XXVIII Domenica TO

Pubblicato in Domenica Missionaria
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Is 25,6-10a;
Sal 22;
Fil 4,12-14.19-20;
Mt 22,1-14


I mesi di maggio, giugno, settembre e ottobre sono il momento ideale per la celebrazione delle nozze. Proprio in quei mesi ci arrivano tanti inviti di parenti e soprattutto di amici che si sposano. Quante volte, in questi anni, abbiamo avuto la fortuna di condividere la gioia dei membri della Comunità laicale e di tanti altri amici vicini ai Missionari di Bevera che si sono uniti in matrimonio davanti a Dio.

Se quasi sempre ad un matrimonio andiamo proprio volentieri, felici di poter far festa con le persone a cui vogliamo bene, di fronte ad alcuni inviti anche a noi è capitato di dire no: magari perché conosciamo poco le persone e l’invito ha il tono di una lettera inviata “per conoscenza”; oppure per altre feste un po’ scomode (perché magari uno degli sposi o qualche invitato non ci sta troppo simpatico…) siamo bravissimi a trovare delle scuse e ci defiliamo; ad altre feste non possiamo mancare, ma ci andiamo malvolentieri e contiamo le ore nella speranza che finisca presto.

Ma c’è un invito particolare per un matrimonio speciale che tutti noi abbiamo ricevuto fin da quando siamo stati battezzati e non ne eravamo ancora consapevoli. E’ proprio quello simboleggiato dalla parabola di oggi: “Il regno dei cieli è simile a un re che fece un banchetto di nozze per suo figlio”. A questo banchetto ciascuno di noi è un invitato speciale e per lui il Padre ha preparato un invito personalizzato che ci è stato consegnato personalmente: “Inviò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze”.

C’è un unico invito (chiamata), ma ci sono diverse risposte.

Il primo invito è rivolto agli “invitati di rigore”. Possiamo dire che al tempo di Gesù erano i membri del popolo eletto e che, restando nella metafora, potremmo paragonare ai parenti stretti, quelli che “non si possono non invitare”. La risposta di queste persone è secca e precisa: “Non vollero”. È il no di chi ha altro da fare. Non cose brutte, intendiamoci: affari, impegni di lavoro, cura delle proprie cose. Troppo importanti per perdere tempo con una giornata di festa. Questi invitati non riescono a comprendere che l’invito non è un dovere che il re e gli sposi assolvono, ma la manifestazione dell’autentico desiderio di poter condividere con gli altri la gioia di un incontro, di poter far festa insieme per un evento bello e felice.

Ma il re non vuole arrendersi e manda ancora i servi chiedendo loro di spiegare bene come stanno le cose, di mostrare la bellezza della festa e del menù preparato proprio per loro.

La risposta rimane negativa. C’è in questa risposta il no deciso di chi non vuole nemmeno interrogarsi, cercare, ipotizzare un incontro col Signore e la sua proposta. Sono così sicuro di me stesso e delle mie priorità da non essere disponibile a mettermi in discussione; è un no del cuore perché sono attaccato al mio modo di vedere. L’indifferenza, l’affanno per le cose materiali, il rifiuto aggressivo di una fede ritenuta sbagliata, sono temi di ieri ma anche di oggi. Sta di fatto che le persone invitate, il popolo eletto di ieri e noi cristiani di oggi, oppongono un netto rifiuto.

Questi diversi modi di rispondere agli inviti ripetuti del Signore mettono a nudo la nostra vita e ci coinvolgono tutti. A volte in noi abita il no dell’intelligenza, della volontà e del cuore; altre volte l’indifferenza e l’apatia; altre ancora siamo pieni di motivi validi per rimandare o per declinare l’invito; altre ancora siamo bloccati da diverse forme di rabbia nei confronti della fede e della chiesa. Non posso, non ho tempo, ho altre cose da fare, non è possibile, mi viene chiesto troppo, non sono all’altezza... Sono i piccoli rifiuti di ogni giorno che fanno parte della nostra esperienza di “invitati” alle nozze del Figlio che rifiutano gli inviti ripetuti del Signore.

Ma proprio il rifiuto del popolo eletto apre una pagina nuova della storia della salvezza e provoca anche noi cristiani di oggi. “Andate ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete chiamateli alle nozze”. Il rifiuto del popolo eletto mette in evidenza una verità che non era totalmente assente nemmeno nell’Antico Testamento, come ci testimonia la 1ª lettura (“Il Signore preparerà su questo monte, un banchetto di grasse vivande per tutti i popoli”; Is 25,6): la chiamata di Dio e la salvezza riguardano tutti gli uomini. “Andate e annunciate a tutto il mondo che il Signore è venuto in mezzo a noi” aveva detto Gesù.

Tutti gli uomini diventano invitati al banchetto del regno. Le distinzioni tra chi è dentro e chi è fuori, chi è vicino e chi è lontano, tra i buoni e i cattivi, possiamo farle noi, ma dalla prospettiva di Dio tutti sono come quei parenti stretti che per primi ricevono l’invito.

La parabola ci chiede occhi diversi per guardare ad ogni uomo e ci provoca a considerare la missione della chiesa, chiamata ad essere veramente cattolica. Prima di essere vicina o lontana, buona o cattiva, ogni persona è amata, chiamata, eletta da Dio a far parte del suo regno.

C’è una forte eco missionaria in questa parabola: portare a tutti l’invito del Signore e fare in modo che tutti sperimentino l’amore eterno di Dio che ha pensato proprio a loro. Chi sono i servi del re se non i Missionari che portano agli angoli più nascosti delle strade la bella notizia della festa di Gesù?

La scelta di aprire il banchetto a tutti non è una specie di ripiego visto che il popolo eletto aveva rifiutato l’invito. La prova di questo è che tra quelli che siedono al banchetto, il re riconosce uno senza la veste bianca e lo caccia fuori. Sia che tu dica sì perché “eletto”, sia che tu dica sì perché chiamato nei crocicchi delle strade, per poter far parte del banchetto serve una veste adeguata. Non basta aver detto sì, è necessario che tu abbia vissuto quel sì.

C’è un invito e una chiamata, ma c’è anche una parte che dobbiamo mettere noi: lasciare che l’incontro con Gesù cambi la nostra vita e la renda degna di far parte del banchetto preparato per noi fin dall’eternità.

Non basta partecipare ad un matrimonio: se si rimane in un angolo annoiati e imbronciati è come non esserci andati, o forse anche peggio, perché si disonora l’invito ricevuto. Quando si entra ad una festa di nozze bisogna avere l’animo pronto e aperto alla gioia, il sorriso sulle labbra, il desiderio di incontrare gli altri e lasciarsi contagiare dall’allegria e dalla felicità.

La chiamata comporta sempre una disponibilità, ma anche una responsabilità. Per ogni matrimonio che si rispetti non basta l’invito che ci permette di entrare, serve un abito adeguato e un regalo, fosse anche il più piccolo e insignificante, ma che sia fatto con il cuore e concretizzi in modo tangibile la nostra reale volontà di dare il nostro contributo alla nuova vita che gli sposi stanno incominciando.
Ultima modifica il Giovedì, 05 Febbraio 2015 20:12
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