Nella cattedrale di Nostra Signora dell'Assunzione a Jakarta, Francesco si rivolge a vescovi, sacerdoti, diaconi, consacrati, seminaristi e catechisti: la fede non si impone, ma si condivide con gioia. E poi spiega il senso della "compassione": non dispensare elemosine ma abbracciare i sogni di giustizia.

"Ciò che manda avanti il mondo non sono i calcoli di interesse, che finiscono in genere col distruggere il creato e dividere le comunità, ma la carità che si dona"

Fede, fraternità, compassione: le tre parole chiave, che costituiscono il motto della visita apostolica nel variegato Paese asiatico composto di ben 1.300 etnie e popoli, sono al centro del discorso pronunciato da Papa Francesco discorso pronunciato da Papa Francesco nella cattedrale di Nostra Signora dell'Assunzione, a Jakarta. Siamo nel cuore della megalopoli, proprio di fronte alla moschea Istiqlal dove domani (stanotte in Italia) si terrà l'incontro interreligioso con la firma della Dichiarazione congiunta con l'imam Nasaruddin Umar. È stato un gesuita architetto, Antonius Dijkmans, a progettare, a fine '900, quello che è il luogo di culto principale per i cattolici indonesiani, oggi più di 8 milioni di fedeli, pari a poco più del 3 percento della popolazione. Al secondo piano della chiesa un museo ne illustra la storia.

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Le religiose in ascolto del Papa

In questa prima giornata di permanenza in Indonesia - che finora ha visto impegnato il Pontefice nell'incontro con le autorità e la società civile, al palazzo presidenziale e, successivamente in nunziatura, in quello privato, ormai tradizionale per ogni trasferta papale internazionale, con i gesuiti locali - il Papa torna sui temi del dialogo, dell'amicizia sociale, di come incarnare il Vangelo in un contesto estremamente diversificato. Lo fa dopo aver scandito la necessità di contrastare "l'estremismo e l'intolleranza", di evitare che la fede venga manipolata per fomentare odio e accrescere divisioni. Dinanzi a vescovi, sacerdoti, diaconi, consacrati, consacrate, seminaristi e catechisti, guide pastorali di 37 diocesi, e mentre i presuli celebrano un secolo dalla fondazione della Conferenza episcopale (al 1940 risale invece la consacrazione del primo vescovo indigeno), Francesco si pone in ascolto di chi gli illustra (un prete, una suora e due catechisti) le sfide ordinarie di questo 'piccolo gregge' dell'Asia sud orientale. 

Per una Chiesa sinodale

Prima di procedere con la lettura del testo preparato, il Papa ascolta l'impegno di cui si fa portavoce il capo dei vescovi, monsignor Antonius Subiantu Bunjamin, nel suo saluto di benvenuto: "Cercheremo sempre più un incontro con Dio che esprima la gioia del Vangelo, crei una cultura dell’incontro in cui vediamo gli altri come fratelli o sorelle e ripristini l’integrità della creazione ascoltando il grido dei poveri e della terra, la nostra Casa comune". Poi si concede alcune sottolineature a braccio in cui rimarca il ruolo cruciale dei catechisti, "la forza della Chiesa". Chiede, in un clima di grande familiarità, quanti siano i seminaristi in assemblea. Evoca l'essenza di una Chiesa veramente sinodale, in cui "ognuno ha il suo compito per far cresere il popolo di Dio", laici e bambini compresi. 

Rispetto e sobrietà per la cura della Casa comune

Il Papa si compiace di quella connaturale tensione all'unità e alla convivenza pacifica che contraddistingue la cultura indonesiana, certamente non un monolite ma un poliedro. I principi tradizionali della Pancasila, ne sono al tempo stesso riflesso, fondamento e garanzia. Francesco esalta l'enorme ricchezza naturale del Paese e invita a coltivare, dinanzi a questa abbondanza meravigliosa, un cuore grato e responsabile, oltre ogni tentazione di orgoglio. "Guardare a tutto questo con umili occhi di figli ci aiuta a credere, a riconoscerci piccoli e amati", ricorda. E rimanda alle condivisioni ascoltate da chi ha offerto la propria testimonianza, in particolare ha apprezzato la voce di Agnes:

Ce ne ha parlato Agnes, a proposito del nostro rapporto con il creato e con i fratelli, specialmente i più bisognosi, da vivere con uno stile personale e comunitario improntato al rispetto, alla civiltà e all’umanità, con sobrietà e carità francescana.

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La cattedrale di Nostra Signora dell'Assunzione a Jakarta

L'annuncio del Vangelo non si impone, non è proselitismo 

Il Papa, che più volte ricorre a citazioni letterarie, in questa occasione cita un verso del Nobel Wisława Szymborska, poetessa polacca: essere fratelli vuol dire amarsi riconoscendosi «diversi come due gocce d’acqua». Torna, dunque, sul senso della fraternità: accogliersi a vicenda riconoscendosi uguali nella diversità. L'invito, cui già la Chiesa indonesiana tiene molto per costituzione, è di valorizzare sempre l'apporto di tutti, generosamente e in ogni contesto. 

[...] Annunciare il Vangelo non vuol dire imporre o contrapporre la propria fede a quella degli altri, ma donare e condividere la gioia dell’incontro con Cristo (cfr 1 Pt 3,15-17), sempre con grande rispetto e affetto fraterno per chiunque. E in questo vi invito a mantenervi sempre così: aperti e amici di tutti – “mano nella mano”, come ha detto don Maxi –  profeti di comunione, in un mondo dove sembra invece stia crescendo sempre più la tendenza a dividersi, imporsi e provocarsi a vicenda (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 67).

Il catechista, un ponte che unisce

Francesco si sofferma poi sull'importanza di favorire la più ampia accessibilità, non solo dei testi biblici ma anche degli insegnamenti del magistero, mediante la traduzione nella lingua ufficiale locale, il Bahasa Indonesia. Del resto è ciò che sperano gli stessi operatori pastorali. L'immagine che ha colpito tanto il Papa in cattedrale è quella del ponte, evocata dal catechista Nicholas. Così insiste su quei costruttori di ponti, i catechisti appunto, fondamentali per edificare la Chiesa, senza i quali non si reggerebbe, così come senza i collegamenti tra le migliaia di isole, non ci sarebbe coesione in un arcipelago. Cosa è la fraternità se non un ricamo? E chi è, invece il divisore, chiede ancora Francesco: "Il diavolo". 

Un ricamo immenso di fili d’amore che attraversano il mare, superano le barriere e abbracciano ogni diversità, facendo di tutti «un cuore solo e un’anima sola» (cfr At 4,32).

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Sacerdoti e religiosi nella cattedrale di Nostra Signora dell'Assunzione a Jakarta

I calcoli di interesse sono distruttivi, la carità edifica

Infine, il Papa precisa il significato della compassione che molto è legata alla fraternità, "il patire con l'altro, bella parola...". Non è una debolezza ma una virtù, non è dispensare elemosine dall'alto di una torre, non è qualcosa che offusca la visione della realtà in un pietismo poco incisivo. Tutt'altro, come è richiamato nella Fratelli tutti: "Vuol dire anche abbracciarne i sogni e desideri di riscatto e di giustizia, prendersene cura, farsene promotori e cooperatori, coinvolgendo anche altri, allargando la “rete” e i confini in un grande dinamismo espansivo di carità". Il Papa invita ad essere attenti al "linguaggio del cuore", ricorda di "toccare" la povertà dell'altro, incrociando per davvero il suo sguardo. "Questo non vuole dire essere comunista, vuol dire carità", insiste ancora a braccio Bergoglio. Sono alcuni aneddoti raccontati dal Papa, che generano anche qualche ilarità nei presenti, ad accompagnare una espressione più volte ripetuta: "Il diavolo entra dalle tasche". 

Ciò che manda avanti il mondo non sono i calcoli di interesse - che finiscono in genere col distruggere il creato e dividere le comunità - ma la carità che si dona.

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Forti nella fede, aperti alla fraternità, vicini nella compassione

Procedendo con il suo tipico linguaggio per immagini, il Papa si lascia affascinare dal portale della cattedrale per evidenziare su cosa davvero si regge la Chiesa. La roccia è Cristo che "sembra portare il peso di tutta la costruzione", Maria simbolicamente con il suo 'sì' sostiene l'opera. Maria, immagine di fraternità, di accoglienza, icona di compassione. Conclude, il Successore di Pietro, ricordando e facendo proprie le parole del Salmo 96 che San Giovanni Paolo II amò ripetere in questa terra nell'89: Gioiscano le isole tutte. 

Anch’io vi rinnovo questa esortazione, e vi incoraggio a continuare la vostra missione forti nella fede, aperti a tutti nella fraternità e vicini a ciascuno nella compassione. Vi benedico e vi ringrazio per il tanto bene che fate ogni giorno! Prego per voi e vi chiedo, per favore, di pregare per me. Grazie.

* Antonella Palermo - Città del Vaticano. Originalmente pubblicato in: www.vaticannews.va

Un paio di sandali, una lampada, la Bibbia e un'immagine della Madonna di Aparecida, la patrona del Brasile. Questi erano alcuni dei simboli portati nella processione d'ingresso per ricordare l'essenziale della consacrazione a Dio vissuta nella diversità dei carismi. Il coro della comunità brasiliana intonava melodie familiari. L'atmosfera di preghiera si è creata nella bellissima Basilica di Sant'Andrea della Valle a Roma, dove più di 200 religiosi e religiose di diverse congregazioni si sono riuniti nel pomeriggio di domenica 11 febbraio per una Messa di ringraziamento.

Organizzata dalla comunità brasiliana a Roma, dai religiosi e dalle religiose brasiliani e dalla stessa Basilica nella persona del suo Rettore, il padre João Marcos, la celebrazione aveva lo scopo di commemorare la Giornata della Vita Consacrata (celebrata il 2 febbraio). Il cardinale João Braz de Aviz, prefetto del Dicastero per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, ha presieduto la messa e ha incentrato la sua omelia su due immagini: "vivere la compassione e camminare insieme".

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Il cardinale brasiliano, João Braz de Aviz, prefetto del Dicastero per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica

"L'incontro di Gesù con il lebbroso ci dice molto sulla vita che ci ha chiamato a sperimentare", ha sottolineato il cardinale riflettendo sul Vangelo di Marco (1,40-45). "Gesù si avvicina all'uomo e lo tocca, ascolta il suo grido e lo guarisce. Gesù ha fatto questo perché aveva compassione". "Oggi –ha aggiunto– Siamo in un momento in cui la Vita Consacrata, come vita cristiana, è chiamata a cambiare il suo cammino per diventare una risposta per noi e per le persone".

Ispirandosi al Sinodo sulla sinodalità, il card. João Braz ha incoraggiato le comunità religiose a camminare insieme, con il carisma e la cultura dell'altro, valorizzando ogni gesto. "Molte delle nostre comunità di Vita Consacrata cercano Dio, ma non riescono a capire la loro sorella o il loro fratello. Ebbene: quando non capiamo più i nostri superiori e, a volte, non sappiamo cosa fare dell'obbedienza è quanto abbiamo bisogno di questa compassione e di questo camminare insieme!", "Penso –ha esclamato– che la Chiesa d'ora in poi, come già avviene in molte comunità religiose, si muoverà sempre più verso i poveri. Che Dio ci aiuti a farlo", augurò il cardinale brasiliano.

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Religiosi e religiose brasiliani durante la messa nella Basilica di Sant'Andrea della Valle a Roma.

Sempre commentando l'incontro di Gesù con l'uomo affetto da lebbra, il card. João Braz ha implorato a Dio la capacità di compassione. "Come Dio ha compassione di noi, così possiamo imparare a non essere più noi stessi, ma ad abbassarci, ad accogliere, a percepire, a guardare con maturità, a saper tacere nei momenti in cui non sappiamo spiegare e a offrire ciò che è difficile da comprendere".

Parlando del Papa che serve nel Dicastero, il cardinale ha fatto un'osservazione: "Quanti di noi hanno cominciato a dubitare del ministero di Francesco. Questo è un grande dolore, proprio del Papa che ci sta avvicinando alle pagine più preziose del Vangelo. Dobbiamo stare attenti e camminare in comunione con tutti e insieme", ha esortato.

Il 70° anniversario della Conferenza dei Religiosi del Brasile

La data della celebrazione ha coinciso con la memoria della Madonna di Lourdes e la Giornata Mondiale del Malato, ma anche con l'anniversario della creazione della Conferenza dei Religiosi del Brasile che è stata fondata precisamente l'11 febbraio 1954 a Rio de Janeiro durante la celebrazione del Congresso Nazionale dei Religiosi. Ha partecipato alla celebrazione eucaristica anche Suor Eliane Cordeiro, attuale Presidente della CRB nazionale che è a Roma per un incontro in preparazione al Giubileo della Vita Consacrata che si terrà nel 2025.

Rivolgendosi ai presenti al termine della celebrazione, ricordando il 70° anniversario della CRB, li ha invitati al Congresso che si terrà dal 30 maggio al 2 giugno di quest'anno a Fortaleza, con la partecipazione di 700 religiosi e religiose. "È un momento di festa e di ringraziamento" –ha detto suor Eliane– "e voi siete un pezzetto di Brasile qui a Roma, che indubbiamente diffonde gioia, umanizzazione e accoglienza, che sono le nostre caratteristiche".

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Suor Eliane Cordeiro (seconda da sinistra), la Presidente della Conferenza dei Religiosi del Brasile (CRB)

Ha anche spiegato che il programma del Congresso ruoterà attorno a quattro parole: Memoria, Mistica, Profezia e Speranza. Concludendo ha ricordato questi aspetti della vita religiosa: "essere sempre al servizio dei poveri, vivendo l’amore per la Chiesa, per Gesù e per il suo Vangelo".

Padre Leonir Chiarello, scalabriniano, ha ringraziato il cardinale per la sua presenza fraterna e ha riassunto così le sue parole: "il carisma della compassione ci aiuta a camminare insieme in tutte le forme di vita".

A nome della coordinazione, il padre Júlio César Werlang, si è congratulato con tutti i partecipanti e ha ricordato il prossimo appuntamento dei religiosi e delle religiose brasiliani a Roma, che sarà sabato 17 febbraio, con una riflessione sulla Campagna della Fraternità 2024 dal tema "Fraternità e amicizia sociale", ispirato all'Enciclica “Fratelli Tutti" di Papa Francesco.

* Padre Jaime C. Patias, Comunicazione IMC Roma.

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Le religiose della Congregazione di Sant'Anna erano state prese in ostaggio da uomini armati lo scorso 19 gennaio, mentre viaggiavano su un autobus. Sequestrate anche altre due persone. Tutti sono stati rilasciati, come conferma l'arcivescovo della capitale haitiana Mesidor. Domenica scorsa l'appello del Papa all'Angelus per le suore e per la pace sociale nell'isola

Sono state liberate le sei suore della Congregazione di Sant’Anna rapite lo scorso 19 gennaio a Port-au-Prince, Haiti. Rilasciate anche le altre persone che le accompagnavano e prese in ostaggio da uomini armati che avevano bloccato l’autobus sul quale viaggiavano e che, come riferito dai media locali, avevano chiesto una somma pari a 3 milioni e mezzo di riscatto. La conferma della liberazione giunge ai media vaticani dall’arcivescovo metropolita della capitale haitiana, Max Leroys Mesidor, presidente della locale Conferenza Episcopale, che esprime la gioia per la notizia e ringrazia tutti coloro che hanno prestato attenzione e offerto sostegno in questa situazione: “Rendiamo grazie a Dio! Grazie per il vostro sostegno”.

L'appello del Papa all'Angelus 

Il Papa nell’Angelus dell’ultima domenica, 21 gennaio, aveva lanciato “accoratamente” un appello dalla finestra del Palazzo Apostolico per il rilascio delle sei religiose e per i drammi che vive l’isola: “Prego per la concordia sociale nel Paese e invito tutti a far cessare le violenze che provocano tante sofferenze a quella cara popolazione”, ha detto il Pontefice.

Le parole di monsignor Dumas

Alla richiesta accorata del Papa era seguita quello di monsignor Pierre-André Dumas, vescovo di Anse-à-Veau-Miragoâne e vicepresidente della Conferenza episcopale, che, tramite i microfoni della Radio Vaticana, aveva fatto sapere di volersi offrire come ostaggio in cambio delle religiose.  “Sequestrare delle donne che dedicano la loro vita ad occuparsi di salvare poveri e giovani è un gesto che vedrà il giudizio di Dio”, ha aggiunto poi il presule, stigmatizzando il rapimento che si unisce ai numerosi episodi di violenza che feriscono il volto del Paese.

Sempre Dumas, in una nota diffusa oggi, rende grazie al Signore per la liberazione degli otto ostaggi: "Questo evento traumatico - scrive - ha messo ancora una volta alla prova la nostra fede, ma essa rimane incrollabile". Abbiamo "gridato" a Dio, prosegue, ed "Egli ci ha reso forti nelle nostre prove e ha riportato i nostri prigionieri alla libertà. Ha convertito i cuori induriti e libererà Haiti da ogni male, affinché tutti i suoi figli conoscano la gioia di una libertà inestimabile. La Chiesa rimane impegnata per l'avvento di un'era di giustizia e di pace ad Haiti". 

La Chiesa haitiana in preghiera

La stessa Chiesa cattolica haitiana proprio ieri, 24 gennaio, aveva organizzato una giornata di preghiera, meditazione e Adorazione Eucaristica per le religiose e tutte le persone sequestrate. “Devono smetterla di calpestare la dignità inalienabile dei figli di Dio!”, scrivevano in una nota congiunta l'arcivescovo Mesidor e padre Morachel Bonhomme, presidente della Conferenza dei religiosi di Haiti, invitando tutti i fedeli haitiani a "organizzare una catena di preghiere incessanti" per il rilascio dei sequestrati. Oggi, quindi, la buona notizia della liberazione.

Fonte: Vatican News

«A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? Esso è come un granellino di senapa che, quando viene seminato per terra, è il più piccolo di tutti semi che sono sulla terra; ma appena seminato cresce e diviene più grande di tutti gli ortaggi e fa rami tanto grandi che gli uccelli del cielo possono ripararsi alla sua ombra». (Mc 4,30-32)

L’Aula Paolo VI in Vaticano come un grande cenacolo. I tavoli rotondi disposti attorno alla Parola e all’icona della Madre, la Salus populi romani che, come a Cana, vigila con premura e discrezione sullo svolgersi del banchetto, custodendo la comunione, la gioia, la festa. Sedute alla mensa della Parola, che risuona nella Scrittura e nella voce dell’altro, oltre 400 persone provenienti dai 5 continenti e dalle più diverse esperienze di Chiesa – cardinali, vescovi, preti, diaconi, consacrati e consacrate, laici e laiche – uniti da ciò che li rende profondamente fratelli e sorelle, al di là di ogni ruolo, titolo, funzione, servizio, responsabilità: il Battesimo, l’immersione in Cristo, la vocazione cristiana! 

Ecco l’immagine della prima sessione della XVI Assemblea del Sinodo dei Vescovi, svoltasi dal 4 al 28 ottobre 2023.

È stata una grazia per me potervi prenderne parte. Una grazia del tutto inaspettata, che ho gradualmente colto nella sua dimensione di novità, di benedizione, di luce a mano a mano che i lavori sinodali procedevano. La veglia di preghiera ecumenica “Together”, svoltasi in piazza San Pietro il 30 settembre, le giornate di ritiro a Sacrofano dalla sera del 30 settembre alla sera del 3 ottobre, le celebrazioni eucaristiche nella Basilica di San Pietro all’inizio dell’Assemblea, all’avvio di ogni nuovo modulo tematico e a conclusione dei lavori, la liturgia quotidiana semplice e curata, il clima di preghiera, di rispetto e di accoglienza cordiale, il dialogo ritmato dalla “conversazione nello Spirito”, con i suoi spazi di silenzio, di ascolto riverente dell’altro e di meditazione personale, hanno favorito la conoscenza reciproca, la libertà di espressione, la riflessione e la rielaborazione del proprio vissuto e del proprio pensiero toccato, illuminato e provocato dal vissuto e dal pensiero altrui, consentendo lo svolgersi di un processo di discernimento che ha condotto progressivamente l’Assemblea a individuare convergenze, questioni da affrontare e proposte, approvate a larghissima maggioranza e raccolte nella Relazione di sintesi. 

Al di là dei contenuti approvati, offerti a tutto il Popolo di Dio come materiale per continuare il discernimento nel periodo che ci separa dalla seconda sessione dell’Assemblea (Ottobre 2024), il clima umano e spirituale che si è creato fra i partecipanti al Sinodo lungo il mese di lavoro assieme costituisce, già di per sé, un dono straordinario, che merita assolutamente di essere contemplato, ruminato, fatto sedimentare e fruttificare nel cuore di chi lo ha ricevuto e in tutta la Chiesa. La comunione è dono dall’Alto, che chiede umilmente di essere accolto nel terreno del nostro cuore e delle nostre relazioni. Questo dono è sceso. Come un piccolissimo seme. Senza rumore. Come brezza leggera; come rugiada; come luce lunare che rinfresca, unifica e consola, senza abbagliare. Ad un certo punto, ce ne siamo accorti, con commossa sorpresa: il seme era lì, dentro di noi e tra di noi, e si manifestava nei sorrisi sinceri, nelle parole rispettose e vere, nelle caramelle che qualcuno portava e giravano per i tavoli, nel cominciare spontaneamente a chiamarci reciprocamente col nome di Battesimo, lasciando da parte un po' di titoli, funzioni, ruoli, ecc. che magari indicano i diversi e essenziali servizi di ognuno di noi ma non identificano la persona nel suo nucleo più profondo. Battezzati e battezzate in Cristo che si riconoscono, si ascoltano, comunicano e, pur seduti a questa mensa tutta particolare, camminano insieme. Insieme nei gruppi di lavoro (Circoli minori, tecnicamente), diversi per ognuno dei temi che l’Instrumentum laboris proponeva. Insieme in Assemblea plenaria (Congregazione generale, tecnicamente), ascoltano l’apporto di ogni gruppo e quello di chi desiderava condividere con tutti un contributo personale. Insieme con papa Francesco, seduto a uno dei tavoli, durante le Assemblee plenarie, ascoltando, ascoltando, ascoltando… e offrendo in qualche momento la sua parola breve, incisiva, sobria, chiara, incoraggiante. Insieme a tanti fratelli e sorelle nel dolore a causa della guerra, di dinamiche assurde, violente e maligne che cercano in ogni modo di sradicare dai cuori e dalle relazioni i semi del Bene. Li abbiamo portati con noi nella preghiera, nella condivisione e nella solidarietà con i fratelli e le sorelle sinodali che provengono da luoghi e situazioni particolarmente segnate da queste dinamiche di morte. Sappiamo che il piccolo seme del Regno possiede in sé stesso la straordinaria tenacia della resurrezione, la forza mitissima dell’Agnello che attraversa la morte e la vince dal di dentro, l’umile potenza del chicco di grano che caduto in terra e sepolto muore per portare frutto. 

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Nella pagina conclusiva della Relazione di sintesi della prima sessione, l’Assemblea sinodale così si esprime: 

«Per annunciare il Regno, Gesù ha scelto di parlare in parabole. Ha trovato nelle esperienze fondamentali della vita dell’uomo – nei segni della natura, nei gesti del lavoro, nei fatti della quotidianità – le immagini per rivelare il mistero di Dio. Così ci ha detto che il Regno ci trascende, ma non ci è estraneo. O lo vediamo nelle cose del mondo o non lo vedremo mai. In un seme che cade nella terra Gesù ha visto rappresentato il suo destino. Apparentemente un nulla destinato a marcire, eppure abitato da un dinamismo di vita inarrestabile, imprevedibile, pasquale. Un dinamismo destinato a dare vita, a diventare pane per molti. Destinato a diventare Eucaristia.

Oggi, in una cultura della lotta per la supremazia e dell’ossessione per la visibilità, la Chiesa è chiamata a ripetere le parole di Gesù, a farle rivivere in tutta la loro forza.

“A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio, o con quale parabola possiamo descriverlo?”. Questa domanda del Signore illumina il lavoro che ora ci aspetta. Non si tratta di disperdersi su molti fronti, inseguendo una logica efficientistica e procedurale. Si tratta piuttosto di cogliere, tra le molte parole e proposte di questa Relazione, ciò che si presenta come un seme piccolo, ma carico di futuro, e immaginare come consegnarlo alla terra che lo farà maturare per la vita di molti» (XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, I Sessione, Relazione di Sintesi, Vaticano 28 ottobre 2023, p. 36).

Dunque, buon lavoro a tutti e a tutte! Alla ricerca del piccolo seme non solo nel lavoro sinodale che ci viene restituito, ma anche dentro di noi, nell’altro, nella comunità, nella Chiesa, nei popoli, nel mondo, per consegnarlo alla terra feconda della nostra umanità e lasciare che Dio lo faccia crescere, albero ospitale per «tutti, tutti, tutti»! (Papa Francesco, Discorso in occasione della XXXVII Giornata Mondiale della Gioventù, Lisbona 03 agosto 2023)

* Suor Simona, che è stata Superiora Generale delle Missionarie della Consolata, dal 7 ottobre 2023 è segretario del Dicastero per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica.

Consagrado, conócete a ti mismo! Me sale espontáneo comenzar estas reflexiones en el Año dedicado a la Vida Consagrada, parafraseando la clásica escrita que se encontraba en el frente del templo de Apollo en Delfi: “Conócete a ti mismo”. Este año, en efecto, deberíamos tomarlo como una grande gracia - un kairós – para retornar a la fuente de nuestra vocación, un año especial para re-saborear “la seducción del primer amor y el ardor de nuestra misión”. Pero, cómo? Redescubriendo quiénes somos: consagrados y enviados.

** Ungidos por el Espíritu de alegría

En Cristo, el Ungido por el Espíritu con “oleo de alegría” , fuimos bautizados para ser testigos de alegría y de profecía y de comunión. Ser testigos de alegría y recuperar nota principal que nos caracteriza, la profecía…: a esta misión nos exhorta el Papa Francisco, en este Año de la Vida Consagrada. En el bautismo,– nuestra consagración ontológica - fuimos incorporados a Cristo Señor, que, en su Bautismo fue ungido por el Espíritu Santo, con oleo de alegría. La consagración de los Religiosos es la radicalización, la plenitud del bautismo. El propio Papa Francisco, una que otra vez, ha exhortado a los feligreses a que hiciesen memoria de la gracia de su bautismo, a comenzar de buscar la fecha en que recibieron aquel sacramento. Sabemos que el Padre Fundador, en el aniversario de su bautismo, se recogía en un retiro de gozo y de gratitud. Nosotros, me pregunto, conocemos aquella fecha? “La vida religiosa desarrolla en nosotros la consagración bautismal y nos configura de un modo especial con el misterio de la muerte y resurrección de Jesús “ (Const, 20) .

Se cuenta que una mañana, estando la Madre Teresa de Calcuta cerca de la puerta por la cual las Hermanitas de Caridad desfilaban una tras otra, presurosas para recomenzar la labor apostólica, quedó impresionada por una de ellas. Le notó una cara triste, malhumorada. La llamó. ¿Qué te pasa, hija?...La hermanita, en su turbación, no sabía qué contestar. “Mira, hija, prosiguió la Madre, con acentos de cariño y de energía a la vez:- con esta cara de funeral, no se puede salir al encuentro de los pobres! “

La alegría no se improvisa, no es efecto de una pintadita de cosmético. No se compra la alegría. La alegría no es cuestión de un temperamento alegre, un resultado de herencia genética…La alegría nace con la vida que hay en ti! Pregúntate cuánta vida hay en ti y tendrás la medida de tu alegría. Pregúntate cuáles sueños habitan tu alma y en aquellos sueños encontrarás tu alegría. Pero, cuidado!.. Los sueños del alma son como semillas, son “deuda y obligación” que tenemos con el Creador y con sus hijos: Hija no puedes salir al encuentro de los pobres con esta cara de funeral!.. Deberíamos preguntarnos a menudo: yo, soy testigo de alegría? Y deberíamos ser guardianes severos para con nosotros mismos a fin de que no arraiguen en nosotros las venenosas yerbas que desecan la verde pradera de la alegría: la superficialidad, la melancolía, la acedia, la apatía… A nadie sabremos anunciar la alegre noticia que está por despuntar el sol si no estamos vigilando en el puesto de centinela: “Centinela, cuánto queda de la noches?”

** Ungidos por el Espíritu de profecía

El Papa, en su exhortación apostólica, afirma que nosotros, los consagrados, tenemos – por así decirlo – una ventaja para ser testigos de profecía. En síntesis se expresa así: Ustedes hicieron profesión de servir a un solo Señor, no “a muchos amos”. “Servir a un solo Señor” : qué ventaja la nuestra. Qué gracia y qué compromiso ! Esa libertad que “ganamos” con nuestra profesión religiosa nos habilita a una entrega radical, afrontando con alegría el riesgo de la profecía.

Era el 21 de diciembre de 1511, cuarto domingo de Adviento. Aún faltaban siglos para el “adviento” de la teología de la liberación. Sin embargo en la Isla llamada La Española (Santo Domingo). Tras leerse el evangelio de San Juan, donde se dice: «Yo soy una voz que clama en el desierto» (Jn 1, 23), fray Antón de Montesinos subió al púlpito y dijo: “Esta voz dice que todos ustedes están en pecado mortal y en él viven y mueren por la crueldad y tiranía que usan con estas inocentes gentes. Digan, ¿con qué derecho y con qué justicia tienen en tan cruel y horrible servidumbre a estos indios? ¿Con qué autoridad han hecho tan detestables guerras a estas gentes que estaban en sus tierras mansas y pacíficas, donde tan infinitas de ellas, con muertes y estragos nunca oídos, ustedes han masacrado? ¿Cómo los mantienen tan opresos y fatigados, sin darles de comer ni curarlos en sus enfermedades, en que incurren por los excesivos trabajos que ustedes les ponen y se les mueren, y por mejor decir, los matan ustedes, por sacar y adquirir oro cada día? ¿Y qué cuidado tienen de quien los doctrine, y conozcan a su Dios y creador, sean bautizados, oigan misa, guarden las fiestas y domingos? ¿Estos, no son hombres? ¿No tienen almas racionales? ¿No están ustedes obligados a amarlos como se aman a ustedes mismos? ¿No entienden esto? ¿Es que no tienen sentimientos? Cómo están dormidos en un sueño tan letárgico? Tengan por cierto que en el estado en que están no se pueden salvar”.
El sermón causó el desasosiego de los conquistadores y autoridades que estaban presentes y la reacción en contra de los frailes, a quienes quisieron reprenderlos y exigirles a desdecirse públicamente de sus afirmaciones. Sin embargo, en el sermón del siguiente domingo fray Antón de Montesinos ahondó aún más su prédica anterior, como habían acordado en comunidad”.

** Ungidos por el Espíritu de comunión…

La comunión en la vida fraterna; la comunión en el apostolado misionero: qué gracia y qué tormento! Un chiste de los consagrados .Alguien preguntó: cuando una monja rezara mucho, pero mucho…qué pensaría Usted? Por cierto, es una santa monja, contestó. Y cómo definiría Usded una monja mártir? La que le vive a lado, contestó! En los Capítulos Generales celebrados en los últimos 40 años ha sonado, casi inalterada, la voz del autoconciencia de los Misioneros de la Consolata: el individualismo ha sido pecado capital de los Misioneros de la Consolata. Ser sinceros es el primer paso para el cambio! Pero todo cambio duradero no procede de un imperativo categórico. Una persona cambia cuando conoce y se enamora de su identidad, de su misión que “le exige el cambio”. El bautismo, la profesión en la Familia de los Misioneros de la Consolata para la misión ad gentes, nos reclama ser hombres de comunión. En el día dichoso de nuestro bautismo, hemos sido arrancados al individualismo e incorporados a Cristo: “nos hemos revestidos de Cristo“. Y en Cristo hemos sido incorporados a los hermanos y a las hermanas de todo el mundo…a comenzar de “este hermano del convento… de este mi hermano de mi comunidad!..”     La comunidad, o mejor, la vida en comunión fraterna, a la que hemos sido llamado, en la exhortación apostólica Vita Consecrata, ha sido descrita como “espacio humano, habitado por la Trinidad…”. En este año de la Vida Consagrada debemos saborear estas palabras…debemos dejarnos encantar y provocar: somos “espacio humano, habitado por la Trinidad…”!

Una comunión destinada a madurar en amistad. Sí, la consagración non hace amigos: amigos para la misión y dentro la misión.        

En los años ’96-98 fui responsable de nuestra Casa de Alpignano. La casa che acoge a nuestros Hermanos enfermos y ancianos. Linda experiencia que me llevó a estar muy de cerca a personas que habían gastado su vida en la misión. Unos cuantos de ellos habían salido – por así decirlo - de la mano del propio Padre Fundador , José Allamano. Recordaban sus gestos, sus palabras, su sonrisa. Entre otros conocí a P. Antonio Bazzacco. Hablaba muy poco y la enfermedad le repercutía en el rostro serio y sufriente. No lograba interesarlo mucho con mis chistes, con mi humor. Una vez nos encontramos casualmente los dos solos aguardando el ascensor para bajar desde el segundo piso a la Capilla para el rezo de la Hora Media. Me propuse de echar mano a un argumento para tantear su reacción. “Padre Antonio, porque no me cuenta algo del Padre Fundador?” . “Hay tantos libros que hablan de él”, fue la respuesta escueta. Intenté una segunda vez: “Es verdad, hay tantos libros, pero yo quisiera que Ud. me aludiera a algún episodio que tiene grabado en su memoria. Sea bueno, cuénteme algo”. Se quedó mirándome a los ojos. El ascensor, mientras tanto, subía y bajaba solicitado por otros hermanos del primer piso. El Padre Antonio, con fatiga, como pesando cada palabra que le salía de la memoria del alma me dijo: “ Mi mamá y yo, luego de un largo viaje en tren, llegamos al fin al Instituto de Corso Ferrucci. Después de unas horas, se nos presentó el Sr. Canónigo, José Allamano. Pocas palabras de presentación y mi mamá, escondiendo su inmenso dolor, casi fuese una debilidad, me entregó, niño, al cuidado del padre Allamano. Y repartió. El Fundador, leyendo en mi rostro la turbación y la conmoción que era imposible refrenar, posándome dulcemente la mano en el hombro me dijo: Mañana mismo escribirás una carta a tu mamá. Le dirás que aquí has encontrado otro padre que te quiere”. En mis adentros , iba reflexionando: “encontró a otro padre? Sí, encontró un padre y un amigo..!”  Mudos de palabra y el corazón hinchado bajamos los dos solos en el ascensor... Los ojos nos ardían de lágrimas no manifiestas…Nos dirigimos al comedor…

Muchos misioneros, con sus escritos, han evidenciado esta característica del Padre Fundador: ¡Era un padre y un amigo!

Los de la antigua generación, no hemos sido educados a la amistad. Eran otros tiempos. Tiempos de guerra y posguerra. Había que educarse a la energía, a aguantar, apretar los dientes y esforzarse en todo para prepararnos al apostolado misionero ad gentes. Nos educaban, sí, a ser buenos compañeros. Nos exhortaban a comportarnos como hermanos. Hermanos: palabra sagrada, ciertamente. Palabra cristiana y de incalculable peso. Palabra que, encarnada en la vida, pone en crisis pesantes estructuras que corren el riesgo de cristalizar situaciones de “status quo”, mecanismos sin alma entre “superiores y súbditos” (Mt 23,8). Sin embargo, esta palabra, este sublime valor, “somos todos hermanos”, debemos advertirlo, en nuestra existencia, como una realidad dinámica que urge, que impulsa a una plenitud mayor que ya es portadora del germen: El Maestro les dijo: “ustedes son mis amigos… les he llamado amigos…” (Jn 15,15).

Si notásemos que nuestras jornadas de hermanos, que viven codo a codo, sufren de cansancio, usura, desencanto, hay que sospechar que una causa, probablemente la más responsable, o sea que no estamos dando el paso de crecimiento de hermanos a amigos. Nuestra fraternidad no crecerá en toda su extensión y vitalidad si no desemboca en amistad. Y el peligro que incumbe es grave . El P. Allamano se definía a sí mismo “el hombre de los miedos”. No que fuera un cobarde. Era un realista, y por un fino sentido de realismo advertía que si no se vive de verdaderos hermanos-amigos, no se vive. El mundo ya nos ha descalificado y sentenciado como inservibles. Y aquí citaba el dicho popular, que nos pone la piel de gallina: “entran sin conocerse, viven sin amarse y mueren sin llorarse”. El Allamano mismo cultivó la amistad. Ejemplo preclaro, pero no único la amistad con Camisassa. Y como padre de mirada que escrutaba el horizonte, misionero del “Ad Gentes”, educaba a los aspirantes a la vida apostólica: Ustedes tienen que aprender a amarse aquí, en los años de la formación, tanto hasta el punto de que un día sabréis dar la vida por el hermano. Está claro el mensaje: “Nadie tiene un amor más grande que el que está dispuesto a dar la vida por el amigo que ama” (Jn 15,13).

A este punto quisiera dirigirme a las nuevas generaciones de misioneros. Me pregunto: queridos jóvenes, ¿se están educando, desde los años de la formación al valor de la amistad? Miren que no es así de sencillo como se cree. La amistad es encanto del alma y compromiso que te hace sudar, es silencio y palabra, es palabra y gesto. Amigos son corazones que no se juzgan pero se perdonan y capacidad siempre nueva de revestir al amigo de la dignidad de hermano y de incorporar al hermano en la intimidad del amigo. Es viaje cotidiano fatigoso y apasionado, en la búsqueda del hermano (Cf Gn 37,16). Porque el hermano te ha nacido en las vísceras del Amor… de la Amistad.

Queridos jóvenes misioneros, permítanme decirles con mucha discreción y afecto que: WhatsApp, Facebook, Celular, son instrumentos de comunicación útiles y eficaces de vez en cuando, per ayunen de esta técnica. Ayunen para re-encantarse de la amistad. Ayunen para poder saciarse de una verdadera fraternidad, de miradas auténticas, de silencios que escuchan el alma. No se afanen por conseguir muchos títulos universitarios. No carguen muchas fotos en el Facebook. Usen mejor el tiempo libre, no se enquisten en una privacidad que desgasta y enmohece, que destiñe y aplana. ¡Salgan! ¡Salgan y carguen al hermano y a la hermana de carne y hueso en los profundos pliegues de su existencia! Si les costase mucho recorrer estos itinerarios, retomen su libertad y ábranse a otras perspectivas de vida. Perdónenme. Les he hablado así porque los quiero mucho!

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