Dt 6,2-6;
Eb 7,23-28;
Mc 12,28-34
L’osservanza della legge divina era l’impegno fondamentale del buon ebreo, ma attorno ai comandamenti si era andata formando una fitta rete di precetti catalogati in 613. Gesù non va a cercare il comandamento più importante nel decalogo, perché sono per lo più comandamenti negativi cioè divieti, o sono limitati (non avrai altro Dio fuori di me, non pronuncerai il nome di Dio invano...) questi divieti sono importanti perché definiscono le condizioni necessarie per rimanere nella grazia di Dio – ma questi comandamenti negativi non possono costituire un orientamento positivo per la vita. Gesù cerca allora nella Bibbia un orientamento positivo chiaro e dinamico e lo trova in un passo del Deuteronomio.
Nel libro tanto umano del Deuteronomio (un libro, che, per l’elevatezza religiosa, occupa nell’Antico Testamento un posto paragonabile a quello costituito dal Vangelo di Giovanni nel Nuovo Testamento) Gesù riporta l’inizio dell’antico credo ebraico, detto dalle sue parole iniziali: Shemà Israel “ascolta Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze. Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore; li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando sarai seduto in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai” (Dt 6,4).
In questa preghiera, una delle più care alla pietà giudaica, viene recitata più volte al giorno, è affermata la fede nel Dio Unico; essa riassume nel comandamento dell’amore di Dio tutta l’essenza della Legge. L’amore di Dio è proposto come un precetto da mettere in pratica con la totalità dell’uomo.
Proprio al passo del Deuteronomio (6,4) si richiama Gesù nel Vangelo odierno rispondendo alla domanda dello Scriba “qual è il primo di tutti i comandamenti?” e rivelando che l’amore di Dio insieme a quello dell’amore del prossimo è il più grande comandamento.
Il grande caposcuola Hillel (circa 20 a.C.) insegnava che l’intera legge si riassumeva nella regola d’oro “non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te. Ciò che piace a te, non farlo al tuo prossimo. Questa è la legge intera. Tutto il resto è commento”. Nel discorso della montagna Gesù propone la regola in forma positiva: “beati i miti, i misericordiosi, i pacifici...”.
Siamo nell’ultima settimana di vita del Cristo. Gesù propone il suo ultimo insegnamento, mentre ormai si avvicina ‘l’ora’ della sua passione e morte.
Questo è un comandamento completamente positivo.
Ed è un comandamento dinamico, che ci dà un orientamento sempre valido per la nostra esistenza. Infatti, chi può pretendere di averlo osservato già pienamente? Noi ci troviamo sempre nella necessità di progredire in questa direzione (santa Teresa “finché viviamo abbiamo sempre bisogno di crescere di grado nell’amore al Signore e di essere sempre più forti nella virtù”).
Gesù ci fa capire che siamo stati creati per amare. Dio che è amore, ci ha creati per amore e perché noi possiamo amare, restando uniti a lui nell’amore. Possiamo riconoscere facilmente che ciò corrisponde al desiderio più profondo del nostro essere: siamo fatti per amare, e non possiamo trovare la nostra vera gioia se non nell’amore.
Se cerchiamo la nostra gioia in qualche interesse egoistico, allora essa non sarà pura e non ci soddisferà pienamente (Albert Vanhoye).
La risposta che Gesù dà allo Scriba comprende anche una seconda parte, che appare sorprendente. Lo Scriba ha interrogato Gesù sul primo comandamento, ma Gesù ora di sua iniziativa ne aggiunge un secondo: “e il secondo è questo: amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c’è altro comandamento più importante di questi”.
Così, nella sua risposta allo Scriba Gesù unisce le due dimensioni dell’amore: l’amore verso Dio e l’amore verso il prossimo.
Lo stretto legame tra questi due amori è la caratteristica del Vangelo.
Gesù non vuole che separiamo queste due dimensioni dell’amore.
Questo duplice comandamento dell’amore lo dobbiamo tenere presente in tutte le nostre azioni; non dobbiamo agire mai per altro motivo che non sia questo duplice amore (Albert Vanhoye).
L’amore per Dio include sempre e illumina l’amore per il prossimo.
“Questo è il comandamento che abbiamo da Lui: chi ama Dio, ami anche il suo fratello” (1 Gv 4,21).
“Di conseguenza, commenta sant’Agostino, amando secondo l’amore il fratello, lo amiamo secondo Dio. Da ciò si conclude che quei due precetti non possono esistere l’uno senza l’altro”.
Gesù stabilisce un legame indissolubile tra l’amore a Dio e l’amore al prossimo - comandamento visto poi nella novità del Vangelo dove c’è la infinita donazione di Gesù per tutti gli uomini.
Nell’Antico Testamento il prossimo era quello della stessa nazione e religione, nel Nuovo Testamento il prossimo è chiunque, compreso il nemico.
Gesù afferma il primato dell’amore che con Lui e in Lui diventa un comandamento nuovo e suo proprio (Gv 13,34).
San Paolo dice che nulla serve, anche il fare i miracoli - distribuire i propri beni senza la carità, senza cioè
quell’amore che Cristo ha fatto conoscere al mondo e che ha la sua sorgente nell’amore di Dio.
La carità ha la sua sorgente in Dio ed è motivata dall’amore di Gesù verso suo Padre e verso gli uomini.
La legge di Cristo “prima di essere segnata nel cuore dell’uomo è un palpito nel cuore di Dio” (Primo Mazzolari).
L’amore cristiano scaturisce da Dio, come il raggio dal sole, il ruscello dalla fonte, la scintilla dal fuoco: perché è espressione della dimora di Dio nel nostro cuore e nella nostra vita - “è il volto e l’immagine di Cristo vivente in noi” (san Cirillo d’Alessandria).
Ma lo Scriba rimase entusiasta perché Gesù parla dell’amore come uno che ci credeva, la sua parola ha tradito una particolare vibrazione e partecipazione. Lo Scriba si rivela molto vicino al pensiero di Gesù “hai detto bene Maestro, e secondo verità...”. “Non sei lontano dal Regno di Dio” disse Gesù. Che cosa manca ancora a quel saggio Scriba che condivide le idee morali di Gesù? Allo Scriba manca quello che manca ancora anche ai discepoli: la relazione personale e profonda con il Cristo riconosciuto Figlio di Dio. Ma questo si avrà solo dopo e grazie alla Sua morte e risurrezione.