II guardiano
I ricchi di Ropschitz, la città di Rabbi Naftali, le cui case erano isolate o ai confini del paese, usavano
ingaggiare gente che vegliasse di notte sui loro beni. Una sera tardi che Rabbi Naftali passeggiava al
margine del bosco che orla la città, incontrò uno di questi guardiani che andava su e giù. «Per chi vai?» gli
chiese. Quello rispose, ma domandò a sua volta: «E voi per chi andate, Rabbi?» Le parole colpirono lo
zaddik come uno strale. «Ancora non vado per nessuno» proferì a fatica, poi camminò a lungo su e giù in
silenzio accanto all'uomo. «Vuoi diventare mio servitore?» chiese finalmente. «Volentieri», rispose quello,
«ma che ho da dare?» «Che io ricordi», disse Rabbi Naftali.
Racconti di ELIMELECH DI LISENSK
Dio canta
11È detto nel salmo: «Perché buono è il canto al nostro Dio». Rabbi Elimelech così interpretava: «È bene
se l'uomo fa sì che Dio canti in lui».
Il penitente
Rabbi Davide di Lelow aveva fatto per sei anni e poi per altri sei anni ancora la grande penitenza:
digiunare da un sabato all'altro e ogni genere di severe mortificazioni. Ma anche quando furono trascorsi i
secondi sei anni sentì che non aveva ancora raggiunto la perfezione, e non sapeva che altro fare per
acquistare ciò che gli mancava. Poiché aveva udito di Rabbi Elimelech, il medico delle anime, andò da lui a
chiedergli aiuto. La sera del sabato si presentò allo zaddik insieme a molti altri. Questi dette la mano a tutti,
solo a lui voltò le spalle e non lo guardò. Il Rabbi di Lelow se ne andò sconvolto; ma poi pensò che il
maestro aveva dovuto scambiarlo per un altro. Perciò la sera, dopo la preghiera, gli si avvicinò di nuovo e
gli tese la mano; ma accadde come prima. Egli pianse tutta la notte, la mattina non osò più entrare
nell'oratorio dello zaddik, e decise di ritornare a casa non appena il sabato fosse terminato. Ma quando
giunse l'ora del santo terzo pasto, durante il quale Rabbi Elimelech insegnava, non poté trattenersi e si
avvicinò segretamente alla finestra. Sentì allora il Rabbi che diceva: «Talvolta vengono a trovarmi uomini
che si sono tormentati con digiuni e mortificazioni, e qualcuno compie la grande penitenza e la ripete anche
per dodici lunghi anni; e dopo tutto ciò essi si ritengono degni dello Spirito Santo e vengono da me perché
io lo faccia discendere su di loro; quel poco che ancora manca loro devo colmarlo io. Ma in verità tutto il
loro esercizio e pena sono meno che una goccia d'acqua nel mare; anzitutto il loro servizio non sale a Dio,
ma all'idolo del loro orgoglio. Questi devono ritornare a Dio abbandonando completamente il lavoro fatto
fino allora e devono ricominciare a servire con cuore sincero». Quando Rabbi Davide udì queste parole lo
spirito l'afferrò con tale violenza che quasi perse i sensi. Tremando e singhiozzando stava dietro la finestra.
Quando la Havdalà fu compiuta, trattenendo il respiro andò alla porta di casa, l'aprì adagio adagio con
grande timore e si fermò sulla soglia. Allora Rabbi Elimelech si alzò dalla seggiola, corse incontro all'uomo
immobile, lo abbracciò ed esclamò: «Benedetto colui che viene!» Poi lo condusse alla tavola e lo fece
sedere accanto a sé. Ma Eleazar, il figlio dello zaddik, non riuscì a trattenere il suo stupore e disse: «Padre,
ma questi è l'uomo che tu hai mandato via due volte perché non potevi sopportare la sua vista!» «Ma no»,
rispose Rabbi Elimelech, «quello era tutta un'altra persona, questo è il nostro caro Rabbi Davide!».