Siamo in Kenya dove, dopo alcuni giorni di pioggia, anche il cielo ha diradato le sue nubi, per illuminare il sabato, 9 novembre 2024, giorno in cui si è voluto innalzare il ringraziamento per la canonizzazione di San Giuseppe Allamano con un’Eucarestia celebrata presso il Campus Universitario di Nairobi.

Dopo la sua canonizzazione, avvenuta a Roma il 20 ottobre e le diverse celebrazioni in Italia, era d’obbligo una grande celebrazione di azione di grazie nella terra in cui l’Allamano non è mai arrivato fisicamente, ma vi è però arrivato con la mente, il cuore e tutte le sue forze mediante i suoi missionari e missionarie. Terra da lui sognata, conosciuta e amata, terra nella quale sapeva che il seme piantato dai primi quattro missionari, partiti nel 1902, avrebbe dato frutti abbondanti. È così è stato.

Messa di ringraziamento nel Campus universitario di Nairobi (Capuchin TV)

Celebrare i frutti della missione in Kenya

La sua santità, proclamata ora ufficialmente dalla Chiesa, si era manifestata qui fan dall’inizio. È stata seminata giorno per giorno dalla dedicazione, zelo, lavoro e passione dei suoi figli e figlie. “Bene fatto bene, senza fare rumore”, come dice lo slogan e parola carismatica per questo giorno stampato su capulane e sciarpe colorate. Ma, ad un certo punto, il bene silenzioso non può rimanere nascosto, ma appare, deve essere proclamato e annunciato come motivo di gloria tra i popoli.

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Messa di ringraziamento nel Campus Universitario di Nairobi. Foto: Francisco Martínez

Ed oggi si è celebrato questo bene, questa “gloria” dai tanti frutti e colori della nostra missione in Kenya. Ogni incontro, ogni gesto, ogni parola detta, ogni sguardo, ogni persona non era che l’espressione di una stagione matura con tutti i suoi frutti e non si poteva non rendere grazie al Dio e a colui che in qualche modo ne è stato lo strumento, come buon seminatore, come buon padre e pastore, San Giuseppe Allamano.

Fin dal mattino nella Casa Regionale di Nairobi arrivano giovani missionari, novizi, studenti professi, diaconi, sacerdoti, fratelli, suore e laici. C’è un clima di festa e di gioia, c’è chi si rivede dopo tanti anni, chi ha fatto insieme la formazione in seminario o coloro con cui si è lavorato in altre terre di missione lontane. Come ha ricordato il Superiore Generale, padre James Lengarin, nelle sue parole alla fine della celebrazione, questi sono i frutti che il Kenya ha dato e continua a dare alla Chiesa e al mondo, tanti missionari che continuano a rendere vivo il sogno e carisma di San Giuseppe Allamano di annunciare il vangelo, di fare conoscere Gesù ed il suo amore.

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Celebrazione dell’Eucarestia di ringraziamento

Si arriva poi al Campus Universitario di Nairobi dove tutto è stato preparato con molto lavoro per la celebrazione dell’Eucarestia di ringraziamento. C’è aria di festa, si preparano le danze, i canti, gli ultimi dettagli affinché tutto riesca al meglio, ben fatto, come desiderava l’Allamano.

Alla 10.00 in punto la processione con oltre cento sacerdoti, la presenza della nostra Direzione Generale, quasi tutti nostri vescovi del Kenya delle diocesi di Marsabit, Mararal, Isiolo, il vescovo di Muranga, di Meru, l’arcivescovo di Nyeri ed il Nunzio Apostolico, si dirigono verso l’altare dove nove anni fa, nel 2015, celebrò l’Eucarestia papa Francesco quando fece visita al Kenya. I nostri studenti e diaconi fanno il servizio all’altare in questo giorno e celebrazione che rimarrà a tutti nel cuore.

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 Ha presieduto la Messa, mons. Hubertus Matheus van Megen, Nunzio Apostolico in Kenya e in Sud Sudan. Foto: Daniel Mkado

Viene proclamato il Vangelo di Marco (Mc 16,15-18) con il mandato di Gesù. “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura”. Con queste parole, dal Santuario della Consolata di Torino, l’Allamano mandava i suoi missionari. Ne sono partiti tanti e tante, ne sono nate comunità cristiane, parrocchie, diocesi, vocazioni alla vita sacerdotale e religiosa, vescovi e laici testimoni di questo vangelo creduto, vissuto ed annunciato in tante lingue e nazioni. Ne ha dato prova la preghiera dei fedeli pronunciata in lingua swahili, kikuyu, meru, samburu…lingue di popoli nei quali il Vangelo si è inculturato portando vita e consolazione.

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Il miracolo di Sorino Yanomami

Alla fine della celebrazione le testimonianze e parole di ringraziamento di laici, suore, superiori e vescovi. Ma una di essa è andata in particolare al cuore di tutti: quella di Suor Felicita Muthoni, missionaria della Consolata keniana, che lavorando nella missione del Catrimani nella foresta amazzonica quasi trent’anni fa, ha prestato le prime cure a Sorino Yanomami, guarito in modo miracoloso per intercessione del Beato Giuseppe Allamano, che grazie anche a questa guarigione, è stato proclamato santo.

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Missionarie della Consolata presenti alla celebrazione. Foto: Francisco Martínez

Suor Felicita ha parlato di quel 7 febbraio 1996 nel quale ha trovato Sorino con il cranio divelto da un giaguaro, le prime cure che gli ha prestato e la ferma decisone di inviarlo all’ospedale di Boa Vista perché si tentasse l’impossibile, nonostante avesse attorno a lei più di 200 indigeni contrari a questa sua decisione. Sorino gli aveva sussurrato che non voleva morire e che voleva vivere ed allora prende quella decisione avventata, ma certamente ispirata da Colui che promise ai suoi discepoli che, se avessero avuto fede avrebbero potuto fare opere anche più grandi di quelle da Lui compiute. È così è stato, ma la fede di Suor Felicita viene fuori quando si rifugia nella cappella della missione e fa al Signore, per intercessione del suo Fondatore, una preghiera accorata e imperativa:

“Sorino deve guarire, deve ritornare in piena salute per potere vivere e sopravvivere nella foresta, tra la sua gente, per poter cacciare e pescare e perché anche la vita dei missionari sia preservata”.

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Il seme gettato in Kenya ha prodotto abbondanti frutti di evangelizzazione. Foto: Daniel Mkado

È così è stato, e ancora dopo 28 anni, Sorino vive la sua vita nella foresta con le forze e la salute di un anziano. Suor Felicita continua dicendo che il miracolo di Sorino è un miracolo che ha visto, oltre l’intercessione di San Giuseppe Allamano, anche l’impegno e la collaborazione delle sue consorelle di diverse nazioni, dei medici e delle persone che gli sono state accanto. Un miracolo che è espressione di una missione benedetta dal Signore, un miracolo che oggi contempliamo anche nelle missioni del Kenya e di tanti altri paesi nei quali lavoriamo. Una missione comune che quando è fatta con fede, in unità di intenti e a favore dei più bisognosi diventa grazia, vita e consolazione in tante opere a servizio dell’educazione, della salute, del dialogo, della marginalità, dell’accoglienza, della giustizia e della pace.

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San Giuseppe Allamano continua a illuminarci

Al termine della celebrazione un grande convivio fraterno, un banchetto preparato e servito con amore e gentilezza per tutti, che, con l’Eucarestia appena celebrata, è preludio di quello del cielo. San Giuseppe Allamano era con noi: nel volto, nel cuore, nei gesti di servizio e nella vita di tutti coloro che oggi hanno voluto dire a Dio e a lui grazie. Grazie per una missione che non è finita, ma che continua nella vita di chi poi, subito dopo, è ripartito per le sue case e comunità con nel cuore il desiderio di annunciare il Vangelo e camminare sulla via della santità illuminati dal carisma di San Giuseppe Allamano.

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Padre James Lengarin, Superiore Generale, parla dei frutti che il Kenya ha dato e continua a dare alla Chiesa e al mondo. Foto: Daniel Mkado

Kenya, terra fecondata anche dalla santità delle Beate Irene Stefani, Leonella Sgorbati e Carola Cecchin, come ha ricordato l’arcivescovo di Nyeri. Alla loro intercessione, a quella di San Giuseppe Allamano e della Vergine Consolata affidiamo ogni nostra comunità, ogni missionario e missionaria, il “bene fatto bene” che si è fatto e che ancora si farà per continuare ad essere semi e segni di consolazione.

* Padre Michelangelo Piovano, IMC, Vice Superiore Generale. Nairobi, 9 novembre 2024.

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Condividiamo un Album di fotografie: Francisco Martínez

 

Un’esperienza che ci cambia

Ho avuto l’opportunità di vivere un’esperienza missionaria con la archidiocesi di Torino. Io e altri 20 ragazzi siamo partiti per tre settimane, dall’1 al 21 agosto, per il Kenya. Quando vivi un’esperienza missionaria, i sentimenti che ti travolgono sono tanti e contrastanti tra di loro. Sicuramente l’amore e l’empatia sono quelli predominanti: vedere così tanti bambini, ragazzi e adulti sempre felici e disponibili all’incontro è un qualcosa che riempie il cuore.

Per loro, avere qualcuno con cui giocare, parlare e trascorrere qualche ora, che stia lì e che semplicemente sia presente e c’è, è qualcosa di magico. Ma a dire il vero, non siamo stati tanto noi a donare qualcosa a loro, quanto più il contrario.

Padre John Kinyua Nkinga del CAM di Torino, Suor Valentina Melis e Aaron John Mutuma sono state le nostre guide: ci hanno permesso di vivere a pieno quest’esperienza e di vedere tante realtà diverse. Ci sono stati vicini nei momenti di difficoltà e sconforto e hanno vissuto con noi momenti di gioia e felicità. Fin dai primi giorni, tutti noi abbiamo stretto un forte legame, che ogni giorno cresceva, vivendo come una grande comunità.

Seppur ognuno di noi avesse storie diverse alle spalle, avesse vissuto esperienze differenti, ciò che ci accomunava era il sogno di essere lì, di cambiare noi stessi, di aprirci a nuove esperienze, al mondo e di fare del bene per quanto più possibile nel nostro piccolo.

Abbiamo imparato che non serve fare grandi cose, grandi discorsi, ma l’importante è esserci. Non abbiamo solo imparato balli, canzoni e giochi locali, ma i ragazzi che abbiamo incontrato hanno rispolverato in noi la spensieratezza, la semplicità e ci hanno permesso di capire la vera importanza delle cose.

Al contrario di come comunemente si possa pensare, loro non vedono la loro condizione come una situazione di povertà, ma più come semplicità. Sono infatti grati di ciò che hanno e apprezzano i semplici sorrisi e abbracci. Credo che questo dovremmo davvero imparare anche noi ad apprezzarlo, slegandoci dalle cose materiali e iniziare a dare importanza ai momenti che viviamo, perché sono quelli che possono cambiarti la vita e il modo di approcciarti al mondo.

Al tempo stesso però, durante quest’esperienza sono stati forti anche i sentimenti di rabbia e impotenza. Rabbia perché purtroppo molte di queste persone sono dimenticate dallo Stato, che non si occupa di tutelarle e non garantisce loro il pieno rispetto dei diritti e della loro dignità. Mi sono quindi chiesta perché io sì e loro no? Perché io posso vivere in una casa di mattoni e loro no? Perché io posso avere cure mediche gratuite e loro no? Perché i bambini in Italia possono andare a scuola e loro no? Ma non ho trovato una risposta a questo e purtroppo non penso che ci sia.

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Penso però che, se ciascuno di noi si chiedesse le stesse cose, qualcosa potrebbe cambiare. Si parlerebbe di più di com’è la vita africana, di come lo Stato non agisca per risolvere le disuguaglianze, e davanti a questo noi non possiamo più rimanere impassibili.

Un altro sentimento che spesso era predominante nei nostri cuori era il senso di impotenza. Per quanto lo desideravamo, noi, da soli, non potevamo cambiare la situazione. Non potevamo fare nulla per permettere di andare a scuola a quel bambino che era sdraiato nel letto di una capanna da tutti e nove i suoi anni di vita. Non potevamo fare nulla per garantire a Benson una vita felice in una famiglia in cui fosse veramente amato e in cui potesse vivere la spensieratezza di un bambino adolescente della sua età. Non potevamo fare nulla per quelle persone che vivevano in quindici in una casa di lamiera non più grande di cinque metri quadri. Non potevamo fare nulla per permettere a questi bambini di avere accesso a un’istruzione dignitosa all’interno di una scuola che avesse almeno un bagno.

Abbiamo provato tanta rabbia nei nostri cuori davanti a queste ingiustizie, perché non è giusto che qualcuno possa vivere in condizioni del genere e che nessuno pensi a loro.

Quando racconto della mia esperienza in Kenya, dico sempre che è come se ad un certo punto ti togliessero gli occhi con cui sei partito per mettertene altri. Cambia radicalmente il modo di vedere le cose. Perché si parla di com’è la vita in un villaggio africano, ma vederla con i propri occhi è tutt’altra storia. I tuoi occhi e il tuo cuore iniziano ad avere altre priorità: capisci che non è importante l’aspetto materiale ma impari ad apprezzare gli abbracci, i sorrisi, la disponibilità delle persone. Anche quando torni in Italia le tue priorità cambiano. Cambia il modo con cui pensi e ti approcci all’altro. Cambia il tuo modo di vedere ciò che hai e impari ad esserne veramente grato.

Auguro a tutti di vivere un’esperienza missionaria, di ricevere così tanto amore e di essere aperti al cambiamento. Se ciascuno di noi si rendesse conto di cosa siano le vere cose importanti, vivremmo in un mondo diverso. Se ciascuno di noi vedesse con i propri occhi quello che abbiamo avuto la fortuna di vedere noi, probabilmente le cose cambierebbero e il mondo diventerebbe un posto più giusto e equo.

* Claudia Rizzo, studentessa di 22 anni, iscritta a Scienze della Formazione primaria presso l’Università degli studi di Torino e insegnante di scuola primaria. 

Il 28 settembre 2024, Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della Diocesi di Isiolo nel Kenya presentata da mons. Anthony Ireri Mukobo, missionari della Consolata, per ragioni di età. Gli succede mons. Peter Munguti Makau, anche lui missionario della Consolata, finora vescovo coadiutore della medesima Diocesi.

Il diacono Joseph Wagura, IMC, della comunità formativa di Porta Pia a Roma, ci racconta la visita di mons. Peter Makau alla loro comunità di Nomentana.

La visita di un fratello

Quando ci è arrivata la notizia che mons. Peter Makau avrebbe celebrato la Santa Messa insieme a noi, siamo stati tutti contenti e desiderosi di incontrarlo anche perché per molti di noi lui era stato il nostro Superiore religioso in Kenya. Abbiamo quindi desiderato di incontrarlo per poterci congratulare con lui della sua nomina all’Episcopato ed esprimergli il nostro apprezzamento per essere stato una persona capace di vicinanza con tutti i suoi confratelli.

Durante il XIV Capitolo Generale dell’anno 2023 a Roma, non ha mancato di farci visita e intrattenersi amichevolmente con tutti noi a cena. Durante la sua gradita visita ci ha incoraggiato a continuare il nostro impegno di studio e ci ha anche promesso di visitarci tutte le volte che dovesse rivenire a Roma.

La notizia che Papa Francesco il 4 maggio 2024 lo aveva nominato vescovo coadiutore della diocesi di Isiolo ci ha riempito di gioia. Adesso, la sua nomina come vescovo titolare della stessa diocesi ci rende ancora più felici.

Poco tempo fa, Mons. Peter Makau è venuto a Roma per la visita ad limina insieme agli altri vescovi del Kenya. Nonostante che la sua agenda fosse piena di impegni, è riuscito a ritagliarsi un po' di tempo per farci visita non solo come vescovo, ma soprattutto come amico e padre. 

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Mons. Anthony Mukobo e Mons. Peter Makau con i formatori riuniti nella casa generalizia a Roma Foto: Jaime C. Patias

Il 18 settembre 2024, per la seconda volta, quindi, ha fatto visita alla nostra comunità. In questa occasione ha celebrato la Santa Messa e poi si è fermato per condividere il pasto con noi. Nonostante che il vescovo non conosca l’italiano, tuttavia aiutandosi con lo spagnolo, che parla fluentemente, è riuscito a presiedere l’Eucarestia e rivolgersi ai cristiani presenti per l’omelia.

Facendo appello alla sua esperienza di Superiore della Regione del Kenya ci ha esortato a “creare un ambiente di famiglia e a ringraziare il Signore per tutti i doni che ci ha elargito”. Ci ha esortato anche “a vivere con intensità e gioia vera l’appartenenza alla famiglia dei missionari della Consolata”. Ci ha fatto notare inoltre la differenza che esiste tra la famiglia naturale e quella della Consolata. “Non vi è dubbio che noi tutti trascorreremo la maggior parte della nostra vita nell’Istituto, quindi, va amato come se fosse la nostra famiglia naturale”.

Inoltre, ha incoraggiato tutti a prendere sul serio lo studio. Si è detto felice che l’Istituto abbia deciso di dare un ulteriore tempo di studio ai suoi membri dopo la Teologia di base. “La specializzazione è una grande opportunità - ha continuato mons. Peter - che il nostro Istituto, a differenza di altri, offre ai suoi membri”. Ha inoltre notato che “tanti altri non hanno avuto questa opportunità, e quindi, voi che ora avete questo momento di grazia dovete farne tesoro perché il mondo aspetta persone competenti nel loro campo”. Egli ha anche sottolineato come lo studio dopo la Teologia di base offre un ulteriore vantaggio nel senso che prepara meglio ad affrontare le sfide del mondo moderno. 

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Mons. Peter Makau con la comunità formativa di Posta Pia a Roma

Ci ha poi ricordato che “la missione è lo scopo finale per cui noi siamo formati. Si dovrebbe essere sempre pronti per la missione”. Infine, ci ha confidato di non aver mai pensato che gli sarebbe stato affidato l’ufficio episcopale. 

Ci ha esortati ad “essere sempre obbedienti e pronti a raggiungere qualsiasi zona missionaria a cui potremmo essere destinati. La nostra disponibilità è il dono più grande che possiamo fare all'Istituto. La missione ha bisogno di noi ed è per questo che ci stiamo preparando”. Ha concluso dicendosi pronto a riceverci qualora ci trovassimo a passare nell’area della sua diocesi.

Nell’indirizzo rivoltogli dal rappresentante della comunità è stato sottolineato che il vescovo ha sempre accolto con cuore paterno tutti i suoi confratelli. Ha inoltre ringraziato il vescovo per aver trovato il tempo per farci visita e sarà sempre il ben venuto nella nostra comunità. In fine gli abbiamo promesso un ricordo nella preghiera per il suo impegno episcopale e per la sua diocesi di Isiolo.

* Diac. Joseph Wagura, IMC, comunità di Porta Pia, Roma.

 

 

 

Il 15 febbraio 2023, papa Francesco ha elevato a diocesi il vicariato Apostolico di Isiolo in Kenya e ha nominato primo vescovo della diocesi, il missionario della Consolata, Mons. Anthony Ireri Mukobo, fino a quel momento vicario Apostolico di Isiolo dove è arrivato il 6 aprile 2006. Il 4 maggio 2024, il papa ha nominato Mons. Peter Makau, anche lui missionario delle Consolata keniano, di 49 anni, vescovo coadiutore della stessa diocesi di Isiolo.

Esattamente oggi, 23 settembre 2024, mons. Anthony compie 75 anni e si sta avvicinando alla fine del suo servizio come vescovo titolare di Isiolo, avendo raggiunto l'età canonica per chiedere le dimissioni dall'incarico, come stabilito dal Codice di Diritto Canonico (Canone 401, paragrafo 1). Mons. Anthony è stato ordinato sacerdote il 5 gennaio 1980 e vescovo il 18 marzo 2000.

Trovandosi a Roma per la sua quarta visita ad limina, il vescovo ha rilasciato un'intervista alla Segreteria per la Comunicazione dove fa il punto sul cammino di evangelizzazione della diocesi, commenta sulle sfide pastorali e le prospettive per il futuro con l'arrivo del giovane vescovo coadiutore, Mons. Peter Makau. (Video: montaggio di Francisco Martínez)

Situata nella parte centrale del Kenya, la diocesi ha una superficie di 25.700 km2 e una popolazione di 268.000 di abitanti di cui il 19% sono cattolici. Ci sono 15 parrocchie, 74 istituzioni educative ed 11 di carità, tra cui 5 dispensari ed 1 maternità. Nella diocesi vi lavorano 27 sacerdoti diocesani, 6 sacerdoti religiosi, assieme a 58 religiosi/e. Sono presenti anche 10 catechisti a tempo pieno e tantissimi laici impegnati nella cura pastorale delle comunità cristiane. Nel corso degli anni la chiesa locale è cresciuta e ha portato buoni frutti nell'evangelizzazione.

* Padre Jaime C. Patias, IMC, Segretariato per la Comunicazione, Roma.

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Mons. Anthony Mukobo e Mons. Peter Makau con i formatori riuniti a Roma per il corso di formazione permanente

«La violenza non va bene, ma gridano contro la corruzione e per avere un futuro». Monsignor Anthony Muheria, arcivescovo metropolita di Nyeri e vicepresidente della Conferenza dei vescovi cattolici del Kenya, parla delle proteste della «generazione Z» nel Paese. «La violenza non va bene ma gridano contro la corruzione e per avere un futuro».

«Le leadership non vogliono ascoltare il grido dei giovani ma loro chiedono solo un futuro, un lavoro e la fine della corruzione». A parlare delle proteste che negli ultimi mesi hanno visto in Kenya migliaia di giovani in piazza è monsignor Anthony Muheria, arcivescovo metropolita di Nyeri e vicepresidente della Conferenza dei vescovi cattolici del Kenya.

A Roma per la visita ad limina in Vaticano e per l’incontro con Papa Francesco, il vescovo parla del suo Paese che «è arrivato davvero vicino alla rivoluzione. I ragazzi hanno assaltato il Parlamento… sono arrivati fino al Parlamento», scandisce con il volto ancora preoccupato. Un’ondata, quella della «generazione Z» del Kenya, che «era cominciata pacificamente e che poi purtroppo è sfociata nella violenza».

Il vescovo condanna questa deriva e anche il fatto che «i giovani sembrano come chiusi nei loro circoli, soprattutto sui social», ma allo stesso tempo chiede al governo e alle istituzioni di ascoltare il loro «grido».

La storia del Kenya, d’altronde, è simile a quella di molti Paesi dell’Africa dove la povertà, ma anche la corruzione nella gestione delle risorse, tolgono il futuro alle nuove generazioni.

Molti tentano il lungo viaggio per arrivare in Europa, ma altri protestano fino al sangue. «Il governo è arrivato con la milizia – racconta monsignor Muheria -, e molti giovani sono stati uccisi. Ragazzi nella maggior parte dei casi laureati, ma che non hanno un lavoro e non vedono il futuro».

La corruzione è uno dei problemi più sentiti: «Le autorità devono essere trasparenti, dare conto dei soldi che spendono. Il costo della vita e le tasse aumentano ma non le entrate delle famiglie».

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I giovani fanno storiche proteste in Kenya. Foto: Gerald Anderson/Anadolu via Getty Images

Alla gente del suo Paese il vescovo però dice di non seguire la logica del male minore quando, per esempio, si va a votare. «Noi, come Chiesa, siamo molto preoccupati, perché è sempre più difficile instaurare un dialogo con questi ragazzi. Il problema è grande: come arrivare a formare e incoraggiare questa generazione? Quando c’è la disperazione deve esserci un aiuto».

Con coraggio i vescovi hanno allora avviato corsi di formazione sociale e politica con la speranza che «nel giro di dieci anni creaca una leadership che possa essere un punto di riferimento per la società».

Di fronte a un’Europa nella quale il dibattito sui migranti è sempre più acceso, il vescovo fa presente che in Africa ci sono «da oltre vent’anni milioni di sfollati interni. In Etiopia 900mila, in Uganda un milione e 700mila, da noi in Kenya i rifugiati sono 700mila. È un problema grande perché non ci sono le risorse per consentire loro di uscire dai campi. Ci sono giovani nati nei campi profughi che non sono mai usciti di lì. È come se non ci fosse una via d’uscita».

La Chiesa africana dunque lancia un appello, anche alla comunità internazionale, perché «possa essere garantita a queste persone condizioni di vita dignitose». Sono per lo più persone che scappano dalle guerre in Congo, Rwanda, Sudan, Nigeria, «e queste guerre vanno avanti da anni e la situazione politica non aiuta il loro rientro nei Paesi di origine».

C’è anche il problema degli attentati degli islamisti: «In Kenya, grazie a Dio, sono anni che non si verificano. Ma i terroristi di al-Shabaab sono sempre un pericolo anche per noi. In altri Paesi», prosegue il vescovo facendo riferimento ai recenti attacchi terroristici in Burkina Faso soprattutto contro i cristiani, «anche se i fondamentalisti sono una piccola minoranza, fanno molto rumore». Con i loro attentati minano infatti quel dialogo tra diverse fedi che «è invece molto buono», sottolinea monsignor Muheria.

C’è anche un altro «estremismo religioso», come lo definisce il vescovo Keniano: quello dei leader delle sette religiose che «pretendono di essere cristiani ma pensano solo ai soldi e fondano il loro potere sulla disperazione e sulla credulità della gente».

In questo quadro difficile c’è però una fede cristiana gioiosa e in crescita: «In Africa c’è una vera e propria esplosione delle vocazioni. Quest’anno nella mia diocesi sono entrati in seminario centocinquanta ragazzi. Ma per altrettanti non è stato possibile entrare perché non abbiamo abbastanza fondi economici per aprire le porte a tutti coloro che lo chiedono».

* Manuela Tulli, MC Notizie. Originalmente pubblicato in: www.rivistamissioniconsolata.it

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