Prv 9,1-6;
Ef 5,15-20;
Gv 6,51-58
Gesù sta tenendo il grande discorso eucaristico nella sinagoga di Cafarnao. Continuiamo a meditare sul grande dono dell’eucaristia.
Con questo sacramento del suo corpo e del suo sangue Gesù nell’ultima cena ha fatto dono alla sua Chiesa del suo amore – “la sua presenza permanente ci pone sotto gli occhi l’amore che ha voluto darsi totalmente a noi” (Jean Galot) – “la Chiesa in questo sacramento scopre la piena manifestazione del suo immenso amore” (Giovanni Paolo II).
Gesù dice di “mangiare la sua carne” – a questa frase si poteva dare una interpretazione metaforica (anche lo studio della Bibbia lo si diceva un mangiare un bere: “quando le tue parole mi vennero incontro, le divorai con avidità” [Ger 15,16]) – ma dal tono e dalla insistenza di Gesù, capiscono che si deve dare una interpretazione letterale; ed essi dicono “come può costui darci la sua carne da mangiare?”, ma Gesù conferma ed aggrava le sue affermazioni dicendo che bisogna bere anche il suo sangue.
Il biblista dice che il verbo greco più che “mangiare” dice “masticare” – non certo per precisare il modo di mangiare, ma per estremo realismo. Anche per la cena pasquale degli ebrei era prescritto di masticare accuratamente gli alimenti, e questa cena pasquale era una preparazione all’eucaristia.
Gesù dice di “bere il suo sangue” – era qualcosa di inaudito dagli ebrei, erano proibiti di bere il sangue degli animali perché il sangue rappresentava la vita, riservata a Dio che è l’autore e il padrone – Gesù dicendo di bere il suo sangue manifesta chiaramente che egli intende nell’eucaristia dare effettivamente la sua vita. Potrebbe spiegare che la sua carne e il suo sangue vengono ricevuti per mezzo di un sacramento, ma vuole soprattutto renderci consapevoli della necessità assoluta che abbiamo di mangiare la sua carne e di bere il suo sangue (Albert Vanhoye) – e sostiene la necessità di mangiare la sua carne come aveva sostenuto che bisogna rinascere dall’acqua dello Spirito Santo per entrare nel regno di Dio, parlando con Nicodemo.
Per tre volte si ripete questa medesima formula “chi mangia la mia carne e beve il mio sangue” annunciando tre importanti conseguenze provocate dalla partecipazione alla carne e al sangue di Cristo.
“Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno”.
Non dobbiamo attendere la morte per avere la vita eterna, ma la abbiamo già da adesso. Con il battesimo siamo diventati figli di Dio e con l’eucaristia riceviamo fin d’ora la vita eterna. Questa è la vita di comunione con Dio, la vita nell’amore di Dio, e quindi la vita che può vincere la morte e superare tutti gli ostacoli perché ha una forza straordinaria (Albert Vanhoye).
E ad indicare la qualità e la pienezza della vita da Lui data, Gesù la estende fino alla risurrezione nell’ultimo giorno, che è l’atto definitivo della redenzione, con il quale anche il corpo entrerà nella gioia e nella gloria eterna, affinché l’uomo possa essere nella sua totalità felice e glorificato.
La risurrezione dei corpi, dice la teologia, è l’effetto peculiare dell’eucaristia – san Cirillo di Alessandria dice che l’eucaristia ha il potere di vivificare le anime e i corpi per la risurrezione finale – Gesù che entra nell’uomo promana una virtù che si diffonde in tutto l’uomo, nella sua anima e nel suo corpo – Gesù reale cessa con il cessare delle specie, però la sua virtù rimane in noi e maturerà nel momento della risurrezione. L’eucaristia è il sacramento della perfezione, e bisogna che in qualche modo tocchi anche il corpo ché l’uomo è anima e corpo. Altrimenti non sarebbe il sacramento della perfezione, anche il nostro corpo mortale riceve un germe di risurrezione e di vita nuova, dice la liturgia.
“Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda”, Gesù insiste ancora sul bisogno assoluto che abbiamo della sua carne e del suo sangue, sul bisogno di un forte contatto con la sua incarnazione. Egli non si presenta a noi come uno spirito che non ha carne e ossa, ma come il Verbo di Dio incarnato che si è fatto nostro fratello, ha assunto la nostra natura umana, per trasformarla in mezzo per comunicare la vita eterna (Albert Vanhoye).
La vita divina posseduta pienamente dal Padre viene data all’umanità di Cristo e mediante l’eucaristia agli uomini. Dice Gesù “come il Padre che ha la vita ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me” (non essere umano avrebbe potuto dire queste parole, ma solo Lui l’uomo-Dio) – qui ci viene presentato l’aspetto dinamico dell’eucaristia: tutta la vita di Gesù era orientata verso il Padre, in modo analogo il discepolo che “mangia Gesù” assumerà lo stesso stile di vita e vivrà per Gesù: è una vita liberata dall’egoismo: tutti abbiamo la tendenza a vivere per noi stessi, e questo egoismo ci mette su una strada sbagliata, perché il realtà noi siamo creati per vivere nell’amore. Perciò abbiamo bisogno di ricevere l’eucaristia. Afferma Gesù “colui che mangia di me vivrà per me” e Paolo dichiara “per me il vivere è Cristo” (Fil 1,21).
Afferma Gesù “chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui” non si può immaginare una unione più stretta di questa. Prima che Gesù istituisse l’eucaristia non si aveva l’idea di una relazione così forte; ma ora sappiamo che grazie all’eucaristia riceviamo in noi Gesù e nello stesso tempo siamo inseriti in Lui come tralci nella vite (Gv 15,1). Perciò noi siamo in Lui ed Egli è in noi.
L’effetto della manducazione e della sunzione è la “dimora” del fedele in Gesù. Quando si mangia è il nostro corpo che assimila il cibo, invece quando si fa la comunione è Gesù che assimila noi – san Tommaso: “c’è una trasformazione in Gesù per l’amore” – san Leone Magno: “effetto dell’eucaristia è farci diventare ciò che mangiamo” – c’è una incorporazione, si diventa concorporei e consaguinei di Gesù.
Santa Teresa d’Avila: “alle volte si presenta con tale maestà, che è assolutamente impossibile che non sia il Signore – questo avviene specialmente dopo la comunione dove la fede ci dice che è qui presente – allora si mostra talmente padrone di noi che l’anima ne resta disfatta e si sente consumare per Lui”.
Paolo nella seconda lettura ci presenta un aspetto molto bello di questa vita eterna vissuta sin d’ora, quando dice “siate ricolmi dello Spirito” – lo Spirito Santo trasforma la nostra esistenza rendendoci pieni di gioia, di entusiasmo – allora possiamo intrattenerci a vicenda con salmi e inni e cantici spirituali: come fu per la Madonna col suo cantico del Magnificat.