XXVI Domenica TO

Pubblicato in Domenica Missionaria
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Il commento di questa XXVI Domenica ci è stato inviato da Mattia e Corinna Longoni, laici della comunità di Bevera, attualmente in servizio con i missionari della Consolata nella periferia della città di Guayaquil (Ecuador).




Ez 18, 25-28
Salmo 24
Fil 2,1-11
Matteo 21, 28-32


Per la seconda domenica il Signore ci invita a lavorare nella “vigna”. Questa volta la chiamata ha dei tratti diversi, piú caldi e affettuosi. In questa parabola il Padre dice ai due figli: “Figlio, oggi va a lavorare nella vigna”.

Quindi, prima di tutto non siamo generici “lavoratori”, ma ci chiama, con grande tenerezza, “figli” e in piú questa volta la vigna è quella di “famiglia” e non il podere di una persona. La vigna é un po` anche nostra. É la nostra ereditá!

Il brano del Vangelo ci racconta di due figli che risposero in modo opposto all’invito del Padre: il primo disse “Sì, Signore”, ma poi non ci andó, mentre il secondo disse “Non ne ho voglia” e poi, pentendosi, ci andó.

Considerando tempo e luogo, Gesú si riferisce ai responsabili di Israele (sacerdoti e anziani del popolo) fedeli alla Legge, che rifiutarono il suo annuncio, mentre i pubblicani e i peccatori lo ascoltarono e si convertirono.

Questi ultimi, (prostitute, ladroni, malfattori…) erano coloro che non seguivano la Legge, e per questo venivano disprezzati, ma poi alla fine si lasciano incontrare da Dio, gli credono, si pentono e iniziano a lavorare.

Coerentemente con l’insegnamento del Vangelo della scorsa domenica, cominciamo dall’“ultimo” figlio, che ha compiuto la volontá del Padre.

Questo rappresenta tutti quelli che hanno sentito il vuoto e il buio nella loro vita, che hanno toccato il fondo, che hanno perso il cammino, che hanno cercato felicitá e fortuna nei luoghi dove trovarono solo solitudine e tristezza.

Il secondo figlio rappresenta chi, sentendosi perso e intrappolato, ha saputo incontrare il Signore che lo stava cercando. Ha saputo sperimentare l’Amore di Dio su di lui. Ha compreso la veritá delle parole del salmo “buono e retto é il Signore”. Si è scoperto amato, e questo gli ha permesso un radicale cambio di vita, qualcosa di molto piú esigente, vitale e liberante di una “semplice” adesione alla Legge. Scoprire il calore dell’abbraccio del papá al figlio, scoprire la porta aperta proprio per te, scoprire il pranzo tenuto al caldo, ti lascia il cuore libero per “fare la volontá del Padre” annunciata da Gesú!

Quindi chi si ritrova nel secondo figlio, ha attuato le parole del profeta Ezechiele: “Ha riflettuto, si è allontanato da tutte le colpe commesse: egli certo vivrà e non morirà” .

Il primo figlio, invece, rappresenta chi si sente giá arrivato, con la “veritá in tasca”, seduto nelle prime panche, rinchiuso nelle false sicurezze e incapace di ascoltare la volontá del Signore. Un po’ come chi non ha dubbi di alcun tipo, o meglio li soffoca. Chi non sente dentro quella “sana inquietudine” di interrogarsi ogni giorno circa il disegno di Dio su di lui. Chi neanche si ricorda di chiedere al Signore “fammi conoceré le tue vie e insegnami i tuoi sentieri” perché crede di avere tra le mani la guida stradale perfetta!

E allora puó venire anche Giovanni Battista, ma non mi sono pentito e tantomeno gli ho creduto… conosco a memoria il Credo, i dieci comandamenti, le preghiere e sono anche catechista, giá ho trovato il mio equilibrio, cosa potrá mai esserci di piú? Tutte le mattine recito il padre nostro dicendo “sia fatta la tua volontá”, ma é un’abitudine piú che una preghiera che chiedo diventi un’azione! Egli da giusto che era diventa sordo alla giustizia come dice il profeta Ezechiele: “Se il giusto si allontana dalla giustizia per comettere iniquitá e a causa di questa muore, egli muore appunto per l’iniquitá che ha commessa”.

San Paolo ci viene in aiuto, presentandoci, in una forma speciale, l’umiltá di Gesú Cristo che per compiere la volontá del Padre accetta la condizione di uomo, si spoglia della sua gloria e si fa servo e obbediente fino alla morte in croce. Proprio per questo Dio lo ha “esaltatato e gli ha dato il nome al di sopra di ogni altro nome”. Un’altra volta Dio rovescia ogni nostro pensiero, stravolge la logica benpensante, accomodante e “misurata” che ci contraddistingue. Rompe ogni categoría per dare la stessa possibilitá a tutti di lavorare nella “vigna di famiglia”, mettendosi a servizio del Padre, con quell’umiltá che rende liberi e felici.

  • E noi cosa avremmo risposto all’invito del Padre? E alle nostre parole quali azioni sarebbero seguite?
  • Cosa significa per noi “lavorare alla vigna” di famiglia? A cosa mi chiama il Signore? Sento dentro quella “sana inquietudine” che non mi permette di sentirmi arrivato?
  • L’umiltá é tra le virtú piú conosciute, ma meno praticate. Gesú ci mostra uno stile di vita che fugge alla vanagloria e alla vanitá e si pone a servizio. E noi chi siamo chiamati a servire nel nome del Signore a cominciare dal quotidiano?
Ultima modifica il Giovedì, 05 Febbraio 2015 20:12
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