Il giorno tanto atteso della canonizzazione del nostro Padre Fondatore, il Beato Giuseppe Allamano, è ormai alle porte. Mons. Peter Kihara, missionario della Consolata, vescovo di Marsabit in Kenya, diocesi che quest'anno celebra i 60 anni di impegno nell'evangelizzazione, ci illumina con il suo messaggio.

“Questo è un momento di grande gioia per noi. Il nostro Fondatore è stato un sacerdote, un formatore e una persona che amava i missionari. Lui è un esempio per noi”.

* Video realizzato dall'equipe di comunicazione per la Canonizzazione.

Ottobre è il mese missionario. Inizia proprio con la celebrazione della memoria liturgica di Santa Teresa di Gesù Bambino, vergine e dottore della Chiesa che, insieme a San Francesco Saverio, è anche patrona delle missioni. “La mia vocazione è l'amore!”

«Andate e invitate al banchetto tutti» (cfr. Mt 22,9) è il versetto dal quale trae spunto Papa Francesco per il messaggio in vista della Giornata Missionaria Mondiale che celebreremo quest’anno nella domenica 20 ottobre, il giorno della canonizzazione del Beato Giuseppe Allamano, uomo appassionato della missione ad gentes.

Papa Francesco ci invita a rinnovare il dinamismo missionario di ogni battezzato e ci spinge nuovamente ad essere una “Chiesa in uscita” per rendere accessibile a tutti la possibilità di partecipare al grande banchetto per tutti i popoli annunciato dal profeta Isaia: «Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati» (Is 25,6).

20241001GMMTutte le iniziative dell’Ottobre missionario hanno l'obiettivo di promuovere la cooperazione con le missioni in tutto il mondo. Papa Francesco ci ha ricordato tante volte ciò che è essenziale nella vita cristiana quando dice: “La missione non è solo una parte della mia vita, o un ornamento che posso mettere da parte; non è un'appendice o un momento tra i tanti della mia vita. È qualcosa che non posso strappare dal mio cuore (...) Io sono la missione di Dio su questa terra, ed è per questo che sono in questo mondo” (EG 27 e 273).

L'amore di Dio è la fonte della missione

Il Concilio Vaticano II, nelle Costituzioni Lumen Gentium e Gaudium et Spes e nel Decreto Ad Gentes (AG), afferma che la missione ha origine nell'“amore fontale” del Padre, un amore che non si contiene, ma trabocca, si comunica ed esce da sé per la sua natura missionaria (cfr. LG 5; 8; 17; AG 2). In breve, Dio è missione: la missione viene da Dio perché Dio è Amore. La missione rivela l'essenza di Dio. Si riferisce principalmente a ciò che Dio è e non a ciò che Dio fa.

Questa missione di Dio si manifesta definitivamente attraverso l'invio del Figlio prediletto, Gesù Cristo, il Verbo fatto carne (cfr. Gv 1,14) “che, essendo ricco, si è fatto povero per noi, perché noi fossimo arricchiti dalla sua povertà” (AG 3).

Per realizzare il suo disegno d'amore, la missione di Dio si rivela nel dinamismo, nell'effusione e nel ruolo di guida dello Spirito Santo, che “era già all'opera nel mondo prima che Cristo fosse glorificato” (AG 4). È lo Spirito che risveglia la fede (cfr. 1 Cor 12,3) e dirige la missione della Chiesa verso i popoli (cfr. At 16,6-7). Allo stesso tempo, “è l'anima della Chiesa che evangelizza” e la spinge “a uscire da sé stessa per evangelizzare tutti i popoli” (GS 261). Pertanto, “la Chiesa è per sua natura missionaria” (AG 2): la Chiesa “è” quando è inviata, esiste per la missione e deve testimoniare l'amore di Dio che nella sua misericordia esce da sé stesso e abbraccia tutti.

“La mia vocazione è l'amore!”

Santa Teresa del Bambin Gesù, anche vivendo nel Carmelo, ha compreso il vero amore di Dio che si rivolge a tutta l'umanità. Lei ha vissuto la sua vocazione con un orizzonte universale e, come missionaria, ha pregato per le vocazioni e le missioni. Nei suoi scritti autobiografici, intitolati “Storia di un'anima”, dice: “O Gesù, mio amore, mia vocazione, l'ho trovata finalmente: la mia vocazione è l'amore! [...]”.

Quindi, il suo esempio ci mostra che “la vita è missione”, anche se non possiamo uscire di casa. Tutti possiamo mostrare il nostro amore attraverso qualche gesto concreto. In questo modo, diventiamo davvero “la missione di Dio su questa terra”.

* Padre Jaime C. Patias, IMC, Segretariato per la Comunicazione.

In preparazione alla Canonizzazione del Beato Giuseppe Allamano è stato lanciato l’invito a comporre nuovi canti al prossimo santo.

La risposta è stata entusiasta, e da tutte le parti del mondo sono giunte numerose composizioni musicali, e continuano ad arrivare! Sarà un repertorio prezioso da utilizzare nel percorso che ci porterà all’altro evento significativo legato al Padre Fondatore: il centenario della sua morte, il 16 febbraio 2026.

Una piccola equipe di missionari e missionarie ne hanno scelti due come inni della Canonizzazione:

1. MUNGU BABA TWAKUSHUKURU KWA ZAWADI YA ALLAMANO

(composto da Padre Mshobolozi D. da Iringa in Tanzania)

“Pregevole la melodia e l’armonizzazione per il coro. Il testo ci sembra metta in evidenza gli elementi fondamentali della spiritualità del nostro Fondatore. La melodia è semplice, litanica, immediata e può essere cantata anche camminando, anche a una sola voce” commenta l’equipe.

Scarica il testo (swahili e italiano)

 

2. LUZ DE SANTIDAD

(composto dal Colegio Santa Teresita di Mendoza in Argentina)

“Testo chiaro e brillante, melodia capace di creare un’atmosfera di allegria e di festa. È interessante il fatto che sia stata composta non direttamente dai missionari/e ma da un collegio di studenti, a dimostrazione del fatto che il bene che l’Allamano irradia va molto più lontano dei confini degli istituti.

Scarica il testo (spagnolo e italiano)

* Equipe di comunicazione per la Canonizzazione

Per i Missionari e le Missionarie della Consolata in America, il riconoscimento del miracolo di Sorino Yanomami per intecerssione del Beato Giuseppe Allamano ha un significato molto particolare: è il sigillo, la conferma di un’opzione che assunsero negli ultimi decenni e che caratterizza la missione nel continente: la missione con i popoli indigeni.

Perché questa opzione? Perché si può dire con chiarezza oggi che l’ad gentes in America trova piena espressione in questa scelta apostolica? Per rispondere a queste domande, ripercorriamo a grandi linee la storia del movimento indigenista e il ruolo della Chiesa accanto ai popoli nativi.

Un movimento che dà voce a chi non ha voce

Il movimento indigenista in America Latina sorge attorno agli anni Settanta, quando si formano organizzazioni che agglutinano persone che si riconoscono in un’appartenenza etnica, più o meno direttamente (in Ecuador: la federazione SHUAR è una delle prime, fondata nel 1961, raggruppa popoli amazzonici; CRIC è un’associazione dei popoli andini della Colombia; il movimento katarista nella Bolivia andina e il CIDOB nell’area amazzonica).

Prima d’allora, infatti, se escludiamo il caso dei Mapuche in Cile, che sempre sottolinearono l’elemento etnico, le organizzazioni popolari nei vari paesi latinoamericani si riunivano generalmente come associazioni rurali. Questo cambio di rotta è significativo: oltre al riconoscersi come un gruppo sociale di estrazione popolare, i membri di queste associazioni iniziarono a sottolinerare l’aspetto etnico, cambiando anche la prospettiva dei problemi e delle rivendicazioni.

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Argentina: visita alle famiglie Wichi e Toba. Foto: Archivio MC

Un esempio molto significativo è la rivendicazione della terra, un problema sociale spinoso fino al giorno d’oggi in America Latina: molte persone si vedono private del diritto di possedere terra per coltivare, concentrata nelle mani di pochi latifondisti.  Nel corso della riflessione e della rivendicazione, oltre a parlare di diritto alla terra, si inizia a considerare il territorio, che è un concetto molto più ampio e complesso.

Il territorio non si riferisce solo a un’estensione geografica riservata a un gruppo etnico-sociale, ma contempla diversi punti di riferimento che un determinato spazio contiene: quelli simbolici, significativi per la cosmovisione del popolo e per la religiosità del gruppo (esempio: montagne o altri luoghi considerati sacri, per la presenza di spiriti o degli antenati, i luoghi di culto, tutto ciò che costituisce la “geografia simbolica” o “geografia sacra” di un popolo) come anche quelli produttivi per la vita concreta di lavoro e produzione (foresta, fiumi e laghi per la caccia, la pesca, il raccolto dei frutti, i campi per coltivare).

Il momento storico che stava vivendo gran parte dell’America Latina era molto particolare: il movimento indigenista nasce durante il tempo delle dittature militari di estrema destra, che riducevano la libertà e opprimevano le classi più umili, a favore di un’oligarchia minoritaria. Sappiamo le atrocità commesse in tanti Paesi (i desaparecidos, cioè le persone scomparse, le torture, gli esili...) e i tanti martiri anche tra gli indigeni che furono trucidati per l’opposizione manifestata alla politica repressiva e oligarchica.

Nello stesso periodo inizia la migrazione dalle aree rurali alle città di un consistente numero di famiglie; la conseguente urbanizzazione di masse di contadini per un certo verso facilita l’organizzazione e il reclutamento di membri per le nascenti organizzazioni indigene.

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Brasile: educazione nelle comunità Yanomami. Foto: Archivio MC

L’apporto della Chiesa e di altre istituzioni

Un aiuto grande per l’organizzazione di questi nuovi movimenti fu dato dalle ONG, sempre più presenti e vicine alle realtà locali. Si tratta di istituzioni di diversa posizione politica/ideologica/religiosa: dai “verdi” che iniziano a battersi per la difesa dell’Amazzonia, a ONG di stampo cristiano, passando per una numerosa serie di altre posture ideologiche, inclusi i movimenti di sinistra estrema e moderata. Sono proprio queste organizzazioni internazionali che promuovono la formazione di leader locali a livello universitario che assumono quindi un ruolo da protagonisti nei negoziati tra Stato e movimenti indigeni.

“La lucha ya no debe ser con arcos y flechas, sino con lápiz y papel” (Mateo Chumira, leader guaranì). “la lotta non deve più essere con arco e freccia, ma con lapis e carta”

Negli anni Ottanta, con il graduale ritorno alla democrazia, il movimento indigenista continua le negoziazioni con i nuovi governi, fino ad ottenere importanti risultati, in modo speciale la riforma delle Costituzioni nazionali, in cui vengono inseriti articoli che riconoscono i popoli indigeni e i loro diritti (diritto alla terra, diritto all’istruzione bilingue...).

Il 19 aprile 1989 è stato creato il Coordinamento delle Organizzazioni Indigene dell'Amazzonia Brasiliana (COIAB), un'organizzazione regionale del movimento indigeno che fa parte dell'Articolazione nazionale dei Popoli Indigeni del Brasile (APIB) con 75 organizzazioni membri.

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Manifestazione dei popoli indigeni organizzata dal COIAB a Brasilia. Fonto: Felipe Beltrame

E così la Chiesa cattolica, e in essa i Missionari e Missionarie della Consolata, che stette al fianco dei fratelli e sorelle nativi nella fatica della rivendicazione, poté condividere con loro anche la gioia immensa che diede questo risultato.

In questo breve scorcio della realtà dell’ America Latina negli Anni Settanta/Ottanta/Novanta, possiamo adesso inserire le scelte che i Missionari e le Missionarie della Consolata hanno assunto, focalizzandoci sulla presenza consolatina in Roraima, stato del Nord de Brasile, in piena area amazzonica.

L’opzione dei popoli indigeni dei Missionari e Missionarie della Consolata

Le Missionarie della Consolata arrivarono in Roraima nel 1949, mentre i confratelli erano già arrivati nel 1948. Nei primi decenni le attività principali si svolgevano nel campo della sanità, dell’educazione e dell’assistenza sociale nella città di Boa Vista. Nell’epoca precedente il Concilio Vaticano II, i Missionari e le Missionarie visitavano l’area rurale per la “desobriga”, ovvero: per amministrare i Sacramenti e permettere a tutti i cristiani di confessarsi e fare la comunione almeno una volta all’anno per Pasqua, secondo il precetto della Chiesa.

I Missionari della Consolata arrivano a Catrimani nel 1965. Già negli Anni Settanta le Sorelle raggiungevano l’area Yanomami per assistenza sanitaria; è nel 1990 che le Missionarie si stabiliscono come comunità in Catrimani, condividendo la vita con il popolo Yanomami e lavorando in modo speciale nella sanità e nell’educazione, insieme ai confratelli. La decisione di aprire questa comunità è stata presa come “ringraziamento per la beatificazione di Giuseppe Allamano, il Padre Fondatore”, che proprio quell’anno veniva beatificato.

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Incontro di formazione dei leader indigeni nel 1977 nella Terra Raposa Serra do Sol, Roraima. Foto: Lirio Girardi

La scelta di vivere insieme ai popoli indigeni è stata abbracciata in diverse realtà dell’America Latina: per quanto riguarda le Missionarie della Consolata, nel 1991 in Bolivia aprono la presenza a Poopò con il popolo quechua e a Tencua, con il popolo Yecuana, nell’Amazzonia venezuelana; nel 1992 le Sorelle in Argentina aprono la comunità di Comandancia Frías, con il popolo Wichi, nell’Impenetrabile chaqueño e nel 1994 in Colombia le comunità di Puerto Cayetán e Resguardo Guacoyo.

Dopo 30 anni, una certezza e una conferma

Nel documento Ratio Missionis delle Suore Missionarie della Consolata, si dà questa lettura del cammino compiuto:

“Dagli Anni Novanta del secolo scorso le varie Circoscrizioni del Continente si sono decisamente orientate verso la presenza tra i popoli originari o nativi. L’esperienza e la riflessione hanno mostrato e sempre più confermato che l’ad gentes in America trova la sua espressione in questa opzione apostolica. La Regione America [nata nel 2018, n.d.r.] ha riconfermato la scelta della missione tra i popoli originari come priorità della Circoscrizione.

In un primo tempo, le Missionarie della Consolata hanno affiancato i gruppi nativi nella rivendicazione dei propri diritti, negati dagli Stati nazionali e usurpati dai potenti locali. Con il tempo, si è unito l’impegno per conoscere sempre più profondamente le culture e le spiritualità dei popoli, in un dialogo semplice, quotidiano, che richiede tempi prolungati e relazioni significative con la gente” (Ratio Missionis, 4.8.2).

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Questo piccolo inquadramento storico può dare un’idea di cosa significa per i Missionari e le Missionarie della Consolata in America questo miracolo riconosciuto all’intercessione di Padre Fondatore a favore di un uomo Yanomami, nel 1996, proprio in quegli anni in cui tanti missionari e missionarie davano il meglio di sé, anche a rischio della vita, per i fratelli e le sorelle indigeni dell’America.

È il riconoscimento di un’opzione assunta a favore dei più emarginati delle società latinoamericane, suggellato da un miracolo che porta alla canonizzazione il nostro Fondatore. È la benedizione di un cammino che continua oggi, con l’opzione prioritaria della missione ad gentes con i popoli originari del Continente.

* Suor Stefania Raspo, MC, Consigliera Generale.

Riferimenti bibliografici:

ALBÓ, Xavier, “El retorno del indioin: Revista Andina, Cuzco, Perú, 1991.

CAUREY, Elías, Asamblea del pueblo guaraní. Un breve repaso a su historia. Bolivia, 2015.

MISSIONARIE DELLA CONSOLATA, Ratio Missionis. Visione della missione secondo il Carisma delle Suore Missionarie della Consolata. Nepi, 2023.

In preparazione alla Canonizzazione del Beato Giuseppe Allamano il prossimo 20 di ottobre a Roma,  al Santuario della Consolata di Torino, sabato 28 settembre, vi è stata l’inaugurazione della Mostra “Giuseppe Allamano: un Santo tra noi”, preceduta dalla celebrazione Eucaristica presieduta dal cardinale Giorgio Marengo, missionario della Consolata, Prefetto Apostolico di Ulaanbaatar in Mongolia.

Con il cardinal Marengo hanno concelebrato il Superiore della Regione Europa dei Missionari della Consolata, padre Gianni Treglia, il Rettore del Santuario della Consolata, mons. Giacomo Maria Martinacci e alcune decine di missionari della Consolata.

Tra i tanti fedeli presenti molte suore missionarie della Consolata e molti volontari dell’associazione Amici Missioni Consolata.

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Durante l’omelia il cardinal Marengo ha ricordato, come diceva l’Allamano, che “I santi hanno lasciato che lo Spirito cesellasse in loro l'immagine di Cristo” e che possiamo vivere anche noi questa dimensione della santità come dono gratuito sull'esempio dell'Allamano, a partire dell'Eucaristia che, come lui amava dire, "è il tempo più bello della nostra vita".

Mostra “Giuseppe Allamano: un Santo tra noi”

Al termine della celebrazione, nel Chiostro del Santuario della Consolata, è stata inaugurata la Mostra “Giuseppe Allamano: un Santo tra noi” voluta dall’Istituto Missioni Consolata, con la collaborazione della Rivista Missioni Consolata, del Polo Cultures And Mission CAM, della Fondazione Missioni Consolata onlus. La Mostra è stata ideata e realizzata dall’agenzia di comunicazione Mediacor che da anni collabora con la Famiglia della Consolata.

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La Mostra è composta da dodici pannelli roll-up, che presentano, attraverso testi, testimonianze di missionari e missionarie e immagini fotografiche, la figura di Giuseppe Allamano, il percorso della sua causa di canonizzazione e quello degli Istituti Missionari dai lui fondati. La Mostra è stata progettata per essere facilmente trasportabile e quindi è disponibile per essere allestita in tutta Italia.

Una copia resterà nel Chiostro del Santuario della Consolata fino alla fine del mese di ottobre. Altre copie della stessa sono disponibili al CAM di Torino e possono essere prenotate per poterle esporre temporaneamente in parrocchie, oratori, scuole o altri spazi che potranno rendersi disponibili.

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Il 15 ottobre una copia di questa Mostra verrà presentata al pubblico al Polo CAM di Torino e nella stessa occasione verrà presentato il nuovo documentario su Giuseppe Allamano che accompagnerà la Mostra nelle varie tappe in programma in tuta Italia.

Sui pannelli della Mostra è collocato un QR Code inquadrando il quale ci sarà la possibilità di leggere i testi in molte altre lingue le cui traduzioni saranno disponibili nei prossimi giorni.

La rielaborazione dei testi della Mostra, a partire da quelli scritti per il dossier della rivista “Missioni Consolata”, è stata curato da Alberto Chiara, mentre la grafica dei pannelli da Danilo Manassero.

* Paolo Pellegrini, Mediacor Torino

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Il cardinale Giorgio Marengo,IMC, Prefetto Apostolico di Ulaanbaatar in Mongolia visita la Mostra

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