Arriva sugli schermi italiani "Exodus - Dei e Re", il film che Ridley Scott dedica al fratello Tony scomparso due anni fa. Ispirato al libro dell'Esodo, il regista racconta in modo epico e spettacolare la liberazione del popolo ebraico dalla schiavitù d'Egitto e fa di Mosè un guerriero audace, un eroe coraggioso e un uomo tormentato nel rispondere alla chiamata di Dio. Il servizio di Luca Pellegrini:
Il faraone Seti: "Mosè, Ramses: voi siete cresciuti insieme come fratelli, abbiate cura l'uno dell'altro".
Mosè: "Sempre"
Una spada d'oro forgiata per un dio di carne e un cuore umano che non sa di doverLo incontrare. Il faraone Ramses attende di essere adorato dal suo popolo mentre è servito dagli Israeliti sottomessi in schiavitù; Mosè sente l'inquietudine scorrergli nel sangue perché sa di dover affrontare prima o poi la sua origine, adorando e servendo l'unico vero Dio. L'uno e l'altro si fronteggiano, perché saranno le loro ragioni opposte a crearli nemici, dopo che un destino li aveva resi fratelli. Tanti episodi della Bibbia sono rafforzati da un flusso narrativo epico punteggiato di forti emozioni e proporzioni che il cinema molte volte ha ceduto alla tentazione di raccontare, enfatizzando l'aspetto mitico e manipolando quello teologico e scritturistico. Se Ridley Scott, come altri registi, non è esente nel suo "Exodus - Dei e Re" - sette anni di gestazione, 140 milioni di dollari d’investimento, suggestivo 3D - da errori storici, omissioni bibliche e una calcolata, parziale infedeltà ai testi sacri, va detto che nulla lascia di intentato nel rendere visivamente avvincenti alcune delle pagine più famose dell'Esodo. E pur concedendosi le libertà che inevitabilmente un regista avoca a sé, dirige un film che ha il pregio di concentrarsi tutto sulla personalità difficile e tormentata di Mosè, rendendolo un comprensibile eroe moderno, dando giustamente spazio alla rivalità familiare con Ramses e ciò che la sua figura di egiziano, diametralmente opposta, rappresenta. Ma non è lo scontro immediato tra il politeismo e il monoteismo quello che potrebbe emergere da una lettura facile e strumentale, così come sono del tutto marginali e pretestuose le critiche che si sono addossate sul film, come se fosse in grado di avvalorare e corroborare le attuali piaghe che affliggono il mondo contemporaneo. Se gli attori hanno un certo colore della pelle, se i monumenti e i loro tempi di realizzazione non sono corretti, se alcune immagini possono essere di fantasia e la rappresentazione della personalità di un grande patriarca non accontenta tutte le interpretazioni che sono nate in seno alle diverse tradizioni religiose, questo non è motivo sufficiente - e non lo sarà mai nella storia del cinema - per disprezzare un film, che tale rimane.
Scott si concentra su un Mosè guerriero, dilaniato dall'identità che lo affligge, spaventato dal compito immane e doloroso che il Signore, che è il "Dio degli eserciti", gli vuole affidare. E' una figura epica, senz'altro, che convive con quella religiosa, nell'alveo - delicato e terribile insieme - della storia della salvezza. E il film regge la spettacolarizzazione dell'Egitto e dei popoli in guerra, accreditando a Scott anche il coraggio, inusitato oggi in tempi di scontri e intolleranze fratricide, di riproporre la Bibbia e una delle figure più amate e conosciute raccontata nelle sue pagine. Alcuni personaggi - scelta necessaria - rimangono seminascosti (Aronne, Miriam e la moglie Zippora), alcuni segmenti e oggetti del racconto vengono messi in ombra o del tutto omessi, alcuni dialoghi giustamente attualizzati, ma il Mosè di Christian Bale, così inserito in un dramma prima di tutto familiare, che esplode poi in quello di una civiltà e due popoli, è frutto di un importante lavoro d'attore. Fin da quando è costretto ad ascoltare la voce del Signore - rappresentato, con una scelta pur discutibile ma efficace, nelle vesti di un bambino né tenero né accondiscendente ma radicalmente determinato - che lo interpella mentre lui è bloccato in una morsa di fango, quello da cui Adamo il peccatore era stato forgiato e lui, il liberatore, riemerge spaventato. Ci sono momenti bellissimi nel film: le piaghe, appunto, che scaturiscono l'una dall'altra come da una natura impazzita e terribile, fino al buio della notte e della morte; le frastagliate personalità di israeliti e egiziani, che difendono le loro ragioni; la riflessione sul potere, messa in bocca al vecchio faraone Seti morente; la forgiatura delle Tavole della Legge, nelle quali l'uomo Mosè è coinvolto perché saranno Comandamenti ai quali da quel momento tutta l'umanità, e non solo Israele, sarà chiamata all'osservanza. Magniloquente e intimo, "Exodus" arriva teso alla resa dei conti finale tra fratelli e popoli, con il Mar Rosso che si placa e furioso si richiude, segno anche della divisione che da quelle acque scaturisce. E poi ecco Mosè, canuto, affaticato e indebolito, che protegge con piccoli gesti l'Arca dell'Alleanza, accarezzandola: segno di riverenza e affetto per la presenza del Signore tra il suo popolo e, da allora, anche nella nostra storia.