Lc 2,15-20
Dopo la narrazione di come avvenne la nascita di Gesù a Betlemme e come tale nascita fu annunciata ai poveri pastori che vegliavano sulle loro greggi (Lc 2,1-14), la pagina del Vangelo che ci è proposta nella messa dell’Aurora, fa seguito alla narrazione della nascita, raccontando, con gran movimento, come i pastori reagiscono alla notizia.
Nel tempo in cui nacque Gesù, pur essendo i pastori dei disgraziati, la feccia della società, degli emarginati, essi (però) diventano i primi destinatari privilegiati dell’evento della nascita del Salvatore del mondo e furono, nel contempo, i protagonisti, i primi a rendere omaggio al Salvatore. Le caratteristiche dei pastori e di tutti coloro che vogliono vedere il bambino Gesù sono l’umiltà e la curiosità ed avere Dio come massima priorità.
Da persone umili, semplici curiose, essi si mettono in movimento per andare e per tornare: andare per vedere e tornare “glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto”. Sottolineiamo dunque alcune delle reazioni dei pastori.
La prima è quella di aver bisogno di vedere perciò i pastori vanno a vedere per verificare l’accaduto: “andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere”. Andare per vedere: i pastori non rimangono nel torpore e nell’indifferenza della vita quotidiana davanti al grande annuncio ma sentono il bisogno di mettersi in cammino per il luogo dove è avvenuta la nascita del Salvatore. Nulla impedisce loro di mettersi in cammino: né la notte, né la paura dell’ignoto: essi vanno senza indugio.
La seconda reazione è “mettersi in cammino”. Non si tratta di un semplice aver bisogno di andare, un mero desiderio ma questo desiderio deve diventare realtà. Essi, lasciando il gregge, si mettono subito in cammino. L’evangelista sottolinea che essi sono andati subito senza indugio cioè un andare senza troppi calcoli, dando tutto per scontato o per abitudine, muri alzati, amarezze, egoismi, rancori, pettegolezzi. Si liberano di tutti questi ostacoli per passare dal desiderio all’esecuzione. Compiono questo gesto perché la notizia della nascita del bambino Gesù ha la massima priorità.
In una società come la nostra dove “nell’elenco delle priorità Dio si trova all’ultimo posto”, come l’aveva detto Papa Benedetto XVI, occorre smuoversi e seguire l’esempio dei pastori che mettono al primo posto Dio e la salvezza che ne deriva. Il nostro mondo può mettersi in cammino senza indugio solo se è capace di cambiare l’ordine dei valori, eliminando tutte le cose che sembrano urgentissime e quindi occupano il primo posto. Invece, bisogna vedere l’importanza di Dio e lasciarsi innamorare di lui.
Solo se ci smuoviamo avremo la possibilità di trovare Maria, Giuseppe e il Bambino, come fecero i pastori. Avendolo trovato possono testimoniare ciò che del Bambino è stato detto loro. Loro non parlano di se stessi, dei loro sentimenti, di quello che sanno ma parlano di Dio, danno testimonianza.
La terza reazione dei pastori è quella di glorificare e lodare Dio. Infatti, essi “se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro”. Mentre davanti a Maria e Giuseppe i pastori testimoniano tutto ciò che avevano udito, ritornando glorificano e lodano Dio.
Il discepolo missionario è colui che si muove davanti alla novità della nascita come fecero i pastori. Infatti, come ha sottolineato il Santo Padre, essi si muovono: “Non stanno fermi come chi si sente arrivato e non ha bisogno di nulla, ma vanno, lasciano il gregge incustodito, rischiano per Dio. E dopo aver visto Gesù, pur non essendo esperti nel parlare, vanno ad annunciarlo, tanto che «tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori» (v. 18)”.
“Mettiamoci in cammino senza paura.
Il Natale di quest’anno ci farà trovare Gesù e, con Lui,
il bandolo della nostra esistenza redenta,
la festa di vivere, il gusto dell’ essenziale….
Allora finalmente non solo il cielo dei nostri presepi,
sarà libero di smog, privo di segni di morte
e illuminato di stelle.
E dal nostro cuore, non più pietrificato dalle delusioni,
strariperà la speranza” (Don Tonino Bello).
Buon Santo Natale
* Mons. Osório Citora Afonso, IMC, è vescovo ausiliare dell’Archidiocesi di Maputo e segretario della Conferenza Episcopale del Mozambico (CEM).
Mi 5, 1-4; Sal 79; Eb 10, 5-10; Lc 1, 39-48
Le letture di questa domenica ci permettono di contemplare segni piccoli e semplici, persone e realtà umili attraverso le quali, Dio compie le sue grandi opere di salvezza. A Betlemme, un piccolo ed insignificante paese, secondo il profeta Michea, sarebbe nato il Messia, da Maria, che riconoscendo la sua piccolezza, si mette, in fretta, al servizio di Elisabetta e Zaccaria. Betlemme e Maria sono modelli dell’umiltà e disponibilità dell’accoglienza: in questo caso del Messia.
La prima Lettura non solo sottolinea la piccolezza e l'insignificanza di Betlemme, ma anche e soprattutto, viene messo in risalto che Dio, da questa piccolezza, farà nascere il Salvatore, colui che sarà grande fino agli estremi confini della terra e che sarà Egli stesso la pace. Betlemme, “casa del pane”, non è solo il villaggio più piccolo fra i villaggi di Giuda ma anche uno degli ultimi. Infatti, l'autore pone l'attenzione su Betlemme che egli riconosce tanto piccolo, di ben poca importanza, pur essendo tra i capoluoghi di Giuda. Ma da questa piccola realtà nascerà colui che porterà la speranza e la pace, colui che pascerà con la forza del Signore, colui che darà sicurezza e pace al popolo, “sarà grande fino agli estremi confini della terra” (v. 3). Da un popolo umiliato a causa della dominazione straniera, nascerà il dominatore di tutta Israele e sarà Lui che si leverà e pascerà con la forza dell’Altissimo.
È un messaggio di speranza non solo per il piccolo resto d'Israele ma anche per tutti fino agli estremi confini della terra. È allo stesso tempo un messaggio di pace poiché da questa piccola realtà nascerà quello che viene chiamato la pace per l’umanità. Dall'umiltà, dalla piccolezza nasce la vera speranza e pace. È quest’umiltà e questa piccolezza – Betlemme - che accoglie la speranza e la pace di tutto un popolo. Dalla nostra piccolezza Dio può far nascere la pace e la speranza. Mettiamoci alla sua disposizione.
Subito dopo l'annunciazione, Maria si alza e si mette in viaggio “in fretta”, con zelo e slancio, senza frapporre indugi, per recarsi presso una sua parente che abita nella regione montuosa. Maria, giovane ed umile vergine, quella che non conosce uomo, alla quale l'angelo ha rivelato un grande progetto, va a visitare la sua parente molto più vecchia di lei. La strada verso la regione montuosa che Maria percorre corrisponde a tre, quattro giornate di cammino. Questa umile e insignificante ragazza agli occhi degli uomini ma che per Dio è “piena di grazia” quella che per eccellenza è oggetto dell'amore e della grazia di Dio. È lei che si dichiarerà “l’umile serva del Signore” annoverandosi dunque tra i piccoli, i poveri e si proclama lei stessa “umile”. Perché questa giovane ragazza si mette in viaggio per andare da Elisabetta se non è stata da lei chiamata?
È vero che Maria, non poteva tenere dentro di sé e con sé, la bella notizia che aveva appena ricevuto, di essere la madre del Salvatore e dunque aveva il desiderio di con-dividere. Avrebbe potuto con-dividere con i suoi genitori oppure con le persone che le erano accanto senza avere bisogno di andare nella regione montuosa e fare tre o quattro giornate di cammino, ma l'angelo le aveva anche comunicato che la sua parente Elisabetta, sterile, era al sesto mese di gravidanza, grazie all'azione dello Spirito di Dio. Maria avendo capito che la situazione di Elisabetta comportava una fatica e un impegno più grandi del normale va da lei ad aiutarla.
Maria è dunque mossa dal desiderio di fare un gesto di carità, di generosità e di amore, non vede se stessa, ma pensa all’altra persona, al suo bisogno mettendosi a sua disposizione. Avrebbe potuto pensare, sono incinta e voglio avere tutti i riguardi, invece ha pensato alla sua parente, in età avanzata, che avrebbe avuto sicuramente più bisogno. Non pensa a se stessa, al compito che le è stato affidato. Questa è la volontà del Padre: è necessario vivere e manifestare l'amore reciproco. “Per portare la vita non serve essere donne…. In questo vangelo Maria è feconda e genera azione solo con un saluto… ognuno di noi con piccoli gesti può essere generativo. Le due donne hanno età diverse, ma quello che le unisce è la generatività”.
La carità e la generosità di Maria divengono una grazia per tutti, non solo per Elisabetta ma anche per Giovanni. Grazie alla carità premurosa di Maria, Giovanni sussulta nel grembo di sua Madre la quale è colmata dello Spirito Santo. Maria è Madre del Messia, nel suo grembo porta il Santo, colui che è fonte di ogni benedizione e sorgente di gioia messianica. Questa benedizione e gioia sono propagate da Maria.
Il discepolo missionario si prepara, come Maria, a vivere un Natale estroverso, come afferma Papa Francesco, cioè un Natale dove al centro non ci sia il nostro “io”, ma il Tu di Gesù e il tu dei fratelli, specialmente di quelli che hanno bisogno di aiuto. Il discepolo missionario allora lascerà spazio all’Amore che, anche oggi, vuole farsi carne e venire ad abitare in mezzo a noi.
Buon cammino verso la meta agognata con le parole di don Primo Mazzolari: “Sei venuto per tutti: per coloro che credono e per coloro che dicono di non credere. Gli uni e gli altri, a volte questi più di quelli lavorano. Soffrono. Sperano perché il mondo vada un po’ meglio … Sei il Salvatore degli orientali e degli occidentali, sei con tutti, non per dare ragione a tutti, ma per amare tutti”
* Mons. Osório Citora Afonso, IMC, è vescovo ausiliare dell’Archidiocesi di Maputo e segretario della Conferenza Episcopale del Mozambico (CEM).
Gen 3,9-15.20; Sal 97; Ef 1,3-6.11-12; Lc 1,26-38
La festa dell’Immacolata Concezione ci fa contemplare il grande mistero dell’Incarnazione del Verbo del Padre dalla prospettiva della Vergine Madre, colei che ha saputo e potuto spalancare le porte al desiderio di salvezza di Dio per ogni uomo.
La particolare condizione di Maria, fin dal suo concepimento, non è un dato teologico contenuto esplicitamente nelle Scritture, ma il frutto di una riflessione maturata senza soluzione di continuità lungo i secoli nell’intelligenza credente del popolo di Dio.
La concezione senza peccato di Maria va compresa come una libera iniziativa di Dio Padre in relazione al dono del suo Figlio unigenito per la salvezza del mondo. Nella vergine di Nazaret possiamo contemplare con un largo anticipo, nella carne di una creatura umana, gli effetti della redenzione di Cristo che si sarebbero manifestati pienamente nella sua Pasqua eterna. Per cogliere tutto lo spessore di questa mirabile iniziativa divina, occorre partire da quel momento drammatico che la nostra tradizione ha definito “peccato originale”, cioè quando l’uomo ha cominciato a nutrire paura nei confronti del suo Creatore: «Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto» (Gen 3,10).
Per salvare l’essere umano precipitato nell’abisso del sospetto, Dio ha dovuto fare i conti con la necessità di dialogare con un cuore semplice, in cui la sua parola avrebbe potuto trovare ascolto e dimora. È molto importante cogliere questa premessa, perché la condizione di Maria non sia compresa all’insegna del privilegio, ma della piena solidarietà con l’Adamo decaduto dall’amicizia con Dio a causa del peccato: «O Padre, che nell’Immacolata concezione della Vergine hai preparato una degna dimora per il tuo Figlio, e in previsione della morte di lui l’hai preservata da ogni macchia di peccato [...]» (cf. Colletta).
Dio, quindi, non ha concesso uno speciale favore a Maria creandola senza peccato, ma ha cominciato a fare con lei quanto desidera operare con tutti: elargire gratuitamente il suo sommo bene, per far conoscere al nostro cuore spaventato e smarrito la grandezza del suo amore, che strappa la nostra vita dalla solitudine e dal peccato. D’altra parte, se è vero che solo Maria è stata scelta per essere la Madre del Signore, è altrettanto vero che tutti siamo stati «scelti» da Dio «prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità» (Ef 1,4).
Dal vangelo di Luca possiamo intuire come la tenebra cancellata dal cuore di Maria sia, in fondo, la più velenosa e nascosta delle paure: il timore di non essere in grado di ascoltare e fare la volontà di Dio. Nel percorso dell’Annunciazione, Maria si rivela una creatura segnata dal timore di fronte all’Altro, eppure serenamente aperta e capace di lasciarsi condurre oltre se stessa: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?» (Lc 1,34).
La proposta di Dio è immensa, audace. Eppure, il cuore della Vergine scopre di poter restare in piedi di fronte all’angoscia della morte, sentendosi al sicuro nel disegno di amore dell’Altissimo, al riparo della «sua ombra» (1,35). Per questo non può che concludere il suo dialogo con la volontà del Padre abbracciando con gioia ed entusiasmo quanto le è stato appena proposto:«Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,38).
Il cuore immacolato di Maria non si rivela solo nella capacità di aderire all’inaudito progetto di Dio, ma anche nella libertà di non esigere da Dio altro se non il rispetto della propria partecipazione all’universale disegno della salvezza: «E l’angelo partì da lei» (1,38). Dopo l’Annunciazione, la «piena di grazia» diventa vuota di privilegi, umile custode del grande destino di ogni essere umano: «il Signore è con te» (1,28).
Per sua intercessione, ogni discepolo di Cristo può tornare a desiderare la liberazione «da ogni colpa» (preghiera sulle offerte). Soprattutto la guarigione del cuore che si ostina a temere e a tremare, anziché consegnarsi alla realtà della vita nuova in Cristo, nella speranza che «nessuna parola da parte di Dio sarà impossibile» (cf. Lc 1,37).
* Roberto Pasolini è Frate minore cappuccino. Originalmente pubblicato in: www.nellaparola.it
Ger 33, 14-16, Sal 24; 1Ts 3,12-4,2; Lc 21, 25-38.34-36
La teologia dell'Avvento ruota attorno a due prospettive principali: è tempo di preparazione alla solennità del Natale, in cui si ricorda la prima venuta del Figlio di Dio fra gli uomini, e, contemporaneamente, è il tempo in cui, attraverso tale ricordo, lo spirito viene accompagnato nell'attesa della seconda venuta del Cristo alla fine dei tempi.
Il tempo dell’Avvento è strettamente legato a quello dell’attesa per eccellenza: quella di Maria, ma anche quella di ogni madre, l’attesa di un figlio confortata e rafforzata dalle parole del Salmo “prima di formarti nel grembo di tua madre, Io ti conoscevo” e dunque il Natale è la fine dell’attesa è il giorno pieno di speranza e di promesse racchiuse in un vagito.
Tempo di attesa del ritorno di Cristo, conversione e speranza nella salvezza da parte di un Dio che non si limita a rimanere “nell’alto dei Cieli”, ma è sceso tra di noi, siamo invitati ad orientare la nostra mente e il nostro cuore verso di Lui che viene per risvegliare in noi la sua volontà di amore e di pace.
In questa prima domenica le Letture sono centrate sull’annuncio della venuta del Signore. Mentre la prima richiama la nostra attenzione sulla prima venuta del Signore, “Signore-nostra-giustizia”, come realizzazione delle promesse del bene che il Dio dell’Alleanza ha fatto al suo popolo; la lettera di Paolo ai Tessalonicesi e il Vangelo di Luca, parlando della seconda venuta del Signore, ci invitano a prepararci: i nostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, in sprechi di energie, ubriachezze, in stordimenti e negli affanni della vita quotidiana.
Le parole profetiche che impregnano il testo di Geremia non sono solo un annuncio del futuro “verranno giorni” ma la realizzazione di una promessa che diventa il presente della storia della salvezza perché trovano la loro realizzazione nella nascita di Cristo.
Il nostro autore usa il verbo germogliare che è un verbo che fa pensare alla nascita del Messia poiché il verbo “germogliare” contiene in sé un forte riferimento messianico. Infatti, dirà “farò germogliare per Davide un germoglio giusto”. Si annuncia dunque la realizzazione della promessa di un germoglio dalla stirpe di Davide che regnerà sul popolo nella pace e nella giustizia, Egli sarà chiamato “Signore-nostra-giustizia” e la sua missione sarà quella di realizzare/concretizzare il mondo di giustizia e di pace, Egli eserciterà la giustizia sulla terra, creerà nuovi rapporti tra gli uomini, quei rapporti di solidarietà, di pace, appunto di giustizia. Una giustizia che non viene da noi uomini ma una giustizia di Dio e sarà la caratteristica fondamentale del regno messianico instaurato dal germoglio: sarà la giustizia della croce, quella che assume su di sé i peccati del mondo. Tutto questo si realizzerà in Gesù: è Lui la nostra giustizia.
Paolo, per prepararci a questo regno di giustizia, ci esorta non solo a crescere nell’amore ma soprattutto ad abbondare “per rendere saldi i nostri cuori e irreprensibili nella santità, davanti a Dio e Padre nostro, alla venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi santi”.
Queste letture invitano a prepararci ad accogliere Qualcuno che ci insegna ad amare e che, soprattutto, ci indica ciò che può strappare (o peggio cancellare!) il senso dell’amore dentro di noi. Con la sua venuta, Cristo ci ricorda l’importanza di amare, di fare spazio nel nostro cuore a Dio, alla sua parola, all’accoglienza senza se e senza ma del nostro fratello, delle persone in difficoltà, di coloro che sono immersi nelle tenebre e nell’angoscia della propria vita.
Il brano del Vangelo di Luca fa parte del così detto “discorso escatologico” dove Gesù parla della fine dei tempi. In un futuro non precisato, prossimo o remoto, immediato o distante, appariranno una serie di segni cosmici che annunceranno il trionfo imminente e definitivo del Regno di Dio. Per Gesù, l’apparire di tali fenomeni cosmici “segni nel sole, nella luna e nelle stelle”; “Il fragore del mare e dei flutti”; “le potenze dei cieli saranno sconvolte”, non è per generare paura, ma sono segni della sua seconda venuta. L'obiettivo principale di questo linguaggio è quello di animare la fede e la speranza dei discepoli, questa è infatti la domenica della speranza.
Luca descrive il Figlio dell'uomo che verrà su una nube con grande potenza e gloria. La nuvola è, nella letteratura biblica, segno della presenza di Dio. Di fronte a questa venuta, non dobbiamo avere paura, dobbiamo accoglierla con speranza, dobbiamo alzare la testa, non nasconderci, perché la nostra liberazione è vicina.
Davanti alla venuta del Signore non bisogna essere atterriti, spaventati, cedere oppure scomparire ma bisogna essere risollevati. “Risollevatevi e alzate il capo”, dice Gesù, il quale invita a stare in piedi, questo è l'atteggiamento e la posizione di un uomo libero e senza paura, di uno che sente di stare davanti a suo Padre e non davanti a un giudice spietato che cerca solo la sua condanna. Dio Padre cercherà sempre di essere a favore dell’uomo e cercherà in ogni modo di entrare in comunione con lui. Gesù invita a levare il capo per non rimanere sempre chiusi nelle nostre idee, nelle nostre ristrette visioni, questo modo di essere non ci impedisca di vedere oltre il proprio orticello, ma ci spinga a guardare in faccia la realtà che ci sta davanti ed assumerci la nostra responsabilità. Gesù invita ad avere un orizzonte più ampio che inquadra tutta la realtà, dobbiamo alzare la testa per vedere l’altro chi ci è accanto e chi ci è lontano, chi ci è davanti e chi ci viene incontro.
La seconda esortazione di Gesù è quella di non avere il cuore ottenebrato, perché appesantito da: dissipazioni, ubriachezze ed affanni della vita. Questi elementi sono tipici di chi è centrato su se stesso e si crogiola in ubriachezze e affanni. Non ubriacarsi del mondo. Gesù ci esorta a non farci distrarre dalle cose che non sono necessarie, ma piuttosto a concentrarci su ciò che ci fa crescere.
Infine, Gesù invita a pregare in ogni momento e a privilegiare tempi e luoghi sacri per una lettura orante della Parola di Dio, perché “cielo e terra passeranno, ma le sue parole non passeranno”.
“Uno dei temi più suggestivi del tempo di Avvento” è «la visita del Signore all’umanità», aveva spiegato papa Francesco nel suo primo Angelus d’Avvento in piazza San Pietro invitando alla «sobrietà, a non essere dominati dalle cose di questo mondo, dalle realtà materiali» Tema quanto mai attuale in un tempo come il nostro segnato da difficoltà sociali: nella famiglia, il rapporto con i figli, il ruolo della donna, la politica sentita distante e incapace di risolvere i problemi, l’ economia: mancanza di lavoro e la sua precarietà.
Il discepolo missionario attende Gesù essendo vigilante, come ha esortato Papa Francesco “pregare, attendere Gesù, aprirsi agli altri, essere svegli, non chiusi in noi stessi.” Ma se noi pensiamo al Natale in un clima di consumismo, di cercare cosa acquistare, di fare questo e quest’altro, di trasformare il tutto in una triste, inutile, amara festa mondana, ancora una volta Gesù passerà e non lo troveremo. Noi attendiamo Gesù e lo vogliamo attendere con speranza e gioia nella preghiera, che è strettamente legata alla vigilanza. Buon Avvento.
* Mons. Osório Citora Afonso, IMC, è vescovo ausiliare dell’Archidiocesi di Maputo e segretario della Conferenza Episcopale del Mozambico (CEM).
Solennità di Cristo Re dell’Universo e 39° Giornata Mondiale della Gioventù
Dn 7, 13-14; Sal 92; Ap 1, 5-8; Gv 18, 33-37
Le letture dell’ultima domenica dell’anno liturgico, Solennità di Cristo Re dell’universo, sono centrate sulla regalità di Cristo. Nella pagina evangelica è ben chiaro che Gesù è Re ma che il suo regno, non essendo di questo mondo, ha un obiettivo preciso: rendere testimonianza alla verità.
Con linguaggio profetico, Daniele contempla “uno simile al figlio d’ uomo” che riceve potere da Dio. L’Apocalisse, invece, sottolinea che questo potere regale di Cristo ci viene comunicato per amore: Cristo Re “ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli”.
La “visione” descritta da Daniele fin da Dn 7,1 trova il suo apice con l'apparizione di uno simile a figlio d’uomo figura in cui si compendiano i tratti del Messia che verrà a stabilire il regno di Dio sulla terra. È Gesù che nei Vangeli usa questo termine di “figlio d’uomo” e lo applica a se stesso. Da questa profezia si possono sottolineare quattro aspetti della regalità del figlio d’uomo: il potere del “figlio d’uomo” non solo viene da Dio ma anche gli appartiene; ha un carattere universale poiché destinato a “tutti i popoli, nazioni e lingue”; non tramonta mai è eterno ed infine non sarà mai distrutto.
Queste quattro caratteristiche sono la vera sintesi di ciò che Gesù voleva sottolineare dicendo “il mio regno non è di questo mondo”. È un regno di amore perché viene da Dio e a Dio appartiene: è un regno di amore perché Dio è amore e vuole stabilire il suo regno di amore.
Questo regno e potere che vengono da Dio vengono comunicati all’umanità attraverso Gesù, re dell’universo. Attraverso la sua morte, Egli ha fatto di noi “un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli”. Gesù ci ha introdotto in una nuova dinamica di vita, ci ha avvicinate a Dio e ci ha invitati a diventare parte della famiglia di Dio, del nuovo regno che è un regno di verità.
Il Vangelo ci presenta una scena del processo-interrogatorio di Gesù davanti a Ponzio Pilato, il governatore romano della Giudea. L'incontro faccia a faccia di Gesù con i capi giudei aveva già avuto luogo, in particolare con Anna. Questo interrogatorio inizia con una domanda diretta posta da Ponzio Pilato “Sei tu il re dei Giudei?”. Tale inizio rivela quale fosse l'accusa portata dalle autorità ebraiche contro Gesù: aveva pretese messianiche; intendeva restaurare il regno ideale di Davide e liberare Israele dagli oppressori.
Gesù, spogliato ed umiliato, risponde senz’ambiguità, si proclama e si riconosce quale re: “tu lo dici: io sono re” ma prima di proclamarsi re, aveva chiarito che il suo regno non era di questo mondo. Affermando che il suo regno non è di questo mondo Gesù vuole sottolineare anche, come diceva il biblista De La Potterie, “la regalità di Cristo non si fonda sui poteri di questo mondo e non è minimamente ispirata a questi. È una sovranità nel mondo, ma che si realizza in maniera diversa dal potere terreno e attinge la sua ispirazione da un’altra fonte”.
Bisogna avere il coraggio di Gesù nel dire che il suo regno non è di questo mondo e si contrappone a Pilato e a coloro che l’hanno accusato e condannato. Non è un regno circondato da soldati, dunque non è un regno di guerra il cui potere si nutre di violenza e produce morte; il suo regno non ha come obiettivo il vincere ma il servire e l’ amare. Infatti, Egli non si impone con la forza ma è venuto incontrare agli uomini per servirli; non cerca i propri interessi ma obbedisce in tutto alla volontà di Dio suo Padre; si preoccupa in amare, infatti, si proclama re in un processo interrogatorio che lo porterà alla morte in croce: il suo trono. L’abbiamo sottolineato all’inizio, con la prima e la seconda lettura, che la regalità di Cristo è di un altro ordine, l'ordine di Dio. È una regalità che tocca i cuori e che, invece di produrre oppressione e morte, produce vita e libertà.
Il suo regno è un regno di verità e la sua missione è rendere testimonianza alla verità, cioè, condurre gli uomini alla Verità suprema, liberandoli da ogni tenebra di errore e di peccato: “Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità” (Gv 18,37). Gesù un giorno aveva detto "Io sono la Verità, la Via, la Vita"; Io sono la Verità che Conduce alla Vita... E perciò "chiunque é dalla Verità ascolta la mia voce".
Per Gesù, la verità si testimonia e Lui dice di essere venuto: “per dare testimonianza”. Tutta la sua vita, il suo operare, il suo vissuto, sintetizzato nel termine “amore” è un atto di testimonianza. Passando in questo mondo e facendo null’ altro che del bene Gesù diventa testimone: «è il testimone fedele» per eccellenza. La sua vita è un dono della verità, in lui la verità si manifesta come dono: «dare» testimonianza.
Il discepolo missionario sa che Dio è amore e vuole stabilire nel mondo il suo regno di amore, di giustizia e di pace. Questo è il regno di cui Gesù è il re e che si estende fino alla fine dei tempi. Sa inoltre che il regno di Dio è verità e che la nostra missione è quella di dare la testimonianza alla verità con la nostra stessa vita.
* Mons. Osório Citora Afonso, IMC, è vescovo ausiliare dell’Archidiocesi di Maputo e segretario della Conferenza Episcopale del Mozambico (CEM).