At 9,26-31;
1 Gv 3,18-24;
Gv 15,1-8
Nell’Antico Testamento i profeti usavano molto l’immagine della vigna per descrivere i rapporti tra Dio e il suo popolo di Israele. Dio aveva sempre amato la sua vigna, ma questa non corrispondeva ai suoi desideri, deludeva le sue speranze, non produceva uva buona, ma uva selvatica (Ger 2,21).
Nella pagina di Giovanni la vigna non è più un popolo ma la persona stessa di Gesù “io sono la vera vite” vite riuscita feconda che risponde pienamente ai desideri del vignaiolo celeste. “Io sono la vera vite e il Padre mio è l’agricoltore” presenta Gesù che rivela la sua identità divina “io sono” e chiarisce anche la sua relazione con il Padre.
Sotto l’immagine della vite e dei tralci c’è una delle pagine più alte dell’autorivelazione di Cristo, quale sorgente inesauribile di vita per tutti coloro che credono in Lui e lo seguono con amore fiducioso. Infatti “Egli è la vita” (Gv 1,3) – è “il Verbo della vita” che si è resa visibile e palpabile dagli uomini (1 Gv 1,1). Da questa vite partono tanti tralci che formano il popolo di Dio; Gesù è talmente presente nella sua Chiesa, che Paolo non esita a chiamarla “corpo di Cristo” (Col 1,18).
“Ogni tralcio che in me non porta frutto lo toglie, e ogni tralcio che porta frutto lo pota perché porti più frutto”. Con il battesimo si è un tralcio appena sbocciato, ma poi si deve maturare nella fede e portare frutto di opere buone.
La fede è una realtà viva come l’amore ed esige una continua crescita ed una continua liberazione da scorie e limitazioni: nelle prove di ogni genere dobbiamo vedere la mano di Dio che pota, senza ribellarsi. Le mani di Dio feriscono solo per risanare (Gb 5,17): “è per la vostra correzione che voi soffrite! Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non è corretto dal Padre” (Eb 12,7), quindi nelle prove vederci tralci buoni che vengono potati.
Come il chicco di grano non produce frutto se non muore, così il tralcio non può avere forza ed energia se non è radicato al Cristo sofferente e crocifisso. Il sacrificio è, per il Vangelo, la legge fondamentale della crescita spirituale, e il suo più genuino sapore (Salvatore Garofalo).
In una preghiera alla conclusione delle Litanie alla Divina Misericordia: “moltiplica in noi la tua misericordia, affinché nei momenti difficili non ci perdiamo d’animo e non smarriamo la speranza, ma con la massima fiducia ci sottomettiamo alla tua santa volonta la quale è amore e misericordia”.
Bernadette nelle sue sofferenze e prove “pensavo che il Buon Dio lo voleva, quando si pensa che il Buon Dio lo permette, non ci si lamenta” – “è un grave errore non abbandonarsi nelle mani di Dio che sa meglio di noi quel che ci conviene” (santa Teresa d’Avila).
A Fatima la Madonna disse ai pastorelli: “quando avete da soffrire dite: per amor tuo o Gesù, per la conversione dei peccatori e per consolare il cuore immacolato di Maria”.
“Chi rimane in me e io in lui fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla”. Il destino del tralcio è di stare unito alla vite, se si stacca finisce nel fuoco. La mutua immanenza di Gesù nel credente e del credente in Gesù è condizione indispensabile per “portare frutto”:
“senza di me non potete far nulla”. Anche per la Chiesa intera la sicurezza, la pace e i frutti non nascono da tecniche speciali, ma dal suo totale ancorarsi alla parola di Dio e allo Spirito che la conforta e la sostiene.
San Luca, storico della Chiesa primitiva, ci ha lasciato un quadro entusiastico e positivo della più antica comunità cristiana, in crescita numerica e spirituale “la Chiesa era dunque in pace per tutta la Giudea, la Galilea e la Samaria; essa cresceva e camminava col timore del Signore, colma del conforto dello Spirito Santo” (At 9,31) – non che mancassero le difficoltà e le persecuzioni, ma la pace e la consolazione sono il dono di Dio che ininterrottamente e fedelmente si fa presente col suo Spirito nella Chiesa.
“Senza di me non potete far nulla”: anche in una preghiera allo Spirito Santo “senza di te non c’è alcunché di valido né alcunché di santo”. “Senza l’aiuto di Dio non possiamo nemmeno avere un buon pensiero” (santa Teresa); sant’Agostino dice che abbiamo bisogno dell’aiuto di Dio come i pesci hanno bisogno dell’acqua, da parte nostra ci è rimasto di pregare.
“...Chi rimane in me e io in lui fa molto frutto”. Per noi è un motivo di grande gioia il sapere che, grazie alla nostra unione con Gesù, la nostra vita è veramente feconda. Qual è il frutto che dobbiamo portare? Il frutto principale che i tralci uniti alla vite devono portare è l’amore: “non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità” (1 Gv 3,18).
La vita di Gesù è una vita di amore, e quando viene in noi ci spinge ad amare il Padre con tutto il cuore, e ad amare il prossimo come Egli ci ha amato, cioè non a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità.
“Voi siete già mondi, per la parola che vi ho annunziato” (Gv 15,3) non è una dichiarazione di innocenza dei discepoli, ma è l’indicazione dello strumento di cui il Padre si serve per potare. Gli apostoli sono tralci vivi per la parola di Dio che hanno accolto. Il confronto con la persona di Gesù e con la sua parola costituisce una continua-necessaria potatura.
La parola di Dio, dice sant’Agostino, è conoscenza piena d’amore, è luce che fuga le tenebre, è principio di purificazione e trasformazione interiore; questa parola “è più tagliente di una spada a doppio taglio” (Eb 4,12).
Colpisce le cupidigie, tutto ciò che ci disperde in vani progetti e desideri terreni, fortifica invece le energie sane e spirituali, ci concentra sui veri valori. Anche Sant’Agostino che piangeva nella sconfinata angoscia del suo cuore affranto, e nel giardino sentì la voce “prendi e leggi”: aprì la Sacra Scrittura e lesse quanto san Paolo dice Rm 13,13; letto questo, una luce di certezza penetrò nel suo cuore e tutte le tenebre del dubbio si dissiparono.
Questa immagine della vite e i tralci descrive la relazione tra Gesù e l’anima. La linfa che passa tra la vite e i tralci è la grazia che ci abilita a vivere la vita divina e a condividere la sua natura divina come veri figli adottivi di Dio (1 Gv 3,1).
Tra la vite e i tralci c’è una dinamica di reciprocità “rimanete in me e io in voi” (Gv 15,4). Specialmente nell’eucaristia “chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui” (Gv 6,56). San Paolo “non sono più io che vivo ma Cristo vive in me” (Gal 2,20).
Teresa de los Andes “c’è una fusione tra le nostre piccolissime anime e un Dio infinito” si sentiva così unita a Dio che non poteva desiderare di più fuorché poi la visione beatifica in cielo. Pio XII è chiamato il papa del Gesù vivo per il suo straordinario rapporto con Dio e la sua vita a due con Gesù. Nell’enciclica “Mystici corporis” (1943) “ci piace ora trattare della nostra unione con Cristo, in modo particolarissimo, realtà grande, arcana, divina, strettissima” parla della vita di grazia e intimità con Gesù.