Valutare e programmare la missione ad gentes per i prossimi sei anni. Questo è stato l'obiettivo principale della XII Conferenza regionale dei Missionari della Consolata in Tanzania. L'incontro si è svolto dal 2 al 9 febbraio 2024 presso il Consolata Mission Centre Bunju, a Dar es Salaam.
Alla conferenza hanno partecipato 35 missionari di diverse comunità con la presenza del Superiore Generale, padre James Lengarin, del Consigliere Generale per l'Africa, padre Erasto Mgalama, e dell'Amministratore Generale, padre Fredrick Agalo.
Le riflessioni sono state guidate dagli Atti del XIV Capitolo Generale, dal Progetto Missionario Continentale (PMC) e dal Documento della Assemblea Continentale Post XIV Capitolo Generale.
Prima di questo incontro, era stata conclusa un'indagine per elaborare un Instrumentum Laboris che servisse da documento guida. Per tale valutazione sono state create quattro commissioni corrispondenti alle seguenti dimensioni: Formazione di base, Formazione continua, Evangelizzazione e promozione dello spirito missionario ed Economia per la missione. Le stesse commissioni hanno condiviso fra loro un'esperienza arricchente e allo stesso tempo impegnativa.
Dal settore della formazione di base sono state comunicate alcune notizie positive, come l'aumento del numero di giovani che vogliono entrare nel nostro Istituto. Si tratta di una buona notizia, ma allo stesso tempo di una sfida dovuta alla mancanza di spazi sufficienti per accogliere un numero maggiore di giovani. Per questo, la Conferenza ha proposto un Piano di Formazione che prevede la disponibilità di formatori qualificati, un fondo per la formazione, con la collaborazione di tutti i missionari in termini di sostenibilità economica, la costruzione di un nuovo Seminario Filosofico, ecc.
Il settore formazione continua ha elencato una serie di risultati come, per esempio, alcuni missionari hanno fatto il corso di formazione permanente (Bunju, Sagana, Italia) come parte del piano dell'Istituto. Inoltre, sono stati forniti materiali sufficienti e sono state tenute alcune conferenze sul Biennio della persona, è però anche emerso che l'inserimento nella missione è ancora un problema per alcuni missionari. Inoltre, per quanto riguarda i missionari che stanno affrontando alcune particolari situazioni nella loro vita, è stata evidenziata la mancanza di un piano chiaro relativo ai programmi e agli esperti destinati ad aiutarli.
Riguardo a questo, la Conferenza ha aderito al piano proposto dalla XIII Capitolo Generale cercando di capire come concretizzarlo. Inoltre alcune delle questioni che richiedono ancora un'attenzione particolare sono la vita comunitaria, l'importanza della lingua locale per i nuovi missionari, l'accompagnamento dei missionari in difficoltà e di gruppi particolari in base agli anni di professione religiosa o di sacerdozio.
L'ambito dell'evangelizzazione ha rivelato la dedizione e lo zelo apostolico di alcuni missionari nelle attività ad gentes. Tuttavia, è stato valutato che negli ultimi sei anni non abbiamo aperto nessuna presenza ad gentes. Al contrario, abbiamo consegnato una parrocchia ad gentes (Tosamaganga) alla diocesi di Iringa e mentre la parrocchia di Sanza, anch’essa, una significativa presenza ad gentes, è in processo di essere consegnata alla diocesi di Singida.
In questo senso, la Conferenza ha avanzato la proposta di aprire una nuova presenza ad gentes nei prossimi sei anni. Inoltre, ha suggerito il gemellaggio delle parrocchie, in modo che le parrocchie economicamente stabili possano sostenere quelle bisognose. Allo stesso modo, le attività di “consolazione”, come per esempio l’ospedale di Ikonda sono preziose e quindi riteniamo sia necessario continuare a mantenerle. Il contributo dei laici è importante per la nostra evangelizzazione e quindi è necessario formarli e coinvolgerli nella nostra missione ad gentes. Come benefattori locali, possono essere di grande aiuto.
L'economia per la missione ha svelato alcune realtà positive ma anche impegnative. Così le positive sono: le comunità sono in grado di soddisfare le esigenze dei missionari (vacanze, salute, ecc.). Inoltre, ogni missionario ha un'assicurazione sanitaria che può coprire le spese mediche anche al di fuori della Tanzania (almeno in Africa orientale). Allo stesso modo, il 5% delle decime e delle offerte viene restituita all'Istituto. Tuttavia, quanto già si fa non dovrebbe essere un ostacolo per contribuire maggiormente alle case di formazione, soprattutto se si considera la generosità che alcune delle nostre comunità hanno dimostrato negli ultimi sei anni.
Nei prossimi sei anni, la Conferenza ha dato priorità alle seguenti attività ad gentes:
Formazione, conoscenza e applicazione del Direttorio di Amministrazione, e l’attuazione di strategie di sostenibilità con investimenti e cura del nostro patrimonio.
Inoltre, ha incoraggiato un'accurata preparazione ed esecuzione dei vari progetti delle missioni
la preparazione dei missionari in campo amministrativo,
l'attuazione del principio della cassa comune a tutti i livelli, che riguardano le donazioni libere dei benefattori, gli stipendi dei servizi religiosi, il 5% dei progetti, la raccolta di fondi e le adozioni di seminaristi da parte di parrocchie, gruppi e individui. Inoltre, sono importanti i contributi delle varie istituzioni IMC per far fronte al funzionamento quotidiano della Regione.
Per migliorare la trasparenza e la responsabilità, la Conferenza ha proposto che l'Amministrazione lavori come una squadra a tutti i livelli, fornendo rapporti progressivi su questioni riguardanti l'amministrazione e promuovendo frequenti revisioni interne per verificare il funzionamento delle missioni e delle istituzioni.
Infine, le comunità sotto la cura pastorale dell’Istituto devono avere due conti bancari: uno per la comunità IMC e l'altro per la parrocchia e di conseguenza ci devono essere due scritture contabili diverse: una per l'IMC e l'altra per la parrocchia.
Altri temi affrontati durante la Conferenza sono stati l'Animazione Missionaria e vocazionale, la missione nella comunità e la Giustizia Pace e l'integrità del Creato (GPIC). Uno sguardo critico alla prima ha rivelato che la commissione di animazione deve avere un piano chiaro e definito e un programma concreto di attività e deve condividerlo con tutti i missionari della Regione.
Per migliorare la vita missionaria, la Conferenza ha stabilito che ogni comunità deve avere un chiaro Progetto di Vita Comunitario in cui siano delineate alcune attività concrete. Questo permette ai suoi membri di dare concretezza ad alcune proposte come la preghiera, le attività pastorali, la formazione permanente, la correzione fraterna, ecc.
Per quanto riguarda il settore GPIC, la Conferenza ha proposto che questioni come la violenza di genere, l'abuso dei minori, le varie dipendenze, il traffico di esseri umani, le questioni legali a livello delle comunità cristiane, lo sfiducia per la diffusa corruzione in tutte le sue forme, la riconciliazione soprattutto tra famiglie e persone, siano condivise e trattate a livello continentale. Inoltre, i missionari sono invitati a utilizzare i mass media come la rivista Enendeni, per educare e diffondere informazioni su questi temi.
Ringraziamo la famiglia Consolata per i suoi instancabili sforzi affinché il messaggio di consolazione sia diffuso in tutto il mondo. La realizzazione delle proposte sollevate da questa Conferenza richiede un approccio sinodale alla missione. Impariamo a lavorare e a camminare insieme.
* Paulino Madeje, IMC, è direttore della rivista Enendeni.
La esperienza di Elide Ambrosetti, una giovane donna arrivata in Tanzania quasi per caso, ma che oggi vive con la “Tanzania nel cuore”.
Cosa mi ha fatto partire? Penso sia la bellezza del donarsi all'altro, ho sempre cercato di farlo nel mio piccolo, in tutta la mia vita, perché credo sia la cosa che rende più felici. In famiglia ho avuto tanti esempi al riguardo: mia madre, mio nonno, mio padre, mio fratello... abbiamo sempre cercato, forse sempre abbastanza istintivamente, di seguire questo valore cristiano.
Subito dopo il liceo ho iniziato a fare volontariato e proprio in una di queste esperienze, allora stavamo andando in Bosnia dilaniata dalla guerra, ho conosciuto Alessandro, un amico che apparteneva ad una associazione di Santa Marinella che si chiama "Venite e Vedrete" e che organizza dei viaggi missionari di un mese in Tanzania in cui si vivevano diverse missioni in giro per la nazione.
Tra di loro c'era anche il "Consolata Hospital" di Ikonda. La volta che ci andai, nel luglio del 2016, lo visitammo in una sola giornata ma sufficiente per vedere quel che succedeva e si faceva lì. Io avevo iniziato il percorso di studi di infermieristica e quando mi sono laureata ho chiesto al presidente dell'Associazione di mettermi in contatto con gli amministratori del "Consolata Hospital".
Ho cominciato allora un primo anno di volontariato, che poi sono diventati due e così fino ad oggi. Mi sono convinta che ne valeva la pena e tutto quello che ho sentito, l'amore che ho respirato, la vita semplice che ho vissuto, mi ha fatto davvero felice. Riuscivo a mettere assieme lavoro e servizio al prossimo: non avrei mai potuto chiedere di meglio.
Che cosa volevo portare imbarcandomi in questa esperienza? Nel mio non era una cosa inizialmente complicata... portavo me stessa e le mie competenze professionali, cercavo di rendermi disponibile a tutte le esigenze della comunità. Oggi, con altri volontari, abbiamo formato un’associazione che si chiama “Tanzania nel Cuore” e siamo riusciti a realizzare diversi progetti mirati a rispondere a situazioni concrete. Per Ikonda siamo riusciti a raccogliere i fondi necessari per acquistare un nuovo apparecchio radiologico; attrezzi per rinnovare il servizio di fisioterapia; apparecchi elettromedicali per migliorare l'assistenza in sala operatoria e terapia intensiva.
Lo scopo è quello di collaborare con lo staff locale affinché ogni decisione sia finalizzata alle necessità dell'ospedale.
Ad ogni modo penso che sia di più quello che mi sono portata a casa... forse la prima cosa che mi son portata a casa è stata “un’altra casa” perché quello è per me la missione e l’ospedale di Ikonda con le persone che ci vivono e ci lavorano. Sono diventati la mia famiglia. Adesso sono in Italia ma a fine settembre si torna in Tanzania.
Ho tutta l’intenzione di continuare ad aiutare questa missione che i Missionari della Consolata hanno costruito: veramente è un piccolo miracolo che garantisce una migliore qualità di vita delle persone che abitano in quella regione.
Mi chiamo Giacomo Rabino, sono Missionario della Consolata e sono originario della città di Asti in Piemonte. Fra i ricordi della mia infanzia. Ho conosciuto i Missionari fin dalla mia più tenera infanzia: quando andavo all’asilo frequentavo una scuola dell’infanzia diretta dalle Missionarie della Consolata e così, ascoltandole che ci parlavano delle missioni dell’Africa ho sognato che un giorno anch’io sarei potuto essere Missionario della Consolata.
Ho frequentato la scuola elementare sempre ad Asti e ho maturato ancora un po’ la mia vocazione missionaria fino al giorno in cui decisi di entrare al seminario minore della Consolata per la formazione. Tutti gli studi li ho fatti a Torino fino alla mia ordinazione nel 1967.
Dopo l’ordinazione ero stato inviato a Londra per imparare l’inglese e prepararmi così per la mia prima missione: il Tanzania dove ho lavorato per tre bellissimi anni. Ero molto felice nella parrocchia di Mdabulo nella diocesi di Iringa impegnato nell’animazione e formazione giovanile.
Ma poi dopo solo tre anni hanno pensato in me per la formazione e nel 1973, dopo un tempo di preparazione a Roma, ho raggiunto la Spagna dove alla fine rimasi ben 17 anni: come maestro dei novizi -prima a Zaragoza e poi a Valladolid-; poi come superiore provinciale e per concludere ancora una volta formatore nel teologico di Madrid.
Era il 1990 quando sono potuto tornare in Tanzania e ho lavorato ancora nella diocesi di Iringa. Mi sono trovato molto bene nella nuova missione ma poi, qualche anno dopo, mi hanno ancora invitato a lavorare in Europa, ancora una volta in formazione, e questa volta nel seminario teologico di Bravetta.
Ho sempre obbedito a quello che hanno deciso i miei superiore e obbedendo mi ho potuto fare bene e serenamente il mio lavoro.
Attualmente lavoro nella parrocchia di Sadani con la missione particolare di seguire i giovani nelle scuole primarie e secondarie nel territorio parrocchiale. lavoro bene con i giovani e mi sento molto a mio agio condividere con loro un cammino di fede e crescita umana.
In questo corso per missionari anziani ho portato con me il simbolo di una madonna con il bambino sulle braccia: è un regalo che avevo ricevuto in Spagna già un bel po’ di anni fa. Maria è stata colei che ha portato e cresciuto il Salvatore e l’ha consegnato all’umanità perché la salvi. È stata quindi la prima missionaria del Padre che ha portato Gesù al mondo. È lei che ci accompagna in missione dandoci la mano di fare conoscere il suo Figlio Gesù alla gente nella situazione in cui si trovano. Grazie al suo Sì la ricordiamo quotidianamente, come le donne che vedo pregare il rosario nella missione.
In questo corso abbiamo imparato ad affrontare gli anni della vecchiaia serenamente, dando quello che possiamo ancora dare ed accetando una situazione nella quale non possiamo più avere la stessa energia di qualche anno fa. È andato molto bene e sono felice della formazione ricevuta.
* P. Thomas Mushi è Missionario della Consolata, Studente di Diritto Canonico a Roma, e ha intervistato il P. Giacomo Rabino presente al corso dei missionari con 50 anni di ordinazione.
Sono padre Daniel Ruiz, compio non 50 ma 55 anni di ordinazione a dicembre di quest’anno. Sono venuto a Roma perché ero sicuro che questo corso mi sarebbe stato di grande aiuto per trovarmi con la mia realtà, la mia vecchiaia... e così è stato. Il prossimo mese di maggio compirò 78 anni e ho potuto scoprire che la vecchiaia non è, come dicono in swahili, un “mzigo mzito”, un peso noioso da portare, ma è un dono e un valore con il quale, anche se le forze mancano un po’, abbiamo ancora tanto da dare agli altri.
Tutto quello che abbiamo raccolto nella nostra vita è da comunicare agli altri, una saggezza che non va sprecata.
Grazie mille per questo corso, è stato un grande regalo. Torno in Tanzania per continuare a comunicare ed annunciare ai fratelli e lo faccio con maggior fiducia in Colui che mi ha chiamato e continua a dare la vita per noi.
Il simbolo che ho portato è una tartaruga, perché la tartaruga? Perché in Kiswahili ci sono delle favole che hanno come protagonista Mzee Kobe, cioè l’anziano tartaruga. Questi è un animale simpatico, certamente lento, ma ci comunica la pazienza e la saggezza.
La ragione di questo segno che mi sono portato viene da lontano, da quando sono arrivato in Tanzania la prima volta. Avevo trovato p. Giovanni Barra al quale avevo chiesto di consigliarmi qualcosa di importante per la mia nuova missione in quel paese. Lui mi ha risposto con un indovinello che diceva così: “chi non ce l’ha l’acquista e chi ce l’ha la perde... che cos’è?”. Ci avevo pensato un po’ e dopo mi ero arreso. E allora lui mi ha risposto in questo modo: “la pazienza figliolo! Se non ce l’hai la acquisterai, e se ce l’hai la perderai!”.
È la frase che non mi dimentico mai... io in realtà mi sembra di averne ma è pur sempre vero che ogni tanto la perdo e allora la devo riacquistare. È un valore per me e per quelli che convivono con me e da lì il simbolo che ho portato per “presentarmi” in questo corso: la tartaruga, la saggezza di Mzee Kobe.
Ai missionari giovani consiglierei prima di tutto d’avere un forte senso di appartenenza. Loro hanno lasciato le loro famiglie ma non le hanno abbandonate: continuano ad amarle come prima. Pero adesso hanno una nuova famiglia: la famiglia dei missionari della Consolata, la nostra congregazione, il nostro istituto. È qui che ci dobbiamo donare tutto, “hali na mali”: cuore e anima.
I giovani devono rendersi conto che se siamo fragili se non abbiamo la fede salda, la missione sarà dura. Quindi fede in Gesù che ci chiama e ci invia, prima veri cristiani e poi missionari.
* P. Thomas Mushi è Missionario della Consolata, Studente di Diritto Canonico a Roma, e ha intervistato il P. Daniel Ruiz presente al corso dei missionari con 50 anni di ordinazione.
Mi ha sempre impressionato fratel Paolino con il suo silenzio operativo... Ci siamo conosciuti quando lui aveva un’età già avanzata, e per quello la sua foto da giovane sull’altare con una cazzuola in mano mi ha colpito molto. Era una foto presa durante la consacrazione del cattedrale di Iringa nel momento in cui si mette la reliquia sull’altare.
Paolino nasce a Roncola San Bernardo (Bergamo) il 13 Aprile 1937. Si avvicina all’Istituto molto giovane e fa la prima professione il due ottobre del 1956 nella Certosa di Pesio con solo 19 anni e i voti perpetui ad Alpignano, nella casa di formazione dei fratelli, lo stesso giorno di tre anni dopo, nel 1959. Dopo di allora in Italia rimase solo due anni e nel 1962 raggiunse la Tanzania e visse fra di noi per ben 61 anni, fino alla sua morte avvenuta il 15 Febbraio 2023.
Era forse piú tanzaniano lui che molti di noi! Lasciare quindi la sua sepoltura in mezzo alla sua gente a Tosamaganga è stata forse la scelta più opportuna.
Quella sua immagine sull’altare con una cazzuola descrive bene la sua storia e personalità. Raccontava lui stesso che quando era venuto in Tanzania sperava di continuare a lavorare come falegname, era quella la sua attività professionale, ma ha finito per fare il muratore. In una occasione il Vescovo di Iringa, Mons. Beltramino, gli chiese di accompagnarlo in Seminario per costruire una scala...
–Eccelenza non posso farlo, disse al vescovo, io sono un falegname!
–Non ti preoccupare, rispose in vescovo, io ti insegno come si fa.
Certamente erano altri tempi, ma era anche ben rappresentata la volontà di servizio e la disponibilità di fratel Paolino... e così la sua professione di falegname si trasformò in una professione di muratore. Si unirono l’altare, la sua consacrazione religiosa, con la cazzuola il suo nuovo lavoro che l’accompagnò per anni.
Prese l’avvio in questo modo l’avventura missionaria di Paolino, che girava dappertutto costruendo chiese, altari, scuole, case per comunità religiose, dispensari, seminari... quelli di Morogoro e Mafinga, il centro di Spiritualità di Bunju, il Monastero delle suore Camaldolesi di Mafinga.
Che patrimonio ci lascia questo grande missionario? La prima cosa è la fedeltà alla missione e alla sua consacrazione come fratello, una chiamata particolare diversa da quella del sacerdote. Lui era sempre presente: se non si trovava nelle missioni per qualche impegno concreto lo si trovava sempre attivo nella casa regionale sottolineando, con la sua presenza, l’importanza della comunità pwer la vita consacrata.
Senza tanta chiacchiere fratel Paolino faceva bene il suo lavoro: silenzioso, come insegna il Beato Giuseppe Allamano per il quale “il bene va fatto bene e senza rumore”, era perfino poco conosciuto dalla gente per questo motivo. Non sbandierava mai i lavori compiuti con maestria e faceva tutto per il Signore.
Nel suo silenzio operativo, fratel Paolino ci ha insegnato che quello che importa è la gioia di aver fatto bene il tuo dovere. Quando si vede una opera terminata non si sa niente del lavoro pesante che si è dovuto realizzare prima di cominciare ad edificare. Eppure tutto questo è assolutamente importante... e questo è stato il lavoro di Paolino e di molti fratelli: umili, nascosti, magari anche dimenticati ma indispensabili.
Ringraziamo oggi il Signore che ci ha regalato il carisma e l’impegno di Paolino: il suo servizio perseverante e il suo silenzio operoso. Preghiamo per la vocazione dei fratelli.
* Padre Erasto è superiore provinciale dei Missionari della Consolata in Tanzania