Una rivolta che cresce, tra morti e feriti, con migliaia di persone che protestano contro i brogli elettorali in Mozambico. «In piazza in questi giorni abbiamo visto sia giovani senza futuro né occupazione, ma soprattutto nuove generazioni disorientate, donne e uomini ingannati dalla politica che tanto ha promesso e nulla mantenuto», racconta da Maputo il vescovo ausiliare dell’arcidiocesi della capitale, mons. Osório Citora Afonso, Missionario della Consolata.
Dalle elezioni del 9 ottobre, il Mozambico sta assistendo a una radicalizzazione dei discorsi politici e a una spirale di violenza preoccupante. Infatti, Venancio Mondlane, leader dell’opposizione, ha organizzato diverse proteste a Maputo, contro il governo, a seguito delle controverse elezioni presidenziali dello scorso mese di ottobre.
Mondlane, ex deputato e pastore riformato, aveva inizialmente promesso di guidare una marcia per contestare la vittoria del candidato del partito al governo, Daniel Chapo, che ha ottenuto il 71% dei voti secondo i risultati ufficiali.
Intanto le manifestazioni dei giorni scorsi hanno provocato almeno 24 morti e spinto le autorità a limitare l’accesso a internet. L’Onu e diversi ambasciatori hanno esortato alla calma, mentre il Sudafrica ha chiuso il principale confine terrestre e sconsigliato viaggi in Mozambico.
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Sul tema si sono espressi anche i vescovi cattolici del Mozambico hanno definito le elezioni del 9 ottobre come “fraudolente” e “manipolate” e hanno esortato le autorità a non “certificare una bugia”. Il presidente della conferenza episcopale, l’arcivescovo Inacio Saure, ha lamentato gravi irregolarità, come brogli elettorali e falsificazioni nei risultati, denunciando anche l’assassinio di due leader dell’opposizione prima del voto.
I quattro principali candidati alle elezioni mozambicane del 9 ottobre. Foto: CNE
I vescovi hanno avvertito del rischio di un ritorno alla violenza, invocando pace e giustizia per il Mozambico. Sullo sfondo delle tensioni politiche, la provincia settentrionale di Cabo Delgado continua a soffrire per l’insurrezione islamista, attiva dal 2017, che ha causato oltre un milione di sfollati e migliaia di vittime.
Human Rights Watch ha denunciato la polizia che avrebbe sparato con proiettili veri e di gomma per disperdere la folla, causando numerosi feriti, compresi bambini colpiti da gas lacrimogeni nelle proprie abitazioni. A Chimoio e Gondola, nella provincia di Manica, e a Nampula, diverse persone sono morte per ferite da arma da fuoco, mentre a Maputo le forze di sicurezza hanno lanciato gas lacrimogeni indiscriminatamente nelle case vicine alle proteste. Human Rights Watch ha chiesto un’indagine imparziale sugli episodi di violenza e ha esortato le autorità a garantire il rispetto dei diritti alla libertà di espressione e di assemblea previsti dalla Costituzione.
Gran parte dei mozambicani ha avuto esperienza diretta o indiretta della guerra civile, durata 16 anni fino al 1992. Per questo in molti, a partire dai vescovi e dai preti delle parrocchie del Paese si stanno dimostrando particolarmente apprensivi davanti alla crescente radicalizzazione dei discorsi, senza che all’orizzonte sia visibile una soluzione politica.
Mons. Osório Citora Afonso durante messa nella chiesa di San Giuseppe Allamano a Torino, Italia. Foto: Jaime C. Patias
Eppure è proprio dalla Chiesa locale che molto prima della tornata elettorale, era portato un progetto di sensibilizzazione e informazione delle persone, come racconta mons. Osório Citora Afonso, IMC, nato a Ribaue in Mozambico:
«La comunità cristiana è stata preparata attraverso una nota pastorale dei vescovi della Conferenza Episcopale del Mozambico, del 22 di aprile scorso, in occasione della realizzazione censimento elettorale e anche dell'elezione generale del 9 ottobre. Con questa nota pastorale, firmata dall’Arcivescovo di Nampula e presidente della conferenza episcopale, (CEM), il Missionario della Consolata, mons. Inacio Saure, abbiamo preparato i cristiani ad arrivare a quel momento così importante della vita del popolo mozambicano, consapevoli della loro responsabilità. Per questo motivo avevamo preso la frase biblica del Salmo 106, 3 “Beati coloro che osservano ciò ch'è prescritto, che fanno ciò ch'è giusto, in ogni tempo”. In questa nota, il primo aspetto che, come vescovi, abbiamo sottolineato è quello del camminare insieme, la sinodalità: “Insieme per una nazione più fraterna e democratica».
All'approssimarsi dell'elezione generale, «ci siamo detti», continua il vescovo ausiliare dell’arcidiocesi di Maputo «vogliamo offrire ai fedeli una riflessione che nasce dalle varie lezioni imparate dalle ultime elezioni in Mozambico. E allora abbiamo sottolineato quanto fosse importate camminare insieme per costruire una nazione più fraterna e più democratica. Abbiamo fatto un Appello a tutti coloro che sono coinvolti nel processo elettorale: agli organi elettorali, i partiti politici, i candidati, le organizzazioni della società civile, gli osservatori elettorali, i media e tutti i, i partiti politici, i candidati, le organizzazioni della società civile, gli osservatori elettorali, i media e tutti i mozambicani».
Le manifestazioni in Mozambico hanno provocato almeno 24 morti e spinto le autorità a limitare l’accesso a internet.
Questo documento è stato inviato i cristiani e a tutte le parrocchie nell'aprile di quest’anno, così che avessero diversi mesi per arrivare pronti alle elezioni di ottobre. Purtroppo, però non ha arginato le violente proteste per presunti brogli elettorali. «In questi giorni abbiamo visto in piazza e per le strade abbiamo visto dei mozambicani affamati della giustizia elettorale. Hanno difeso la verità delle urne elettorali che, secondo loro, non erano trasparenti e che c'erano molte frodi. Sono delle generazioni disorientate, donne e uomini che si sentono ingannati dai politici che tanto hanno promesso e nulla mantenuto. Questo li ha portati nelle strade di Maputo, ma anche di grandi città come Beira e Nampula. Queste persone vogliono il cambiamento. La società ha bisogno di un cambiamento, un’alternativa governativa ed un nuovo modello di governo. Dopo 50 anni con lo stesso partito nel potere hanno bisogno di un altro modo di fare governare che risponde alle ansietà dei giovani e che cerca il bene comune, dove i giovani hanno un luogo e un valore nella gestione della nazione», commenta mons. Osório Afonso.
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Che conclude:«Davanti alle atrocità che si vedevano nel dopo elezione, noi i vescovi abbiamo fatto una seconda nota, del 22 ottobre scorso, dove affermavamo: “Chiediamo il rispetto del diritto alla manifestazione politica, ma avvertiamo anche i giovani di non lasciarsi strumentalizzare e trascinare in azioni di vandalismo e destabilizzazione”.
Inoltre, si leggeva che “noi, i vescovi cattolici del Mozambico, chiediamo a tutti coloro che sono direttamente coinvolti in questo processo elettorale e nel conflitto generato di fare l'esercizio del riconoscimento della colpa e del perdono e del coraggio della verità. Il Mozambico non deve tornare alla violenza”, hanno insistito.
Questo messaggio è stato ripetuto da mons. Joao Carlos, Arcivescovo di Maputo e vice-presidente della Conferenza episcopale, la sera del 6 novembre quando si aspettava la giornata del 7 in cui si era programmato una grandissima manifestazione nella capitale: “Evitiamo spargimenti di sangue e violenze. Viviamo questa situazione nei vespri del giubileo dell’Anno Santo che ha come tema: “pellegrini di speranza”. Invitiamo a tutti noi ad essere i pellegrini di speranza in questo Mozambico».
* Originalmente pubblicato in: www.famigliacristiana.it
Diversi rappresentanti di vari Paesi della regione Pan-amazzonica si sono radunati dal 6 all'8 novembre a Puyo, nell'Amazzonia ecuadoriana, per riflettere sulle sfide e sui progressi fatti nella regione, rinnovando il loro impegno per la giustizia socio-ambientale, la difesa dei diritti umani e la realizzazione di una Chiesa dal volto amazzonico.
“Amazzonia: fonte di vita nel cuore della Chiesa”. Questo motto ha accompagnato la Rete Ecclesiale Pan Amazzonica (REPAM) nei suoi primi dieci anni ed è l'ispirazione fondamentale del decimo Comitato Esteso della Rete radunato a Puyo.
All'Assemblea generale partecipano i rappresentanti delle Reti nazionali di Bolivia, Brasile, Colombia, Ecuador, Guyana francese, Perù e Venezuela, oltre ai membri dei Centri tematici e delle istituzioni consorelle europee. È a Puyo che, nel 2013, è stato gettato il seme che, un anno dopo a Brasilia, avrebbe dato vita alla REPAM
“Oggi vogliamo darvi il benvenuto a Puyo. Essere qui oggi significa tornare alle origini della REPAM, tornare alle radici via via rafforzate dai diversi incontri nei nostri Paesi fratelli della regione pan-amazzonica. Siamo felici di accogliervi dove abbiamo piantato il seme che è nato dieci anni fa a Brasilia, e che abbiamo celebrato il 12 settembre di quest'anno”, ha detto il presidente della Rete e vescovo di Puyo, monsignor Rafael Cob.
Monsignor Rafael Cob, presidente della REPAM
Nel suo intervento, il vescovo Rafael ha sottolineato l'impegno della Chiesa nei confronti dell'Amazzonia e dei suoi popoli, evidenziando l'importanza di procedere verso una trasformazione integrale: “Questo incontro è un'opportunità per continuare a tessere i nostri sogni: quelli su cui abbiamo lavorato nel Sinodo per l'Amazzonia (2019) con lo spirito di conversione che Papa Francesco ci ha chiesto nella Querida Amazonia; e i sogni dei nostri popoli che dobbiamo realizzare, rispondendo al grido della terra e al grido dei popoli”.
Mons. Rafael Cob ha anche ricordato l'urgenza di alzare la voce di fronte alle ingiustizie che affliggono la regione: “Di fronte alla devastazione della nostra foresta e alla dolorosa realtà dei territori che soffrono le conseguenze dello sfruttamento, continuiamo ad alzare la nostra voce profetica contro coloro che sono responsabili di amministrare e realizzare la giustizia. La Chiesa deve essere una mano solidale e samaritana per i popoli che si muovono e vivono nell’Amazzonia”.
Suor Carmelita FMA, vicepresidente della REPAM
Suor Carmelita da Conceição, salesiana e vicepresidente del REPAM, condivide la gioia di poter nuovamente radunare i popoli amazzonici per continuare a tessere vita e speranza:
“Questo incontro è un'occasione per celebrare il dono che Dio ci ha fatto: un'istituzione che cerca l'unità, che si organizza per trovare soluzioni alle grandi sfide che i nostri popoli amazzonici devono affrontare. La REPAM è quindi un segno di vita e di speranza in mezzo alle avversità”.
“L'altro grande obiettivo di questo incontro” - ha proseguito suor Carmelita – “è sognare e pianificare il futuro. Vogliamo organizzare le nostre azioni per i prossimi cinque anni, partendo dai frutti che abbiamo raccolto in questi primi dieci anni per gettare nuovi semi che renderanno la nostra missione in Amazzonia più concreta ed efficace”.
Comitato allargato della REPAM
Fondata nel 2014, la REPAM è una rete ecclesiale al servizio della vita nei territori della regione pan-amazzonica, con l'obiettivo di rendere visibili, articolare e rafforzare i processi dei popoli e delle organizzazioni ecclesiali della regione. È una piattaforma per lo scambio di esperienze e servizi per rispondere alle esigenze degli otto Paesi che condividono i territori della regione Pan-Amazzonica: Bolivia, Brasile, Colombia, Ecuador, Guyana, Guyana Francese, Perù, Suriname e Venezuela.
Ogni anno la REPAM si riunisce nel suo Comitato allargato per monitorare e valutare le azioni svolte e definire le priorità nell'ambito del suo Piano d'azione pastorale. L'ordine del giorno di questa riunione prevede spazi di dialogo e riflessione sui temi dei diritti umani, azioni di confronto e proposte per continuare a consolidare la “Chiesa dal volto amazzonico”.
Padre Ferney Pereira, sacerdote indigeno Tikuna
Sarà inoltre presentato un bilancio dei tre anni del Piano pastorale e saranno affrontate le urgenze pastorali in materia di diritti umani, la ristrutturazione dei Centri tematici, la promozione della giustizia socio-ambientale e del “Buon Vivere”. Inoltre, si discuterà sulla relazione con la Conferenza Ecclesiale dell'Amazzonia – CEAMA; le articolazioni della COP16, della COP30 e di altre iniziative fondamentali per il futuro della regione. Infine, l'obiettivo è quello di rafforzare l'articolazione interna ed esterna della Rete, con proposte concrete per dare risposta alle grandi urgenze dell'Amazzonia.
* Padre Júlio Caldeira, IMC, membro dell'équipe di comunicazione della REPAM e del Consiglio di comunicazione del Celam, è missionario in Amazzonia.
“Dilexit nos”, la quarta Enciclica di Papa Francesco, ripercorre tradizione e attualità del pensiero “sull’amore umano e divino del cuore di Gesù Cristo”, invitando a rinnovare la sua autentica devozione per non dimenticare la tenerezza della fede, la gioia di mettersi al servizio e lo slancio della missione. È infatti nel Cuore di Cristo che “possiamo trovare tutto il Vangelo” (89) e “riconosciamo finalmente noi stessi e impariamo ad amare” (30).
Secondo Francesco, incontrando l’amore di Cristo, “diventiamo capaci di tessere legami fraterni, di riconoscere la dignità di ogni essere umano e di prenderci cura insieme della nostra casa comune”. L’auspicio è che il mondo, “che sopravvive tra le guerre, gli squilibri socioeconomici, il consumismo e l’uso anti-umano della tecnologia, possa recuperare ciò che è più importante e necessario: il cuore” (31).
Aperta da una breve introduzione e articolata in cinque capitoli, l’Enciclica sul culto del Sacro Cuore di Gesù raccoglie “le preziose riflessioni di testi magisteriali precedenti e di una lunga storia che risale alle Sacre Scritture, per riproporre oggi, a tutta la Chiesa, questo culto carico di bellezza spirituale”.
Il primo capitolo, “L’importanza del cuore”, spiega perché occorre “ritornare al cuore” in un mondo nel quale siamo tentati di “diventare consumisti insaziabili e schiavi degli ingranaggi di un mercato” (2). È il cuore “che unisce i frammenti” e rende possibile “qualsiasi legame autentico, perché una relazione che non è costruita con il cuore è incapace di superare la frammentazione dell’individualismo” (17). E il mondo può cambiare “a partire dal cuore” (28).
Il secondo capitolo si sofferma sui gesti e sulle parole d’amore di Cristo, mentre il terzo “Questo è il cuore che ha tanto amato” spiega come la Chiesa rifletta e abbia riflettuto “sul santo mistero del Cuore del Signore”. Il Papa sottolinea che “la devozione al Cuore di Cristo è essenziale per la nostra vita cristiana in quanto significa l’apertura piena di fede e di adorazione al mistero dell’amore divino e umano del Signore, tanto che possiamo affermare ancora una volta che il Sacro Cuore è una sintesi del Vangelo” (83). Di qui l’invito a rinnovare la devozione al Cuore di Cristo anche per contrastare “nuove manifestazioni di una ‘spiritualità senza carne’ che si moltiplicano nella società” (87). È necessario tornare alla “sintesi incarnata del Vangelo” (90) davanti a “comunità e pastori concentrati solo su attività esterne, riforme strutturali prive di Vangelo, organizzazioni ossessive, progetti mondani, riflessioni secolarizzate, su varie proposte presentate come requisiti che a volte si pretende di imporre a tutti” (88).
Negli ultimi due capitoli, il Pontefice mette in luce i due aspetti che “la devozione al Sacro Cuore dovrebbe tenere uniti per continuare a nutrirci e ad avvicinarci al Vangelo: l’esperienza spirituale personale e l’impegno comunitario e missionario” (91). Nel quarto, “L’amore che dà da bere”, rilegge le Sacre Scritture, e con i primi cristiani, riconosce Cristo e il suo costato aperto in “colui che hanno trafitto” che Dio riferisce a se stesso nella profezia del libro di Zaccaria. Diversi Padri della Chiesa hanno menzionato “la ferita del costato di Gesù come origine dell’acqua dello Spirito”, in primis Sant’Agostino, che “ha aperto la strada alla devozione al Sacro Cuore come luogo di incontro personale con il Signore” (103). Tra i devoti, l’Enciclica ricorda San Francesco di Sales, Santa Margherita Maria Alacoque, Santa Teresa di Lisieux, Santa Faustina Kowalska, San Giovanni Paolo II.
L’ultimo capitolo “Amore per amore” approfondisce la dimensione comunitaria, sociale e missionaria della devozione al Cuore di Cristo, che, nel momento in cui “ci conduce al Padre, ci invia ai fratelli” (163). L’amore per i fratelli è infatti il “gesto più grande che possiamo offrirgli per ricambiare amore per amore” (167), come ha testimoniato, ad esempio, San Charles de Foucauld.
Il testo si conclude con una preghiera di Francesco: “Prego il Signore Gesù che dal suo Cuore santo scorrano per tutti noi fiumi di acqua viva per guarire le ferite che ci infliggiamo, per rafforzare la nostra capacità di amare e servire, per spingerci a imparare a camminare insieme verso un mondo giusto, solidale e fraterno. Questo fino a quando celebreremo felicemente uniti il banchetto del Regno celeste. Lì ci sarà Cristo risorto, che armonizzerà tutte le nostre differenze con la luce che sgorga incessantemente dal suo Cuore aperto. Che sia sempre benedetto!” (220).
* Originalmente pubblicato in: www.chiesacattolica.it
Il Documento finale della seconda sessione del Sinodo, approvato integralmente dall'assemblea, racconta e rilancia un’esperienza di Chiesa tra “comunione, partecipazione, missione”, con la proposta concreta di una visione nuova che capovolge prassi consolidate
Il Documento finale votato oggi, approvato in tutti i suoi 155 paragrafi, viene pubblicato e non diventerà oggetto di un’esortazione del Papa: Francesco ha infatti deciso che sia subito diffuso perché possa ispirare la vita della Chiesa. “Il processo sinodale non si conclude con il termine dell’assemblea ma comprende la fase attuativa (9). Coinvolgendo tutti nel “quotidiano cammino con una metodologia sinodale di consultazione e discernimento, individuando modalità concrete e percorsi formativi per realizzare una tangibile conversione sinodale nelle varie realtà ecclesiali” (9).
Nel Documento, in particolare, ai vescovi si chiede molto riguardo l’impegno sulla trasparenza e sul rendere conto mentre – come affermato anche dal cardinale Férnandez, prefetto del Dicastero per la dottrina della fede – ci sono lavori incorso per dare più spazio e più potere alle donne.
Due parole-chiave che emergono dal testo – attraversato dalla prospettiva e dalla proposta della conversione - sono “relazioni” – che è un modo di essere Chiesa - e “legami”, nel segno dello “scambio di doni” tra le Chiese vissuto dinamicamente e, quindi, per convertire i processi. Proprio le Chiese locali sono al centro nell’orizzonte missionario che è il fondamento stesso dell’esperienza di pluralità della sinodalità, con tutte le strutture a servizio, appunto, della missione con il laicato sempre più al centro e protagonista. E, in questa prospettiva, la concretezza dell’essere radicati in “luogo” emerge con forza dal Documento finale. Particolarmente significativa anche la proposta presentata nel Documento per far sì che i Dicasteri della Santa Sede possano avviare una consultazione “prima di pubblicare documenti normativi importanti” (135).
Papa Francesco in chiusura del Sinodo dei Vescovi - XVII Congregazione Generale
Il Documento finale è formato da cinque parti (11). Alla prima - intitolata Il cuore della sinodalità – segue la seconda parte - Insieme, sulla barca di Pietro - “dedicata alla conversione delle relazioni che edificano la comunità cristiana e danno forma alla missione nell’intreccio di vocazioni, carismi e ministeri”. La terza parte – Sulla tua Parola – “identifica tre pratiche tra loro intimamente connesse: discernimento ecclesiale, processi decisionali, cultura della trasparenza, del rendiconto e della valutazione”. La quarta parte - Una pesca abbondante – “delinea il modo in cui è possibile coltivare in forme nuove lo scambio dei doni e l’intreccio dei legami che ci uniscono nella Chiesa, in un tempo in cui l’esperienza del radicamento in un luogo sta cambiano profondamente”. Infine, la quinta parte – Anch’io mando voi – “permette di guardare al primo passo da compiere: curare la formazione di tutti alla sinodalità missionaria”. In particolare, si fa notare, lo sviluppo del Documento è guidato dai racconti evangelici della Risurrezione (12).
L’Introduzione del Documento (1-12) mette subito in chiaro l’essenza del Sinodo come “esperienza rinnovata di quell’incontro con il Risorto che i discepoli hanno vissuto nel Cenacolo la sera di Pasqua” (1). “Contemplando il Risorto” – afferma il Documento – “abbiamo scorto anche i segni delle Sue ferite (…) che continuano a sanguinare nel corpo di tanti fratelli e sorelle, anche a causa delle nostre colpe. Lo sguardo sul Signore non allontana dai drammi della storia, ma apre gli occhi per riconoscere la sofferenza che ci circonda e ci penetra: i volti dei bambini terrorizzati dalla guerra, il pianto delle madri, i sogni infranti di tanti giovani, i profughi che affrontano viaggi terribili, le vittime dei cambiamenti climatici e delle ingiustizie sociali” (2). Il Sinodo, ricordando le “troppe guerre” in corso, si è unito ai “ripetuti appelli di papa Francesco per la pace, condannando la logica della violenza, dell’odio, della vendetta” (2). Inoltre, il cammino sinodale è marcatamente ecumenico – “orienta verso una piena e visibile unità dei cristiani” (4) - e “costituisce un vero atto di ulteriore recezione” del Concilio Vaticano II, prolungandone “l’ispirazione” e rilanciandone “per il mondo di oggi la forza profetica” (5). Non tutto è stato facile, si riconosce nel Documento: “Non ci nascondiamo di aver sperimentato in noi fatiche, resistenze al cambiamento e la tentazione di far prevalere le nostre idee sull’ascolto della Parola di Dio e sulla pratica del discernimento” (6).
La prima parte del Documento (13-48) si apre con le riflessioni condivise sulla “Chiesa Popolo di Dio, sacramento di unità” (15-20) e sulle “radici sacramentali del Popolo di Dio” (21-27). È un fatto che, proprio “grazie all’esperienza degli ultimi anni”, il significato dei termini “sinodalità” e “sinodale” sia “stato maggiormente compreso e più ancora vissuto” (28). E “sempre più essi sono stati associati al desiderio di una Chiesa più vicina alle persone e più relazionale, che sia casa e famiglia di Dio” (28). “In termini semplici e sintetici, si può dire che la sinodalità è un cammino di rinnovamento spirituale e di riforma strutturale per rendere la Chiesa più partecipativa e missionaria, per renderla cioè più capace di camminare con ogni uomo e ogni donna irradiando la luce di Cristo” (28). Nella consapevolezza che l’unità della Chiesa non è uniformità, “la valorizzazione dei contesti, delle culture e delle diversità, e delle relazioni tra di loro, è una chiave per crescere come Chiesa sinodale missionaria” (40). Con il rilancio delle relazioni anche con le altre tradizioni religiose in particolare “per costruire un mondo migliore” e in pace (41).
Un momento della meditazione
“La richiesta di una Chiesa più capace di nutrire le relazioni: con il Signore, tra uomini e donne, nelle famiglie, nelle comunità, tra tutti i cristiani, tra gruppi sociali, tra le religioni, con la creazione” (50) è la constatazione che apre la seconda parte del Documento (49-77). E “non è mancato anche chi ha condiviso la sofferenza di sentirsi escluso o giudicato” (50). “Per essere una Chiesa sinodale è dunque necessaria una vera conversione relazionale. Dobbiamo di nuovo imparare dal Vangelo che la cura delle relazioni e dei legami non è una strategia o lo strumento per una maggiore efficacia organizzativa, ma è il modo in cui Dio Padre si è rivelato in Gesù e nello Spirito” (50). Proprio “le ricorrenti espressioni di dolore e sofferenza da parte di donne di ogni regione e continente, sia laiche sia consacrate, durante il processo sinodale, rivelano quanto spesso non riusciamo a farlo” (52). In particolare, “la chiamata al rinnovamento delle relazioni nel Signore Gesù risuona nella pluralità dei contesti” legati “al pluralismo delle culture” con, a volte, anche “i segni di logiche relazionali distorte e talvolta opposte a quelle del Vangelo” (53). L’affondo è diretto: “Trovano radice in questa dinamica i mali che affliggono il nostro mondo” (54) ma “la chiusura più radicale e drammatica è quella nei confronti della stessa vita umana, che conduce allo scarto dei bambini, fin dal grembo materno, e degli anziani” (54).
“Carismi, vocazione e ministeri per la missione” (57-67) sono nel cuore del Documento che punta sulla più ampia partecipazione di laiche e laici. Il ministero ordinato è “a servizio dell’armonia” (68) e in particolare “il ministero del vescovo” è “comporre in unità i doni dello Spirito (69-71). Tra le diverse questioni si è rilevato che “la costituiva relazione del Vescovo con la Chiesa locale non appare oggi con sufficiente chiarezza nel caso dei Vescovi titolari, ad esempio i Rappresentanti pontifici e coloro che prestano servizio nella Curia Romana”. Con il vescovo vi ci sono “presbiteri e diaconi” (72-73), per una “collaborazione fra i ministri ordinati all’interno della Chiesa sinodale” (74). Significativa, poi, l’esperienza della “spiritualità sinodale” (43-48) con la certezza che “se manca la profondità spirituale personale e comunitaria, la sinodalità si riduce a espediente organizzativo” (44). Per questo, si rileva, “praticato con umiltà, lo stile sinodale può rendere la Chiesa una voce profetica nel mondo di oggi” (47).
Nella terza parte del Documento (79-108) si fa subito presente che “nella preghiera e nel dialogo fraterno, abbiamo riconosciuto che il discernimento ecclesiale, la cura dei processi decisionali e l’impegno a rendere conto del proprio operato e a valutare l’esito delle decisioni assunte sono pratiche con le quali rispondiamo alla Parola che ci indica le vie della missione” (79). In particolare “queste tre pratiche sono strettamente intrecciate. I processi decisionali hanno bisogno del discernimento ecclesiale, che richiede l’ascolto in un clima di fiducia, che trasparenza e rendiconto sostengono. La fiducia deve essere reciproca: coloro che prendono le decisioni hanno bisogno di potersi fidare e ascoltare il Popolo di Dio, che a sua volta ha bisogno di potersi fidare di chi esercita l’autorità” (80). “Il discernimento ecclesiale per la missione” (81-86), in realtà, “non è una tecnica organizzativa, ma una pratica spirituale da vivere nella fede” e “non è mai l’affermazione di un punto di vista personale o di gruppo, né si risolve nella semplice somma di pareri individuali” (82). “L’articolazione dei processioni decisionali” (87-94), “trasparenza, rendiconto, valutazione” (95-102), “sinodalità e organismi di partecipazione” (103-108) sono punti centrali delle proposte contenute nel Documento, scaturite dall’esperienza del Sinodo.
Partecipanti al Sinodo durante la chiusura dei lavori
“In un tempo in cui cambia l’esperienza dei luoghi in cui la Chiesa è radicata e pellegrina, occorre coltivare in forme nuove lo scambio dei doni e l’intreccio dei legami che ci uniscono, sostenuti dal ministero dei Vescovi in comunione tra loro e con il Vescovo di Roma”: è l’essenza della quarta parte del Documento (109-139). L’espressione “radicati e pellegrini” (110-119) ricorda che “la Chiesa non può essere compresa senza il radicamento in un territorio concreto, in uno spazio e in un tempo dove si forma un’esperienza condivisa di incontro con Dio che salva” (110). Anche con un’attenzione ai fenomeni della “mobilità umana” (112) e della cultura digitale” (113). In questa prospettiva, “camminare insieme nei diversi luoghi come discepoli di Gesù nella diversità dei carismi e dei ministeri, così come nello scambio di doni tra le Chiese, è segno efficace della presenza dell’amore e della misericordia di Dio in Cristo” (120). “L’orizzonte della comunione nello scambio dei doni è il criterio ispiratore delle relazioni tra le Chiese” (124). Da qui i “legami per l’unità: Conferenze episcopali e Assemblee ecclesiali” (124-129). Particolarmente significativa la riflessione sinodale sul “servizio del vescovo di Roma” (130-139). Proprio nello stile della collaborazione e dell’ascolto, “prima di pubblicare documenti normativi importanti, i Dicasteri sono esortati ad avviare una consultazione delle Conferenze episcopali e degli organismi corrispondenti delle Chiese Orientali Cattoliche” (135).
“Perché il santo Popolo di Dio possa testimoniare a tutti la gioia del Vangelo, crescendo nella pratica della sinodalità, ha bisogno di un’adeguata formazione: anzitutto alla libertà di figli e figlie di Dio nella sequela di Gesù Cristo, contemplato nella preghiera e riconosciuto nei poveri” afferma il Documento nella sua quinta parte (140-151). “Una delle richieste emerse con maggiore forza e da ogni parte lungo il processo sinodale è che la formazione sia integrale, continua e condivisa” (143). Anche in questo campo torna l’urgenza dello “scambio dei doni tra vocazioni diverse (comunione), nell’ottica di un servizio da svolgere (missione) e in uno stile di coinvolgimento e di educazione alla corresponsabilità differenziata (partecipazione)” (147). E “un altro ambito di grande rilievo è la promozione in tutti gli ambienti ecclesiali di una cultura della tutela (safeguarding), per rendere le comunità luoghi sempre più sicuri per i minori e le persone vulnerabili” (150). Infine, “anche i temi della dottrina sociale della Chiesa, dell’impegno per la pace e la giustizia, della cura della casa comune e del dialogo interculturale e interreligioso devono conoscere maggiore diffusione nel Popolo di Dio” (151).
“Vivendo il processo sinodale – è la conclusione del Documento (154) - abbiamo preso nuova coscienza che la salvezza da ricevere e da annunciare passa attraverso le relazioni. La si vive e la si testimonia insieme. La storia ci appare segnata tragicamente dalla guerra, dalla rivalità per il potere, da mille ingiustizie e sopraffazioni. Sappiamo però che lo Spirito ha posto nel cuore di ogni essere umano un desiderio profondo e silenzioso di rapporti autentici e di legami veri. La stessa creazione parla di unità e di condivisione, di varietà e intreccio tra diverse forme di vita”. Il testo si conclude con la preghiera alla Vergine Maria per l’affidamento “dei risultati di questo Sinodo: “Ci insegni ad essere un Popolo di discepoli missionari che camminano insieme: una Chiesa sinodale” (155).
* Giampaolo Mattei - Vaticano. Originalmente pubblicato in: www.vaticannews.va
“La vita consacrata è un segno visibile dell'azione dello Spirito Santo nella vita della Chiesa che di fronte a una realtà che cambia, cerca di dare una risposta creativa, missionaria, profetica ed evangelizzatrice alla missione della Chiesa”.
Il programma del corso di formazione permanente per formatori a Roma ha incluso tra i temi di studio una “Visione ecclesiale sulla formazione dei consacrati”. La riflessione del 12 settembre è stata svolta da suor Simona Brambilla, MC, segretario del Dicastero per gli Istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica. Ha iniziato la sua carriera professionale come infermiera professionale, poi ottiene la licenza e successivamente il dottorato in psicologia all’Università Gregoriana, con una lunga esperienza nella pastorale giovanile. Eletta nel 2011 Superiora generale dell’Istituto delle Missionarie della Consolata e rieletta nel 2017, ha mantenuto l’incarico fino a maggio 2023.
“La formazione è un processo vitale attraverso il quale la persona si converte al Verbo di Dio fin nelle profondità del suo essere e, nello stesso tempo, impara l’arte di cercare i segni di Dio nelle realtà del mondo (VC, n. 68)”, ha ricordato Suor Simona citando l'esortazione Vita Consecrata. La presentazione si è basata sui vari messaggi del Papa Francesco.
“La vocazione è come un - diamante grezzo - da lucidare, da lavorare, da plasmare in tutte le sue facce”, ha detto Suor Simona riprendendo il pensiero di Papa Francesco. “Il diamante, preziosissimo cristallo caratteristico per la sua eccezionale durezza e resistenza, brillantezza e capacità di riflettere la luce, ha bisogno di una lavorazione lunga, paziente, complessa, delicata e attentissima, per liberare la sua bellezza. La bellezza del diamante è espressa e valorizzata da un taglio esperto, capace di esaltarne i vari lati e le varie modalità di rifrazione della luce”. In questo contesto, il ruolo del formatore è quello di accompagnare il candidato nel suo processo di essere lavorato e plasmato dalla grazia di Dio.
In questo video realizzato dal Segretariato per la Comunicazione, Suor Simona presenta alcune immagini della vocazione e della missione del formatore.
“L’immagine del diamante può costituire una efficace metafora che accompagna il ministero formativo. La persona, ma anche la comunità, possono essere meglio comprese a partire da uno sguardo ampio e profondo, capace di concentrarsi attentamente su una particolare sfaccettatura del diamante per lavorarla e farne risplendere la bellezza originale, e allo stesso tempo di ampliare la visuale all’architettura complessiva del cristallo, senza perdere di vista l’articolazione delle sue parti” (Vita Consecrata n. 48).
Sour Simona ha enfatizzato che, “l’obiettivo centrale del cammino formativo è la preparazione della persona alla totale consacrazione di sé a Dio nella sequela di Cristo, a servizio della missione. Ogni candidato che risponde ‘si’ alla chiamata di Dio dovrebbe aprire lo spazio della propria vita all'azione dello Spirito Santo; accogliendo con fede le mediazioni che il Signore e la Chiesa offrono”.
La formazione dovrà, pertanto, “raggiungere in profondità la persona stessa, così che ogni suo atteggiamento o gesto, nei momenti importanti e nelle circostanze ordinarie della vita, abbia a rivelarne la piena e gioiosa appartenenza a Dio”.
Suor Simona ha insistito nel dire che la formazione non finisce ma è un cammino continuo. “L’impegno formativo non cessa mai. Occorre, infatti, che alle persone consacrate siano offerte sino alla fine opportunità di crescita nell'adesione al carisma e alla missione del proprio Istituto”.
Se la formazione è un cammino di trasformazione di tutta la persona, fin nelle istanze più profonde del cuore, allora occorre che la persona impari a discernere ciò che abita il proprio cuore, per riconoscere e coltivare ogni energia che la porta a Cristo e per distinguere e distanziarsi da ogni energia che la allontana da Cristo, dall’amore.
“Il processo del discernimento spirituale porta così la persona a passare dalla frammentazione e dalla dispersione ad una sempre maggiore unificazione interiore, a un raccogliere e ordinare le proprie energie verso Dio. Il discernimento punta al concreto, alla vita, affinché la persona cresca nella coerenza fra ciò che proclama come ideale e ciò che vive nel quotidiano”.
Nessuno può accompagnare un altro per una via che egli stesso non conosce. Secondo Suor Simona, per accompagnare la persona in formazione, “il formatore deve a sua volta avere compiuto (e continuare a compiere!) un percorso personale, serio, sincero e prolungato, di accompagnamento, nel quale abbia potuto liberare e coltivare la propria docibilitas, rivisitare le aree profonde della propria vita, lasciandole illuminare e guarire dalla Grazia, aprire il proprio cuore alla gioiosa e sincera ricerca della volontà di Dio, sentita come Amore che attrae, affascina e orienta i desideri più profondi dell’anima”.
Gruppo di formatori in visita ad Assisi l'8 settembre 2024.
Il formatore è chiamato a custodire nella riservatezza la vita dei seminaristi. “Sono necessari formatori che sappiano garantire una presenza a tempo pieno, e che siano anzitutto testimoni di come si ama e si serve il popolo di Dio, spendendosi senza riserve per la Chiesa”.
Suor Simona ha concluso la sua presentazione dicendo, “nell’immagine del Pellegrino sulla via di Emmaus, l’accompagnatore si affianca al fratello, nei suoi lati diurni e in quelli notturni, in un cammino che alterna momenti di silenzio e ascolto, di apertura rispettosa di spazi perché l’altro riveli le sue sfaccettature e si racconti, di momenti in cui tali sfaccettature, accolte e amate, vengono illuminate e lavorate da un Parola che si lascia mediare anche da parole e gesti umani.”
* Padre Josephat Mwanake, IMC, Comunità Formativa Porta Pia di Roma.