È stata pubblicata dalla Sala Stampa della Santa Sede la catechesi di Papa Francesco preparata per l'udienza generale che si sarebbe dovuta svolgere oggi, 19 febbraio 2025, nell'Aula Paolo VI e che è stata annullata a causa del ricovero del Pontefice al Policlinico Gemelli.
Di seguito il testo che, pensato nell'ambito del ciclo giubilare di catechesi su "Gesù Cristo nostra speranza. L'infanzia di Gesù", propone una riflessione sulla "visita dei Magi al Re neonato".
Cari fratelli e sorelle, nei Vangeli dell’infanzia di Gesù c’è un episodio che è proprio della narrazione di Matteo: la visita dei Magi. Attratti dalla comparsa di una stella, che in molte culture è presagio della nascita di persone eccezionali, alcuni sapienti si mettono in viaggio dall’oriente, senza conoscere esattamente la meta del loro andare. Si tratta dei Magi, persone che non appartengono al popolo dell’alleanza. La volta scorsa abbiamo parlato dei pastori di Betlemme, emarginati nella società ebraica perché ritenuti “impuri”; oggi incontriamo un’altra categoria, gli stranieri, che arrivano subito a rendere omaggio al Figlio di Dio entrato nella storia con una regalità del tutto inedita. I Vangeli ci dicono dunque chiaramente che i poveri e gli stranieri sono invitati tra i primi a incontrare il Dio fatto bambino, il Salvatore del mondo.
I Magi sono stati considerati come rappresentanti sia delle razze primigenie, generate dai tre figli di Noè, sia dei tre continenti noti nell’antichità: Asia, Africa ed Europa, sia delle tre fasi della vita umana: giovinezza, maturità e vecchiaia. Al di là di ogni possibile interpretazione, essi sono uomini che non restano fermi ma, come i grandi chiamati della storia biblica, sentono l’invito a muoversi, a mettersi in cammino. Sono uomini che sanno guardare oltre sé stessi, sanno guardare in alto.
Il Papa Francesco nella Sala Clementina durante udienza con i partecipanti del Giubileo del Mondo della Comunicazione, 27 gennaio 2025
L’attrazione per la stella sorta nel cielo li mette in marcia verso la terra di Giuda, fino a Gerusalemme, dove incontrano il re Erode. La loro ingenuità e la loro fiducia nel chiedere informazioni circa il neonato re dei Giudei si scontra con la scaltrezza di Erode, il quale, agitato dalla paura di perdere il trono, subito cerca di vederci chiaro, contattando gli scribi e chiedendo a loro di investigare.
Il potere del regnante terreno mostra in tal modo tutta la sua debolezza. Gli esperti conoscono le Scritture e riferiscono al re il luogo dove, secondo la profezia di Michea, sarebbe nato il capo e pastore del popolo d’Israele (Mi 5,1): la piccola Betlemme e non la grande Gerusalemme! Infatti, come ricorda Paolo ai Corinzi, «quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti» (1Cor 1,27).
Tuttavia gli scribi, che sanno individuare esattamente il luogo di nascita del Messia, indicano la strada agli altri ma loro stessi non si muovono! Non basta, infatti, conoscere i testi profetici per sintonizzarsi con le frequenze divine, bisogna lasciarsi scavare dentro e permettere che la Parola di Dio ravvivi l’anelito alla ricerca, accenda il desiderio di vedere Dio.
A questo punto Erode, di nascosto, come agiscono gli ingannatori e i violenti, chiede ai Magi il momento preciso della comparsa della stella e li incita a proseguire il viaggio e a tornare poi a dargli notizie, perché anche lui possa andare ad adorare il neonato. Per chi è attaccato al potere, Gesù non è la speranza da accogliere, ma una minaccia da eliminare!
Quando i Magi ripartono, la stella riappare e li conduce fino a Gesù, segno che il creato e la parola profetica rappresentano l’alfabeto con cui Dio parla e si lascia trovare. La vista della stella suscita in quegli uomini una gioia incontenibile, perché lo Spirito Santo, che muove il cuore di chiunque cerca Dio con sincerità, lo colma pure di gioia. Entrati in casa, i Magi si prostrano, adorano Gesù e gli offrono doni preziosi, degni di un re, degni di Dio. Perché? Cosa vedono? Scrive un antico autore: vedono «un umile corpicino che il Verbo ha assunto; ma non è loro nascosta la gloria della divinità. Si vede un bimbo infante; ma essi adorano Dio» (Cromazio di Aquileia, Commento al Vangelo di Matteo 5,1). I Magi diventano così i primi credenti tra tutti i pagani, immagine della Chiesa adunata da ogni lingua e nazione.
Cari fratelli e sorelle, mettiamoci anche noi alla scuola dei Magi, di questi “pellegrini di speranza” che, con grande coraggio, hanno rivolto i loro passi, i loro cuori e i loro beni verso Colui che è la speranza non solo d’Israele ma di tutte le genti. Impariamo ad adorare Dio nella sua piccolezza, nella sua regalità che non schiaccia ma rende liberi e capaci di servire con dignità. E offriamogli i doni più belli, per esprimergli la nostra fede e il nostro amore.
* Ufficio per la Comunicazione con informazioni di Sala Stampa della Santa Sede.
Giubileo nel mondo. Pellegrino è chi si mette in cammino cercando di abbracciare la gente che incontra, come spiega padre Stefano Camerlengo, missionario della Consolata, parlando del suo impegno tra villaggi lontani nel Nord della Costa d’Avorio. “La speranza – afferma a 'Popoli e Missione' - è prima di tutto presenza”
Ha 68 anni padre Stefano Camerlengo, missionario della Consolata a Dianra, in Costa d’Avorio, ma la sua sembra una vita lunghissima, tanto è stata intensa. Ordinato sacerdote nel 1984 nella Repubblica Democratica del Congo, allora Zaire, ci è rimasto per 18 anni; poi, per nove ha svolto animazione missionaria in Italia, prima a Galatina e successivamente a Bevera. Nel 2005, è stato eletto Vice-Superiore generale dell’Istituto dei Missionari della Consolata e, nel 2011, Superiore Generale, riconfermato fino al 2017. Nel 2023 ha concluso il suo servizio presso la Direzione generale e nel 2024 è partito per la missione in Costa d'Avorio.
Missionari della Consolata in Costa d'Avorio
“E dopo 40 anni di sacerdozio, ti chiedi cosa fare ancora, come missionario”. Per lui, la risposta più logica è stata partire. “Girare il mondo, durante il mio incarico nella congregazione, è stata un’esperienza unica, perché ogni posto diventa casa tua” ammette padre Stefano. “Ma la cosa che più mi è mancata in questi anni è la continuità delle relazioni, la quotidianità con un gruppo con cui condividere la missione, con cui crescere e diventare famiglia”. Oggi, quel desiderio sembra realtà. Dalla diocesi di Odienné, infatti, la sua voce al telefono è carica di entusiasmo.
“Mi sono reso disponibile e sono stato mandato qui, a Nord della Costa d’Avorio”, spiega. Un territorio grande come le Marche – la sua regione d’origine – con due parrocchie che comprendono 20-25 villaggi ciascuna. Con lui, fin dall’inizio, c’era anche padre Matteo Pettinari, morto in un incidente stradale il 18 aprile 2024: “Un missionario infaticabile, il più giovane italiano del nostro Istituto”.
Ora lo affianca un sacerdote ugandese. “è una zona prevalentemente musulmana (il 93%), dove la convivenza è pacifica. I cristiani sono il 3% della popolazione: significa che tu arrivi in un posto dopo più di un’ora di strada e hai tre fedeli in chiesa. È tuttavia interessante essere in minoranza, anche perché la speranza è prima di tutto presenza, far sentire che ci sei. Tu vai ad alimentare una fede con i pochi che ci sono, e lo fai con gesti concreti”. Per esempio, nella missione di Dianra, essendo carente l’aspetto sanitario, è stato realizzato un piccolo ospedale, che è un punto di riferimento per tutti, con campagne di prevenzione, visite nei villaggi, vaccinazioni. O, ancora, sono stati avviati progetti di scolarizzazione, principalmente rivolti a bambini e a ragazze, che sono le categorie meno rispettate.
Missione di Dianra Village
“È incredibile come le donne, la cui dignità non è assolutamente riconosciuta, siano poi quelle che danno veramente speranza alla famiglia, alla comunità e al Paese. Lavorano nel silenzio, ma il loro messaggio arriva a tutti: sono il futuro dell’Africa”. È nell’accompagnare queste situazioni che si realizza il suo essere “pellegrino di speranza”. “Lo sento quando mi accolgono in un Paese che non è il mio o capitano segnali forti che ti toccano dentro e ti cambiano. Me ne accorgo davanti alla meraviglia del cuore della gente, e ogni volta che vedo qualcosa di grande in mezzo a tanta povertà e polvere, in un angolo della Terra dimenticato da tutti”. Per il missionario, già solo una messa è un’iniezione di speranza: “Celebrare è ciò che dà senso alla mia vocazione”.
E anche nei giorni feriali, quando i suoi parrocchiani vanno a lavorare nei campi fuori dal villaggio (divenendo anch’essi pellegrini), gli bastano pochi e semplici incontri, un grazie, un sorriso, per “ripartire e fare fronte alle difficoltà. Perché la speranza ricomincia sempre. Perché pellegrino è chi si mette in cammino cercando di abbracciare la gente che incontra; è chi lascia gli spazi delle proprie comodità per camminare con Lui verso luoghi sconosciuti e vivere legami significativi”.
È, in fondo, il senso di ogni Giubileo, per noi e per la Chiesa essere “l’occasione per un cambiamento vero, la forza dirompente capace di aprire la porta della fede e dell’accoglienza, superando la tentazione di ritirarsi nella propria piccola vita”. Tempi difficili per la speranza, ma il sogno di padre Stefano è quello di “poter dare una mano per costruire una solida comunità cristiana, attenta ai bisogni degli altri”. E intanto fa sue le parole di san Riccardo: “Turista è chi passa senza carico né direzione. Camminatore chi ha preso lo zaino e marcia. Pellegrino chi, oltre a cercare, sa inginocchiarsi quando è necessario”.
* Originalmente pubblicato in Popoli e Missione.
Francesco incontra i partecipanti del Giubileo della Comunicazione: centinaia di operatori dell’informazione riuniti in Aula Paolo VI da diverse parti del mondo. Dopo il dialogo tra la premio Nobel Ressa e lo scrittore McCann, l’udienza del Pontefice che mette da parte il testo scritto e pronuncia un saluto a braccio: “Comunicare è uscire da sé stessi. Grazie del vostro lavoro, è importante. A patto che sia vero”. Nel discorso preparato l'invito a difendere la libertà di stampa
“Grazie per quello che fate!”. Una parola, a braccio, mirata, quella che Papa Francesco rivolge a coloro che della parola – scritta, letta, trasmessa, condivisa – fanno una professione: gli operatori dell’informazione. Migliaia quelli riuniti in Aula Paolo VI per il Giubileo della Comunicazione. A loro il Papa rivolge alcune parole a braccio, mettendo da parte il discorso scritto in cui lancia forti appelli per la libertà di stampa, per la scarcerazione dei giornalisti "ingiustamente" imprigionati e ricorda i reporter morti in guerra.
“Nelle mani ho un discorso di 9 pagine. A quest’ora con lo stomaco che comincia a muoversi leggere un discorso di 9 pagine sarebbe una tortura…”, dice il Pontefice, sorridendo alla platea che ricambia con un applauso. Lo stesso che ha salutato il suo ingresso, circa un’ora prima del previsto, accompagnato dal coro in spagnolo: “¡Esta es la juventud del Papa!”.
Il Papa non manca di lasciare comunque un messaggio ai suoi ospiti. Un messaggio di gratitudine per un lavoro, quello giornalistico, “importante” per costruire la Chiesa e la società: “A patto che sia vero”.
Comunicare è uscire un po’ di sé stessi, per dare del mio all’altro e la comunicazione non solo è l’uscita ma anche l’incontro con l’altro. Saper comunicare è una grande saggezza, una grande saggezza
LEGGI QUI IL TESTO INTEGRALE DEL DISCORSO DI PAPA FRANCESCO
Francesco si dice “contento” del Giubileo dei comunicatori, primo grande appuntamento degli oltre 35 che scandiranno l’Anno Santo. “Il vostro lavoro è un lavoro che costruisce, costruisce la società, costruisce la Chiesa, fa andare avanti tutti, a patto che sia vero”, dice il Papa, inscenando un dialogo con un fedele, caratteristico della sua predicazione: “Eh padre, io sempre dico le cose vere”. “Ma tu sei vero? Non solo le cose che tu dici. Ma tu, nel tuo interiore, sei vero?”.
“È una prova tanto grande, ma comunicare quello che fa Dio col figlio e la comunicazione di Dio col figlio è lo Spirito Santo”, aggiunge, ancora a braccio.
Riflessione con la giornalista filippina Maria Ressa e lo scrittore irlandese Colum McCann, moderato da Mario Calabresi
Il Papa benedice infine tutta l’assemblea e uno ad uno saluta i suoi ospiti, a cominciare da quelli presenti sul palco dell’Aula, in primis il prefetto del Dicastero per la Comunicazione, Paolo Ruffini, e poi quanti sono seduti in prima fila. Tra loro, la giornalista filippina Maria Ressa, premio Nobel per la Pace nel 2021, e lo scrittore irlandese Colum McCann, autore di 14 best seller tra cui l’acclamato Apeirogon, che racconta la storia di Bassam Aramin e Rami Elhanan, uno israeliano e uno arabo, uniti dal dolore per la morte delle figlie di 10 e 13 anni, uccise in circostanze diverse (Francesco li ha incontrati nell’aprile 2024). I due sono stati protagonisti poco prima - dopo un pellegrinaggio di tutti i partecipanti alla Porta Santa - di un appassionante momento di dialogo e confronto, moderato da Mario Calabresi, prima dell’arrivo del Papa. A seguire un’esibizione musicale del celebre violinista Uto Ughi con la sua orchestra di brani di Bach e Oblivion di Astor Piazzolla, autore argentino molto apprezzato da Jorge Mario Bergoglio.
Nel discorso preparato e consegnato ai partecipanti al Giubileo della Comunicazione, il Papa ricorda anzitutto i “colleghi che hanno firmato il loro servizio con il proprio sangue”, tutti i giornalisti morti durante quest’anno che definisce tra i più “letali” per i reporter. Centoventi quelli rimasti uccisi sotto le bombe e in attentati nei territori di guerra, secondo il rapporto annuale della Federazione internazionale dei giornalisti.
Il Giubileo si celebra in un momento difficile della storia dell’umanità, con il mondo ancora ferito da guerre e violenze, dallo spargimento di tanto sangue innocente. Per questo voglio prima di tutto dire grazie a tutti gli operatori della comunicazione che mettono a rischio la propria vita per cercare la verità e raccontare gli orrori della guerra.
Maria Ressa, Mario Calabresi e Colum McCann
Non dimentica il Papa anche “coloro che sono imprigionati soltanto per essere stati fedeli alla professione di giornalista, fotografo, video operatore, per aver voluto andare a vedere con i propri occhi e aver cercato di raccontare ciò che hanno visto. Sono tanti!”. Le cifre le ha fornite un comunicato di Reporter Senza Frontiere pubblicato a fine 2024: circa 500 sotto detenzione. Il Papa lancia un appello per la loro liberazione:
In questo Anno Santo, in questo Giubileo del mondo della comunicazione, chiedo a chi ha potere di farlo che vengano liberati tutti i giornalisti ingiustamente incarcerati. Sia aperta anche per loro una “porta” attraverso la quale possano tornare in libertà, perché la libertà dei giornalisti fa crescere la libertà di tutti noi. La loro libertà è libertà per ognuno di noi
L’altra “libertà” che domanda Francesco, sulla scia dei suoi predecessori, è “la libertà di stampa e di manifestazione del pensiero insieme al diritto fondamentale a essere informati”. “Un’informazione libera, responsabile e corretta è un patrimonio di conoscenza, di esperienza e di virtù che va custodito e va promosso”, sottolinea. “Senza questo, rischiamo di non distinguere più la verità dalla menzogna; senza questo, ci esponiamo a crescenti pregiudizi e polarizzazioni che distruggono i legami di convivenza civile e impediscono di ricostruire la fraternità”.
Nel messaggio per la 59.ma Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali, reso noto il 24 gennaio nella memoria liturgica di San Francesco di Sales Francesco, patrono dei ...
Per il Papa, quella del giornalista è più che una professione: “È una vocazione e una missione”. E i comunicatori hanno un ruolo fondamentale per la società oggi: “Il linguaggio, l’atteggiamento, i toni, possono essere determinanti e fare la differenza tra una comunicazione che riaccende la speranza, crea ponti, apre porte, e una comunicazione che invece accresce le divisioni, le polarizzazioni, le semplificazioni della realtà”.
La vostra è una responsabilità peculiare. Il vostro è un compito prezioso. I vostri strumenti di lavoro sono le parole e le immagini. Ma prima di esse lo studio e la riflessione, la capacità di vedere e di ascoltare; di mettervi dalla parte di chi è emarginato, di chi non è visto né ascoltato e anche di far rinascere – nel cuore di chi vi legge, vi ascolta, vi guarda – il senso del bene e del male e una nostalgia per il bene che raccontate e che, raccontando, testimoniate
Papa Francesco nell'Aula Paolo VI
Un altro concetto sul quale Francesco insiste è il “coraggio”. Coraggio “per avviare il cambiamento che la storia ci chiede”, per “superare la menzogna e l’odio”, per “ascoltare con il cuore, parlare con il cuore, custodire la sapienza del cuore, condividere la speranza del cuore”. Insieme alla liberazione dei giornalisti Bergoglio chiede allora “la “liberazione della forza interiore del cuore. Di ogni cuore”.
Cogliamo l’occasione del Giubileo per rinnovare, per ritrovare questo coraggio. Il coraggio di liberare il cuore da ciò che lo corrompe. Rimettiamo il rispetto per la parte più alta e nobile della nostra umanità al centro del cuore, evitiamo di riempirlo di ciò che marcisce e lo fa marcire
Con la Messa internazionale della memoria liturgica di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti, il vicario generale del Papa per la diocesi di Roma ha aperto nella basilica ...
La raccomandazione è di espellere la “putrefazione cerebrale” causata dalla dipendenza dal continuo scrolling (scorrimento) sui social media. Una “malattia” che colpisce in particolare i giovani. Per loro e per tutti il Pontefice chiede “un’alfabetizzazione mediatica” che educhi “al pensiero critico, alla pazienza del discernimento necessario alla conoscenza”. Al contempo domanda la collaborazione di imprenditori e ingegneri informatici “coraggiosi” perché “non sia corrotta la bellezza della comunicazione”.
I grandi cambiamenti non possono essere il risultato di una moltitudine di menti addormentate, ma prendono inizio piuttosto dalla comunione dei cuori illuminati
In mattinata il pellegrinaggio alla Porta Santa dei partecipanti al Giubileo della Comunicazione
Un ultimo focus, da parte del Papa, è sul “potere trasformativo” della narrazione, del racconto e dell’ascolto delle storie. Non tutte “sono buone” ma “anche queste vanno raccontate”: “Il male va visto per essere redento; ma occorre raccontarlo bene per non logorare i fili fragili della convivenza”, afferma Francesco. Il suo invito ai professionisti dell’informazione è a raccontare in questo Giubileo “storie di speranza” che “nutrono la vita”. E rendere lo storytelling anche un hopetelling: “Quando raccontate il male, lasciate spazio alla possibilità di ricucire ciò che è strappato, al dinamismo di bene che può riparare ciò che è rotto”.
Raccontare la speranza significa vedere le briciole di bene nascoste anche quando tutto sembra perduto, significa permettere di sperare anche contro ogni speranza
* Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano. Originalmente pubblicato in: www.vaticannews.va
Sicuramente abbiamo sentito dire che l'anno 2025 è l'anno del Giubileo, o quello che è conosciuto anche come "Anno Santo"; in realtà, il giubileo è iniziato il 24 dicembre 2024, con l'apertura, da parte di Papa Francesco, della Porta Santa della Basilica di San Pietro a Roma e si concluderà con la Solennità dell'Epifania 2026.
Non so se conosciamo il significato di celebrare un Anno Giubilare, se lo conosciamo già, molto bene, se no, allora vediamo qualche piccolo spunto sul suo significato.
Per capire meglio, torniamo alla storia, soprattutto dal punto di vista biblico.
Secondo i racconti biblici, troviamo che l'anno 1406 a. c. fu il primo anno in cui si celebrò il ciclo giubilare. In base a ciò, il Giubileo doveva essere convocato ogni 50 anni, perché era l'anno "extra", doveva essere vissuto ogni sette settimane di anni (7 x 7 = 49) e l’anno 50° corrispondeva al giubileo (cfr. Lev. 25,8 - 13). Infatti, questo testo dice: "Dichiarerai sacro questo cinquantesimo anno e proclamerai la liberazione di tutti gli abitanti della terra. Questo sarà un giubileo per voi".
Il Giubileo è una celebrazione che si svolge in diverse chiese cristiane storiche, in particolare nella Chiesa cattolica e nella Chiesa ortodossa. Secondo le sue origini, era "un anno in cui le proprietà venivano restituite, poiché gli acquisti e le vendite non erano per sempre ma duravano fino al Giubileo - restituzione delle terre. Un tempo in cui la terra doveva riposare e gli schiavi ebrei dovevano essere liberati e i debiti perdonati". Oggi, seguendo questa tradizione, in alcune parti del mondo durante il Giubileo, alcuni detenuti vengono rilasciati o le loro condanne vengono condonate.
Ora, nella tradizione cristiana cattolica, il concetto di Giubileo risale al 1300 d.C., quando Papa Bonifacio VIII proclamò il primo Anno Santo, o Giubileo. Ispirato alle pratiche del giubileo biblico, lo scopo di questo evento è stato quello di "offrire ai fedeli un tempo di rinnovamento spirituale, di riconciliazione e di perdono dei peccati"; Questo concetto è mantenuto fino ad oggi; Ciò che è cambiato sono alcune pratiche, che vanno d’accordo con le esigenze dei tempi. Ciò indica allora che il Giubileo è una celebrazione religiosa volta a promuovere la santità e il ritorno sulla retta via. I temi centrali di un Giubileo sono la penitenza e il perdono dei peccati attraverso il pellegrinaggio (passaggio attraverso la Porta Santa) e le opere di carità e misericordia.
Attualmente il giubileo si celebra ogni 25 anni e non ogni 50. In realtà, il periodo di tempo è stato modificato poco dopo il suo inizio. Il 19 aprile 1470, con il decreto papale "Ineffabilis Providentia", papa Paolo II stabilì che, a partire dal 1475, i giubilei dovevano essere celebrati ogni 25 anni.
Il tema proposto da Papa Francesco per il Giubileo 2025 è "Pellegrini di speranza". Questo tema richiama l'attenzione sull'importanza del pellegrinaggio, come metafora del cammino della vita, un viaggio di speranza verso la redenzione e la pace interiore.
Spero che questo ci aiuti a capire meglio che cosa significhi celebrare un anno giubilare.
Per tutti noi, un pellegrinaggio fruttuoso in questo Anno Giubilare e che possiamo portare speranza a coloro che condividono il nostro cammino di vita, perché “la speranza non delude”.
* Padre Jenaro Ardila, IMC, Direttore dell'Archivio Generale a Roma.
All'Angelus dell'Immacolata Concezione, il Papa si sofferma sullo sforzo diffuso di possedere e dominare, sulla fame di denaro, sul desiderio di avere "amici potenti", sui "falsi modelli luccicanti" che arrivano dai media e da internet: cedano il posto alla docilità nella misericordia del Padre, come fece la Vergine con il suo "sì" all'Arcangelo Gabriele. "Oggi è un bel giorno per decidersi di fare una bella Confessione", consiglia. "Il Signore perdona tutto"
Maria ha posto il suo destino in buone mani. Ce lo ricorda la catechesi di Papa Francesco all'Angelus domenicale della Solennità dell'Immacolata Concezione, nell'imminenza dell'apertura della Porta Santa del Giubileo. La provenienza periferica di questa umile e sconosciuta fanciulla diventa il centro di una storia nuova. Quanto siamo disposti, in un'epoca angustiata e cupa, a fare come fece lei di fronte all'Arcangelo Gabriele? Questa la domanda centrale che il Pontefice rivolge oggi.
La contemplazione della scena raccontata all'inizio del Vangelo di Luca - che il Papa raccomanda di andare a rileggere, spendendoci un poco di tempo, perché "vi assicuro che vi farà bene" - è accordata ai tempi di oggi. Ancora una serie di domande pone il Successore di Pietro, come aveva fatto nell'omelia della Messa celebrata poco prima in basilica. Ancora una volta, è l'individualismo e ciò che ne consegue, a preoccupare il Papa:
Nel nostro tempo, agitato da guerre e concentrato nello sforzo di possedere e dominare, dove ripongo la mia speranza? Nella forza, nel denaro, negli amici potenti, oppure nella misericordia infinita di Dio? E di fronte ai tanti falsi modelli luccicanti che circolano nei media e in internet, dove cerco io la mia felicità? Dov’è il tesoro del mio cuore? Sta nel fatto che Dio mi ama gratuitamente, che il suo amore sempre mi precede, ed è pronto a perdonarmi quando ritorno pentito a Lui? Oppure mi illudo nel cercare di affermare a tutti i costi il mio io e la mia volontà?
Umano e divino si congiungono "con una delicatezza meravigliosa" in quella parolina detta da Maria. È "un istante benedetto", sottolinea il Papa. Da quell'atteggiamento di una donna di Nazaret, sono dipese le sorti dell'intera umanità.
Come nella scena della creazione di Adamo dipinto da Michelangelo nella Cappella Sistina, dove il dito del Padre celeste sfiora quello dell’uomo; così anche qui, l’umano e il divino si incontrano, all’inizio della nostra Redenzione, nell’istante benedetto in cui la Vergine Maria pronuncia il suo “sì”.
Il Papa infine dà appuntamento a piazza di Spagna, dove si recherà nel pomeriggio come di consueto in questo giorno di festa, per l'Atto di venerazione a Maria Immacolata che rimanda, lo ricorda, a quel servizio della Parola di Dio che ciascuno è chiamato a rinnovare nel quotidiano. Qui Francesco a braccio aggiunge un consiglio: "Oggi è un bel giorno per decidersi di fare una bella confessione. Se oggi non potete andare, in questa settimana, fino a domenica prossima, aprite il cuore e il Signore perdona tutto, tutto, tutto. E così nelle mani di Maria saremo più felici...". Perché Maria è affidamento puro, amore incondizionato.
In lei non c’è nulla che faccia resistenza alla sua volontà, nulla che si opponga alla verità e alla carità. Ecco la sua beatitudine, che tutte le generazioni canteranno. Rallegriamoci anche noi perché l’Immacolata ci ha donato Gesù nostra salvezza!
* Antonella Palermo - Città del Vaticano. Originalmente pubblicato in: www.vaticannews.va