Sof 3, 14-18; Is 12; Fil 4, 4-7; Lc 3,10-18
La venuta del Messia deve essere motivo di molta gioia, ma anche di molto impegno. Mentre la prima e la seconda Lettura ci propongono il tema della gioia dell’incontro con il Messia, nel Vangelo di Luca, Giovanni Battista risponde alla domanda che cosa dobbiamo fare affinché l’incontro con il Messia sia un incontro gioioso, porti davvero “la gioia del Vangelo”.
Giovanni risponde proponendo l’esercizio della carità, della giustizia e della rettitudine nell’adempimento del nostro dovere.
Nella prima lettura, il profeta Sofonia, descrive la situazione di un piccolo gruppo di poveri e di fedeli che si sono convertiti, allontanandosi dall’idolatria, dalla superbia, dall’orgoglio e dall’autosufficienza, abbandonandosi all’amore misericordioso di Dio, alle sue disposizioni e volontà. Sofonia si rivolge dunque a questo resto d’Israele, agli anawîm i poveri del Signore, coloro che non si affidano alle proprie forze, ma pongono la loro fiducia in Dio. È a questi poveri del Signore che il profeta rivolge un invito insistente alla gioia: “rallegrati, grida di gioia, esulta e acclama con tutto il cuore …”.
Motivo di gioia è che Dio abita in mezzo al suo popolo, combatte a suo favore. E’ una gioia di salvezza, non una qualsiasi gioia, è la gioia di chi si è allontanato dall’idolatria, dalla superbia, dall’orgoglio e dall’autosufficienza per aprirsi a Dio accogliendo il suo progetto nella propria vita e andando verso gli altri. Possiamo dire che il vero motivo della nostra gioia e felicità è il fatto di sentirsi amati, perdonati e accolti da Dio.
Il profeta sottolinea nel contempo che questa gioia è reciproca: Dio anche gioirà per il suo popolo con il quale mantiene una buona relazione, finalmente un Dio che è felice per noi e con noi. Il profeta sottolinea tutto ciò con tre verbi: esulterà di gioia per te, ti rinnoverà con il suo amore, si rallegrerà per te con grida di gioia come nei giorni di festa. Il Signore stesso è felice perché sarà lui stesso a rinnovarci con il suo amore. Se l’amore è vita, Dio ci rinnova con la sua stessa vita che è Gesù. La venuta di Gesù, in mezzo a noi, rinnoverà la nostra vita e il nostro amore.
Il testo evangelico è la continuazione del brano della seconda domenica che parlava della predicazione di Giovanni Battista. Infatti, Luca afferma all'inizio che “Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati”. Giovanni Battista stava preparando il popolo per l'imminente venuta del Messia, con tale predicazione, fa breccia nel cuore dei suoi uditori. Luca riporta per ben tre volte la stessa domanda “cosa dobbiamo fare” posta da tre tipi di persone e realtà diverse. Si deve notare come la domanda che fare? Sia cara a Luca e mostri come la gioia del Vangelo debba diventare vita concreta e si traduca in una fattibile e reale condotta di vita. Infatti, i primi convertiti, dopo la Pentecoste, chiedono a Pietro “che cosa dobbiamo fare, fratelli?” Anche Paolo dopo l’incontro con il Risorto, aveva chiesto: “che devo fare, Signore?”.
Giovanni, nella sua predicazione, invita il popolo a tornare alla santità attraverso la metanoia, il cambiamento di comportamento, una conversione di vita. Questa proposta di conversione innesca nelle coscienze degli ascoltatori l'ardente desiderio di un modo nuovo e concreto di agire e di amare secondo l'azione stessa di Dio. Che cosa dobbiamo fare? La domanda su “che cosa fare” è esistenziale e concreta. Giovanni, rispondendo alla folla, ai pubblicani e ai soldati, elenca azioni molto umane e concrete che devono essere fatte: carità, giustizia e la rettitudine nell’adempimento del dovere.
Le folle per prime pongono la domanda, il Battista esorta a vivere la solidarietà con i più poveri, non nella forma della comunione dei beni, ma come un invito a rinunciare al superfluo e consegnarlo ai più bisognosi. Gesù dice: “chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto”. Per Giovanni, come in tutta la tradizione biblica, i beni della terra sono a disposizione di tutti e sono per il benessere di tutti e dunque si devono con-dividere.
Il secondo gruppo sono i cosiddetti pubblicani, esattori delle tasse per l'Impero Romano, assai disprezzati dal popolo perché molti i corrotti. A questi Giovanni propone di “non esigere nulla di più di quanto vi è stato fissato” cioè il rispetto, l'esercizio della giustizia, devono chiedere ciò che è giusto senza arricchirsi ingannando gli altri.
Infine, sono i soldati a chiedere “e noi, che cosa dobbiamo fare?”. A loro Giovanni dice di non approfittare della loro situazione per maltrattare gli altri, di evitare ogni abuso e non cadere nella seduzione della cupidigia e della violenza.
Giovanni Battista non impone cose straordinarie, ma l'esercizio della carità, della giustizia e della rettitudine nell'adempimento del proprio dovere: l'impegno per le cose reali e quotidiane. Giovanni non chiede di rinunciare alle proprie professioni o classi sociali, ma di vivere onestamente in modo nuovo, perché con cuore e mente illuminati dalla luce del Vangelo. Questo è ciò che chiede anche a noi: la conversione passa anche attraverso quei piccoli gesti quotidiani, che possono assurgere a valore salvifico.
Il discepolo missionario è consapevole che occorre convertirsi, bisogna cambiare direzione di marcia e intraprendere la strada della giustizia, della solidarietà, della sobrietà e dell’onestà che sono, come ha detto Papa Francesco, i valori imprescindibili di una esistenza pienamente umana e autenticamente cristiana. La conversione è la sintesi del messaggio del Battista.
Realizziamo un piccolo presepe memoria di tutti i natali che si sono succeduti nella storia. È bene tornar bambini qualche volta e non vi è miglior tempo che il Natale, allorché il suo onnipotente fondatore era egli stesso un bambino. (Charles Dickens). Proseguiamo insieme il cammino dell’Avvento.
* Mons. Osório Citora Afonso, IMC, è vescovo ausiliare dell’Archidiocesi di Maputo e segretario della Conferenza Episcopale del Mozambico (CEM).
All'Angelus dell'Immacolata Concezione, il Papa si sofferma sullo sforzo diffuso di possedere e dominare, sulla fame di denaro, sul desiderio di avere "amici potenti", sui "falsi modelli luccicanti" che arrivano dai media e da internet: cedano il posto alla docilità nella misericordia del Padre, come fece la Vergine con il suo "sì" all'Arcangelo Gabriele. "Oggi è un bel giorno per decidersi di fare una bella Confessione", consiglia. "Il Signore perdona tutto"
Maria ha posto il suo destino in buone mani. Ce lo ricorda la catechesi di Papa Francesco all'Angelus domenicale della Solennità dell'Immacolata Concezione, nell'imminenza dell'apertura della Porta Santa del Giubileo. La provenienza periferica di questa umile e sconosciuta fanciulla diventa il centro di una storia nuova. Quanto siamo disposti, in un'epoca angustiata e cupa, a fare come fece lei di fronte all'Arcangelo Gabriele? Questa la domanda centrale che il Pontefice rivolge oggi.
La contemplazione della scena raccontata all'inizio del Vangelo di Luca - che il Papa raccomanda di andare a rileggere, spendendoci un poco di tempo, perché "vi assicuro che vi farà bene" - è accordata ai tempi di oggi. Ancora una serie di domande pone il Successore di Pietro, come aveva fatto nell'omelia della Messa celebrata poco prima in basilica. Ancora una volta, è l'individualismo e ciò che ne consegue, a preoccupare il Papa:
Nel nostro tempo, agitato da guerre e concentrato nello sforzo di possedere e dominare, dove ripongo la mia speranza? Nella forza, nel denaro, negli amici potenti, oppure nella misericordia infinita di Dio? E di fronte ai tanti falsi modelli luccicanti che circolano nei media e in internet, dove cerco io la mia felicità? Dov’è il tesoro del mio cuore? Sta nel fatto che Dio mi ama gratuitamente, che il suo amore sempre mi precede, ed è pronto a perdonarmi quando ritorno pentito a Lui? Oppure mi illudo nel cercare di affermare a tutti i costi il mio io e la mia volontà?
Umano e divino si congiungono "con una delicatezza meravigliosa" in quella parolina detta da Maria. È "un istante benedetto", sottolinea il Papa. Da quell'atteggiamento di una donna di Nazaret, sono dipese le sorti dell'intera umanità.
Come nella scena della creazione di Adamo dipinto da Michelangelo nella Cappella Sistina, dove il dito del Padre celeste sfiora quello dell’uomo; così anche qui, l’umano e il divino si incontrano, all’inizio della nostra Redenzione, nell’istante benedetto in cui la Vergine Maria pronuncia il suo “sì”.
Il Papa infine dà appuntamento a piazza di Spagna, dove si recherà nel pomeriggio come di consueto in questo giorno di festa, per l'Atto di venerazione a Maria Immacolata che rimanda, lo ricorda, a quel servizio della Parola di Dio che ciascuno è chiamato a rinnovare nel quotidiano. Qui Francesco a braccio aggiunge un consiglio: "Oggi è un bel giorno per decidersi di fare una bella confessione. Se oggi non potete andare, in questa settimana, fino a domenica prossima, aprite il cuore e il Signore perdona tutto, tutto, tutto. E così nelle mani di Maria saremo più felici...". Perché Maria è affidamento puro, amore incondizionato.
In lei non c’è nulla che faccia resistenza alla sua volontà, nulla che si opponga alla verità e alla carità. Ecco la sua beatitudine, che tutte le generazioni canteranno. Rallegriamoci anche noi perché l’Immacolata ci ha donato Gesù nostra salvezza!
* Antonella Palermo - Città del Vaticano. Originalmente pubblicato in: www.vaticannews.va
Ger 33, 14-16, Sal 24; 1Ts 3,12-4,2; Lc 21, 25-38.34-36
La teologia dell'Avvento ruota attorno a due prospettive principali: è tempo di preparazione alla solennità del Natale, in cui si ricorda la prima venuta del Figlio di Dio fra gli uomini, e, contemporaneamente, è il tempo in cui, attraverso tale ricordo, lo spirito viene accompagnato nell'attesa della seconda venuta del Cristo alla fine dei tempi.
Il tempo dell’Avvento è strettamente legato a quello dell’attesa per eccellenza: quella di Maria, ma anche quella di ogni madre, l’attesa di un figlio confortata e rafforzata dalle parole del Salmo “prima di formarti nel grembo di tua madre, Io ti conoscevo” e dunque il Natale è la fine dell’attesa è il giorno pieno di speranza e di promesse racchiuse in un vagito.
Tempo di attesa del ritorno di Cristo, conversione e speranza nella salvezza da parte di un Dio che non si limita a rimanere “nell’alto dei Cieli”, ma è sceso tra di noi, siamo invitati ad orientare la nostra mente e il nostro cuore verso di Lui che viene per risvegliare in noi la sua volontà di amore e di pace.
In questa prima domenica le Letture sono centrate sull’annuncio della venuta del Signore. Mentre la prima richiama la nostra attenzione sulla prima venuta del Signore, “Signore-nostra-giustizia”, come realizzazione delle promesse del bene che il Dio dell’Alleanza ha fatto al suo popolo; la lettera di Paolo ai Tessalonicesi e il Vangelo di Luca, parlando della seconda venuta del Signore, ci invitano a prepararci: i nostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, in sprechi di energie, ubriachezze, in stordimenti e negli affanni della vita quotidiana.
Le parole profetiche che impregnano il testo di Geremia non sono solo un annuncio del futuro “verranno giorni” ma la realizzazione di una promessa che diventa il presente della storia della salvezza perché trovano la loro realizzazione nella nascita di Cristo.
Il nostro autore usa il verbo germogliare che è un verbo che fa pensare alla nascita del Messia poiché il verbo “germogliare” contiene in sé un forte riferimento messianico. Infatti, dirà “farò germogliare per Davide un germoglio giusto”. Si annuncia dunque la realizzazione della promessa di un germoglio dalla stirpe di Davide che regnerà sul popolo nella pace e nella giustizia, Egli sarà chiamato “Signore-nostra-giustizia” e la sua missione sarà quella di realizzare/concretizzare il mondo di giustizia e di pace, Egli eserciterà la giustizia sulla terra, creerà nuovi rapporti tra gli uomini, quei rapporti di solidarietà, di pace, appunto di giustizia. Una giustizia che non viene da noi uomini ma una giustizia di Dio e sarà la caratteristica fondamentale del regno messianico instaurato dal germoglio: sarà la giustizia della croce, quella che assume su di sé i peccati del mondo. Tutto questo si realizzerà in Gesù: è Lui la nostra giustizia.
Paolo, per prepararci a questo regno di giustizia, ci esorta non solo a crescere nell’amore ma soprattutto ad abbondare “per rendere saldi i nostri cuori e irreprensibili nella santità, davanti a Dio e Padre nostro, alla venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi santi”.
Queste letture invitano a prepararci ad accogliere Qualcuno che ci insegna ad amare e che, soprattutto, ci indica ciò che può strappare (o peggio cancellare!) il senso dell’amore dentro di noi. Con la sua venuta, Cristo ci ricorda l’importanza di amare, di fare spazio nel nostro cuore a Dio, alla sua parola, all’accoglienza senza se e senza ma del nostro fratello, delle persone in difficoltà, di coloro che sono immersi nelle tenebre e nell’angoscia della propria vita.
Il brano del Vangelo di Luca fa parte del così detto “discorso escatologico” dove Gesù parla della fine dei tempi. In un futuro non precisato, prossimo o remoto, immediato o distante, appariranno una serie di segni cosmici che annunceranno il trionfo imminente e definitivo del Regno di Dio. Per Gesù, l’apparire di tali fenomeni cosmici “segni nel sole, nella luna e nelle stelle”; “Il fragore del mare e dei flutti”; “le potenze dei cieli saranno sconvolte”, non è per generare paura, ma sono segni della sua seconda venuta. L'obiettivo principale di questo linguaggio è quello di animare la fede e la speranza dei discepoli, questa è infatti la domenica della speranza.
Luca descrive il Figlio dell'uomo che verrà su una nube con grande potenza e gloria. La nuvola è, nella letteratura biblica, segno della presenza di Dio. Di fronte a questa venuta, non dobbiamo avere paura, dobbiamo accoglierla con speranza, dobbiamo alzare la testa, non nasconderci, perché la nostra liberazione è vicina.
Davanti alla venuta del Signore non bisogna essere atterriti, spaventati, cedere oppure scomparire ma bisogna essere risollevati. “Risollevatevi e alzate il capo”, dice Gesù, il quale invita a stare in piedi, questo è l'atteggiamento e la posizione di un uomo libero e senza paura, di uno che sente di stare davanti a suo Padre e non davanti a un giudice spietato che cerca solo la sua condanna. Dio Padre cercherà sempre di essere a favore dell’uomo e cercherà in ogni modo di entrare in comunione con lui. Gesù invita a levare il capo per non rimanere sempre chiusi nelle nostre idee, nelle nostre ristrette visioni, questo modo di essere non ci impedisca di vedere oltre il proprio orticello, ma ci spinga a guardare in faccia la realtà che ci sta davanti ed assumerci la nostra responsabilità. Gesù invita ad avere un orizzonte più ampio che inquadra tutta la realtà, dobbiamo alzare la testa per vedere l’altro chi ci è accanto e chi ci è lontano, chi ci è davanti e chi ci viene incontro.
La seconda esortazione di Gesù è quella di non avere il cuore ottenebrato, perché appesantito da: dissipazioni, ubriachezze ed affanni della vita. Questi elementi sono tipici di chi è centrato su se stesso e si crogiola in ubriachezze e affanni. Non ubriacarsi del mondo. Gesù ci esorta a non farci distrarre dalle cose che non sono necessarie, ma piuttosto a concentrarci su ciò che ci fa crescere.
Infine, Gesù invita a pregare in ogni momento e a privilegiare tempi e luoghi sacri per una lettura orante della Parola di Dio, perché “cielo e terra passeranno, ma le sue parole non passeranno”.
“Uno dei temi più suggestivi del tempo di Avvento” è «la visita del Signore all’umanità», aveva spiegato papa Francesco nel suo primo Angelus d’Avvento in piazza San Pietro invitando alla «sobrietà, a non essere dominati dalle cose di questo mondo, dalle realtà materiali» Tema quanto mai attuale in un tempo come il nostro segnato da difficoltà sociali: nella famiglia, il rapporto con i figli, il ruolo della donna, la politica sentita distante e incapace di risolvere i problemi, l’ economia: mancanza di lavoro e la sua precarietà.
Il discepolo missionario attende Gesù essendo vigilante, come ha esortato Papa Francesco “pregare, attendere Gesù, aprirsi agli altri, essere svegli, non chiusi in noi stessi.” Ma se noi pensiamo al Natale in un clima di consumismo, di cercare cosa acquistare, di fare questo e quest’altro, di trasformare il tutto in una triste, inutile, amara festa mondana, ancora una volta Gesù passerà e non lo troveremo. Noi attendiamo Gesù e lo vogliamo attendere con speranza e gioia nella preghiera, che è strettamente legata alla vigilanza. Buon Avvento.
* Mons. Osório Citora Afonso, IMC, è vescovo ausiliare dell’Archidiocesi di Maputo e segretario della Conferenza Episcopale del Mozambico (CEM).
Questa epoca di cambio che stiamo vivendo, che porta con se innumerevoli situazioni di crisi che toccano persone e istituzioni fino a poco tempo fa inquestionabili come la famiglia, la scuola e la Chiesa, ci ricorda l’urgenza di un rinnovamento profondo che raggiunga persone e istituzioni. Guerra, crisi economica, grandi fenomeni migratori, scandali nella Chiesa ci stanno privando della capacità di sognare e confidare che il sospirato "Regno di Dio" sia già tra noi.
Oggi è quantomai necessario rinfrescarsi, rinnovarsi, risvegliare ciò che sembra essersi addormentato.
Invece il tempo liturgico dell'Avvento che stiamo vivendo, così come la preparazione al nostro XIV Capitolo Generale ci invitano a rinnovare la speranza; sono occasioni per riconnetterci con Dio, con le persone, e con il meglio che ognuno di noi ha. È tempo di ascoltare la voce dello Spirito, che ci dice ciò che siamo, ciò che siamo chiamati ad essere, e ciò che vogliamo diventare. Non lasciamoci trascinare dal disfattismo, dal pessimismo o dall'indifferenza ma osiamo sognare un mondo nuovo, una Chiesa viva, un Istituto rinnovato che riscopra la bellezza e l'entusiasmo della missione ad gentes.
La speranza e la gioia sono atteggiamenti necessari e permanenti; papa Francesco ci ricorda che "un evangelizzatore non deve sempre avere un volto funebre. Recuperiamo e accresciamo la dolce e confortante gioia di evangelizzare, anche quando è necessario seminare nelle lacrime... Il mondo d'oggi deve ricevere la Buona Novella, non attraverso evangelizzatori tristi e scoraggiati, impazienti o ansiosi, ma da ministri del Vangelo la cui vita irradi il fervore di coloro che hanno ricevuto, prima di tutto in se stessi, la gioia di Cristo" (cf. Evangelii Gaudium 10).
Sperare non è aspettare passivamente come una sorta di vento che spazzi via le nuvole ma guardare la dura realtà con occhi diversi sapendo che ciò che sta per arrivare non è dovuto al solo sforzo umano o alle nostre forza ma avrà a che vedere con il Regno di Dio che si impone nella storia per mezzo dell'azione e del protagonismo di un Dio che non ha dimenticato il suo popolo.
Questo tempo di preparazione (al Natale e al Capitolo generale) ci aiuta a recuperare la capacità di sognare un mondo nuovo e un Istituto innovato; ci ricorda che Dio è la pienezza della vita e che in Gesù è venuto al mondo con l'intenzione di non abbandonarlo più.
E allora il mio augurio è che qualcosa di "nuovo" accada nella vita di ognuno di noi, nelle nostre comunità cristiane, nel nostro Istituto che si interroga, nel prossimo Capitolo Generale, a proposito del nostro rinnovato impegno nel cammino dell'evangelizzazione.
*Juan Pablo de los Rios è superiore regionale in Colombia