Nel mondo islamico, gli aleviti rappresentano una comunità religiosa difficilmente collocabile per la loro eterodossia. Sono concentrati soprattutto in Turchia, dove costituiscono una minoranza molto consistente (da un sesto a un quinto della popolazione), e dove sono generalmente guardati con sospetto dalla maggioranza sunnita.
Tra di essi, oltre ai turchi sono numerosi i curdi e i rom. I legami con l’islam sciita sono più profondi, anche se gli aleviti non si identificano nemmeno con esso. In particolare condividono il culto di Alì, nipote di Maometto, e il digiuno del muharrem, diverso dal ramadan. Ma, diversamente dal resto dell’islam, non hanno moschee come luoghi di culto, e danze e musiche sono al centro dei loro rituali religiosi, cui partecipano anche le donne.
Per alcuni aspetti l’alevismo è avvicinabile a una filosofia, in cui sono presenti elementi di sciamanesimo, manicheismo e perfino buddhismo, segni delle molteplici influenze che hanno caratterizzato l’altopiano dell’Anatolia, da sempre crocevia di transiti e conquiste.
Storicamente hanno cercato di appartarsi rispetto al resto della società, scegliendo insediamenti nelle zone poco abitate, lontano dai centri del potere turco (a fianco, una foto dell’altopiano anatolico). Pur vivendo in un Paese laico, tra gli anni Settanta e Novanta gli aleviti hanno subito attacchi e violenze, fino ad arrivare nel 1978 ad autentici pogrom.