At 1,1-11;
Ef 4,1-13;
Mc 16,15-20
Il prefazio della messa dell’Ascensione, inneggiando a Gesù Cristo, vincitore del peccato e della morte, mediatore tra Dio e gli uomini, rivela che il Signore salendo oggi al di sopra dei cieli non ci ha abbandonati nella povertà della nostra condizione umana, ma ci ha preceduti nella dimora eterna, per darci la serena fiducia che dove è Lui, capo e primogenito, saremo anche noi, sue membra, uniti nella stessa gloria.
L’accenno all’evento dell’Ascensione di Gesù è preceduto dal conferimento della missione del Risorto agli apostoli “andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura” (col termine “creatura” si vuole sottolineare lo spessore cosmico dell’annunzio evangelico, nemmeno unicamente gli uomini ma tutte le creature – la redenzione ha raggiunto anche le pietre dice un Padre della Chiesa).
Col conferimento della missione agli apostoli il Risorto ha portato a termine il compito che il Padre gli aveva affidato. Perciò ora può lasciare i discepoli e tornare dal Padre.
E dopo il breve cenno all’evento dell’Ascensione, san Marco sposta la sua attenzione sull’inizio della Chiesa che prosegue nel tempo e nello spazio la stessa missione del Cristo “allora essi partirono e predicarono dappertutto...”.
L’Ascensione di Gesù è tutta in funzione di una nuova presenza del Risorto: Egli vive nella sua Chiesa, e opera in essa e per mezzo di essa la salvezza del mondo.
Dopo la sua risurrezione rimase ancora quaranta giorni qui in terra con i suoi apostoli e li preparò a ricevere lo Spirito Santo.
San Leone Magno “durante tutto questo tempo trascorso tra la risurrezione del Signore e la sua Ascensione, la Divina Provvidenza questo ha voluto insinuare negli occhi e nel cuore dei suoi: la ferma certezza che il Signore Gesù Cristo era veramente risuscitato, come realmente era nato, realmente aveva patito ed era realmente morto”.
Poi li radunò sul Monte degli Ulivi, salutò tutti, specialmente sua Madre e trasformatosi in luce e bellezza ascese al cielo. Gesù lascia la terra e sale al cielo, entra in cielo assieme all’esercito delle anime che risiedevano al Limbo. Anche con la sua umanità si è ripreso quella gloria che aveva dall’eternità come Figlio del Padre.
Con Cristo è ascesa nella gloria quell’umanità che Egli ha preso in prestito da noi. “Oggi celebriamo il giorno in cui la nostra povera natura è stata elevata in Cristo fino al trono di Dio Padre” (san Leone Magno).
“Solo il cristianesimo ha osato situare un corpo d’uomo nella profondità di Dio” (Guardini).
“Fu elevato in alto” (At 1,9) – “fu assunto in cielo” (Mc 16,17) lascia capire che è Dio Padre l’autore della elevazione di Gesù, l’artefice della sua definitiva glorificazione. È il Padre che fa sedere “alla sua destra” il proprio Figlio, morto e risorto.
Santo Stefano mentre veniva lapidato vide i cieli aperti e il Figlio dell’Uomo che stava alla destra di Dio (At 7,56). Gesù durante la sua passione davanti al Sinedrio quando gli fu chiesto “se tu sei il Cristo diccelo”, Egli rispose “anche se ve lo dico non mi crederete... ma da questo momento il Figlio dell’Uomo starà seduto alla destra della potenza di Dio” (Lc 22,69).
Gesù è alla destra di Dio cioè condivide con il Padre la sovranità divina. Come il Padre è al di sopra di tutto, così Gesù sta al di sopra di tutto: Lui solo il Santo, Lui solo il Signore, Lui solo l’Altissimo.
I primi cristiani vedevano come essenza della festa di Cristo Re quanto appunto si dice nel Credo: “salì al cielo, siede alla destra di Dio Padre Onnipotente”.
Ora il suo regno è incominciato, invece il dominio del diavolo è finito, è stato giudicato per sempre. Ora non ci sono più limitazioni nella vita di Gesù; in terra visse assieme ai pochi abitanti della Palestina, ora ha ricevuto ogni potere in cielo e in terra, ed è con noi ovunque in modo speciale con la forza dello Spirito Santo.
In cielo Gesù intercede per noi presso il Padre, “e con i segni della passione vive immortale” tuttavia compie il suo sacrificio solo nella Messa.
Dal cielo invierà lo Spirito Santo dapprima sugli apostoli nel giorno di Pentecoste, poi su ogni credente, perché lo Spirito Santo ha del lavoro da compiere in ogni anima.
Ancora in cielo Gesù ci ha preparato il posto (Gv 17,24). La nostra anima è creata per Dio. Sant’Agostino disse “ci hai creati per Te e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te”. I desideri dei nostri cuori a riguardo di una vita più bella e di una gioia senza fine saranno appagati nel tempo futuro in cui Gesù è già entrato e che ci ha iniziato e preparato.
La vita va verso questa qualità di tempo: la vita non è un scendere sempre di più verso la tomba ma un salire sempre di più verso la pienezza. L’Ascensione del Figlio suscita l’ascensione di tutti i figli destinati a vivere con il Padre (Jean Galot).
Gesù è asceso, Maria è assunta: tutto è compiuto, il traguardo è stato raggiunto, ci troviamo all’interno della vittoria, Essi ci hanno preceduto.
Gesù è disceso in terra e ora sale in cielo, questo ci dice che a Dio è caro tutto l’uomo: corpo e anima, il tempo presente e quello futuro. Il Regno di Dio come Gesù ci ha illustrato nelle parabole comprende la terra e il cielo e non solo il cielo. Sant’Agostino dice “il tempo presente ci è dato per cercare Dio e il futuro per incontrarlo”.
Intanto dal cielo il Signore continua ad elargire i suoi molteplici doni.
Nei suoi dialoghi san Giustino scrive: “è stato profetizzato che, dopo che il Cristo sarà salito al cielo, ci farà suoi prigionieri, conquistandoci dall’errore e offrendoci i doni dell’unità e della pace”.
I segni: “nel mio nome scacceranno i demoni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i serpenti...” cioè con l’accettazione del Vangelo interviene qualcosa di totalmente nuovo che non solo cambia i cuori degli uomini, ma introduce rapporti nuovi nella compagine stessa della creazione.
Nell’Ascensione di Gesù al Padre, soprattutto contempliamo quanto grande sia la condiscendenza divina per l’umanità intera e quanto sia vicino a noi quel cielo in cui Gesù, che sembra scomparire dinanzi al nostro sguardo, è diventato il cuore del mondo.
San Pietro d’Alcantara “volendo lo sposo Gesù lasciare alla sua sposa la Chiesa una compagnia in sì lunga lontananza perché non rimanesse sola, istituì l’Eucaristia dove rimane Egli stesso che è la migliore compagnia che le avesse potuto lasciare”.
Santa Teresa d’Avila parlando dell’immensa bellezza dell’umanità di Gesù dice “fortunata l’anima che lo ama veramente e procura di averlo sempre in se stessa”.