Cari fratelli e sorelle! I vangeli di Matteo, Marco e Luca sono concordi nel raccontare l’episodio della Trasfigurazione di Gesù. In questo avvenimento vediamo la risposta del Signore all’incomprensione che i suoi discepoli avevano manifestato nei suoi confronti. Poco prima, infatti, c’era stato un vero e proprio scontro tra il Maestro e Simon Pietro, il quale, dopo aver professato la sua fede in Gesù come il Cristo, il Figlio di Dio, aveva respinto il suo annuncio della passione e della croce. Gesù lo aveva rimproverato con forza: «Va’ dietro a me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!” (Mt 16,23). Ed ecco che «sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte» (Mt 17,1).
Il Vangelo della Trasfigurazione viene proclamato ogni anno nella seconda Domenica di Quaresima. In effetti, in questo tempo liturgico il Signore ci prende con sé e ci conduce in disparte. Anche se i nostri impegni ordinari ci chiedono di rimanere nei luoghi di sempre, vivendo un quotidiano spesso ripetitivo e a volte noioso, in Quaresima siamo invitati a “salire su un alto monte” insieme a Gesù, per vivere con il Popolo santo di Dio una particolare esperienza di ascesi.
L’ascesi quaresimale è un impegno, sempre animato dalla Grazia, per superare le nostre mancanze di fede e le resistenze a seguire Gesù sul cammino della croce. Proprio come ciò di cui aveva bisogno Pietro e gli altri discepoli. Per approfondire la nostra conoscenza del Maestro, per comprendere e accogliere fino in fondo il mistero della salvezza divina, realizzata nel dono totale di sé per amore, bisogna lasciarsi condurre da Lui in disparte e in alto, distaccandosi dalle mediocrità e dalle vanità. Bisogna mettersi in cammino, un cammino in salita, che richiede sforzo, sacrificio e concentrazione, come una escursione in montagna. Questi requisiti sono importanti anche per il cammino sinodale che, come Chiesa, ci siamo impegnati a realizzare. Ci farà bene riflettere su questa relazione che esiste tra l’ascesi quaresimale e l’esperienza sinodale.
Nel “ritiro” sul monte Tabor, Gesù porta con sé tre discepoli, scelti per essere testimoni di un avvenimento unico. Vuole che quella esperienza di grazia non sia solitaria, ma condivisa, come lo è, del resto, tutta la nostra vita di fede. Gesù lo si segue insieme. E insieme, come Chiesa pellegrina nel tempo, si vive l’anno liturgico e, in esso, la Quaresima, camminando con coloro che il Signore ci ha posto accanto come compagni di viaggio. Analogamente all’ascesa di Gesù e dei discepoli al Monte Tabor, possiamo dire che il nostro cammino quaresimale è “sinodale”, perché lo compiamo insieme sulla stessa via, discepoli dell’unico Maestro. Sappiamo, anzi, che Lui stesso è la Via, e dunque, sia nell’itinerario liturgico sia in quello del Sinodo, la Chiesa altro non fa che entrare sempre più profondamente e pienamente nel mistero di Cristo Salvatore.
E arriviamo al momento culminante. Narra il Vangelo che Gesù «fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce» (Mt 17,2). Ecco la “cima”, la meta del cammino. Al termine della salita, mentre stanno sull’alto monte con Gesù, ai tre discepoli è data la grazia di vederlo nella sua gloria, splendente di luce soprannaturale, che non veniva da fuori, ma si irradiava da Lui stesso. La divina bellezza di questa visione fu incomparabilmente superiore a qualsiasi fatica che i discepoli potessero aver fatto nel salire sul Tabor. Come in ogni impegnativa escursione in montagna: salendo bisogna tenere lo sguardo ben fisso al sentiero; ma il panorama che si spalanca alla fine sorprende e ripaga per la sua meraviglia. Anche il processo sinodale appare spesso arduo e a volte ci potremmo scoraggiare. Ma quello che ci attende al termine è senz’altro qualcosa di meraviglioso e sorprendente, che ci aiuterà a comprendere meglio la volontà di Dio e la nostra missione al servizio del suo Regno.
L’esperienza dei discepoli sul Monte Tabor si arricchisce ulteriormente quando, accanto a Gesù trasfigurato, appaiono Mosè ed Elia, che impersonano rispettivamente la Legge e i Profeti (cfr Mt 17,3). La novità del Cristo è compimento dell’antica Alleanza e delle promesse; è inseparabile dalla storia di Dio con il suo popolo e ne rivela il senso profondo. Analogamente, il percorso sinodale è radicato nella tradizione della Chiesa e al tempo stesso aperto verso la novità. La tradizione è fonte di ispirazione per cercare strade nuove, evitando le opposte tentazioni dell’immobilismo e della sperimentazione improvvisata.
Il cammino ascetico quaresimale e, similmente, quello sinodale, hanno entrambi come meta una trasfigurazione, personale ed ecclesiale. Una trasformazione che, in ambedue i casi, trova il suo modello in quella di Gesù e si opera per la grazia del suo mistero pasquale. Affinché tale trasfigurazione si possa realizzare in noi quest’anno, vorrei proporre due “sentieri” da seguire per salire insieme a Gesù e giungere con Lui alla meta.
Il primo fa riferimento all’imperativo che Dio Padre rivolge ai discepoli sul Tabor, mentre contemplano Gesù trasfigurato. La voce dalla nube dice: «Ascoltatelo» (Mt 17,5). Dunque la prima indicazione è molto chiara: ascoltare Gesù. La Quaresima è tempo di grazia nella misura in cui ci mettiamo in ascolto di Lui che ci parla. E come ci parla? Anzitutto nella Parola di Dio, che la Chiesa ci offre nella Liturgia: non lasciamola cadere nel vuoto; se non possiamo partecipare sempre alla Messa, leggiamo le Letture bibliche giorno per giorno, anche con l’aiuto di internet. Oltre che nelle Scritture, il Signore ci parla nei fratelli, soprattutto nei volti e nelle storie di coloro che hanno bisogno di aiuto. Ma vorrei aggiungere anche un altro aspetto, molto importante nel processo sinodale: l’ascolto di Cristo passa anche attraverso l’ascolto dei fratelli e delle sorelle nella Chiesa, quell’ascolto reciproco che in alcune fasi è l’obiettivo principale ma che comunque rimane sempre indispensabile nel metodo e nello stile di una Chiesa sinodale.
All’udire la voce del Padre, «i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: “Alzatevi e non temete”. Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo» (Mt 17,6-8). Ecco la seconda indicazione per questa Quaresima: non rifugiarsi in una religiosità fatta di eventi straordinari, di esperienze suggestive, per paura di affrontare la realtà con le sue fatiche quotidiane, le sue durezze e le sue contraddizioni. La luce che Gesù mostra ai discepoli è un anticipo della gloria pasquale, e verso quella bisogna andare, seguendo “Lui solo”. La Quaresima è orientata alla Pasqua: il “ritiro” non è fine a sé stesso, ma ci prepara a vivere con fede, speranza e amore la passione e la croce, per giungere alla risurrezione. Anche il percorso sinodale non deve illuderci di essere arrivati quando Dio ci dona la grazia di alcune esperienze forti di comunione. Anche lì il Signore ci ripete: «Alzatevi e non temete». Scendiamo nella pianura, e la grazia sperimentata ci sostenga nell’essere artigiani di sinodalità nella vita ordinaria delle nostre comunità.
Cari fratelli e sorelle, lo Spirito Santo ci animi in questa Quaresima nell’ascesa con Gesù, per fare esperienza del suo splendore divino e così, rafforzati nella fede, proseguire insieme il cammino con Lui, gloria del suo popolo e luce delle genti.
“Osanna al Figlio di Davide”…. / “Sia crocifisso” - Mc 14-15
Con questa Domenica delle Palme o della Passione, ha inizio la “grande Settimana” dell’anno liturgico: la Settimana Santa: “santa” fra tutte, per i “santi misteri” che vi si commemorano durante il “Triduo Pasquale”. In questi santi giorni, seguiremo Gesù passo passo, giorno per giorno, ora per ora, quando si snodano vivi e presenti gli avvenimenti ultimi della vita del Signore: dal suo ingresso trionfale e gioioso a Gerusalemme, come un Re, tra le acclamazioni gioiose della folla osannante e dei discepoli, fino al Golgota. Ma Gesù è un Re che è venuto non per dominare, ma per servire e dare la sua vita a redenzione dell’umanità. Al Calvario Gesù giungerà solo, abbandonato quasi da tutti coloro che gli erano stati vicini, e dagli amici più cari!.
Ma quando tutto sembra perduto, ecco che tutto sta per cominciare!
> La liturgia riflette tutto questo: dopo la scena gioiosa dell’intronizzazione regale di Gesù, “Osanna al Figlio di Davide”, passa immediatamente al “sia crocifisso”, cioè al racconto della sua Passione e Morte. Questo è il cuore del mistero di Gesù Cristo.
> Quest’anno è l’evangelista Marco che ci racconta la Passione del Signore. E’ una catechesi in un testo asciutto e crudo sulla passione di Cristo, in un crescendo di solitudine. Marco non ha paura di urtarci, anzi sembra che lo cerchi. Mette in risalto i contrasti, sottolinea i paradossi e lo scandalo della croce. Il tutto è raccontato lungo un itinerario geografico preciso, che va dalla valle del torrente Cedron, attraverso Gerusalemme, fino alla tomba nel giardino; tutto si svolge nell’arco di 24 ore, da sera a sera. Durante il processo sembra che solo il gallo (di Pietro) testimonia in favore di Gesù! L’isolamento è totale e la solitudine di Cristo pure, finchè verrà proclamato dal centurione romano: “Veramente quest’uomo era Figlio di Dio!”.
> Ora leggendo il racconto della Passione, ci viene spontaneo chiederci: chi furono i responsabili della morte di Gesù: i giudei o i romani? Gesù morì per motivi religiosi (dichiarandosi “Messia”) o per motivi politici(ribelle a Roma)? In realtà Gesù fu condannato insieme dai giudei e dai romani; nella sua morte si realizzò una strana coincidenza di motivi religiosi e di motivi politici, anche se la responsabilità più diretta pare ricadere sui capi ebraici di allora e non su tutto il popolo ebraico.
> Il credente però è alla ricerca di un altro responsabile della morte di Cristo. S. Pietro ce lo indica nella sua prima Lettera: “Egli prese su di sé i nostri peccati e li portò nel suo corpo sulla croce”(1Pt.2,24). Perciò diciamo che Gesù portò i nostri peccati sulla croce, e i nostri peccati portarono Gesù sulla croce!
> Finito di leggere il racconto della morte di Gesù, anche se gli accusatori e i testimoni di una volta sono morti, la storia non è finita. La condanna di Gesù va ancora avanti in tanti suoi discepoli e cristiani che vengono odiati e uccisi come Gesù, ancora oggi! Il masso è stato rotolato contro l’entrata del sepolcro, ma sappiamo però che quel masso non ha tenuto: Gesù è risorto ed è assiso alla destra del Padre. Eppure, finchè dura il peccato, Cristo è ancora misteriosamente nella tomba, non è ancora risorto del tutto per gli incalliti del peccato di incredulità. Cristo è ancora perseguitato e ucciso negli innocenti molestati e uccisi peggio degli animali, nei modi più impensabili dettati da un terrorismo spietato che agisce in nome di non so quale Dio sanguinario, che certamente non è il Dio di Gesù Cristo! L’uomo sulla scia di Caino, continua a perpetuare i suoi delitti, così che Cristo continua a soffrire nei suoi membri. E’ in questo che veramente Gesù si mostra nostro fratello!
> Tutta la nostra vita è, in certo senso, una Settimana Santa, se la viviamo con coraggio e fede, nell’attesa dell’”ottavo giorno” che è la grande Domenica della gloria eterna.
> In questo tempo Gesù ripete a noi l’invito che rivolse ai suoi discepoli nell’orto degli ulivi: “Restate qui e vegliate con me”(Mt.26,38).
>La palma che porterete a casa, sia segno di pace, di fratellanza, di vittoria, di perdono e di speranza per tutti. La Madonna ci assista e ci accompagni nella vita.
“Vogliamo vedere Gesù…E’ giunta l’ora che sia glorificato il Figlio dell’uomo”. Gv. 12, 20-33
Siamo giunti al termine del cammino quaresimale, nel cuore dell’ultima Settimana di vita di Gesù, dell’ultima grande Settimana che ci introduce nella Settimana Santa, dopo cioè l’unzione di Betania (6 giorni prima della Pasqua) e l’ingresso messianico di Gesù sull’asinello, in Gerusalemme.
Avvenimenti e parole sono già prefigurazione della Passione. Il tema di fondo è quello dell’“ora della glorificazione”: “è giunta l’ora”, l’ora di Gesù. Giovanni non dice più: “non era ancora giunta la sua ora” : questa è l’ora stabilita dal Padre, non dagli uomini; nessuno può toccare Gesù prima che giunga quell’ora stabilita dal Padre, in cui Cristo si consegna alla morte.
Nel Vangelo di Giovanni, l’”ora” per eccellenza è il grande momento della morte e risurrezione di Gesù, cioè della sua “glorificazione”, fonte di salvezza per l’umanità. Quando agli inizi del suo ministero pubblico i suoi avversari “cercano di arrestare Gesù, nessuno riesce a mettergli le mani addosso, perché non era ancora giunta la sua ora”(7,30). E poi: “Nessuno lo può arrestare, perché non era ancora giunta la sua ora”(8,20). Ma alle soglie della sua morte, Gesù stesso, rispondendo ad alcuni dei suoi discepoli, afferma: “E’ giunta l’ora che sia glorificato il Figlio dell’uomo..Padre, salvami da quest’ora? Ma per questo sono giunto a quest’ora”!(12,23.27). Nel Cenacolo, Gesù, “sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine”(13,1). E poi prega così: “Padre, è giunta l’ora, glorifica il Figlio tuo”(17,1).
/ Tra le persone che si recano a Gerusalemme per la festa di Pasqua ci sono alcuni Greci che domandano di poter “vedere Gesù”. Ed è interessante notare che si rivolgono ai soli due apostoli che portano un nome greco: Filippo e Andrea. L’evangelista interpreta questo desiderio come indice di buona volontà dei pagani di aprirsi alla fede. Gesù risponde che sarà grazie alla sua “elevazione”(in croce) che tutti gli uomini potranno effettivamente arrivare alla fede. L’elevazione di Gesù in croce, è la vera risposta alla domanda di quei Greci: là essi “vedranno” chi è Gesù veramente, perché vedranno Dio che li ama. Gesù trafitto e glorificato sulla croce, attira tutti, cioè offre a tutti la possibilità di salvezza, rivelando l’amore del Padre che fa vivere chiunque gli crede.
Da notare che all’inizio del Vangelo di Giovanni, Andrea e Filippo volevano, pure loro, “vedere Gesù”. Più che un vedere fisico, è un vedere teologico, cioè entrare in amicizia con Lui.
/ Come i Magi a Natale, erano accaniti nel perseverare e nel cercare il Bambino Gesù, e lo hanno trovato, perché chi cerca trova; così questi pagani che vengono da lontano, hanno un obiettivo chiaro: “vogliamo vedere Gesù”, e trovano il loro Dio, Gesù, il Figlio del Dio vivente. I Magi hanno trovato un Bambino bisognoso di tutto; i Greci trovano un uomo che sta per essere crocifisso, un uomo che, alla loro ricerca, dice: ”se il chicco di frumento caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”. Gesù è appunto il “chicco di grano” stritolato e posto in terra a marcire: la nostra salvezza è il frutto di esso.
/ Tra i Greci(pagani) e Gesù, ci sono gli apostoli, i discepoli(Filippo e Andrea). Oggi chi sono questi “Filippo e Andrea”, questi tramiti e intermediari tra i pagani e Gesù? Non sono forse i missionari? Il dono più grande che una Chiesa, un gruppo di cristiani può fare al mondo è far conoscere Gesù, mostrare Gesù e il suo Vangelo. Questo non è solo un privilegio, ma una grande responsabilità.
/ I 5 miliardi di persone che attendono ancora Cristo, lo vogliono vedere. Una ricchezza immensa è ancora nascosta solo per mancanza di fervore missionario e di vocazioni missionarie. Oggi i missionari sono troppo pochi, e stanno diminuendo!. Se vogliamo obbedire a Dio Padre, che vuole tutti gli uomini salvi in Cristo, e portare frutti, è urgente far conoscere e amare Gesù da quanti incontriamo sul nostro cammino. Gesù ha raggiunto la piena manifestazione della sua gloria, attraverso l’umiliazione, la sofferenza e la morte. Il Regno di Dio non è come il regno degli uomini, dove solo il potere, il denaro, la forza, contano! Nel Regno di Dio ci si entra come Gesù, attraverso il nascondimento, la sofferenza e la morte. La morte violenta di milioni di martiri, è stata, nel cammino della Chiesa, la semente di cristianità rigogliose.
/ S. Agostino ha detto: “Ama e fa quello che vuoi”. Perché questo? Se uno ama veramente col cuore, non offenderà mai colui che ama! Così con la nostra testimonianza di vita cristianamente vissuta, facciamo “vedere” Gesù al mondo. Chi ha incontrato veramente Cristo, non può tenerselo per sé, deve annunciarlo. Non si tratta di una formula o di un’idea, ma di una Persona, e la certezza che essa ci infonde: “Io sono con voi tutti i giorni”, ci dice Gesù.
/ “Gli uomini del nostro tempo chiedono ai credenti di oggi non solo di “parlare” di Cristo, ma in certo senso, di farlo loro “vedere” e di essere suoi testimoni“(Giovanni Paolo II).
/ Il paradosso del Vangelo: essere vincitori della morte, significa lasciarsi inghiottire da essa; vedere il Cristo vuol dire attendere che egli scompaia; l’ora del trionfo è l’ora del supplizio; vivere è morire; guadagnare è perdere. Gesù parte, non per abbandonare, ma per ritrovare più profondamente; muore non per decomporsi, ma per riprodursi in una moltitudine. Per l’evangelista Giovanni, non c’è un venerdì santo disperato: salire sulla croce, significa andare verso la gloria.
Non basta che la Croce sia piantata sul Calvario, deve essere piantata anche nel nostro cuore.; allora “volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto”(Gv.19,37).Cristo, il “chicco di grano che muore” nella sua ora, salva il mondo e quanti credono in Lui, nella sua nuova alleanza nell’amore. Accostarsi al Cristo glorioso, vuol dire accettare di nascere dal suo fianco trafitto.
/ Dio non si insegna, lo si racconta con l’entusiasmo e la gioia di chi lo ha incontrato personalmente. Dio non si discute, lo si manifesta con la trasparenza della nostra vita cristiana. Dovremmo far nascere la nostalgia di Dio! Oltre la macchina, la televisione, il telefonino..,l’uomo ha bisogno di altro, l’uomo ha bisogno di Dio. L’umanità ha nostalgia di Dio, ha paura della sua assenza e del suo silenzio. Di tanti Santi è stato detto che ti “facevano venire la voglia di Dio”!
/ Un poeta greco, ha scritto una bella lirica: “Parlami di Dio, disse al mandorlo, e il mandorlo fiorì”(N. Kazantzakis). Possa la nostra vita fiorire in una testimonianza convinta e coerente che parli di Dio agli uomini di oggi.
Allora: “vogliamo vedere Gesù”, sia la preghiera che rivolgiamo allo Spirito Santo alle soglie della Settimana Santa.
A Igreja do Brasil há cerca de 50 anos entendeu que o tempo da Quaresma poderia ser um momento propício para incrementar uma evangelização libertadora. Surgiu, então, a Campanha da Fraternidade, instrumento que ao longo dos anos virou um marco importante na caminhada eclesial à luz do espírito da Constituição Conciliar Gaudium et Spes e dez anos mais tarde da Evangelii Nuntiandi.
Neste ano de 2015, cinquentenário da Gaudium et Spes a Campanha da Fraternidade volta a desafiar as comunidades cristãs e os próprios cristãos a refletirem e voltar ao espírito que animou a Igreja conciliar que assim se exprimia: “As alegrias e as esperanças, as tristezas e as angústias dos homens de hoje, sobretudo dos pobres e de todos aqueles que sofrem, são também as alegrias e as esperanças, as tristezas e as angústias dos discípulos de Cristo; e não há realidade alguma verdadeiramente humana que não encontre eco no seu coração... Por este motivo, a Igreja sente-se real e intimamente ligada ao gênero humano e à sua história” (GS 1).
O tema escolhido: “Igreja e sociedade” e o lema: “Eu vim para servir” (Mc 10,44) são convites claros para retomarmos a dimensão profética – sociopolítica do nosso tempo, em que os desafios para a evangelização exigem que sejamos uma Igreja em saída, evangélica, humilde, que sabe escutar, caminhar e curvar-se sobre uma humanidade caída, colocando sempre no centro, a pessoa humana muitas vezes considerada mercadoria.
A Campanha da Fraternidade deste ano vem fortalecer o espírito e a ação da Pastoral Carcerária e das Pastorais Sociais. Ajuda ainda a refletir e assumir o que papa Francisco afirma claramente como programa da sua ação pastoral como bispo de Roma no quarto capítulo da Evangelii Gaudium, tratando e apresentando a Dimensão Social da Evangelização como essencial para o anúncio do Reino de Deus.
É um fato que para a Pastoral Carcerária o “eu vim para servir” constitui a essência de sua ação que a faz ser presença consoladora e de promoção da vida humana, particularmente junto às pessoas mais excluídas, pisoteadas, humilhadas, encarceradas, privadas de sua liberdade, torturadas, espancadas mostrando para elas o rosto e as atitudes de um Deus misericordioso, de alguém que não se cansa de amar.
A Campanha da Fraternidade 2015 é uma ótima ocasião para ajudar a Igreja no Brasil e particularmente os cristãos, a uma compreensão e valorização das pastorais sociais que, em muitos casos são de fronteira devido à sua ação, opção e ao âmbito em que operam e isso pode ser a oportunidade para derrubar muros, barreiras, preconceitos. Esse esforço ajuda as comunidades, as pessoas e ao mesmo tempo Igreja em saída, samaritana, discípula e missionária.
Essa é a conversão, a mudança que precisamos realizar para vencermos a tentação dos intimismos, das verdades pré-concebidas, dos dogmatismos, onde a lei do templo ainda é forte. A Campanha da Fraternidade nos guia e nos transforma pela força do Espírito e pela escuta da Palavra de Deus. Somos chamados a sermos realmente servos de uma humanidade que precisa mais de testemunhos do que de mestres, de atitudes do que de discursos bonitos.
Pe. Gianfranco Graziola, IMC, é vice-coordenador nacional da Pastoral Carcerária.
“Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito”. Gv. 3,14-21
Questa quarta Domenica di Quaresima è detta “Laetare”, cioè della “gioia”. Ma qual è il motivo della nostra gioia? = Dio ci ama. E questo lo abbiamo sentito nelle letture della Messa odierna:
“Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati”..(Ef.); “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito”(Gv.).
Dio ci ama quindi, l’amore di Dio è l’anima di tutta la Bibbia. DIO- CI- AMA: è la proposizione più semplice che si possa immaginare.
Un soggetto = Dio; un oggetto = noi; un verbo = amare. Dio, l’uomo e in mezzo sta l’amore.
Qui c’è tutta la storia della salvezza. La fedeltà e l’amore di Dio giunge all’inaudito. Continuamente la Bibbia martella il tema della fedeltà di Dio e dell’infedeltà dell’uomo, malato cronico di “sclerocardia”(=durezza di cuore). Così possiamo dire che la storia della salvezza è lo scontro fra l’ostinata fedeltà di Dio e l’infedeltà dell’uomo. Il nostro Dio, il cui specifico è la misericordia, non si rassegna a perderci e arriva al culmine della “pazzia”: ”Dio ha tanto amato il mondo da dare(= consegnare, abbandonare) il suo Figlio unigenito”.
/ Nel dialogo di Gesù con Nicodemo ci sono tre simboli da prendere in considerazione: il serpente innalzato sull’asta: il Figlio mandato dal Padre: la luce. I primi cristiani riprendono la prima immagine del serpente e la applicano a Gesù sulla croce. La seconda immagine è la rivelazione dell’amore di Gesù per tutte le persone. La terza immagine è il simbolo della luce, che esprime la lotta del bene contro l’indifferenza, la negligenza e il pessimismo. I tre simboli indicano che la missione di Cristo e dei cristiani consiste nel trasformare situazioni di morte in speranza di vita.
La morte di Gesù sulla croce costituisce l’inizio della sua esaltazione gloriosa: la croce è il trono regale di Gesù; da quel trono Gesù attirerà tutti a sé(Gv.12,32).
Così il Cristo crocifisso è diventato l’amore visibile di Dio verso il mondo, e l’odio del mondo verso Dio. L’ardente volontà salvifica di Dio, procede dal suo amore sconfinato per l’uomo e si realizza nel Cristo, morto e risorto, dono assolutamente gratuito di Dio. L’amore vero rifiuta la logica dello scambio. Quando si ama veramente, non si dice: ho dei diritti: ho fatto il mio dovere.. L’amore vero ama gratuitamente e non esige mai di essere riamato.
/ Notate bene la differenza, tra queste due espressioni di amore, e scoprite qual’ è quella giusta:
Cristo Gesù è il segno che Dio ci ama nonostante la nostra indegnità. La vera conversione quaresimale consiste nel lasciarsi amare, nell’accogliere, in Cristo, l’amore gratuito del Padre, e rispondervi con una fede senza mercanteggiamenti.
/ Tuttavia questo agire di Dio nella storia, provoca una “crisi”, perché, di fronte al rivelarsi dell’amore divino, gli uomini si dividono e Gesù diventa quel segno di “contraddizione” predetto da Simeone alla Madonna: è quella “pietra d’inciampo o di salvezza” che divide e associa, separa e raccoglie, procurando un giudizio sull’umanità. Gesù non è venuto per condannare, ma chi non crede in Lui è già condannato, perché ci si mette fuori del perdono e dell’amore di Dio e della redenzione portata dal Figlio di Dio. Questo è il peccato contro lo Spirito, il rifiuto della luce, il mettersi fuori da Dio: e questa è la propria condanna, la quale non viene da Dio ma da se stesso, mettendosi fuori. Chi accetta Cristo come dono di Dio, trova salvezza.
/ Ieri come oggi, il problema dell’uomo è il suo nascondersi a questa ricerca di Dio, il fare a meno di Dio, è fuggire da Dio. E Dio non si stanca mai di inseguire l’uomo peccatore, perché lo ama e lo vuole salvo. La salvezza o la condanna non si rimandano al futuro, ma si realizzano nell’oggi, nel momento presente, trovano la loro sorgente nell’accettazione o nel rifiuto di Cristo.
/ L’Incarnazione e il Calvario sono la manifestazione dell’amore di Dio. Sulla Croce ci va il Figlio incarnato, ma con Lui ci va l’amore del Padre che lo ha mandato per amore nostro. Tutto è partito dall’amore(Gv.3,16) e attraverso l’amore(Gv.13,1) torna all’amore(Gv.17,26). L’amore è così sorgente, oggetto e termine della Rivelazione. Ogni uomo è “giudicato” da questo progetto divino, individuato da questa rivelazione, interpellato dal Salvatore crocifisso e risorto.
// S. Massimo: “La Croce è il giudizio del giudizio”.
// S. Ireneo: “Attraverso il legno della Croce, l’opera del Verbo di Dio è diventata manifesta a tutti: egli ha aperto le braccia sulla croce per radunare tutti gli uomini. Due braccia tese, perché ci sono due popoli dispersi in tutta la terra. Una sola testa al centro, perché c’è un solo Dio al di sopra di tutti, in mezzo a tutti e in tutti. In principio Dio creò Adamo non perché avesse bisogno dell’uomo, ma per avere qualcuno su cui effondere il suo amore”.
// S. Agostino: “Molti si dicono cristiani, ma in realtà non lo sono, perché non sono ciò che significa questo nome, non lo sono cioè nella vita, nei costumi, nella fede, nella speranza e nella carità”.
// B. Teresa di Calcutta: “Credere è lasciarmi attrarre, lungo la verticale dell’amore: a mia volta allargando le braccia, così vicino, così simile che Cristo possa aderire e baciarmi senza staccarsi dalla croce”.
// Da un proverbio cinese: “Non cade lacrima che non renda più limpido l’occhio”.
/ Il momento decisivo nella storia della salvezza, è quello in cui un uomo, meglio una comunità, mossa dallo Spirito Santo, dice, come facciamo noi ora: ”Dio ci ama e noi crediamo nell’amore”!
Esempio: La casa senza la croce
A Boas, negli Stati Uniti, la maestra distribuì ai suoi scolari dei foglietti col disegno di una casa “a cui manca qualcosa di molto importante”. Dopo alcuni istanti di incertezza, tutti capirono che mancava il comignolo e si affrettarono a completare il disegno. Solo un ragazzino dell’ultimo banco esitò a lungo, benché i vicini gli mostrassero la soluzione disegnata. Infine si decise e tracciò sulla porta una bella croce nera: per lui valeva assai più di un comignolo o di qualsiasi altra comodità. “Senza croce, una casa è sempre vuota”, diceva sua madre.