Gb 38,1.8-11;
2 Cor 5,14-17;
Mc 5,35-41
Il Vangelo ci presenta un gesto di Gesù che manifesta tutta la sua potenza divina: Egli placa la tempesta.
Si è davanti al mare. Nel libro di Giobbe è descritto come un pericoloso prigioniero chiuso nei suoi confini. A Giobbe dischiude il libro della crezione e della storia. Di entrambe Jahvè è il Signore.
A differenza dei vicini fenici, gli ebrei erano “un popolo di santi, di poeti, di eroi, ma per nulla un popolo di navigatori (Gianfranco Ravasi).
Agli occhi del popolo ebreo il mare per la vastità della sua superficie, per l’impero incontenibile delle sue onde, per l’abisso profondo delle riserve delle sue acque, era considerato luogo di pericolo e di morte, divenne quindi simbolo del male, cioè delle forze avverse a Dio e all’uomo – ma il mare testimoniava anche la grandezza e la bellezza della creazione di Dio, per cui è diventato spesso simbolo dell’infinito – quindi aspetto pauroso e grandioso del mare. Ma il libro di Giobbe dice che il mare è in pieno dominio del suo creatore. “La creazione non è in balia di meccanismi neutri e ciechi, è invece sottoposta ad una persona onnipotente che vuole, ordina, fa e che quindi può dire ‘Io’ ” (Gianfranco Ravasi).
Quel giorno lungo il mare Gesù incominciò a predicare, ma dato la folla salì su una barca e scostatosi dalla riva, come da un pulpito ancorato sul mare insegnava tramite le parabole. Gesù ha appena terminato la predicazione del Regno mediante le parabole e venuta sera decide di passare il lago. Subito gli apostoli si prendono cura del Maestro, e senza indugio si dirigono là prendendolo con loro “così com’era” (originalità di Marco) – va dove la sua missione lo chiama, senza un posto abituale dove posare il capo.
Nel lago si solleva una forte tempesta di vento. Il lago di Galilea è situato a duecento metri sotto il livello del mare, e le tempeste vi sono frequenti, perché il vento riempie questo spazio provocando fenomeni violenti.
La tempesta che sopraggiunge mentre Gesù e i discepoli sono nel lago è veramente pericolosa: getta le onde nella barca tanto che questa ormai è piena d’acqua. Nella barca Gesù, perché era stanco, si abbandona ad un profondo sonno – gli apostoli che sono fior di pescatori ed esperti del lago capiscono che è giunto un rischio mortale e scuotono il Maestro “Maestro non ti importa che moriamo?” e Gesù accoglie la protesta e sgrida il mare e il vento cessa e il mare si placa – parla al mare come se fosse personificato “taci, calmati” formula usata per gli esorcismi “taci, esci da quell’uomo”: il mare si agita come un ossesso, sembra di assistere ad un esorcismo cosmico, quindi il miracolo oltre ad essere salvataggio fisico è pure segno misterioso della vittoria sul male.
La grandezza del Figlio di Dio che stava dormendo a poppa sulla barca in un mare in tempesta essi non riuscivano a vederla. Descrivendo il pericolo corso dagli apostoli a causa dell’improvvisa tempesta, l’evangelista Marco delinea con arte il loro cammino di fede verso Gesù: perché la fede non provata non è ancora fede sicura.
La gloria di Dio si manifestò nell’umile natura di Gesù di Nazareth. Anche quando faceva i miracoli, non voleva che se ne parlasse. Gesù è nato e vive come noi, anche Lui stanco sta dormendo, per questo forse sant’Agostino esclamava “magnum habemus Deum” noi abbiamo un Dio veramente grande.
Santa Margherita Ebner, vissuta in Baviera dove morì il 20 giugno 1351, che ebbe, come già santa Caterina da Siena, la grazia del matrimonio mistico con Gesù, scriveva nel suo diario intimo “tutta la mia forza e tutto il mio potere riposano esclusivamente nella sua dolcissima umanità, nella sua vita di verità, e nella sua santa ed amara passione. Tutto il mio desiderio di vivere e di morire non si ispira ad altro”. Anche santa Teresa d’Avila dice che finché viviamo e siamo uomini è molto importante tenere presente il Signore come uomo, altrimenti si rischia di far camminare l’anima per aria, senza appoggio.
Gli apostoli furono atterriti dal gesto di Gesù, capirono che era una manifestazione della potenza divina e dissero: “chi è costui che anche il vento e il mare gli obbediscono?”.
Vediamo un grande contrasto tra l’umanità semplice di Gesù e il suo agire divino. L’apparente debolezza del Signore il quale si avvia verso l’abbandono e verso le tenebre della morte sulla croce, non può che rafforzare la nostra fede nella potenza che in Lui si cela e nella sua risurrezione. In questa fede sappiamo che anche noi non potremo perire.
La fede non è qualcosa che deve affiorare solo nei momenti di rischio ma deve estendersi alla totalità dell’esistenza, dando significato ad ogni nostra azione e comportamento. Allora Dio sarà sempre presente nel cuore di chi crede, il quale perciò lo scoprirà e lo sentirà come colui che ci ama e ci aiuta sempre: anche se sembra dormire. Cristo è con noi e con la sua Chiesa, perciò non dobbiamo avere paura (Settimio Cipriani).
I discepoli non hanno avuto fede, sebbene Lui fosse con loro. È vero che la sua presenza sembrava una semplice presenza umana e non divina. Proprio per questo è necessaria la fede, per andare oltre le apparenze e riconoscere che Gesù è realmente il Signore (Albert Vanhoye).
La finalità della narrazione, non è quella di mettere in opera un grandioso taumaturgo, ma di illuminare il mistero di salvezza celato sotto la figura di Gesù di Nazareth (Gianfranco Ravasi).
Non è un racconto di miracolo, ma una manifestazione in Gesù della forza, del potere salvifico di Dio ed è una professione di fede in Marco e delle comunità primitive nella divinità di Cristo (Ferdinando Armellini).
La paura degli apostoli mette in risalto la fragilità umana, mentre il sonno tranquillo di Gesù e il suo dominio così energicamente dimostrato sulle forze avverse fa capire la sicurezza che viene quando ci si mette dalla parte di Dio.
“Gesù è Dio e nessuna forza avversa della natura come dello spirito può prevalere su di Lui, e contro chi in Lui crede con logico e necessario coraggio – le paure sono umanamente giustificate quando ci sono situazioni che sfuggono al nostro controllo, ma no per chi ha veramente la fede che comunica la sicurezza di Dio (Salvatore Garofalo).