Arrivati nel 1984, i Missionari della Consolata si inseriscono in un territorio, una realtà, un popolo, una Chiesa, un progetto e delle comunità di fede cristiana e spiritualità indigena.
Il territorio parla di terra e spazio dove risiede un'intera “comunità di vita” nativa, ma dove giungono anche estranei o stranieri mossi da diverse motivazioni e necessità.
L'arrivo dei Missionari della Consolata nel Nord del Cauca avvenne nel 1984, grazie all'amicizia del padre Álvaro Ulcué con padre Ezio Roattino, missionario italiano che in quell'anno stava terminando il suo incarico come Superiore della comunità in Colombia.
Padre Ezio, che era stato destinato a lavorare a Londra, approfittò della prima settimana di novembre per visitare il padre Álvaro Ulcué Chocué, leader indigeno caucano e primo sacerdote cattolico della comunità Nasa. Insieme percorsero il territorio della Parrocchia San Giovanni Bautista di Toribio, celebrando la memoria degli antenati nel mese che i cattolici dedicano ai defunti.
Álvaro, riconoscente verso il suo amico Ezio, lo aveva accompagnato il 9 novembre da Toribio fin a Santander de Quilichao. Si salutarono presso l'ufficio dell'azienda di trasporti e Ezio partì per Bogotá dove arrivò all'alba del 10 novembre. Proprio in quelle ore il padre Álvaro venne assassinato e allora il padre Ezio tornò immediatamente per accompagnare la comunità, la madre di Álvaro –la signora Soledad– e la sua famiglia, nel villaggio di Pueblo Nuevo, dove Álvaro era nato e sarebbe stato sepolto. Poi il 27 dicembre salutò la comunità di Toribio e partì per Londra.
In quegli anni, i Missionari della Consolata stavano vivendo un intenso processo di riflessione missionaria, stimolato in particolare dalla Terza Conferenza Episcopale Latinoamericana tenutasi a Puebla (Messico) nel 1979, dedicata alla “Evangelizzazione nel presente e nel futuro dell'America Latina”. Si stavano prendendo decisioni su alcune opzioni missionarie “ad gentes”.
La riflessione portava a identificare come luogo specifico della missione “ad gentes” il contatto con “l'altro”. Gli “altri” sono culturalmente diversi, e con loro bisogna avviare un dialogo interculturale e interspirituale che porti all'inculturazione del Vangelo; sono sociologicamente poveri e con loro si tratta di lottare per la promozione e liberazione integrale; sono geograficamente lontani ed esclusi, e li dobbiamo rispettare, accompagnare, curare e responsabilizzare. Nel contesto nazionale della Colombia, gli indigeni, gli afro-discendenti e i giovani rispondevano a questi criteri missionari.
Nello specifico questo territorio, che era stato recuperato dalla popolazione indigena, è stato poi sequestrato dal commercio illecito della coca, pianta sacra per gli indigeni ma prostituita da alcuni locali e cartelli commerciali esterni. Per questo motivo, nel corso degli anni, questa terra, abitata da gente nobile e buona, è stata bagnata da lacrime di dolore e rabbia che hanno alimentando la violenza e seminato morte.
Il popolo indigeno Nasa è un popolo che da generazioni resiste spinto dalla memoria degli antenati e centrato nella costruzione e realizzazione di quello che hanno chiamato “Piano di vita”. Una data importante in questo cammino è stata il 24 febbraio 1971 quando nacque, in una assemblea riunita a Toribío nella quale parteciparono le comunità di sette territori indigeni, il Consiglio Regionale Indigeno del Cauca (CRIC). Il progetto è articolato in nove punti:
Questo progetto riprendeva processi interrotti e lotte legate a figure come quella di Quintín Lame e la Gaitana, oltre a molti altri leader assassinati. Questi processi di resistenza e lotta –che sono radicati nella storia e nascono in mezzo alle montagne nella cordigliera centrale bagnate dalle acque del fiume Páez– si sono rafforzati con la presenza e l'azione del padre Álvaro Ulcué e dei Missionari della Consolata.
La vita e l'opera di padre Álvaro Ulcué Chocué è stata analizzata e definita in vari modi: i più lo considerano un leader indigeno assassinato, figlio del popolo Páez; Joan Manuel Largo Vargas, ricercatore dell'Università Nazionale, lo definisce un “mediatore interculturale nella vita politica colombiana”; Leider Harcides Hoyos Burbano, dell'Università del Cauca, osserva che era un “Nasa Pal sentipensador” (che sente e pensa); Beltrán e Mejía lo chiamano “il profeta dei Páez”, un uomo che denunciò menzogne e ingiustizie, annunciando con la sua opera e la sua parola il messaggio di Gesù liberatore.
Forse nella figura di Álvaro tutti questi aspetti si uniscono e integrano se vediamo in lui il discepolo missionario del Signore Gesù che, come Giovanni Battista, patrono e titolare della sua parrocchia di Toribío, indica al popolo l’Agnello di Dio e –nella Chiesa e a servizio della liberazione– lavora per il regno dell’amore.
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Álvaro non è mai stato un uomo isolato. Lui era parte del popolo Nasa, quel popolo millenario “sentipensador” che sente e pensa a partire dalla sua terra. In Lui era riflessa la filosofia secondo cui la terra è un'entità spirituale vivente, dove l'uomo è una parte e tutto è interconnesso.
È stato questo popolo a portare Álvaro a formare una Équipe Missionaria insieme alle Missionarie della Madre Laura e ai giovani laici delle comunità con il fine di inculturare il Vangelo in mezzo alla sua gente. In questo contesto nasce nel 1980 il Progetto Nasa costruito con i Resguardos di Toribío, Tacueyó e San Francisco. L'obiettivo del Progetto Nasa era quello di recuperare “identità e cultura per promuovere alternative specifiche in ambito culturale, educativo, socio-economico, politico e ambientale”.
Il Progetto Nasa sussiste ancora oggi e continua a impegnarsi nello sviluppo di “una comunità nuova, organizzata, unita e consapevole” che offra opportunità educative ed economiche e preservi la ricchezza ambientale della regione. I Missionari della Consolata si sono allontanati ma il popolo e il suo Progetto continuano.
Missionari della Consolata, Armando Olaya (parroco), Mauro Riascos, Juan José Oliváres, Rinaldo Cogliati e Missionarie di Santa Laura Montoya nel 1985
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In questo processo popolare ed ecclesiale, alla morte del padre Alvaro, si inserirono i Missionari della Consolata. Fin dall'inizio i Missionari della Consolata hanno cercato di attuare alcune strategie missionarie, espressione della loro identità carismatica “ad gentes” orientata alla consolazione e liberazione.
1. Si inserirono nel territorio in modo missionario e non parrocchiale. Per rispondere alle esigenze dell’équipe missionaria di Toribío venne coinvolta inizialmente la Comunità Formativa del Teologico Internazionale e la Parrocchia della Consolata di Bogotá. Il padre Armando Olaya, membro della Comunità Formativa, fu inviato come parroco a Toribío per sostituire il padre Álvaro assassinato . In breve tempo l’Équipe ampliò la sua presenza oltre la parrocchia iniziale, assumendo la cura delle Parrocchie e i Resguardos di Tacueyó, Jambaló e Caldono. Si abbracciava con un progetto comune tutto un popolo e un territorio.
2. Arrivarono senza un piano predefinito, ma pronti a conoscere e valorizzare il progetto del popolo. I Cabildos e le comunità indigene, coordinati dal CRIC e dal Progetto Nasa, stavano recuperando autonomia, unità, cultura e mezzi di vita sostenibili attraverso il dialogo e la resistenza pacifica.
3. Presentarono il Vangelo come luce e consolazione liberatrice. L'annuncio del Vangelo era sempre in dialogo con la spiritualità del popolo Nasa e sosteneva tre aspetti centrali del progetto di Vita del popolo Nasa: il miglioramento delle opportunità educative e delle attività generatrici di reddito; la gestione sostenibile delle risorse naturali; la pressione politica per migliorare i diritti indigeni e la loro rappresentanza nel governo locale necessari anche per contrastare gli effetti del conflitto armato nelle terre indigene.
Oggi nuove realtà istituzionali e orientamenti missionari hanno portato i Missionari della Consolata a valutare la necessità di un cambiamento. La decisione di lasciare il Nord del Cauca si è concretizzata progressivamente fino al 26 gennaio 2025, quando, durante una solenne celebrazione eucaristica, venne ufficializzata la consegna della Parrocchia di Toribío all'Arcidiocesi di Popayán e il saluto al territorio.
Ai Missionari della Consolata resta una profonda riflessione missionaria, auspicabilmente collettiva, su questo ricco e innovativo processo, per trarre insegnamenti al servizio della propria istituzione e della Chiesa locale e universale.
* Padre Salvador Medina, missionario della Consolata in Colombia.
Per una settimana, i Missionari della Consolata che operano nell'Amazzonia colombiana si sono riuniti a Puerto Leguízamo per condividere esperienze, riflettere sulle sfide del territorio e rafforzare il loro impegno missionario. Con la presenza del Superiore regionale e la partecipazione di tredici missionari provenienti da cinque giurisdizioni ecclesiastiche di Colombia ed Ecuador, questo incontro ha permesso di rinnovare il senso della missione in una delle regioni più complesse e vitali per la Chiesa e per il mondo.
L'Amazzonia colombiana è una vasta regione situata nel sud del paese, caratterizzata da una grande ricchezza ecologica, una diversità culturale e una profonda interconnessione tra popoli indigeni, comunità contadine e ambiente naturale. Tuttavia, affronta gravi problematiche come la deforestazione, l'estrattivismo, il conflitto armato e la migrazione forzata, che mettono a rischio non solo l'ecosistema, ma anche la vita e la dignità dei suoi abitanti.
Visita missionaria alla comunità indigena di Puerto Refugio in Peru. Foto: Jaime C. Patias
Fin dal loro arrivo in Colombia, i Missionari della Consolata hanno delimitato e assunto opzioni missionarie: la stessa Amazzonia, la comunità afrodiscendente, i popoli indigeni, i giovani e le periferie urbane. In ognuna di queste aree, la missione si adatta alle esigenze locali, promuovendo il dialogo interculturale, l'evangelizzazione e lo sviluppo umano integrale.
L'incontro dei missionari in Amazzonia è stato segnato dalla riflessione sull'appello di Papa Francesco per una Chiesa sinodale, interculturale ed ecologica, in sintonia con il Sinodo per l'Amazzonia (2019) e l'esortazione apostolica Querida Amazonia. In questa prospettiva, i partecipanti hanno approfondito la necessità di una Chiesa che cammini con i popoli indigeni, ascolti le loro voci e valorizzi le loro spiritualità.
I missionari presenti provenivano da diverse giurisdizioni ecclesiastiche, tra cui l'Arcidiocesi di Florencia e le Diocesi di San Vicente del Caguán e Mocoa-Sibundoy, territori in cui l'evangelizzazione si svolge in contesti urbani e rurali, con un forte accompagnamento alle comunità contadine e indigene. Erano presenti anche missionari dei Vicariati Apostolici di Puerto Leguízamo-Solano (Colombia), San Miguel de Sucumbíos (Ecuador) e San José del Amazonas (Perù), regioni di missione dove la Chiesa è chiamata a un profondo dialogo con la cultura e la realtà dei popoli amazzonici.
Celebrazione eucaristica di chiusura nella parrocchia La Consolata, nell'ambito del Giubileo della Vita Consacrata nel Vicariato Apostolico di Puerto Leguízamo-Solano
Alcune delle principali preoccupazioni emerse durante l'incontro sono state:
- Riaffermare la missione in Amazzonia come un impegno per la vita e la giustizia, promuovendo la difesa dei diritti umani, culturali e ambientali.
- Rafforzare il lavoro di squadra e la cooperazione tra le Chiese locali, integrando sacerdoti diocesani, religiosi e laici nell'evangelizzazione del territorio.
- Adeguare i progetti comunitari e pastorali alle realtà amazzoniche, rispondendo alle esigenze concrete dei loro abitanti.
- Rivitalizzare le comunità locali in chiave interculturale, seguendo le linee guida delle Conferenze Regionali dell'IMC.
L'incontro si è concluso con la Celebrazione Eucaristica nella parrocchia La Consolata, nell'ambito del Giubileo della Vita Consacrata nel Vicariato Apostolico di Puerto Leguízamo-Solano. Questa celebrazione è stata un momento di ringraziamento per la missione in Amazzonia e un segno di speranza per il futuro.
Inoltre, i missionari hanno dato inizio alla Novena a San Giuseppe Allamano, fondatore dell'IMC, il cui lascito continua a ispirare l'opera missionaria nei luoghi più remoti del mondo.
* Santiago Quiñónez è giornalista dell'IMC in Colombia.
I Missionari della Consolata hanno restituito alla diocesi la missione che avevano iniziato a Toribío nella regione del Cauca, in Colombia. Pubblichiamo di seguito le significative parole di ringraziamento pronunciate dal signor Gilberto Muñoz a nome delle organizzazioni indigene, durante l'Eucaristia del 26 gennaio 2025.
“Vorrei porgere il mio saluto fraterno a tutti voi, alle persone che sono venute qui dai villaggi, alle autorità indigene, ai bambini e ai giovani, a voi missionari.
Sapete che sono originario di Corinto, ma è stato quando sono venuto a lavorare a Toribío che ho imparato ad avvicinarmi alla Chiesa, è stato con i Missionari della Consolata. E questo per un semplice motivo... qui ho visto la Chiesa che raggiungeva la gente, che era ed è stata con la gente. Era la chiesa che trasformava davvero, insegnava la parola di Gesù ma nella pratica e nella vita: condivisione, amore.
Ogni volta che qualcuno arrivava in questa casa, padre Antonio Bonanomi lo portava in cucina e gli diceva: “Hai preso il caffè? Hai fatto colazione?” Questo non l'ho visto fare in nessun’altra chiesa. Forse ci hanno abituati male, ma questa vicinanza ci manca.
C'erano anche le missionarie qui, li ho conosciute, le missionarie della Madre Laura che accompagnavano il padre Álvaro Ulcué Chocué, (il primo sacerdote indigeno Nasa)... e poi altre missionarie, ricordo la madre Teresa che era francese. Grazie al lavor dell'équipe missionaria, molti di noi abbiamo anche attraversato l’oceano e conosciuto il sostegno di molte istituzioni: la Conferenza Episcopale Italiana, Caritas, Manos Unidas, Fastenopfer, l'Unione Europea. Tutto questo fa crescere le persone. Da tutto questo esercizio, mi è rimasta una cosa molto importante, e vorrei dirla con le parole di padre Antonio: “se trovi un lavoro, non è per essere servito ma per servire”. A volte succede che se raggiungiamo una buona posizione politica o comunitaria pensiamo che dobbiamo essere serviti. No, in realtà dobbiamo servire le persone; io lo dico e lo ripeto sempre ovunque vada e cerco di metterlo in pratica.
In questa chiesa abbiamo vissuto momenti molto felici, belle celebrazioni, ma anche momenti molto tristi. Ricordo la “chiva bomba” quando un asse di quel veicolo era rimasto incastrato in un muro interno della parrocchia. Ricordo quando il padre Ezio Roattino, armato di sua stola, andava di casa in casa in mezzo alla sparatoria per fare uscire la gente ed evitare che divenissero vittime degli attacchi delle FARC (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia). Io sono stato rapito dalle FARC ma le comunità di questo municipio e di altri, incoraggiate dall'Equipe Missionaria, sono andate a cercarci e ad accompagnarci nel Caquetá dove ci avevano portato ed eccomi qui.
Gilberto Muñoz Coronado
Questa Equipe Missionaria si è dedicata certamente allo spirituale, ma anche ai progetti comunitari, all'educazione, alla trasformazione che ne deriva. C'è il Cecidic (Centro di Educazione, Formazione e Ricerca per lo Sviluppo Integrale della Comunità) che dice tutto lo sforzo che è stato fatto.
Un'altra frase di padre Antonio che ricordo molto: “chi impara a perdonare ha imparato ad amare”. Qui dobbiamo imparare a perdonare, a riconciliarci l'uno con l'altro. Ci sono tante ferite oggi, c'è tanto dolore in tante famiglie per le persone care che abbiamo perso... ma la parte spirituale ci aiuta e ci insegna.
Io in questa chiesa sono venuto con i miei figli piccoli, ci sedevamo sempre assieme e qui loro sono cresciuti. In questa chiesa, dopo aver conosciuto l'équipe missionaria, ho deciso anche di sposarmi; qui con me c'è anche mia moglie, siamo assieme da 41 anni, ma ci siamo sposati 31 anni fa, era il 9 gennaio 1993. Anche la Consolata celebra il suo anniversario 124, è stata fondata nel 1901, tutta una vita e tutta una storia di servizio. Ho potuto conoscere le loro casi di Milano, Torino, Roma... e anche vedere come, dopo aver offerto tutta la loro vita al servizio della gente, finiscono in una casa dove chiudono la loro vita quando non ce la fanno proprio più.
Parrocchia di San Giovanni Battista di Toribio
Ci sono molte lezioni che possiamo imparare da loro, ma oggi siamo qua per ringraziarli a nome di tutti e lo vogliamo fare con questa targa che vorremmo collocare da qualche parte in questa chiesa a perenne ricordo della vostra presenza e del vostro servizio. Dice tutta la gratitudine che abbiamo nel cuore e dice: “La nostra gratitudine ai Missionari della Consolata per l'accompagnamento spirituale, l'impegno e il sostegno ai nostri progetti comunitari a favore di bambini, giovani, donne e comunità.
Con affetto, le autorità indigene di Toribío, Tacueyó, San Fracisco, Progetto Nasa, Cecidic e la comunità in generale. Toribío Cauca 1984-2025. Dio vi benedica sempre cari missionari".
* Gilberto Muñoz Coronado, sociologo e membro dell'Assemblea dipartimentale del Cauca.
Nel gennaio 2025, dopo 41 anni di servizio, i Missionari della Consolata hanno chiuso la loro missione a Toribio, nel Cauca, celebrando con gratitudine e commozione un'eredità di fede, resistenza e impegno che continuerà a vivere nel cuore della gente.
Da oltre quattro decenni, i Missionari della Consolata camminano al fianco delle comunità di Toribío, un territorio caratterizzato da un ricco patrimonio culturale indigeno, ma anche da profonde sfide sociali e politiche. La loro presenza in questa regione del Cauca settentrionale non è stata solo un atto di fede, ma anche una testimonianza di resistenza, solidarietà e impegno nei confronti delle comunità indigene, contadine e afrodiscendenti del popolo indigena Nasa.
La partenza da Toribío ha coinciso con la commemorazione del 124° anniversario della fondazione dell'Istituto, un momento storico che è stato celebrato con gratitudine e riflessione.
Direzione Regionale della Colombia durante celebrazione nella parrocchia di San Juan Bautista di Toribio
Nel video che segue, padre Venanzio Mwangi, Superiore Regionale, ha condiviso un messaggio pieno di emozione: “Cara famiglia vi salutiamo da questa chiesa parrocchiale di San Giovanni Battista, e da questo paese di Toribio, dove siamo riuniti in consiglio per tutta questa settimana. Lo facciamo in occasione della chiusura della nostra presenza in mezzo a queste comunità; a questo punto oggi possiamo dire, come ci ha insegnato nostro Signore Gesù Cristo e San Giuseppe Allamano: “«abbiamo fatto quello che dovevamo fare»”. Questo messaggio, che invitava a “tornare alla prima esperienza di amore” e ad “abbracciare il nuovo che sta arrivando”, ha risuonato profondamente nella comunità.
La sera di sabato 25 gennaio, la comunità si è riunita per celebrare una solenne Eucaristia in onore del compleanno di padre John Wafula, l'ultimo parroco dei Missionari della Consolata a Toribío. La celebrazione è stata un momento di gioia e gratitudine, in cui i parrocchiani hanno espresso il loro affetto per padre John con doni e parole emozionanti: “Lo porteremo tutti, insieme agli altri missionari, nel nostro cuore”, sono state alcune delle frasi che sono risuonate in un'atmosfera piena di affetto e riconoscimento.
Il giorno successivo, domenica 26 gennaio, si è svolta l'Eucaristia di ringraziamento per i 41 anni di presenza dei Missionari della Consolata a Toribío. La cerimonia ha riunito una grande folla di fedeli, leader della comunità e rappresentanti delle organizzazioni locali, che hanno espresso la loro gratitudine per il lavoro pastorale e sociale dei missionari. L'Eucaristia è stata presieduta da padre Venanzio Mwangi, Superiore regionale e concelebrata dai membri del Consiglio regionale e da padre John. La celebrazione è stata ricca di dettagli interculturali, tra cui musica, danze e simboli della cultura Nasa, che riflettevano l'inculturazione della fede nella regione.
L'arcidiocesi di Popayán, il Progetto Nasa e altre organizzazioni locali hanno espresso la loro gratitudine ai missionari per il loro lavoro nella regione. Sono state consegnate due targhe commemorative: una sarà affissa all'ingresso della chiesa parrocchiale e invece l’altra sarà conservata negli archivi della comunità. Sono stati donati anche prodotti tipici della regione, come mochilas, chumbes, cappelli e cibo, come simbolo di gratitudine e legame con la terra.
I discorsi hanno ricordato la storia condivisa tra i missionari e la comunità, evocando momenti di gioia e di dolore. Hanno parlato delle lotte per la giustizia sociale, la difesa del territorio e la promozione della pace in mezzo ai conflitti armati. Sono state ricordate anche figure emblematiche come padre Ezio Roattino, padre Antonio Bonanomi e padre Álvaro Ulcué Chocué, il primo sacerdote indigeno Nasa, che ha ispirato il lavoro dei Missionari della Consolata e la la cui eredità continua a vivere nella regione.
Padre Álvaro Ulcué Chocué con la comunità. Foto: Archivio IMC.
Anche l'Associazione dei Cabildos Indigeni di Toribio, Tacueyo e San Francisco , conosciuta con il nome di “Proyecto Nasa” ha espresso la propria gratitudine all'Istituto per mezzo di un messaggio.
Leggi il messaggio completo qui.
Padre Álvaro Ulcué Chocué (1943-1984) è stato una figura trascendentale non solo per Toribío, ma per tutta la Colombia. Nato nel “resguardo” (riserva) di Pueblo Nuevo nel municipio di Caldono (Cauca), è stato il primo sacerdote indigeno dell'etnia Nasa. Fin da giovane ha dimostrato un profondo impegno verso la sua cultura e la sua fede, integrando la spiritualità cattolica con la visione del mondo indigeno.
Murale all'interno della chiesa parrocchiale illustra la storia dell'evangelizzazione di Toribi. Foto: Jaime C. Patias
Ordinato sacerdote nel 1973, padre Álvaro ha dedicato la sua vita alla difesa dei diritti dei popoli indigeni. Ha promosso un'evangelizzazione contestualizzata che rispettasse le tradizioni Nasa e ha lottato instancabilmente per il recupero delle terre ancestrali, minacciate dai latifondisti e dagli attori del conflitto armato. È stato anche un fervente sostenitore dell'istruzione e del rafforzamento della leadership indigena, creando spazi di formazione ceh facessero crescere e rafforzare la sua comunità.
La sua vita è stata una testimonianza di coraggio e resistenza di fronte all'ingiustizia sociale. Il 10 novembre 1984 fu assassinato a Santander de Quilichao da sicari, in un delitto che non è mai stato del tutto chiarito. Il suo martirio lo ha reso un simbolo della lotta per i diritti umani e per i diritti territoriali dei popoli indigeni.
Murale sulla parete della casa parrocchiale. Padre Álvaro ha dedicato la sua vita alla difesa dei diritti dei popoli indigeni
Fin dal loro arrivo nel 1984, i Missionari della Consolata si sono integrati nella vita delle comunità di Toribío, non solo come guide spirituali, ma anche come alleati nella costruzione di un futuro più dignitoso. Il loro lavoro ha incluso la costruzione di parrocchie, la formazione di leader comunitari e il rafforzamento di una spiritualità inculturata che rispetta e valorizza le tradizioni ancestrali del popolo Nasa.
La fine della presenza dei missionari a Toribío ha segnato la fine di una tappa storica, ma non la fine di una missione. Il seme gettato per più di quattro decenni continua a dare i suoi frutti in leader comunitari, famiglie rafforzate nella loro fede e una Chiesa locale impegnata nella giustizia e nella pace. “Grazie per aver camminato con noi, per essere parte della nostra storia”, sono state alcune delle parole che hanno risuonato durante la cerimonia.
La apertura della presenza IMC a Toribio insieme alle Suore Laurite nel 1984. Foto: Archivio IMC Colombia
Oggi, guardando al passato, rivediamo i volti di coloro che hanno camminato con il popolo toribiano, li ringraziamo per la loro dedizione e per le innumerevoli testimonianze di vita che hanno lasciato in eredità. Che lo spirito missionario continui a illuminare i cuori di chi resta e che la Consolata continui a guidare il suo popolo nella speranza e nell'impegno per la giustizia e la pace.
* Santiago Quiñonez è giornalista dell'IMC nella Regione Colombia.
Nel giorno dell'Epifania, il 6 gennaio 2025, due novizi colombiani hanno iniziato il loro anno di formazione nel Noviziato Continentale Sant'Oscar Arnolfo Romero dei Missionari della Consolata, nel cuore dell'Amazzonia brasiliana.
Il maestro, padre José Martín Serna, IMC, accompagnerà i due giovani, Jhon Anderson Guerrero Useche e Sergio Andrés Warnes Alcazar.
L'inizio ufficiale è avvenuto con una celebrazione Eucaristica presso la sede del Noviziato, situata nella zona nord di Manaus e presieduta da padre Julio Caldeira, IMC, consigliere Regionale in Brasile, e concelebrata dai missionari che lavorano a Manaus, i padri Gabriel Oloo, Martin Serna, Manoel Monteiro (Neo) e Antony Murigi.
In questa tappa del Noviziato, secondo le Costituzioni dell’Istituto (nn. 96-98), “il novizio approfondisce le ragioni della sua vocazione di missionario della Consolata e intensifica il processo di maturazione attraverso una speciale esperienza di unione con Dio, fino a donarsi totalmente a Lui per la missione, con la Professione Religiosa”.
Sergio Andrés Warnes Alcázar, 24 anni, nato a Cartagena de Indias (nei Caraibi colombiani), ha iniziato il suo percorso vocazionale presso il seminario diocesano di San Carlo Borromeo, dove ha scoperto la sua passione per il servizio e la missione e ha deciso di dedicarsi alla missione ad gentes, entrando nell'Istituto Missioni Consolata (IMC).
Il suo desiderio è quello di “seguire le orme di Gesù e portare il Vangelo a chi ne ha più bisogno, con determinazione e amore per la missione”. A tal fine, “in questa nuova tappa, porto nell'anima la fiamma e la ferma determinazione di essere un missionario della Consolata; per dirla con San Giuseppe Allamano, la fiamma arde, e in questo Noviziato mi impegno a farla bruciare con amore”, conclude Sergio.
Anderson e Sergio, novizi dell'IMC 2025 a Manaus in Brasile
Jhon Anderson Guerrero Useche ha 26 anni ed è nato a San Vicente del Caguán (Caquetá), nell'Amazzonia colombiana. Ha studiato presso il Collegio dei Fratelli di La Salle, dove ha sviluppato una grande passione per Gesù e la missione. Dopo aver studiato filosofia, ha iniziato il suo percorso formativo con i Missionari della Consolata.
Jhon Anderson esprime grande gioia perché “mi sento legato alle radici del Fondatore, San Giuseppe Allamano e alla sua proposta di missione e consolazione”. Il giovane Anderson dice di voler “vivere questo anno di Noviziato a Manaus, con grande gioia e speranza camminando con i missionari della Consolata”.
Dal 2021 il Noviziato Continentale si trova nel cuore dell'Amazzonia a Manaus e ha come protettore sant'Oscar Arnulfo Romero, profeta dei poveri e martire per la giustizia e la pace. I novizi sono accompagnati anche dall'équipe missionaria IMC del Gruppo di Manaus che lavorano nell’Area Missionaria Famiglia di Nazareth e nella Parrocchia di Santa Luzia.
Nel passato, questo Noviziato ha già funzionato nella città di Bucaramanga, Colombia (1981 - 1994) e a Martin Coronado, Argentina (1995-2019).
Chiediamo a Maria Consolata, nostra cara Madre, e a San Giuseppe Allamano, nostro Padre e Fondatore, di aiutare e sostenere i due novizi in questo importante anno di grazie e benedizioni, nell'ambito del Giubileo 2025, “pellegrini di speranza”.
* Padre Júlio Caldeira, IMC, missionario a Manaus (AM).