Il mese di maggio è tradizionalmente conosciuto come il mese della Beata Vergine Maria. Durante questo mese si sottolinea l'importanza della Madre di Dio nella vita spirituale dei fedeli cattolici. In questo mese dedicato a onorare la Vergine Maria, si intensifica la recita del rosario, una preghiera che i cattolici tradizionalmente recitano per chiedere al Signore i favori per intercessione della Madre di Dio. 

Già nel XII secolo nacque la festa dei trenta giorni di devozione alla Vergine Maria, che si svolgeva tra la seconda metà di agosto e la prima metà di settembre. Tuttavia un intero mese dedicato alla Vergine Maria risale al XVII secolo, quando la si cominciò a onorare nel mese di Maggio, devozione che è arrivata fino a noi. Oggi, nelle famiglie, nelle parrocchie e nelle comunità diocesane si svolgono varie attività, come la recita quotidiana del rosario, per intensificare la devozione a Maria. 

 

Esortazione del Beato Giuseppe Allamano sul mese della Vergine Maria. 

Il Beato Giuseppe Allamano era straordinariamente devoto alla Vergine Maria con il titolo di Consolata. La sua vita spirituale era inseparabile dalla Beata Vergine Maria. Per lui la Consolata era tutto e il mese di maggio molto importante perché interamente dedicato alla Madre di Dio. Anche i due Istituti missionari da lui fondati portano il nome della Consolata. 

Secondo il Beato Giuseppe Allamano, la Vergine Maria è la via sicura per arrivare a Gesù. Secondo Giuseppe Allamano la Vergine Maria è un canale di grazia perché tutte le grazie di Dio passano attraverso di lei. Inoltre, la Madre di Dio è garanzia di santificazione, perché “la pietà mariana non è solo garanzia di predestinazione, ma anche di santificazione. Chi vuole giungere alla santità senza la Madonna, vuol volare senza ali. Più ricorriamo a Lei per avere grazie e santità, e più facciamo piacere a nostro Signore" (Così vi voglio n. 156). 

Per Giuseppe Allamano il mese di maggio è molto importante soprattutto per i Missionari e le Missionarie della Consolata per i seguenti motivi:

1. Perché sono figli e figlie della Consolata. I missionari della Consolata sono mariani per eccellenza. La devozione alla Beata Vergine Maria sotto l'invocazione della Consolata fa parte dei Missionari e delle Missionarie della Consolata. Dice il Beato Giuseppe Allamano: “Come figli e figlie della Consolata, trascorriamo bene il mese dedicato a Maria Santissima. Che se tutti devono essere affezionati a Maria, tanto più i missionari e le missionarie”. (Così vi voglio n. 170). Sebbene nel mese di maggio tutti i fedeli cattolici siano chiamati ad accrescere la loro devozione alla Vergine Maria, spetta ai Missionari e alle Missionarie della Consolata farlo con maggior fervore, perché sono figli e figlie di Nostra Signora Consolata, loro Madre e Fondatrice delle comunità alle quali appartengono. 

2. Imitare le virtù di Maria. San Luigi di Montfort, nella sua opera spirituale mariana "Trattato della vera devozione alla Beata Vergine Maria", ha messo in evidenza dieci delle più importanti virtù della Beata Vergine Maria. Esse sono: profonda umiltà, fede viva, obbedienza cieca, preghiera continua, mortificazione universale, purezza divina, amore ardente, pazienza eroica, dolcezza angelica e sapienza divina. Per questo, il mese di maggio serve a imitare le virtù della Vergine Maria. Dice il beato Giuseppe Allamano: “procuriamo, perciò, di passare questo mese –mese di particolari grazie– sforzandoci di progredire nelle virtù che la Madonna ci suggerisce. Preghiere, omaggi, atti di virtù: ecco quanto dobbiamo fare in questo mese per onorare la Madonna”(Così vi voglio n. 170).  

3. Amare di più la Vergine Maria. La Vergine Maria è la Madre dell'amore e della misericordia. Vale la pena ricordare che, di fronte alla mancanza di vino alle nozze di Cana, intercedette presso suo Figlio, nostro Signore Gesù Cristo, affinché la situazione migliorasse. Raccomandò amorevolmente ai servi di fare come aveva detto loro Gesù (Gv 2,5-9). Il suo intervento amorevole contribuì alla felicità di tutte le nozze, perché Gesù trasformò l'acqua in vino. Il Beato Giuseppe Allamano riassume l'invito ad amare la Vergine Maria con questa frase: “voglio che per voi sia mese di Maria tutto l’anno, perché dovete essere inebriati della Madonna!”(Così vi voglio n. 170). 

4. Maria è Patrona e Protettrice dei Missionari e delle Missionarie della Consolata. Maggio è un mese molto speciale per noi perché la Madonna Consolata è la speciale Patrona e Protettrice dei due Istituti fondati dal Beato Giuseppe Allamano. Il Beato Giuseppe Allamano ha detto: “Ella continua a far vedere che vuole bene al nostro Istituto. L’ho messa a patrona e custode e fa Lei!” (Così vi voglio n. 170). In questo mese di maggio, dunque, è importante affidare l'opera evangelizzatrice dei missionari alla Vergine Maria, perché è la prima missionaria di Gesù Cristo e colei che intercede per tutta la Chiesa missionaria. 

Conclusione

Maggio è il mese della Madre di Dio e Madre della Chiesa. È il mese in cui intensificare la nostra devozione a lei. Come Missionari della Consolata risuonano spesso in noi le parole del Beato Giuseppe Allamano sul mese di maggio: “Come figli e figlie della Consolata, trascorriamo bene il mese dedicato a Maria Santissima. Che se tutti devono essere affezionati a Maria, tanto più i missionari e le missionarie”. (Così vi voglio n. 170)

Per “partire senza indugio” e ritornare sulle strade dell’umanità dove svolgiamo il nostro servizio missionario proponiamo dieci atteggiamenti missionari che esprimono lo stile del Beato Allamano a cui ispirarci continuamente.

1. Dedizione totale

Le proposte dell’Allamano sono sempre esigenti, conformi alla radicalità del vangelo. Egli è comprensivo della debolezza umana, pronto a capire, perdonare, incoraggiare ad «andare avanti», ma non sopporta la mediocrità. La missione esige impegno totale e perpetuo. Essa, secondo l’idea dell’Allamano codificata dalle Costituzioni, «deve permeare la nostra spiritualità, guidare le scelte, qualificare la formazione e le attività apostoliche, orientare totalmente l’esistenza».

L’Allamano vuole missionari coraggiosi, energici, generosi.

2. Qualificazione 

L’Allamano chiede che i missionari siano qualificati. Ne è tanto convinto da ricorrere a espressioni insolite sulle sue labbra: «Dobbiamo essere tutti di prima classe. Qui voglio solo roba scelta, vasi ripieni di liquore prelibato». Per la missione, prima attività della chiesa, si deve dare il meglio. È convinto che, più del numero, valga la qualità: meglio pochi, ma in gamba, capaci di fare per molti. Non pensa a superdotati. «Non abbiamo bisogno di aquile, ma di buone e ferme volontà». 

Oggi la qualificazione è fondamentale perché la missione ad gentes ci spinge sulle frontiere e abitare in situazioni-limite. Il missionario si deve confrontare con la globalizzazione economica, la devastazione del Pianeta, la crisi ambientale, la corsa agli armamenti, il pensiero postmoderno, la mobilità umana, il dramma dei rifugiati e la multiculturalità, i movimenti religiosi, il numero crescente di battezzati che hanno perso il senso della fede e appartenenza alla chiesa, la secolarizzazione di un mondo che pretende costruirsi su basi che prescindono da Dio e dai principi morali. Ciò richiede evangelizzatori preparati, capaci di far leva sugli aspetti positivi di fenomeni in gran parte negativi.

3. Primato dello spirito 

La qualificazione è soprattutto profondità della vita spirituale. Il missionario è una persona attiva, che però pone a fondamento la ricerca di Dio. L’Allamano afferma: «Prima santi e poi missionari». È un «prima» riferito a tanti aspetti: preghiera, consacrazione religiosa, studio, pratica delle virtù umane e cristiane, impegno in ogni campo. Per far conoscere il Signore, per annunciarlo, occorre avere con Lui un rapporto personale; e per questo ci vuole la capacità di adorarlo, di coltivare giorno dopo giorno l’amicizia con Lui, mediante il colloquio cuore a cuore nella preghiera, specialmente nell’adorazione silenziosa.

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4. Avere una marcia in più 

Per essere missionari ci vuole una marcia in più, o (se si vuole usare una delle parole più frequenti nell’Allamano) «uno spirito».

Che cosa egli intenda è detto bene nel documento preparatorio al X Capitolo generale dei missionari della Consolata: «Egli parla di spirito di povertà, spirito di obbedienza, spirito di sacrificio, spirito di preghiera, spirito di silenzio, spirito di umanità, spirito di fede, spirito di lavoro, spirito di distacco, spirito di carità. Spirito è una realtà che penetra, regge e nobilita altre. È profondità, intensità. È intuizione. È l’opposto di ogni formalismo. È totalità. È verità, soprattutto nell’essere missionari. È andare all’essenza delle cose. È farle bene». «Voi - dice l’Allamano - dovete avere lo spirito dei missionari della Consolata nei pensieri, nelle parole, nelle opere».

5. Unità di intenti 

La missione non è un’attività individuale, secondo criteri personali. È azione di chiesa in spirito di comunione, «in unità di intenti». Questa è una intuizione fondamentale, un principio basilare, un’idea fissa. Si tratta di uno «spirito di famiglia» o «spirito di corpo», che per l’Allamano è il segreto di riuscita, l’obiettivo da realizzare ad ogni costo. Nel lavoro missionario l’unità è la condizione «più necessaria» e «più importante», senza la quale si rischia di lavorare invano.

La comunione tra i missionari diventa anche metodo di lavoro, estendendosi ai collaboratori, ai catechisti e ai membri più sensibili delle comunità cristiane. Si esprime all’interno e all’esterno: essere tutti per uno e uno per tutti. La missione perciò si fa insieme, non individualmente, in comunione con la comunità e non per propria iniziativa. E se anche c’è qualcuno che in qualche situazione molto particolare porta avanti la missione evangelizzatrice da solo, egli la compie e dovrà compierla sempre in comunione con la Chiesa che lo ha mandato. 

6. Collaborazione con i laici

Proprio perché pensa sempre alla missione nell’unità, Giuseppe Allamano si adopera di coinvolgere anche le comunità cristiane, iniziando da quanti frequentano il santuario della Consolata di Torino, cui è rettore. La sua opera non sarebbe riuscita senza tale partecipazione.

Oggi è maturata una visione teologica che fa meglio comprendere l’impegno di ogni comunità cristiana nell’annuncio del vangelo. Il battesimo conferisce il diritto-dovere di impegnarsi, sia come singoli sia in associazioni, perché l’annunzio della salvezza sia conosciuto e accolto da ogni uomo, in ogni luogo; tale obbligo li vincola ancora di più nelle situazioni in cui gli uomini non possono ascoltare il vangelo e conoscere Gesù se non per mezzo loro» (cfr. Redemptoris missio, 71).

Questa collaborazione, espressa in varie forme nell’ambito dell’istituto dell’Allamano, ha aperto ai laici nuove vie d’impegno nei paesi di missione come in Italia. 

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7. Stare con la gente

I missionari portano il «lieto annuncio». Devono farlo stando dalla parte di chi ha più bisogno di essere sollevato, colmato di gioia, anche alleviando mali fisici e morali causati da malattia, emarginazione, povertà, ignoranza. L’Allamano raccomanda di «stare con la gente», andare a trovarla dove vive. È l’espressione del cuore compassionevole di Dio che diventa consolazione. È un programma iscritto nel nome stesso che i missionari portano: quello della «Consolata». Sul modello di Maria sollecita del bene dell’umanità, la missione tende a instaurare il regno di Dio, che è amore, bontà, misericordia. Le Costituzioni dell’Istituto hanno accolto tale istanza, proponendo di «essere presenti tra la gente con cui lavoriamo in modo semplice e fraterno, con contatti personali e con attenzione ai loro problemi e necessità concrete».

Ricordiamo che seguire Cristo vuol dire andare là dove Egli è andato; caricare su di sé, come buon Samaritano, il ferito che incontriamo lungo la strada; andare in cerca della pecora smarrita. Essere, come Gesù, vicini alla gente; condividere le loro gioie e i loro dolori; mostrare, con il nostro amore, il volto paterno di Dio e la carezza materna della Chiesa. Che nessuno mai ci senta lontani, distaccati, chiusi e perciò sterili.

8. La promozione delle persone

Non è difficile scorgere l’intima correlazione tra la consolazione-liberazione-promozione e la missione. Dio, che ha visto la miseria del suo popolo e ha ascoltato il grido di aiuto, ha inviato Mosè a liberarlo dall’oppressione (cfr. Es 3, 7-11). Chiaramente la consolazione-liberazione è missione divina, dono del Cristo salvatore. A noi è stato affidato il ministero di portarlo a tutti - si legge nel documento preparatorio al X Capitolo generale -. Senza difficoltà si può riconoscere che, nel nostro metodo di lavoro, evangelizzazione e promozione umana si sono sempre accordate. L’insegnamento del fondatore su questo è esplicito e frequente. E prese posizione per difendere questo suo principio... Noi dobbiamo assumere la condizione della gente e apprezzare i suoi valori. Le nostre certezze e pretese di superiorità, la nostra supposta e indiscussa dignità da salvaguardare si oppongono a una metodologia di comunione.

9. Nella missione tutti discepoli 

L'Allamano è ricettivo al divenire della storia con la quale saprà camminare e crescere e della missionarietà vissuta dei missionari alla scuola dei quali egli stesso si formò. Egli che non mise mai piede in Africa, accettò come componente della identità della sua opera l'ideale e il modo di viverlo di chi faceva missione sul campo. Trasformava in carisma la missione vissuta, in perfetta armonia con la sua vocazione di mettersi a servizio di chi voleva fare missione. Per questo stabilì con i suoi missionari una corrispondenza costante e l'obbligo di affidare il quotidiano alla carta dei diari che egli considerava fonte per imparare e formare.

La missione rendeva tutti discepoli perché nella sua imprevedibilità sconvolgeva i pregiudizi culturali e le protezioni sociali costruite negli anni della preparazione. 

Questo insegna a mettersi in ascolto della realtà, a superare l’autoreferenzialità, a vivere la “docibilitas” che è la disposizione interna di chi ha imparato a imparare, ad accogliere, a obbedire, a rendere cioè ogni istante della propria vita un tempo di grazia, tempo che Dio ha assunto per mettersi in un atteggiamento di formazione continua come se tutta la vita fosse un’unica stagione, quella del tempo di Dio. 

10. Guardare oltre

L'Allamano conduce l'Istituto a cogliere l'insorgere delle novità che si affermano. Egli sa per esperienza personale che la fondazione stessa dell'Istituto è un’idea nuova su una realtà ecclesiale statica. Vuole quindi che la sua opera sopravviva e si identifichi con l'insorgere di nuove idee, nuove intelligenze, ossia con ogni nuova capacità di leggere la novità dentro il presente e la semplice evidenza dei fatti. Intuisce che il "solito", l'abitudinario, il sicuro del passato, anche di quello che tale sarà appena si guardi in prospettiva il presente, sono destinati a mutare e forse anche a scomparire.

Non può essere che così perché "l'andare oltre" per l'Istituto voluto dall'Allamano non è la conseguenza di un compito ultimato, di un lavoro compiuto interamente. L'apertura è un parametro di controllo dell'autenticità dell'Istituto che dalla sua storia ha imparato non solo ad interrogarsi sul valore di quanto sta facendo, ma a contemplare l'oltre verso cui deve protendersi. 

Il punto al quale i missionari sono giunti nelle realtà e nei contesti in cui operano non può essere considerato come il modello di un perpetuo ritorno per rifare le stesse cose, ma il semplice punto di partenza per qualcosa di nuovo che va oltre sia a livello geografico che contenutistico.

L'angelo disse alle donne: "Voi non abbiate paura! So che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui. È risorto" (Mt 28,5-6). La risurrezione di Gesù è la ragion d'essere della fede cristiana. San Paolo afferma chiaramente: " Ma se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vana è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati.” (1 Cor 15,14.17). Con queste parole, egli indica l'importanza decisiva che attribuisce alla risurrezione di Gesù, perché in questo evento si trova la soluzione al problema posto dal dramma della croce: la Pasqua consiste nel fatto che il Crocifisso "è risorto il terzo giorno secondo le Scritture" (1 Cor 15,4).

Diversi santi, beati e teologi hanno riflettuto sul significato della risurrezione di Gesù, perché è il fondamento della vita cristiana e la ragion d'essere della Chiesa nel mondo. Uno di loro è il beato Giuseppe Allamano, fondatore e padre dei Missionari e delle Missionarie della Consolata. Per Giuseppe Allamano, la Pasqua è:

Una festa di resurrezione nel fervore

Lui dice: "Noi dobbiamo risorgere al fervore; non solo dal peccato, ma da tutte le debolezze. Conserviamo sempre il fervore che sentiamo in questa festa" (Così vi voglio 71). Va notato che il fervore è il sentimento di intenso entusiasmo e ammirazione per qualcuno o qualcosa. Per il cristiano risorgere al fervore significa approfondire nella sequela di Gesù Cristo, essere migliori discepoli e missionari di Gesù. In questo senso Giuseppe Allamano dice: “Tutti dicano a se stessi: «Siamo risorti, non vogliamo più morire, vogliamo essere veri missionari, vere missionarie!»” (Così vi voglio 71).

Tempo di pace

Dopo la risurrezione, Gesù ha incontrato gli apostoli e li ha salutati con il saluto della pace: "Vi lascio la pace, vi do la mia pace" (Gv 14,27). Cristo è il Principe della pace (Isaia 9,6), è il prototipo per eccellenza della pace, perché "è la nostra pace" (Ef 2,14). 

La Pasqua è un tempo per vivere in pace e per chiedere la pace per coloro che non ce l'hanno. È un tempo per imparare da Gesù la pedagogia della pace che aiuta a superare conflitti,  contrattempi e guerre; che produce benessere, tranquillità e stabilità. Egli ci insegna la riconciliazione interpersonale anche nei momenti in cui sperimentiamo la violenza degli altri: "A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l'altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica" (Lc 6,29). Così, la risurrezione di Gesù Cristo è la fonte inesauribile di pace, perdono e riconciliazione per tutta l'umanità. 

Giuseppe Allamano afferma che “bisogna quindi che ci sia la pace con Dio, compiendo la sua volontà; con noi stessi, evitando le distrazioni, regolando le passioni e liberandoci dai desideri inutili; e con il prossimo, soprattutto accettandone i limiti e trattando tutti bene” (Così vi voglio 72).

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Tempo di gioia

Il beato Giuseppe Allamano diceva che “lo spirito della Chiesa in questo tempo è di allegrezza. Chi sentisse di non partecipare a questa festa, chi non godesse in cuor suo, non ha né cuore, né spirito” (Così vi voglio 73).

La Sacra Scrittura testimonia la risurrezione del Signore come fonte fondamentale della gioia: le donne tornarono dalla tomba vuota piene di paura e di gioia (Mt 28,8) e i discepoli gioirono quando videro il Signore risorto (Gv 20,20). L'incontro di Cristo con i discepoli nello spezzare il pane (At 2,46) comunica loro gioia. La Chiesa è piena di fede gioiosa in Cristo (1Pt 1,8). Il fondamento della gioia dei cristiani è il Signore risorto. 

La gioia evangelica è una virtù che accompagna sempre i seguaci di Gesù Cristo e in modo particolare i missionari della Consolata. Dice Giuseppe Allamano: "Siamo allegri sempre, tutti i giorni e tutto l’anno. (...) Siamo allegri anche per riguardo al prossimo, di modo che non debba sopportarci, ma possa dire: «Questi missionari e missionarie hanno lasciato casa, parenti, tutto, eppure hanno sempre il cuore allegro!»" (Così vi voglio 73).

La gioia contribuisce al bene degli individui e dei popoli e aiuta molto il missionario nella sua opera di evangelizzazione. Il beato Giuseppe Allamano sottolinea a questo proposito: “Se si vuole fare del bene, bisogna essere allegri: il prossimo ne resta edificato ed è attratto alla virtù. Uno può essere santo; ma se è tutto concentrato in se stesso, chiuso, fa paura e nessuno vuole avvicinarlo” (Così vi voglio 73).

“Bisogna stare bene di anima e di corpo. Io desidero che si conservi e sì accresca sempre più lo spirito di tranquillità, di scioltezza, di serenità. Questo è lo spirito che io voglio: sempre gioia, sempre facce allegre!” (Così vi voglio 74).

Conclusione 

La risurrezione di Gesù è il più grande mistero della nostra salvezza e il fondamento della nostra fede cristiana. Per questo, come credenti e discepoli-missionari di Gesù Cristo, dobbiamo vivere la festa della risurrezione con gioia, pace, perdono e riconciliazione con noi stessi e con il nostro prossimo. 

"Come missionari poi, dovete essere non solo santi, ma santi in modo superlativo" (VS, 111)

“E’ questo il fine primario del nostro Istituto –diceva Lui ai suoi missionari–  Non siete qui venuti per…; ma per farvi santi; allora e solamente allora adempirete bene il secondo fine…” (Conf. IMC. III, 258).

“Prima santi e poi missionari”

Sono molte le affermazioni dell’Allamano che rivelano la sua ferma convinzione che solo chi è santo può essere un vero missionario. Questa convinzione fa parte della sua identità di Fondatore, dunque, anche del carisma dei missionari e missionarie della Consolata. 

Per l’Allamano c’è una graduatoria esplicita tra un “prima” e un “poi” logici: prima santi, poi missionari. Prima va sottolineato l’essere della persona, quindi il suo operare, prima si tratta di curare il nostro essere, la nostra relazione con Dio che ci chiama ad essere Santi, poi dobbiamo trasmettere questa relazione agli altri. Agli studenti, infatti egli diceva: “Primo: siamo per farci santi in questa Casa: non per farci Missionari, ma per farci santi e poi Missionari”, “Prima la santificazione nostra, poi la conversione degli infedeli; prima noi e poi gli altri. (...) Prima di tutto sei venuto per farti santo; non bisogna cambiare i termini.”. (VS 111-112)

Dobbiamo cercare prima e anzitutto la santità poiché questa è presupposto fondamentale per la missione. L’attività apostolica e missionaria, secondo l’Allamano, esige la santità di vita. “Qualcuno crede che l’essere missionario consista tutto nel predicare, nel correre, battezzare, salvare anime: no, no! Questo è solo il fine secondario: santifichiamo prima noi e poi gli altri. Uno tanto più sarà santo, tante più anime salverà”. Per l’Allamano “è inutile voler convertire gli altri, se non siamo santi noi” poiché “se non si è santi…non si fa niente”. “Voler far buoni gli altri senz'esserlo noi è volere l'impossibile.” (VS 113).

Se l’affermazione “prima santi e poi missionari” indica chiaramente che è la santità che gioca il ruolo fondamentale nel rinnovamento della missione, più che i metodi e i programmi pastorali, altrettanto importante è sottolineare come sia la missione a contribuire alla santità del missionario: si tratta, cioè, di diventare “santi nella missione ad gentes”.

Per tanto la santità dell’apostolo si costruisce, si alimenta “facendo missione”, nel costante dono di sé, nell’amore e nel servizio concreto per i fratelli ai quali egli è inviato, in comunione con il Signore che cammina, respira, guarisce e consola la gente attraverso di lui (cfr. EG 266). 

Santità “alla mano” 

Molte volte abbiamo la tentazione di pensare che la santità sia riservata a persone troppo speciali, con doti eccezionali, fuori dalla nostra portata, a coloro cioè che hanno la possibilità di mantenere le distanze dalle occupazioni ordinarie, per dedicare molto tempo alla preghiera. Non è così. Tutti siamo chiamati ad essere santi vivendo con amore e offrendo ciascuno la propria testimonianza nelle occupazioni di ogni giorno, lì dove si trova cercando di essere “straordinari nell’ordinario”, “facendo bene il bene e senza rumore”.

La Missione ce lo ha dimostrato! Sono tanti i missionari, che abbiamo avuto la fortuna di conoscere, che hanno dato la vita, senza clamore, con umiltà, entusiasmo e dedizione, consumandosi a servizio dei poveri, visitando i villaggi, amministrando sacramenti, lasciando nella gente un ricordo indelebile di una santità diffusa, che si è fatta prossima, “alla mano”, perché un riflesso della presenza di Dio nella loro vita. (cfr. GeE 7).

Vita come cammino di santità

La santità è permettere allo Spirito di plasmare in te oggi quella parola e quel messaggio di Gesù che Dio desidera dire al mondo con la tua vita. 

La santità diventa quindi vivere in comunione con Cristo i misteri della sua vita. Pertanto, la misura della santità è data dalla statura che Cristo raggiunge in noi, da quanto, con la forza dello Spirito Santo, modelliamo tutta la nostra vita sulla sua (Fil.2,5). Così ciascuno di noi dovrebbe diventare un messaggio che lo Spirito trae dalla ricchezza di Cristo e dona alla gente.

Infatti “Ogni santo è una missione, è un progetto del Padre per riflettere e incarnare, in un momento determinato della storia, un aspetto del Vangelo” (Gaudete et exultate 19.21.23).

Ogni famiglia ha il suo capo e ogni opera ha il suo ispiratore o ispiratrice. Per la Famiglia Missionaria della Consolata il suo Fondatore, Padre e Ispiratore è il Beato Giuseppe Allamano: è il suo antenato, l’origine del carisma che identifica i Missionari e le Missionarie della Consolata nella chiesa, la radice da cui scaturisce tutto ciò che ha a che fare con la storia, il presente e il futuro delle due comunità missionarie. Grazie al carisma da lui ereditato, hanno contribuito enormemente alla diffusione della fede nel mondo.

Il culto degli antenati è stato praticato fin dall'antichità, con la convinzione che essi abbiano bisogno di determinati rituali per continuare la loro esistenza in un altro mondo e anche oggi il culto degli antenati è praticato da molti popoli e culture in Africa, Asia e America Latina. Dietro agli antenati ci sono sempre una serie di valori che si affermano e si consolidano nel tempo e identificano una comunità.

In questo senso il Beato Giuseppe Allamano è un antenato, poiché la Famiglia Missionaria della Consolata è stata fondata da lui e la sua storia è iniziata direttamente con lui. Il 29 gennaio 1901 ha fondato la comunità dei Missionari e lo stesso giorno del 1910 quella delle Missionarie. Non possiamo parlare di queste due comunità senza fare riferimento all'ispirazione carismatica del Beato Giuseppe Allamano.

Lui per anni pensò a una fondazione missionaria ma giunse alla decisione finale dopo una prodigiosa guarigione, avvenuta nel gennaio del 1900, un anno prima della fondazione del primo Istituto. La motivazione di questa fondazione era, da un lato, il desiderio di continuare l'opera missionaria del cardinale Guglielmo Massaia, espulso dall'Etiopia, e dall'altro lo spirito missionario di alcuni sacerdoti della sua diocesi natale. L'8 maggio 1902 i primi quattro missionari della Consolata partirono per il Kenya e nove anni dopo, nel 1910, il Beato Giuseppe Allamano fondò le Suore Missionarie della Consolata. La fondazione delle missionarie avvenne su insistenza del vescovo Filippo Perlo, che si trovava nel campo di missione in Kenya; del prefetto di Propaganda Fide, il cardinale Gerolamo Gotti e dello stesso Papa Pio X. L’Allamano stesso confessò alle sue missionarie "è Papa Pio X che ha voluto che le fondassi; mi ha dato lui la vocazione di fondare missionarie".

Giuseppe Allamano, fonte del carisma.

Il carisma è una grazia speciale che lo Spirito Santo dona per l’edificazione della Chiesa, il bene degli uomini e le necessità del mondo (cfr. LG 12). La missione Ad Gentes è il carisma che il Beato Giuseppe Allamano ha ricevuto dallo Spirito per i suoi missionari: "noi siamo per coloro che ancora non lo conoscono".

Questo impegno è stato declinato in modi diversi nel corso degli anni, tanto che i Missionari e le Missionarie hanno accompagnato popoli di prima evangelizzazione, minoranze etniche, chiese locali a cui hanno dato vita e con il loro carisma hanno ispirato diverse diocesi e congregazioni. 

 Giuseppe Allamano, un punto di riferimento nel vivere la vocazione missionaria.

Il beato Giuseppe Allamano, pur non avendo mai messo piede in Africa a causa dei suoi problemi di salute, ha avuto senza dubbio un cuore totalmente missionario: ha allargato il suo sguardo missionario oltre le frontiere della sua Chiesa locale di Torino, oltre il suo continente europeo e oltre il Santuario della Consolata di cui è stato rettore per molti anni. Per lui, "la vocazione missionaria non è altro che un amore più grande per nostro Signore Gesù Cristo, che ci incoraggia a farlo conoscere e amare da coloro che non lo conoscono e non lo amano ancora". (cf. Conf. I, 651).

Per il beato Giuseppe Allamano, la vocazione missionaria ha due requisiti fondamentali: la santità e la scienza. È necessario essere santi per essere missionari, "è necessario che il missionario non parli solo con le parole, ma penetri nei cuori induriti con l'eminente santità di tutta la sua vita. La santità dei missionari deve essere speciale" (Conf. I, 619). Un altro pilastro della vocazione missionaria è la scienza: l’Allamano si preoccupava della preparazione intellettuale e professionale dei missionari, da cui la sua famosa frase: "il missionario ignorante è un vero idolo di tristezza e di amarezza" (Conf. I, 165); "è necessario per il bene dell'Istituto che vi siano studiosi preparati nei vari campi della scienza" (Conf. I, 347). 

Giuseppe Allamano, ispirazione perenne per ogni missionario.

Gesù Cristo è il Missionario per eccellenza di Dio Padre: ha mandato la Chiesa a evangelizzare ogni angolo della terra (Mt 28,19) e il Beato Giuseppe Allamano, come fedele discepolo di Gesù, si è lasciato ispirare dal Signore stesso e ispira anche noi nei seguenti modi:

1. Ci ispira a guardare oltre i nostri confini geografici ed ecclesiali. Sapeva allargare lo sguardo verso l'Africa e capire che come fedele seguace di Gesù Cristo aveva un compito missionario anche oltre i confini più vicini alla sua città di Torino e al suo Piemonte. Mentre era in vita, arrivarono missionari in Kenya (1902), Etiopia (1919), Tanzania (1924), Somalia e Mozambico (1925). In seguito i Missionari e le Missionarie continuarono la sua opera e oggi sono diffusi in quattro continenti e in 26 diversi paesi del mondo.

2. Ci indica la strada per l'evangelizzazione dei popoli e delle culture. Giuseppe Allamano volle appassionatamente annunciare Gesù Cristo a popoli e culture che non lo conoscevano e si preoccupò che i suoi missionari avessero un metodo adeguato e rispettoso.

3. Egli anima la vita di ogni Missionario della Consolata con caratteristiche che gli sono molto tipiche: la vita familiare, cioè i missionari vivono in famiglia e l'Istituto Missionario della Consolata è una famiglia; la santità, cioè la ragione primaria del loro essere e lavorare è la ricerca della santità; il carisma ad gentes, cioè il missionario della Consolata è per l'evangelizzazione dei popoli; la devozione mariana, l'amore all'Eucaristia e alla liturgia; l'operosità per qualificare le azioni di promozione umana e la scienza per qualificare tutta l'azione missionaria.

Ancora oggi i Missionari e le Missionarie della Consolata Consolata continuano a portare e manifestare nel mondo l'ispirazione e il carisma di questo grande missionario loro antenato.

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Prendersi cura di sé stesso per accompagnare la crescita degli altri. Questo è stato il tema di studio guidato da...

Il miracolo di Sorino Yanomami

09-09-2024 Allamano sarà Santo

Il miracolo di Sorino Yanomami

Suor Felicita Muthoni, missionaria della Consolata del Kenya, racconta la storia del miracolo della guarigione di Sorino Yanomami, assalito e...

Padre Giuseppe Inverardi: Il Fondatore, padre e maestro

09-09-2024 Allamano sarà Santo

Padre Giuseppe Inverardi: Il Fondatore, padre e maestro

Padre Inverardi, del Centro di Animazione a Dar-es-Salaam in Tanzania condivide la sua esperienza con il Fondatore e lo percepisce...

“Mtakatifu Yosefu Allamano”

09-09-2024 Allamano sarà Santo

“Mtakatifu Yosefu Allamano”

Questa canzone, “Mtakatifu Yosefu Allamano”, è stata composta come tributo al nostro Fondatore, il Beato Giuseppe Allamano, che sarà canonizzato...

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