Il 14 giugno 2024, all'Università Urbaniana di Roma, ho difeso la mia tesi in Diritto Canonico dal titolo “La durata in ufficio del parroco religioso: studio del rapporto tra i cann. 522 e 682.” Oltre alla commissione esaminatrice erano presenti diversi miei confratelli ed amici.

Quindi ho presentato un sommario della mia ricerca academica, le motivazioni, il problema, la metodologia, le conclusioni finali, e le proposte per un miglioramento della pastorale parrocchiale portata avanti dagli istituti religiosi nelle diverse parti del mondo. Il tema della ricerca mette a fuoco sia l’ambito giuridico pastorale che quello missionario, in quanto fa riferimento alla missione ad gentes, che è il carisma specifico del nostro Istituto Missioni Consolata.

20241118Thomas1Questa ricerca-studio ci ha portato alla realizzazione che la realtà dei parroci-religiosi, pur avendo origini lontane nella storia della Chiesa, è stata solo affrontata e organizzata chiaramente nei Codici del 1917 e 1983. L'attuale Codice di Diritto Canonico, dal can. 673 al can. 675 circa, parla dell'apostolato degli istituti di vita consacrata, in cui i carismi degli istituti religiosi sono considerati come un elemento essenziale che arricchisce positivamente la vita spirituale della Chiesa. La partecipazione di questi istituti e dei religiosi alla pastorale comprende anche l'affidamento di uffici specifici della cura pastorale. A questo proposito, il Codice prescrive espressamente (cf. can. 681) che ci sia un accordo scritto tra l'Ordinario del luogo e il Superiore religioso competente nell’assegnazione di attività specifiche e degli uffici ecclesiali, compreso quello del parroco.

Questo studio si concentra principalmente sulla questione della durata dell'ufficio del parroco religioso. La ragione di fondo è che il fattore tempo può influenzare il titolare dell'ufficio in vari modi, dipendendo dal tipo di nomina. Può essere per un periodo di tempo determinato oppure per un tempo indeterminato. L’attuale Codice prevede la nomina ad vitam è meno frequente quella ad tempus determinatum. L'ufficio del parroco-religioso viene conferito e cessa a norma del can. 682 §§1-2. Ciò comporta l'emanazione di un atto amministrativo, vale a dire un decreto sia per la nomina, che per la rimozione da tale ufficio. 

La difesa di questa tesi ha avuto un riscontro positivo sia da parte del pubblico presente che della commissione esaminatrice che ha apprezzato la ricerca e i risultati esposti, per aver raggiunto gli obiettivi prefissi.

A seguito dei suggerimenti e correzioni riguardo all'uso della lingua italiana della tesi, ho corretto e rivisto il testo in vista della sua pubblicazione

Il nostro Superiore Generale padre James Bhola Lengarin, apprezzando la tesi, ha scritto una introduzione alla tesi stessa in cui invita tutti i membri del nostro Istituto a prenderne visione, in vista di una maggiore efficienza pastorale parrocchiale, e delle relazioni tra l'Ordinario del luogo e il Superiore di circoscrizione. Infatti, egli afferma: “In definitiva, la carica di parroco religioso è un elemento chiave per il buon funzionamento della vita ecclesiale, poiché garantisce che il ministero sia svolto con dedizione e attenzione ai bisogni spirituali dei fedeli".

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Padre Thomas Mushi, Prof. Ndiaye Antoine Mignane, Prof. Bosso Armand Paul e Prof. Okonkwo Ernest B. Ogbonnia

E conclude con un invito diretto a tutti i membri della nostra famiglia religiosa e missionaria: "Raccomando a tutti i superiori religiosi di leggere questa tesi per comprendere meglio come introdurre un sacerdote religioso al Vescovo locale per la nomina a parroco, ed il significato dei rapporti e procedure giuridiche e pratiche, riguardo alla durata dell'ufficio stesso."

La tesi è stata pubblicata il 4 ottobre 2024, festa di San Francesco d’Assisi, a prima vista una coincidenza, ma in effetti una data che ha un importante significato in quanto fondatore di una congregazione religiosa che ha a cuore la missione e la cura delle anime. L'augurio è che questo lavoro serva come strumento nella cura dei fedeli in missione, con l’obiettivo di tutelarla e renderla efficiente. Auguro a tutti una buona lettura.

* Padre Thomas Leon Mushi, IMC, missionario in Kenya. 

La missione come un sospiro

Siamo lieti di pubblicare la Prolusione tenuta oggi dal Cardinale Giorgio Marengo, missionario dell'Istituto della Consolata e Prefetto apostolico di Ulaanbaatar, in occasione della giornata di inaugurazione della Pontificia Università Urbaniana. L'intervento, intitolato "Chiesa missionaria e missionarietà della Chiesa: uno sguardo dall'Asia", suggerisce in maniera confortante il mistero di grazia e gratitudine a cui attinge ogni autentico dinamismo missionario.

La prolusione del Cardinale Marengo è stata preceduta dell'intervento introduttivo del Cardinale Luis Antonio Gokim Tagle, Pro-Prefetto del Dicastero per l'Evangelizzazione (Sezione per la prima evangelizzazione e le nuove Chiese particolari) e Gran Cancelliere dell'Urbaniana.
Dopo l'intervento di Suor Lourdes Fabiola Martinez Sandate, svolto a nome degli studenti dell'Ateneo, le considerazioni conclusive sulle prospettive di studio e ricerca del nuovo Anno Accademico cono state delineate dal Professor Vincenzo Buonomo, Delegato Pontificio e Rettore Magnifico della Pontificia Università Urbaniana

Egregio Gran Cancelliere,
Eminenze e Eccellenze Reverendissime,
Stimato Delegato Pontificio e Rettore Magnifico,
Autorità Accademiche,
Esimi Professori e cari Studenti,

- È con gioia e trepidazione che prendo la parola in mezzo a voi, per la prima volta dopo aver frequentato a lungo questi ambienti universitari dalla parte vostra, degli studenti. Sono molto onorato di trovarmi qui all’apertura di questo nuovo anno accademico, che vedrà ancora una volta insegnanti, ricercatori, studenti e personale amministrativo recarsi quotidianamente su questo colle per dare il meglio di sé, a servizio della Chiesa.

La missione come un sospiro

Il 26 maggio dell’anno scorso è venuto a mancare improvvisamente Padre Stephano Kim Seong-hyeon, sacerdote coreano di Daejeon, con il quale condividevo il servizio missionario in Mongolia. È stata una grave perdita per tutti. Anche lui, come il sottoscritto, aveva studiato in questa Università e ricordo quando parlava dei suoi studi all’Urbaniana. Da sacerdote che si preparava a rientrare nel proprio Paese per iniziare il ministero in diocesi, si chiedeva quale vantaggio avrebbe avuto dallo studiare in questa università. La risposta gli venne da un missionario che aveva speso anni in Paesi a maggioranza mussulmana, in zone di cultura araba. Avendogli chiesto di pronunciarsi sulle teorie del momento, quel missionario non aveva dato una risposta teorica, ma aveva fatto un lungo sospiro: “Ah, la missione!”

Un misto di esultanza e di malinconia, forse anche di frustrazione; gli occhi di quel missionario brillavano e rimandavano a un qualcosa di struggente e di sacro, che aveva plasmato ormai completamente la sua vita. Quel sospiro aveva profondamente interrogato Don Stephano Kim e gli aveva aperto uno squarcio sul mistero della missione come orizzonte che abbraccia la vita, anche quella del sacerdote diocesano. Da quel sospiro aveva deciso di leggere tutto il suo ministero in chiave missionaria. E aveva poi avuto il dono di poter anche partire per la Mongolia.

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Un’icona biblica: l’incontro di Emmaus

“Ah, la missione!”. Questo sospiro fa riflettere anche noi, oggi. Guardiamo per esempio all’episodio dei discepoli amareggiati che escono da Gerusalemme, “il primo giorno della settimana”. Siamo al capitolo 24 del Vangelo di Luca. “Solo tu sei forestiero!” (cfr. Lc 24, 18), come a dire: “Solo tu non sai!”. È uno sbotto di delusione e stizza. “Noi speravamo…” (cfr. Lc 24, 21).
A volte anche noi siamo presi da sospiri disillusi; le cose non stanno come avremmo voluto e ce ne andiamo con gli occhi bassi, incapaci di riconoscere il misterioso Viandante che pure è lì con noi. C’è bisogno che Lui ci scuota con la sua parola forte: “Stolti e lenti di cuore!” (Lc 24, 25). Presto si capisce che non è uno sterile rimprovero, ma il richiamo a fare un salto di qualità, di profondità. “E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui” (Lc 24, 27).

Ebbene sì, l’oggetto della ricerca, dell’insegnamento e dello studio non è l’opinione di questo o quel pensatore, è invece “tutto ciò che si riferisce a Lui”, al Signore e Salvatore, che rivelando il volto del Padre ha cambiato le sorti dell’umanità, innescando il dinamismo della missione. A poco a poco il cuore dei discepoli si apre, fino a trasalire in un sospiro inedito: “Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?” (Lc 24, 32).

Sono l’eucaristia e la Parola a convertire il nostro cuore. Il lavoro accademico che si compie in questa rinomata Università dovrebbe nutrirsi sempre di adorazione e studio meditato in spirito di preghiera e non procedere parallelamente alla vita spirituale, quasi come se fossero binari tenuti insieme a stento. Da qui nasce l’annuncio, non da altro: “Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane” (Lc 24, 35). Finché, proprio “mentre essi parlavano di queste cose” (Lc 24, 36), Gesù in persona si fa presente in mezzo a loro e comunica la pienezza che tutta la storia attende: “Shalom a voi!” (Lc 24, 36).

La missione tende proprio a rendere concretamente possibile questo incontro; sì, perché laddove i discepoli si riuniscono a testimoniare Cristo, Lui si offre in modo nuovo, inedito, attirando tutti nel Suo amore. È Lui, il Risorto, ad aprire le nostre menti a comprendere il senso profondo delle Scritture e a mandarci esplicitamente nel mondo: “Di questo voi siete testimoni” (Lc 24, 48). E lo possiamo essere solo nella potenza del Suo Spirito: “ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso” (Lc 24, 49).

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Una vocazione ancora valida: la missione ad gentes

Se questo dinamismo che tende all’annuncio della sconvolgente novità del Vangelo vale per ogni battezzato in quanto discepolo-missionario - come ci ricorda spesso il Santo Padre, va ricordato che esiste anche una dimensione specifica della missionarietà, quella che chiamiamo prima evangelizzazione o missione ad gentes. Ci si riferisce qui a quel dono di grazia di annunciare il Vangelo in contesti dove esso non è ancora conosciuto e dove semplicemente non ci sono altri a testimoniarlo. È vero che ogni azione della Chiesa è impregnata di missione, perché essa ne costituisce l’obiettivo e ne rappresenta l’orizzonte; ma un conto è porla in atto in situazioni dove la possibilità dell’incontro esplicito con Cristo è offerta in una varietà di declinazioni, rese possibili da comunità credenti già formate e dotate di una moltitudine di carismi e ministeri; diverso – o quanto meno peculiare - è dedicarsi alla testimonianza evangelica laddove non ci sono altri soggetti ecclesiali, perché la comunità non è ancora costituita e strutturata.

È indubbiamente vero che oggi la mobilità umana sta creando situazioni nelle quali l’altro si è avvicinato notevolmente, non è più necessario solcare i mari per incontrarlo. In molte parti del mondo esiste già una porzione locale di Chiesa ed è compito proprio della Chiesa particolare che si trova in quel territorio assumere le sfide derivanti da società sempre più multiculturali e interreligiose. Per quelle regioni più segnate da fenomeni come la secolarizzazione e il calo delle vocazioni sacerdotali, probabilmente si dovrà agire in modo diverso rispetto a tempi passati, ma resta il fatto che la Chiesa è già presente in quei territori. Spesso non pensiamo al dato che invece esistono intere regioni del pianeta in cui la Chiesa non si è ancora pienamente costituita o è ai primi passi del suo radicamento locale.

In Mongolia, per esempio, la Chiesa visibile è presente solo da 32 anni ed è costituita da un piccolo gregge di circa 1500 fedeli locali, accompagnati da un bel gruppo di missionari e missionarie, tra i quali uno solo è un sacerdote locale. Si sta tuttora lavorando a completare la traduzione completa della Bibbia in lingua locale; alcuni testi liturgici devono ancora essere approvati dalla Sede Apostolica. Nelle comunità cattoliche si propone un cammino di introduzione alla fede che dura circa due anni e richiede molto impegno da parte di catechisti e catecumeni, che compiono una scelta di fede piuttosto in controtendenza rispetto alla società in cui vivono, che ha tradizionalmente altri punti di riferimento. Tutto è nuovo e ha un impatto dirompente, che necessita profondità, solidità di dottrina, qualità di testimonianza.

Vivere e operare in tali situazioni è quanto convenzionalmente si chiama missione ad gentes, che continua ad avere un suo valore specifico, perché specifica ne è la vocazione. La maggioranza di tali situazioni in cui l’annuncio evangelico e la vita che ne consegue sono ancora agli inizi si trova in Asia, Continente dove vive circa il 61% della popolazione mondiale, di cui però meno del 13,1% si identifica con il Cristianesimo. Serie di fallimenti storici? Errori procedurali? È difficile dirlo. Soprattutto perché i criteri non possono essere quelli del successo o del fallimento come lo intende il mondo. Il riferimento restano le parole di Gesù sul Regno e la sua incidenza nel mondo, segnata da una sproporzione evidente: poco nel tanto, lievito nella massa, marginalità feconda. In ogni caso, è importante ricordare che esiste questo tipo di servizio missionario specifico, anche all’interno di una Chiesa tutta missionaria.

Una formazione specifica

La missione ad gentes richiede dunque una formazione specifica. 397 anni fa, poco dopo l’istituzione della Sacra Congregazione De Propaganda Fide, nasceva il Collegio Urbano, primo nucleo di questa prestigiosa Istituzione Accademica. Si può “imparare” la missione? Sì, come i discepoli di Emmaus hanno dovuto mettersi in ascolto del Risorto che “spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui”. È soprattutto questione di sondare sempre e di nuovo, sotto tutti gli angoli possibili, il mistero di Cristo e della Chiesa sua Sposa.
La missione ha bisogno della filosofia, ma anche delle scienze sociali, della linguistica, del diritto canonico; soprattutto della teologia. Lo zelo da solo potrebbe non bastare. Il Beato Giuseppe Allamano, Fondatore dei Missionari e Missionarie della Consolata e che proprio fra pochi giorni sarà canonizzato in Piazza San Pietro, usava dire: “Non basta infatti per un missionario la santità, ma è pur necessaria la scienza, e questa secondo il nostro fine. La pietà può formare un buon eremita, ma solo la scienza unita alla pietà, può formare un buon missionario”.

E ancora: “Anche dalla tradizione appare manifesta la necessità della scienza. Papi, Concili, Santi Padri, tutti e sempre dichiararono la necessità della scienza per i sacerdoti. Su questo punto la Chiesa ha sempre insistito con esplicite direttive ai Superiori dei seminari, perché non ammettano agli Ordini coloro che non posseggono la necessaria scienza. Questo spiega perché, in alcune comunità Religiose, non si mandino in Missione che i più dotti”. E concludeva: “Credetemi: farete molto o poco bene, o anche del male, secondo lo studio che avrete o non avrete fatto. Un missionario senza scienza è una lampada spenta”.

Si studia dunque non soltanto perché “ci tocca”, in quanto si è stati inviati dai propri superiori e neanche per nutrire vane ambizioni di carriera: non esiste la carriera nella Chiesa. E sarebbe davvero meschino che un’istituzione accademica così unica nel suo genere venisse considerata come fucina di semplici “impiegati” di strutture diocesane, che non si distinguano per zelo e scienza specificamente orientati alla missione. Si studia per amore di Cristo, della Chiesa e delle persone a cui siamo inviati come missionari. È proprio questo specifico tipo di missione a esigere una preparazione adeguata. È questione di rispetto del mistero dell’incarnazione del Verbo, che si riverbera in quello della Chiesa da Lui inviata non come megafono di un messaggio ideologico, ma come corpo mistico e popolo di Dio, che si trova a proprio agio in tutte le culture, fecondandole con il Vangelo.

Si tratta di prendere sul serio l’incontro tra Vangelo e Culture

Rufina Chamyngerel, anche lei ex-studentessa di questa Università, oggi direttrice dell’Ufficio Pastorale della Prefettura Apostolica di Ulaanbaatar, lo ha detto in maniera disarmante. Nel 2019, in occasione della veglia di preghiera in San Pietro per il mese missionario straordinario indetto da Papa Francesco, ricordò che quando la Chiesa decise nel 1992 di riprendere la missione in Mongolia – interrotta dal settantennio di rigido regime filo-sovietico – non mandò pacchi di libri, ma persone in carne ed ossa, che si sarebbero inserite e avrebbero offerto una testimonianza viva e incarnata del Vangelo.

Sì, l’incontro con Cristo può avvenire nei modi più diversi, per lo più a noi sconosciuti; ma solitamente ha bisogno di mediazioni umane, persone concrete che diano carne alle parole di Gesù e invitino al banchetto del Regno. Lo aveva ricordato con forza San Paolo VI, nell’Esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi e vale la pena riprendere le sue parole oggi: “Gli uomini potranno salvarsi anche per altri sentieri, grazie alla misericordia di Dio, benché noi non annunziamo loro il Vangelo; ma potremo noi salvarci se, per negligenza, per paura, per vergogna - ciò che S. Paolo chiamava ‘arrossire del Vangelo’ - o in conseguenza di idee false, trascuriamo di annunziarlo?”. Questa scuola di discepolato e di missione apre sempre nuovi percorsi di apprendimento, perché entrando in punta di piedi nelle case ad ogni latitudine scopriamo mondi affascinanti da amare e conoscere a fondo.

Grazie allo studio appassionato, all’approfondimento serio, alla ricerca scientifica, quattro secoli dopo la fondazione del nostro Ateneo continuiamo a sondare le infinite profondità del messaggio di Cristo e a decifrare linguaggi culturali che ci permettono di raggiungere il cuore di popoli e persone. Quanti sospiri custodiscono queste mura! La lontananza da casa e una lingua che ancora non si riesce a dominare fanno sospirare; ma anche una traccia di ricerca che sembra perdersi tra le pagine lette in biblioteca o verità storiche difficili da accettare possono trasformarsi in sospiri. Tutto però diventa anelito, perché nella consapevolezza della mancanza ci si apre di più a Dio e al prossimo.

Dal sospiro al sussurro

Il sospiro allora diventa sussurro. Permettetemi di concludere facendo risuonare qui, dove è stata approfondita come categoria missiologica, l’espressione di Mons. Thomas Menamparampil che mi piace proporre per descrivere sinteticamente la missione: sussurrare il Vangelo al cuore delle culture. La missione è un mistero che ci fa sospirare di amore vero innanzitutto per Lui, il Risorto che ci associa a Sé per rendersi presente agli altri. Cristo e il suo Vangelo sono il cuore e l’unico contenuto dello slancio missionario che anima la Chiesa, oggi come sempre. “Guai a me se non predicassi il Vangelo”, ci ricorda San Paolo (1Cor 9, 9). Il mondo ha bisogno di ricevere questa buona notizia e ne ha il diritto. In un’epoca di sfiducia generale nelle grandi narrazioni, di revisionismo storico post-coloniale, di paura di qualsiasi pensiero che non sia debole (perché ritenuto potenzialmente offensivo e minaccioso) la Chiesa continua ad annunciare il Vangelo, in fedeltà al mandato che ha ricevuto dal suo Signore e che campeggia a caratteri cubitali all’esterno dell’edificio principale, Euntes docete. Questo è più che un semplice messaggio, è una parola di salvezza e di pienezza, incarnata nella vita e destinata al cuore, cioè alle fibre più profonde della persona e della cultura in cui essa vive e si comprende. È l’evangelizzazione del cuore a chiedere impegno di decifrazione, studio, approfondimento del meraviglioso intreccio di cultura, tradizione religiosa, lingua, letteratura, arte, musica, ma anche territorio, simboli, tendenze. Quando si è dentro a questa relazione di profonda conoscenza, stima e amicizia viene spontaneo condividere, sussurrare con delicatezza e discrezione ciò che ci sta più a cuore.

Il sussurro dice anche atteggiamento orante, dimensione contemplativa, proprio come nelle antichissime tradizioni religiose nate in Asia, nelle quali prevale il registro della parola meditata, ripetuta, salmodiata. E del silenzio. Ce lo ha ricordato Papa Francesco l’anno scorso proprio in Mongolia, quando si è rivolto così alla piccola Chiesa locale: “Sì, è Lui la buona notizia destinata a tutti i popoli, l’annuncio che la Chiesa non può smettere di portare, incarnandolo nella vita e ‘sussurrandolo’ al cuore dei singoli e delle culture. Questa esperienza dell’amore di Dio in Cristo è pura luce che trasfigura il volto e lo rende a sua volta luminoso. Fratelli e sorelle, la vita cristiana nasce dalla contemplazione di questo volto, è questione di amore, di incontro quotidiano con il Signore nella Parola e nel Pane di vita, e nel volto dell’altro, nei bisognosi in cui Gesù è presente”. Possa questo nuovo anno accademico all’Urbaniana avvicinare tutti a questo Volto e renderci sempre più raggianti e radiosi nel farlo riflettere intorno a noi.

* Originalmente Pubblicato in: www.fides.org (Agenzia Fides 15/10/2024)

Dopo tre anni di ricerca-studio, nella Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università Urbaniana in Roma, il missionario della Consolata tanzaniano, padre Thomas Leon Mushi ha difeso, questo venerdì 14 giugno 2024, la sua tesi dottorale dal titolo “La durata in ufficio del parroco religioso”.

In particolare, lo studio sulla relazione tra i canoni 522 e 682 ha conferito a padre Mushi il titolo di Dottore in Diritto Canonico.

Pubblichiamo una breve presentazione della sua tesi in questo articolo scritto dall'autore stesso.

LA DURATA IN UFFICIO DEL PARROCO RELIGIOSO: Lo studio sulla relazione tra i cann. 522 e 682.

Presentazione della tesi di dottorato in diritto canonico

Motivazioni

L'interesse per intraprendere questo studio nasce proprio dalla mia vocazione religiosa e missionaria. Avendo incontrato vari missionari religiosi lavorando nel settore come parroci, ho coltivato l’interesse di approfondire la mia conoscenza sul ministero del parroco specificamente del parroco religioso.

Il tema però del parroco religioso è molto vasto, e quindi, grazie ai consigli del Moderatore della tesi, il Prof. Paul Armand Bosso, ho potuto restringere il campo ad un aspetto specifico e concreto. Sollecitato anche dall’esperienza acquistata dall’osservazione dei parroci religiosi nel mio paese di origine in Tanzania, nonché nelle nostre missioni in Mozambico e Portogallo, ho deciso di lavorare sull’aspetto che riguarda la “durata in ufficio”.

Il vedere i parroci religiosi spostati (rimossi o trasferiti) con facilità e dopo un breve periodo in ufficio, mi ha spinto a concentrarmi su questo aspetto con lo scopo di offrire chiarezza al riguardo, e possibilmente contribuire con uno strumento che servirebbe come manuale ai Superiori maggiori degli Istituti Religiosi nonché agli Ordinari del luogo per la fattispecie dei parroci religiosi.

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Padre Thomas Mushi, Prof. Ndiaye Antoine Mignane, Prof. Bosso Armand Paul e Prof. Okonkwo Ernest B. Ogbonnia

La novità

La novità di questo studio è proprio come già accennato sta nel titolo “la durata in ufficio del parroco religioso.” Nella nostra ricerca abbiamo evidenziato che il campo di interesse sul parroco religioso è stato poco ricercato e approfondito, e molto meno sulle questioni riguardanti la durata in ufficio.

Le ragioni sono evidenti, perché dalla legge vigente non è specificata.  L’espressione che la ricerca guarda con attenzione è “ad nutum superiorii” in can. 682 senza una diretta considerazione del can. 522 che mette in luce la “stabilitas” per garantire il bene delle anime. Secondo la legge attuale la provvisione ad vitam è meno frequente che della nomina ad tempus determinatum.

L'ufficio di parroco conferito ad un sacerdote religioso e la sua cessazione viene fatto secondo le disposizioni del canone 682, §§1-2. In più, nella procedura generale per la rimozione e trasferimento dall’ufficio del parroco, il religioso parroco è trattato come una eccezione. Può rimanerci 3 mesi, un anno, oppure 20 anni dipendendo dalla discrezione del suo superiore competente. Ma nessuna garanzia viene data per un tempo minimo per il bene delle anime a lui affidate.

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La suddivisione del lavoro

Il nostro lavoro è diviso in tre capitoli. Il primo capitolo riguarda la configurazione giuridica dell'affidamento di una parrocchia ad un istituto religioso. In questo capitolo abbiamo cercato di approfondire la fattispecie dell’affidamento delle parrocchie agli istituti religiosi o ai chierici religiosi singolarmente. Il capitolo conclude con una particolare considerazione sulla personalità giuridica del titolare dell'ufficio di parroco e sul suo rapporto con la sua comunità religiosa e con le autorità competenti. La conclusione indica anche come risolvere la problematica della durata dalle convenzioni stipulate.

Il secondo si occupa dello status quaestionis della ricerca, cioè la durata in ufficio del parroco in generale con richiami alla considerazione giuridica, valida anche per il parroco religioso, che il parroco indipendentemente del suo status d’incardinazione è chiamato a servire il popolo di Dio in collaborazione con l’Ordinario del luogo. L’aspetto comune a tutti i parroci è “il bene delle anime”. È un capitolo di natura comparativa pensando necessariamente al rapporto tra due importanti cann. 522 e 682, §1. Entrambi i canoni trattano la durata dell'ufficio del parroco. Lo studio tocca anche il decreto Maxima cura che ha portato alle disposizioni del Codice Pio Benedettino ed altrettanto, l'apostolato dei religiosi, come raccomandato da alcuni documenti conciliari e postconciliari del Concilio vaticano II nonché l’esaminare la determinazione della durata a partire dai criteri e ruolo svolto dalle Conferenze episcopali. La conclusione indica la soluzione alla problematica considerando can. 522 nell’applicare il can. 682.

Il terzo capitolo è dedicato all'approfondimento delle fattispecie del conferimento e della rimozione di un parroco religioso nel c. 682, §§ 1-2. In questa fattispecie la nostra ricerca segue la norma del diritto come mezzo per il quale si potrà garantire la stabilitas del parroco religioso che dipende veramente dalla durata in termini dei tempi della provvisione e la cessazione d’ufficio. E per garantire la durata della provvisione, come nel primo capitolo presentiamo lo strumento di controllo, c’è la possibilità di ricorso amministrativo oppure gerarchico fino addirittura alla Segnatura apostolica.

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Padre Alberto Trevisiol, Prof. Okonkwo Ernest B. Ogbonnia, padre Thomas Mushi, Prof. Bosso Armand Paul, Prof. Ndiaye A. Mignane e  padre Mathews Odhiambo

Conclusioni

Senza pretesa di esaustività della comprensione della fattispecie del parroco-religioso che ha determinato la nostra ricerca, è chiaro che l'approfondimento della conoscenza circa l'ufficio di parroco affidato ad un sacerdote-religioso, si è sviluppato proprio a partire dal contesto storico della pratica e dall'importanza dell'ufficio stesso. Sulla base dei risultati, è indicativo che il ruolo dei religiosi nella Chiesa locale è importante e positivo. In parte l’identità religiosa non cessa di esserlo grazie alle attività pastorali fuori della casa religiosa al servizio della diocesi e della Chiesa universale in generale. Seguendo l'indole del loro istituto, i sacerdoti-religiosi svolgono il loro ministero, tenendo presenti le prescrizioni dei cann. 673 e 678 §2.

Attraverso questa ricerca, abbiamo esaminato la durata di un parroco-religioso nell'ufficio dal punto di vista storico e giuridico, in modo da stabilire una possibile procedura per garantire la stabilità nell'ufficio per il bene delle anime nella Chiesa.  La ricerca l'ha esaminata soprattutto dal punto di vista della configurazione giuridica dell'affidamento di una parrocchia ad un istituto religioso; osservando la realtà, ha visto che è un fatto innegabile come il numero delle parrocchie affidate agli istituti religiosi sia aumentato negli ultimi decenni in quasi tutta la Chiesa. Le ragioni sono varie, ma in generale si tratta del numero limitato di sacerdoti diocesani necessari per rispondere alla crescente necessità spirituale dei fedeli. Per questo motivo i religiosi addetti alla pastorale parrocchiale sono chiamati ad essere fedeli al carisma del proprio istituto durante tutto il tempo dell’esercizio del loro ufficio.

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Padre Thomas Mushi con i confratelli della Casa Generalizia

Nella sua generalità, il diritto regola vari aspetti: la vita dei fedeli all'interno della Chiesa cattolica e la loro condotta, allo scopo di mantenere l’ordine. Tra questi aspetti, vi sono gli uffici ecclesiastici che sono affidati alle persone fisiche. La legge, nel trattare tali uffici e le persone alle quali sono affidate, non può ignorare il loro status, ad esempio, dei membri chierici diocesani, o religiosi. La dinamica dell'affidamento, anche se simile, nella sua concretizzazione varia da una Conferenza Episcopale all'altra.

Tanto per fare un esempio di ciò che è diverso, paragoniamo la Conferenza Episcopale Italiana (CEI) alla Conferenza Episcopale del Tanzania (TEC) per cui l'una (la prima) nella sua dinamica comprende anche la retribuzione dei titolari degli uffici ecclesiastici, come del parroco, mentre l'altra (la seconda) cerca effettivamente l'aiuto dei titolari degli uffici senza garanzia di retribuzione,  In realtà, può essere il contrario, che i titolari dell'ufficio ecclesiastico cerchino anche i mezzi per sostenere il loro lavoro e le loro iniziative pastorali e aiutare i bisognosi all'interno del territorio. Quindi, in entrambe le realtà i sacerdoti lavorano per lo stesso scopo, ma la considerazione data agli operai è diversa a seconda delle circostanze, o del migliore contesto economico. Con questa preoccupazione siamo d'accordo sul fatto che «la legge universale, nella sua generalità, non può prevedere tutte le eventualità. Occasionalmente ci sono mancanze, incompletezze, inadeguatezze, casus omissus e persino lacune all'interno del corpo legislativo». (J. O. Okello, La potestà dei superiori maggiori degli istituti religiosi di diritto pontificio di dispensare dalle leggi generali e proprie, PUB Roma 2021, 801.

Il conferimento dell'ufficio parrocchiale ad un religioso da parte del Vescovo diocesano non può essere eseguito senza la presentazione, o almeno il consenso del Superiore religioso competente (cf. can. 682, §2). Attraverso questa procedura il religioso-parroco diventa soggetto al Vescovo diocesano in tutte le questioni di pastorale delle anime e al suo Superiore competente per quanto riguarda il suo stato religioso e l'istituto di appartenenza. Inoltre, lo stato religioso non è di per sé incompatibile con il ministero parrocchiale.  Ciò che è veramente importante è cercare il modo corretto attraverso il quale i religiosi possono esprimere e vivere il carisma del proprio istituto religioso mentre esercitano il loro ministero parrocchiale. Il ministero pastorale dei religiosi sarà certamente influenzato dal loro carisma, specialmente dallo stile di vita spirituale e pastorale a cui sono chiamati da Dio mediante la loro vocazione.

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Concretamente, si è cercato di mostrare la configurazione giuridica dell'affidamento di una parrocchia ai religiosi, così come è stata esaminata nell'impostazione del rapporto tra due canoni (682 e 522), dando alcune possibili ragioni per cui il can. 682 sembra mancare di qualcosa quando tratta della questione dei limiti temporali della nomina di un religioso a parroco. Questo lavoro ha messo in luce le informazioni che dovrebbero essere contenute; in particolare, quella su quanto tempo un parroco religioso dovrebbe rimanere nell'ufficio.

Questa “ambiguità” è radicata in tutta la dinamica della nomina, del trasferimento e/o della rimozione di un religioso dall'ufficio. Ciò è dovuto al fatto che i poteri del superiore competente per tali atti amministrativi sono incontrollati e ciò può dare spazio a possibili abusi della potestà discrezionale. La durata della nomina di un parroco-religioso alla luce del rapporto tra due importanti canoni (c. 522 in relazione al c. 682 §1) pone la domanda: «Qual è la ragione necessaria perché un parroco sia stabile nel suo ufficio?». Lo scopo raggiunto è stato la determinazione di ciò che conta davvero: il bene delle anime e quello del titolare d’ufficio.

Da questo studio di ricerca, abbiamo visto che chiaramente la legge deve garantire entrambi: il bene delle anime e il bene del titolare dell'ufficio. Il Concilio vaticano II ha profondamente modificato sia il concetto di ufficio, in cui il servizio delle anime è il fine principale (cf. la definizione di ufficio in Presbyterorum ordinis, 20), sia la ragione della stabilità, che è soprattutto il bene delle anime. Il Concilio Vaticano II si esprime così: «I parroci nelle loro parrocchie devono poter godere di quella stabilità nell'ufficio che il bene delle anime richiede». Non si dovrebbe, perciò, fare distinzione tra parroci; è sempre meglio che tutti siano trattati allo stesso modo e per lo stesso obiettivo. Possiamo quindi, senza dubbio, essere d'accordo sul fatto che la ragione della stabilità è il bene delle anime. I parroci, siano essi religiosi, o diocesani, devono poter godere di quella stabilità nel loro ufficio, che il bene delle anime richiede  (Cf. F. Coccopalmerio, La parrocchia. Tra Concilio Vaticano II e Codice di Diritto Canonico, 165).

In effetti, il ministero di un parroco-religioso non è diverso da quello di un parroco diocesano. Esso si avvale dei compiti specifici della responsabilità della parrocchia, delle sue peculiari funzioni di culto e di evangelizzazione, della paterna guida dei fedeli, nonché dei vari compiti amministrativi connessi con la gestione quotidiana delle risorse della parrocchia e delle varie attività caritative. Il fattore di fondo è il fatto che il munus del parroco è essenzialmente di natura pastorale come affermano alcuni canonisti, si dovrebbe porre maggiore enfasi sull'obiettivo centrale che è la collaborazione con il vescovo nella nobile missione della cura delle anime. Il bene delle anime deve essere al primo posto nella scala dell'importanza, cioè, deve essere preso come un indicatore indispensabile al di sopra del bene dell'istituto religioso.

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L'attuale Codice tace (in parte) sulla procedura di rimozione o trasferimento di un parroco-religioso. Considera solo ad nutum superioris ciò che è sotto la discrezionalità dei competenti superiori.  Siamo del parere che ci debba essere un trattamento equo di tutti i parroci, indipendentemente dal loro status. Questo dovrebbe essere preso in seria considerazione perché non è solo il superiore religioso competente che può rimuovere, ma anche il vescovo e i suoi equivalenti. Questa considerazione garantirebbe il raggiungimento e la permanenza del fine supremo della cura pastorale, che è il bene delle anime. Così, il parroco-religioso dovrebbe essere considerato nel processo di rimozione descritto dai cc. 1740-1747 in modo esplicito, piuttosto che essere trattato come eccezione, ad nutum (cf. can. 682).

La responsabilità di colmare le lacune delle leggi universali e proprie ricade nelle mani di coloro che esercitano il potere pubblico all'interno della Chiesa. Ai sensi del can. 19 del Codice del 1983, sia il Legislatore universale che le competenti autorità interne con funzioni legislative ed esecutive all'interno degli istituti di diritto pontificio hanno il dovere di colmare queste lacune per una migliore amministrazione da parte dei Superiori e per la tutela dei diritti individuali all'interno degli istituti contro ogni forma di abuso di autorità. È nostra convinzione che le autorità responsabili rivedranno la legge universale in modo da colmare le lacune delle leggi che regolano il parroco-religioso.

Inoltre, I Capitoli Generali hanno un ruolo inevitabile per stabilire con chiarezza la prassi dell'affidamento delle parrocchie e la responsabilità dei superiori competenti di nominare i parroci, che saranno istituiti dagli Ordinari del luogo. Dovrebbe esserci anche la possibilità di rivendicare i propri diritti in caso di violazione della legge in procedendo o decernendo. La Santa Sede rimane responsabile di fornire le norme generali da seguire per la produzione di atti amministrativi singolari e le procedure per la rivendicazione dei diritti attraverso il ricorso amministrativo, o gerarchico ogni tal volta che i diritti dell'individuo sono stati violati.

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E in fine, cosciente del principio “Ubi lex non distinguit, nec nos distinguere debemus”, la ricerca fa delle proposte concrete per la soluzione del problema della durata in ufficio d’un parroco-religioso:

i) Che la durata sia specificata nella convenzione, richiamando i superiori competenti affinché rispettino i tempi definiti dalla Conferenza Episcopale del luogo, oppure stabilire il tempo determinato per la provvisione con una clausola specifica.

ii) Nel canone della provvisione dell’ufficio stesso si faccia un richiamo al can. 522 (per esempio: can. 682 2 sarebbe così: «Salvo restando le disposizioni del can. 522, il religioso può essere rimosso dall'ufficio conferito, a discrezione sia dell'autorità che glielo ha affidato, informatone il Superiore religioso, sia da parte del Superiore stesso, informatane l'autorità committente; nell'uno e nell'altro caso non si richiede il consenso dell'altra autorità,».

iii) Che il parroco-religioso sia trattato in modo uguale agli altri parroci per la rimozione, o il trasferimento dall’ufficio e non, invece, come un’eccezione, tutelando il bene dell’anime e non dell’istituto religioso. E, in tutto questo, è opportuno che i parroci stessi siano al corrente dello strumento di controllo a loro disposizione, cioè il ricorso amministrativo e gerarchico per potersene avvalere in caso di violazione di diritto in procedendo o decernendo.

* Padre Thomas Leon Mushi, IMC, è missionario tanzaniano dottore in Diritto Canonico.

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Casa Generalizia IMC a Roma

Universidade Pontifícia Urbaniana promove Congresso  Internacional sobre "O Caminho da Missão"

No Congresso  intervieram mais de 30 palestrantes, especialistas em Missionologia,

O Padre Giuseppe Frizzi, missionário da Consolata e superior da missão de Maúa em Moçambique, ex-estudante da Urbaniana e Doutor “Honoris Causa” pela mesma universidade,  proferiu uma palestra sobre o tema: Os não cristãos - inquietação e dinamismo da missão. Na sua intervenção, focou os elementos importantes da missão hoje, entre dos quais o retorno do enviado em  Lc 9, 1-10.

O P. Frizzi abordou também a Ad Gentes: Macua xirima, fazendo uma comparação profunda entre as atitudes missionárias e a biosofia Macua, de modo particular o paradigma do camaleão (Nikakatau em Macua xirima) que se suicida para dar a vida.

O Vice-superior da região de Moçambique fez presente a visão adgentes neste congresso internacional.

 "O congresso, decorreu entre os dias 21 e 23 de Abril, na Universidade Pontifícia Urbaniana, por ocasião dos 50 anos da promulgação do decreto conciliar Ad Gentes.

Estiveram presentes mais de 30 palestrantes, especialistas em Missionologia, incluindo  os moderadores, de entre os quais, o Cardeal Fernando Filoni - Prefeito da Congregação para a Evangelização dos Povos, Dom Protase Rugambwa - secretário adjunto da Congregação para Evangelização dos Povos, e o Padre Giuseppe Frizzi IMC vice superior da região de Moçambique.

O congresso contou ainda com a participação de cardeais, bispos, diplomatas de diferentes continentes, padres, jornalistas da Rádio Vaticano, religiosos, religiosas, docentes universitários, estudantes das diferentes universidades e outros convidados.

Na sua intervenção, o Padre Frizzi abordou elementos importantes da missão hoje, entre dos quais o retorno do enviado em Lc 9, 1-10. Jesus instruiu os Apóstolos, manda-os para a missão  e no fim eles regressam da missão, contam ao Mestre tudo o que fizeram. Portanto para Luca, segundo o Padre Frizzi, o discípulo de Jesus é um testemunho, ele não é um enviado mas de verdade um testemunho das maravilhas divinas reveladas.

Negar, eliminar ou reduzir a história da salvação é declarar uma guerra contra Deus, e os não Cristãos são porta-vozes da pluralidade no caminho de Deus na história dos povos.

Além do discipulado Lucano, o P.Frizzi falou do Ad Gentes: Macua xirima, no qual de uma forma sabia e resumida fez uma comparação profunda entre as atitudes missionárias e a biosofia Macua, de modo particular o paradigma do camaleão (Nikakatau em Macua xirima) que se suicida para dar a vida. Cristo dá a vida a todos os Homens e é presente em todas as culturas,        portanto Maria é a matriarca de todas as mães e o papel do missionário Ad Gentes é ser uma pessoa que vai à missão e regressa às periferias das cidades.

No final do Congresso, o Padre Alberto Trevisol, IMC, magnifico reitor da Universidade Urbaniana, teceu últimas considerações conclusivas e agradeceu a participação de todos."

 

 

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