in fuga dalle violenze. È una sfida perché quella di Nampula è la provincia più popolata del Paese e l’aggiungersi all’improvviso di altre migliaia di persone ha posto dei problemi alle strutture dell’area. Al principio, quando sono iniziati ad arrivare i primi profughi, sono intervenute diverse organizzazioni internazionali per aiutarci. Ma poi gli aiuti si sono fortemente ridotti. Si sono dimenticati di noi e dei più di 6.000 rifugiati ancora accolti a Nampula. All’inizio era fino a 8.000 ma alcuni sono tornati a Cabo Delgado, dove gli sfollati dai villaggi colpiti dall’insicurezza sono ancora tantissimi.
Come Chiesa siamo impegnati al massimo attraverso le nostre Caritas diocesane e nazionale, ad aiutare queste persone. Il problema è che non abbiamo risorse sufficienti tanto più che gli aiuti internazionali sono quasi scomparsi.
Gran parte del Mozambico vive in pace ma c’è il timore che l’instabilità nel nord possa estendersi al resto del Paese alimentata dalla forte povertà, specie dei giovani disoccupati, in particolare nelle città.
Sì soprattutto tra i giovani. Tanti giovani dalla campagne si sono trasferiti nelle città ma non hanno trovato un lavoro. Si tratta tra l’altro di una grande sfida sul piano pastorale. L’ideale sarebbe creare possibilità di formazione professionale per queste persone. La Chiesa da sola non ha mezzi per fare questo. Nella nostra precedente Visita ad Limina, Papa Francesco ci aveva raccomandato di non dimenticare mai i nostri giovani, fornendo loro luoghi di formazione. Nella visita di quest’anno ho fatto presente al Santo Padre le difficoltà che incontriamo nell’aiutare i giovani alla formazione professionale perché come Chiesa mozambicana non abbiamo i mezzi per farlo. Cerchiamo di fare il possibile ma veramente i mezzi sono molto limitati.
Dall’altro canto le scuole cattoliche sono molto apprezzate per la qualità del loro insegnamento. Lo Stato però ha alzato le imposte sulle nostre scuole equiparandole a delle imprese private e che questo ci ha messo in difficoltà.
È una Chiesa vivace. Abbiamo tante vocazioni, i seminari sono pieni. È veramente una grazia. I giovani frequentano la Chiesa in massa. La maggior parte del clero è mozambicana. Abbiamo anche alcuni sacerdoti che vanno a fare il missionario in altri Paesi africani.
Inoltre, il ruolo dei laici è molto importante perché nel 1977 l’assemblea pastorale nazionale aveva deciso di impostare una Chiesa ministeriale ovvero di ministri laici. I catechisti rivestono un ruolo fondamentale soprattutto nei villaggi dove non c’è una presenza fissa di un sacerdote.
Originalmente pubblicato in: Agenzia Fides
Nel paese latinoamericano, tra repressione e commedia
La trasmissione si chiama Con Maduro+ e viene trasmessa tutti i lunedì alle cinque del pomeriggio. Il conduttore è lo stesso Nicolás Maduro, il controverso presidente del Venezuela.
Nella puntata dello scorso 2 settembre Maduro ha fatto un annuncio importante (ma non sorprendente per il personaggio): l’anticipo del Natale 2024 al primo di ottobre. Non è la prima volta che Maduro gioca la carta dell’anticipo delle festività del Natale. Lo aveva fatto anche nel 2020 anticipandole al 15 ottobre e nel 2021, al 4 ottobre.
La mossa ha una doppia valenza: politica (ingraziarsi la popolazione) ed economica (dare una scossa al sistema). Nelle settimane che precedono il Natale, il governo venezuelano è, infatti, solito aumentare aiuti e bonus, ai dipendenti statali attraverso il cosiddetto «aguinaldo» (una sorta di tredicesima), ai più poveri tramite le «cajas Clap», le scatole di alimenti essenziali.
L’annuncio sul Natale è stato dato poche ore dopo un altro, quello del mandato di cattura per Edmundo González Urrutia, il candidato dell’opposizione nelle elezioni dello scorso 28 luglio.
Secondo il Consiglio elettorale nazionale (Cne), le elezioni sarebbero state vinte da Maduro, mentre secondo l’opposizione e gran parte della comunità internazionale il vincitore (con ben il 67 per cento dei voti) è Edmundo González. Questi, lo scorso 7 settembre, ha lasciato il Paese latinoamericano e chiesto asilo politico in Spagna.
«Particolarmente preoccupante – ha scritto in uno dei suoi messaggi la Conferenza episcopale venezuelana (Cev) – è la persecuzione a cui sono sottoposti i rappresentanti dei seggi elettorali, comunicatori sociali, il candidato più votato e leader dell’opposizione, in palese contraddizione con i principi di pluralismo politico e di indipendenza dei poteri pubblici garantiti dalla Costituzione e dalle leggi della Repubblica».
Nelle settimane successive alle elezioni il governo ha represso con forza le proteste mettendo in carcere almeno duemila persone, tra cui anche molti minori. Le aspettative sono diventate più cupe con la nomina, lo scorso 27 agosto, di Diosdado Cabello Rondón, politico potente e temuto, a ministro dell’Interno (della Giustizia e della Pace, secondo la denominazione completa).
Il suo operato è iniziato con la scoperta di un presunto complotto straniero per assassinare Maduro e rovesciare il regime. L’operazione ha comportato l’arresto – lo scorso 14 settembre – di sei persone: tre statunitensi, due spagnoli e un ceco. Il ministro venezuelano ha accusato i servizi segreti degli Stati Uniti (la Cia) e della Spagna (il Cni).
È in questo clima avvelenato che Maduro ha anticipato il Natale: «È arrivato per tutti e tutte con pace, felicità e sicurezza», ha detto il presidente. I suoi (tanti) oppositori hanno risposto con amara ironia: «Por una Navidad sin Maduro». Al momento, un Natale senza Maduro sembra, però, nulla più che una mera speranza.
* Paolo Moiola è giornalista, rivista Missioni Consolata. Pubblicato originalmente in: www.rivistamissioniconsolata.it
Il Consiglio elettorale nazionale (Cne), organo presieduto da un alleato del presidente del Paese, ha riferito che Nicolás Maduro ha vinto le elezioni tenutesi domenica, 28 luglio, ed è stato rieletto con il 51,2 per cento dei voti, contro il 44 per cento del suo avversario, Edmundo González. L'opposizione, tuttavia, contesta i risultati, denuncia i brogli e sostiene che González ha vinto con il 70 per cento.
I Paesi latinoamericani annunciano una riunione di emergenza dell'OSA (Organizzazione degli Stati Americani), mentre Stati Uniti e UE chiedono i tabulati dei voti per il sospetto che i voti non rispecchino la vera volontà del popolo venezuelano. Il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha chiesto un incontro con il Presidente Luiz Inácio Lula da Silva per discutere sull’elezioni in Venezuela.
Una vittoria e una rielezione contestate, quelle di Nicolás Maduro, al terzo mandato consecutivo della presidenza del Venezuela, secondo i dati comunicati dal Consiglio elettorale nazionale (Cne), ha ottenuto il 51,2 % dei voti. Immediata la reazione dell’opposizione, che confidava di porre fine a 25 anni di governo chavista, e che ha denunciato irregolarità e intimidazioni. La leader dell’opposizione, María Corina Machado, interdetta a ricoprire incarichi pubblici e politici per i prossimi 15 anni, afferma che il proprio candidato, Edmundo González Urrutia, accreditato ufficialmente al 44,02 per cento, ha in realtà ottenuto il 70 per cento delle preferenze.
Lunedì, 29 luglio, i manifestanti anti-Maduro sono scesi in piazza per protestare contro i risultati delle elezioni. Decine di persone sono state arrestate nelle ultime ore per aver partecipato ad azioni "criminali" e "terroristiche" in Venezuela, ha dichiarato il presidente Nicolas Maduro, che ha attribuito la responsabilità di questi eventi al maggior partito di opposizione.
Per questo, Maduro ha annunciato la sospensione temporanea dei voli commerciali tra il Venezuela e Panama e la Repubblica Dominicana a partire dalla serata di mercoledì. Lo rende noto l'Istituto nazionale venezuelano di aeronautica civile, indicando che la decisione è stata presa contro "l'ingerenza di questi Paesi nella sovranità venezuelana".
Sempre nella giornata di lunedì 29 luglio, il governo di Nicolás Maduro ha espulso l'intero corpo diplomatico di sette Paesi: Argentina, Cile, Costa Rica, Perù, Panama, Repubblica Dominicana e Uruguay.
La lettera di espulsione è stata pubblicata dal ministro degli Esteri venezuelano, Yván Gil Pinto. Egli afferma che il Paese “rifiuta le azioni e le dichiarazioni di un gruppo di governi di destra, subordinati a Washington e apertamente impegnati nelle sordide ideologie del fascismo internazionale” e che questo gruppo vuole ignorare il risultato delle elezioni tenutesi domenica, 28 luglio.
Finora, tra i paesi che hanno contestato i risultati elettorali ci sono Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Spagna, Italia, Ecuador, Perù, Colombia, Guatemala e Portogallo.
Invece, tra i Paesi che si sono congratulati con Nicolás Maduro per il risultato elettorale figurano Russia, Cina, Iran, Honduras, Bolivia, Qatar, Cuba e Nicaragua.
Considerato un attore chiave nel processo di monitoraggio delle elezioni, il Brasile farà una dichiarazione ufficiale in una nota congiunta con Messico e Colombia. Il governo brasiliano ha difeso la divulgazione dei dati suddivisi per seggio elettorale come “un passo indispensabile per la trasparenza, la credibilità e la legittimità dei risultati elettorali”. Se i verbali elettorali non saranno resi noti, il governo brasiliano si troverà di fronte a un “impasse” per decidere se riconoscere o meno l'elezione di Maduro.
L'opposizione ha accusato l'ente elettorale nazionale di aver nascosto i verbali per truccare i risultati delle elezioni. Il gruppo di opposizione, che si è riunito intorno alla candidatura di Edmundo González, ha sostenuto che gli exit poll hanno mostrato che González ha battuto Maduro in maniera netta.
Richieste di trasparenza sui risultati elettorali sono pervenute anche da molti altri leader di Paesi latinoamericani, dal Cile all’Argentina al Costa Rica, con il Perú che ha richiamato il proprio ambasciatore da Caracas. Nove i Paesi del centro e sud America che, in una dichiarazione congiunta, hanno espresso la loro profonda preoccupazione per lo svolgimento delle elezioni presidenziali in Venezuela, e chiesto una revisione completa dei risultati elettorali nonché una riunione urgente dell'Organizzazione degli Stati Americani.
“Serie preoccupazioni” che il risultato annunciato non rifletta la volontà del popolo venezuelano sono state manifestate anche per gli Stati Uniti, nelle parole del segretario di Stato, Antony Blinken e del portavoce della sicurezza nazionale americana John Kirby, che ha chiesto al governo di Caracas di diffondere i tabulati delle elezioni. Un aspetto messo in risalto anche dall’Alto rappresentante dell’Unione europea per la politica estera, Josep Borrell, che sui propri canali social ha chiesto che venga assicurata “piena trasparenza” sull’esito del voto: “Il conteggio dettagliato dei voti" e "l’accesso" ai registri elettorali dei seggi sono "di vitale importanza”, ha evidenziato.
“Questo 28 luglio è stato caratterizzato dalla partecipazione massiccia, attiva e civica di tutti i venezuelani al processo elettorale. In questo modo abbiamo ratificato la nostra vocazione democratica.
Come pastori del Popolo di Dio, stiamo seguendo con attenzione lo sviluppo degli ultimi eventi e vogliamo esprimere a tutti la nostra vicinanza e la nostra disponibilità a fornire un accompagnamento pastorale in questi momenti di preoccupazione. Restiamo saldi nella speranza.
Le nostre riflessioni e le nostre giuste richieste devono essere fatte con gli atteggiamenti pacifici di rispetto e tolleranza che hanno prevalso finora. Uniamo la nostra voce a quella di tutti coloro che, all'interno e all'esterno del Venezuela, chiedono un processo di verifica dei registri di voto, a cui partecipino attivamente e pienamente tutti gli attori politici coinvolti”, dichiarano i vescovi.
L'Organizzazione degli Stati americani (OSA) ha dichiarato martedì (30) di non riconoscere il risultato delle elezioni presidenziali annunciato dalla giustizia elettorale venezuelana, che indica la vittoria del presidente del Paese, Nicolás Maduro. In un rapporto redatto dagli osservatori che hanno monitorato le elezioni, l'OSA afferma che ci sono prove che il governo di Maduro ha falsato il risultato.
I sospetti di brogli circondano ancora una volta le elezioni venezuelane, come nel 2018. L'organizzazione di queste elezioni presidenziali è stata concordata segretamente tra gli Stati Uniti e il chavismo in Qatar come un modo per riportare il Paese alla normalità democratica. In cambio della revoca delle sanzioni da parte di Washington e del rilascio di alcuni prigionieri, Maduro si è impegnato a organizzare elezioni libere e competitive alle quali l'opposizione avrebbe potuto partecipare in condizioni di parità.
* Segretariato per la Comunicazione IMC con informazioni dei media internazionali.