“Continuare a lavorare, tenere aperto l'ospedale di Port au Prince e proseguire con tutte le attività che abbiamo in Haiti diventa sempre più difficile e i Missionari rischiano letteralmente la loro vita ogni giorno” scrive padre Antonio Menegon, missionario Camilliano.
Le notizie che arrivano da Haiti sono allarmanti e documentano la tragedia quotidiana in cui la popolazione è costretta a vivere.
Poche righe, inviate a tarda notte da padre Erwan, MI, da Port au Prince, sono il grido di una terra ferita e di un popolo abbandonato. “Le bande armate hanno bloccato tutto. Il partito di Aristide ha preso il potere mandando a casa il primo ministro Ariel Henry. È una cosa molto grave. Adesso nessuno sa come va finire questa cosa. Speriamo in bene” scrive il missionario.
Il 10 novembre 2024, il governo haitiano ha annunciato i piani per sostituire il primo ministro in carica Conille con l'imprenditore ed ex candidato al senato Alix Didier Fils-Aimé. Mentre Fils-Aimé prestava giuramento la mattina dell'11 novembre, bande armate hanno preso di mira l'aeroporto internazionale di Haiti a Port-Au-Prince che è stato chiuso dopo che un aereo di linea statunitense è stato colpito da alcuni spari mentre stava atterrando. Il volo è stato dirottato nella Repubblica Dominicana.
Si prevede che la recente transizione di potere destabilizzerà ulteriormente il clima politico e sociale di Haiti. A causa della crescente instabilità politica, le organizzazioni umanitarie temono che i gruppi armati sfruttino lo stato di vulnerabilità di Haiti.
* Originalmente pubblicato in: www.fides.org
Circa 300 bande controllano l'80% della capitale di Haiti secondo quanto riferito al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite da Maria Isabel Salvador, inviata speciale ONU per il Paese caraibico.
Secondo gli abitanti di Port-au-Prince però le gang controllano di fatto tutta la città. Ma come si è arrivati a questa situazione? Il modello originale per le attuali bande criminali che imperversano ad Haiti sono le milizie dei “Volontaires de la Sécurité Nationale (VSN), tristemente note con il nomignolo di “Tonton Macoutes”, create dall’allora presidente (e di fatto dittatore) François Duvalier nel 1959, come forza paramilitare per sopprimere il dissenso.
Alcuni dei membri più importanti dei “Tonton Macoutes” erano leader vodù. Questo sistema di credenze, praticato da circa la metà della popolazione di Haiti, diede ai “Macoutes” un senso di autorità soprannaturale agli occhi del pubblico, che permise loro di compiere atti orribili senza ritrovare nessun tipo di reazione in seno alla società haitiana, al punto che venivano soprannominati in creolo “bandis legals”. Secondo alcune stime in 28 anni di potere i “Tonton Macoutes” hanno ucciso circa 60.000 persone.
Alla caduta della dinastia Duvalier, con la cacciata del figlio di François, Jean-Claude, nel 1986, i “Tonton Macoutes” vennero sciolti. Così come venne poi sciolto l’esercito regolare da parte di Jean-Bertrand Aristide, il primo presidente regolarmente eletto nel 1990 dopo un periodo di transizione. Aristide venne deposto da un golpe militare ma fu poi rimesso al potere grazie a un intervento militare promosso dall’ONU. Quando Aristide venne deposto i vecchi Tonton Macoutes” diedero vita a bande note come “attaché”, al servizio di altri gruppi criminali o di politici senza scrupoli.
Una volta reinstallato alla presidenza nel 1994, Aristide decise di sciogliere l’esercito e riformare la polizia civile. Diversi ex militari aderirono però alle bande criminali che si erano nel frattempo formate. Lo stesso Aristide venne poi accusato di aver creato una sua milizia (le “Chimères”) nei primi anni 2000 per sostenere la propria parte politica. In effetti i diversi attori politici si dotarono di proprie milizie armate. La creazione di gang criminali si intrecciava con i traffici di cocaina provenienti da Colombia e Venezuela e diretti negli USA che facevano tappa nell’isola di Hispaniola (che comprende Haiti e la Repubblica Domenicana).
Il livello di fame continua a peggiorare, con 4,9 milioni di haitiani in condizioni di grave insicurezza alimentare. Foto: FAO/Justine Texier
Successivamente la maggior parte dei traffici passanti per la rotta caraibica si sono diretti via terra lungo il confine tra Messico e Stati Uniti, ma non si sono arrestati del tutto. Le connessioni create con gli Stati Uniti dai traffici illegali e quelle legate alla diaspora haitiana negli USA hanno successivamente contribuito ad avviare importanti flussi di armi da fuoco dal Nord America al Paese caraibico, a beneficio dei numerosi gruppi armati in via di formazione. Aristide venne poi di nuovo deposto nel 2004 quando bande paramilitari formate da gang locali ed da ex militari ed ex poliziotti esiliati a Santo Domingo assalirono Port-au-Prince.
A capo dei paramilitari c’era l’ex leader della Front Révolutionnaire Armé pour le Progrès d'Haiti (FRAPH), il principale gruppo paramilitare che agiva tra il 1990 e il 1994. Aristide venne “scortato” fuori dal Paese da militari statunitensi e canadesi, con una operazione da lui definita “un nuovo colpo di Stato”. Nonostante il dispiegamento di una forza ONU, la situazione della sicurezza non ha fatto che peggiorare. Il terribile terremoto che ha colpito Haiti nel 2010 ha reso ancora più precarie le condizioni di vita della popolazione, allargando il bacino di reclutamento delle gang che non fanno altro che proliferare.
Le gang si disputano il controllo degli assi viari della capitale e dei principali porti dai quali passano merci legali e illegali (in primis le armi), taglieggiando la popolazione vittima di una vera e propria “industria dei sequestri”. Tra le vittime vi sono pure sacerdoti e religiosi, come le sei suore della Congrégation des Sœurs de Sainte-Anne, rapite il 19 gennaio e in seguito liberate.
L’uccisione del Presidente Jovenel Moïse, il 7 luglio 2021 da parte di un commando di mercenari colombiani e statunitensi di origine haitiana ha aggravato ancora di più l’insicurezza, accrescendo il potere delle gang. (L.M.)
Fonte: Agenzia Fides
Le religiose della Congregazione di Sant'Anna erano state prese in ostaggio da uomini armati lo scorso 19 gennaio, mentre viaggiavano su un autobus. Sequestrate anche altre due persone. Tutti sono stati rilasciati, come conferma l'arcivescovo della capitale haitiana Mesidor. Domenica scorsa l'appello del Papa all'Angelus per le suore e per la pace sociale nell'isola
Sono state liberate le sei suore della Congregazione di Sant’Anna rapite lo scorso 19 gennaio a Port-au-Prince, Haiti. Rilasciate anche le altre persone che le accompagnavano e prese in ostaggio da uomini armati che avevano bloccato l’autobus sul quale viaggiavano e che, come riferito dai media locali, avevano chiesto una somma pari a 3 milioni e mezzo di riscatto. La conferma della liberazione giunge ai media vaticani dall’arcivescovo metropolita della capitale haitiana, Max Leroys Mesidor, presidente della locale Conferenza Episcopale, che esprime la gioia per la notizia e ringrazia tutti coloro che hanno prestato attenzione e offerto sostegno in questa situazione: “Rendiamo grazie a Dio! Grazie per il vostro sostegno”.
Il Papa nell’Angelus dell’ultima domenica, 21 gennaio, aveva lanciato “accoratamente” un appello dalla finestra del Palazzo Apostolico per il rilascio delle sei religiose e per i drammi che vive l’isola: “Prego per la concordia sociale nel Paese e invito tutti a far cessare le violenze che provocano tante sofferenze a quella cara popolazione”, ha detto il Pontefice.
Alla richiesta accorata del Papa era seguita quello di monsignor Pierre-André Dumas, vescovo di Anse-à-Veau-Miragoâne e vicepresidente della Conferenza episcopale, che, tramite i microfoni della Radio Vaticana, aveva fatto sapere di volersi offrire come ostaggio in cambio delle religiose. “Sequestrare delle donne che dedicano la loro vita ad occuparsi di salvare poveri e giovani è un gesto che vedrà il giudizio di Dio”, ha aggiunto poi il presule, stigmatizzando il rapimento che si unisce ai numerosi episodi di violenza che feriscono il volto del Paese.
Sempre Dumas, in una nota diffusa oggi, rende grazie al Signore per la liberazione degli otto ostaggi: "Questo evento traumatico - scrive - ha messo ancora una volta alla prova la nostra fede, ma essa rimane incrollabile". Abbiamo "gridato" a Dio, prosegue, ed "Egli ci ha reso forti nelle nostre prove e ha riportato i nostri prigionieri alla libertà. Ha convertito i cuori induriti e libererà Haiti da ogni male, affinché tutti i suoi figli conoscano la gioia di una libertà inestimabile. La Chiesa rimane impegnata per l'avvento di un'era di giustizia e di pace ad Haiti".
La stessa Chiesa cattolica haitiana proprio ieri, 24 gennaio, aveva organizzato una giornata di preghiera, meditazione e Adorazione Eucaristica per le religiose e tutte le persone sequestrate. “Devono smetterla di calpestare la dignità inalienabile dei figli di Dio!”, scrivevano in una nota congiunta l'arcivescovo Mesidor e padre Morachel Bonhomme, presidente della Conferenza dei religiosi di Haiti, invitando tutti i fedeli haitiani a "organizzare una catena di preghiere incessanti" per il rilascio dei sequestrati. Oggi, quindi, la buona notizia della liberazione.
Fonte: Vatican News
Uomini armati hanno preso possesso del pullman che trasportava le religiose. Il veicolo condotto verso una destinazione sconosciuta. Il vescovo di Anse-à-Veau et Miragoâne condanna questa azione "che non rispetta la dignità delle consacrate", chiede la liberazione di tutte le persone sequestrate e si offre come ostaggio al posto loro
La capitale haitiana sta vivendo un aumento degli episodi di violenza al punto che alcuni quartieri sono stati isolati negli ultimi giorni. Secondo fonti locali, 6 suore della congregazione delle Suore di Sainte-Anne sono state rapite insieme ad altre persone, tra cui l'autista, mentre si trovavano a bordo di un pullman che si dirigeva verso l'università della capitale Port-au-Prince. Il veicolo è stato fermato da uomini armati che sono saliti sul bus prendendo in ostaggio tutti i passeggeri. Il rapimento è avvenuto venerdì 19 gennaio in pieno giorno e nel centro della capitale.
Il rapimento, confermato da un comunicato stampa della Conferenza haitiana dei religiosi e delle religiose, è denunciato con forza anche da monsignor Pierre-André Dumas, vescovo di Anse-à-Veau e Miragoâne, il quale condanna “con vigore e fermezza quest'ultimo atto odioso e barbaro, che non rispetta nemmeno la dignità di queste donne consacrate che si donano con tutto il cuore a Dio per educare e formare i giovani, i più poveri e i più vulnerabili nella nostra società".
Nella nota il vescovo chiede il rilascio degli ostaggi e la fine di “queste pratiche spregevoli e criminali”. Invita poi "tutta la società haitiana di unirsi per formare una vera e propria catena di solidarietà attorno a tutte le persone sequestrate nel Paese, per ottenerne la liberazione e garantire loro un rapido ritorno sani e salvi alle loro famiglie e ai loro cari!”. Dumas si offre anche come ostaggio al posto loro.
Da domenica scorsa le bande armate hanno intensificato le loro azioni omicide, mentre nel Paese sono state organizzate manifestazioni contro l'insicurezza. Giovedì il quartiere di Solino, a sud di Port-au-Prince, è stato teatro di violenti scontri a fuoco tra bande rivali e in particolare un gruppo armato del vicino quartiere di Bel-Air. Gli scontri avrebbero provocato una ventina di morti, secondo il responsabile locale di un'organizzazione umanitaria per la difesa dei diritti umani.
Anche altri quartieri della capitale come Carrefour Péan e Delmas 24, sono stati presi di mira da attacchi di bande. Nelle strade di Port-au-Prince, i residenti hanno eretto barricate per proteggersi. Da diverse settimane, inoltre, i rapimenti sono aumentati sempre a Port-au-Prince. La settimana scorsa, un medico e un giudice di pace sono stati rapiti prima di essere rilasciati dopo il pagamento del riscatto.
Allo stesso tempo, da diversi giorni manifestazioni antigovernative sconvolgono il Paese, su appello di Guy Philippe, ex capo della polizia e politico, di ritorno ad Haiti dopo aver scontato una pena detentiva negli Stati Uniti per riciclaggio di denaro legato al traffico di droga. I manifestanti chiedono le dimissioni del primo ministro Ariel Henry, al potere da dopo l’assassinio del presidente Jovenel Moïse nel 2021, accusandolo della sua inerzia alla guida del Paese, sia sul piano economico che su quello della sicurezza.
Fonte: Vatican News
Suor Luisa Dell’Orto, originaria di Lecco, era “l’angelo dei bambini di strada”. Dopo l’esperienza di missione in Camerun e in Madagascar, la religiosa delle Piccole sorelle del Vangelo di Charles de Foucauld, da oltre 20 anni, si trovava ad Haiti, nella capitale Port au Prince. È stata uccisa la mattina di sabato 25 giugno durante una rapina.
Era la figura di riferimento di Kay Chal, la “Casa di Carlo”, sorta in un sobborgo poverissimo della capitale, grazie ai fondi raccolti dalla Caritas italiana e ricostruita, grazie al suo impegno, dopo il disastroso terremoto del 2010. Il centro è una “casa” per centinaia di bambini del poverissimo quartiere, disseminato da baracche di mattoni e lamiere e viuzze sterrate: «non c’è un solo spazio per i bambini, né per studiare né per giocare - raccontava a Lucia Capuzzi, inviata di Avvenire- Kay Chal è l’unica oasi dove possono incontrarsi, stare insieme, fare i compiti, vivere la loro infanzia troppo spesso rubata o ridotta in catene», sono accolti in uno spazio sicuro, animato anche dai volontari di Caritas Ambrosiana.
«Vengono dopo la scuola, a fare i compiti e sanno che fino alle 17 si studia. Poi facciamo altre attività: dal ballo al basket. E ad organizzare i gruppi sono i nostri ex alunni cresciuti che vogliono restituire quanto hanno ricevuto».
L’aggressione armata, ancora tutta da chiarire, che ha interrotto tragicamente tutto il bene che stava seminando con la sua fondamentale missione, è avvenuta nella mattina di sabato 25 giugno. Gravemente ferita, suor Luisa è stata portata d’urgenza all’ospedale Bernard Mevs, dove si è spenta poco dopo, due giorni prima di compiere 65 anni. La notizia ha sconvolto la comunità di Port au Prince, che ha perso così brutalmente “l’angelo” che sapeva portare loro un sorriso e una speranza.
Suor Luisa, Foto Vatican Media
«Non vanno a cercare i pericoli, ma i segni del Regno di Dio che viene, in mezzo ai poveri, tra coloro che sono importanti solo per Dio e ignorati da tutti.
Amano la vita, non vanno a cercare la morte là dove quattro spiccioli contano più di una santa donna; vanno a seminare parole di Vangelo, perché anche ai Paesi disperati si aprano via di speranza.
Non vanno con programmi e presunzioni, con dottrine e pretese, vanno a offrire amicizia, in nome del Signore, vanno a dire la loro impotenza perseverando nella preghiera.
Non scelgono dove andare, vanno dove sono chiamate dal gemito meno ascoltato, vanno dove sono mandate per diventare preghiera, offerta, amiche, seme che muore per portare frutto.
Così vanno tante donne che percorrono le strade più pericolose del mondo, che abitano le case più indifese. Vanno e non fanno notizia.
La morte di suor Luisa Dell’Orto, piccola sorella del Vangelo, ci lascia straziati e sconcertati, diventa rivelazione del bene che ha compiuto e della vita santa che ha vissuto, diventa dolore e preghiera.
Esprimo a nome della Chiesa Ambrosiana la partecipazione al lutto dei familiari, al ricordo grato e sofferto di quanti l’hanno conosciuta, la certezza che la sua morte, così simile alla morte di Charles de Foucauld, unita alla morte di Gesù possa essere seme di vita nuova per la terra di Haiti e per lei ingresso nella gloria».