DIMORA DELL'ASCETA

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l'asceta dovrebbe fermarsi per una notte in un villaggio, per cinque in una città, ma per quattro mesi se durante la stagione delle piogge. Se gli dovesse accadere di fermarsi per due notti in un villaggio, in lui sorgerebbero brame e vizi, e sarebbe bell'e pronto per i tormenti internali. Dovrebbe vivere al margine d'un villaggio, in un luogo non abitato da alcuno, controllando il proprio principio vitale, rinunciando a una stabile dimora. Dovrebbe vagare sulla terra come un verme o un insetto, e risiedere nello stesso luogo per un periodo non superiore alla stagione delle piogge, libero da qualsivoglia brama, con una sola veste o con nessuna affatto, tutto intento alla contemplazione esclusiva dell'Assoluto. Percorra il vasto mondo attenendosi sempre alla pratica della meditazione, senza giammai macchiare la retta via. Vaghi sempre il monaco questuante in regioni pure, rispettando scrupolosamente i doveri inerenti alla propria condizione, gli occhi costantemente fissi a terra. Ma non si faccia cogliere lungo il cammino dalla notte, dal mezzodì o dai due crepuscoli. Poiché percorra luoghi isolati, difficili da traversare o tali che vi sia inevitabile sopprimere esseri viventi per oltrepassarli. Potrà fermarsi per un giorno in un villaggio, per tre in un centro urbano, per due in un borgo, per cinque in una città. Dimori in uno stesso luogo per un periodo non superiore alla stagione delle piogge, se la zona completamente circondata dalle acque.
Naradaparivrajakopanisad IV 14 B- 21

LE SEI PRATICHE ASCETICHE

Il muto, l'eunuco, lo zoppo, il cieco, il sordo e l'idiota: il monaco questuante verrà liberato se si conformerà al comportamento di questi sei personaggi. Colui che non bada neppure a ciò che mangia, che non un dice "questo è desiderabile, quest'altro no", che pronuncia solamente parole giovevoli, rispondenti a verità e misurate, questi è il muto. Quegli che resta parimenti impassibile di fronte alla vista di una neonata, di una sedicenne e di una vegliarda di cent'anni, è detto l'eunuco. L'asceta vagante che non è disposto a spostarsi per più d'un miglio in qualunque direzione per ottenere la questua o per soddisfare le proprie necessità corporali vien detto zoppo. L'anacoreta, immobile o in cammino, la cui vista non si estenda al di là di quattro spanne sul terreno vien detto cieco. Colui che pur avendo udito parole di buono o cattivo auspicio, tali da recare diletto ovvero fastidio alla mente, si comporti come se non avesse sentito nulla, vien detto sordo. Quell'abile asceta che, pur in prossimità di una miriade di oggetti, riesce a mantenere integri i propri sensi, e sembra perennemente addormentato, vien detto idiota.
Naradaparivrajakopanisad III 62 - 68

L'INSEGNAMENTO NELLA SELVA

Ed ecco che un tempo Narada, vanto dell'ordine degli asceti peregrinanti, vagava per tutti i mondi rendendo col suo solo sguardo puri i luoghi di pellegrinaggio che gli capitava per avventura di visitare: aveva ottenuto la purezza mentale, giacché era esente da animosità, sereno, libero dal richiamo dei sensi. Egli scorse la selva di Aimisa, ricettacolo di virtù, piena d'asceti silenziosi dediti alla contemplazione del loro essere che avevano ottenuto la beatitudine che deriva dal controllo di se. Ed egli vi entrò recitando storie su Hari, e salmodiando le sette note della scala musicale, che è in grado di infondere il disgusto per l'universo manifesto e di generare la facella del distacco, nonchè di instillare la devozione per il Signore negli esseri mobili ed immobili. Ed affascinò le schiere degli esseri ivi convenuti: uomini, cervi, centauri, dei, creature semidivine, ninfe celesti. Ed avendo scorto il devoto del Signore, Narada il nato da Brahma, Saunaka e gli altri sommi tra i veggenti, da ben dodici anni intenti ad officiare sacrifici solenni, abili della recitazione del verbo sacro rivelato, onniscienti, insuperabili nella pratica dell'ascesi, dotati della gnosi che conferisce il distacco, levatisi in piedi gli resero omaggio. Avendogli chiesto col dovuto rispetto di sedersi anch'essi si misero seduti e gli si rivolsero così: "O Signore, figlio di Brahma, quale sarà il mezzo atto a conferirci la salvezza? Esponicelo dunque". Così interpellato Narada disse loro: "Bisogna nascere da buona famiglia, e, sottopostisi ai quarantaquattro riti di consacrazione a partire dall'iniziazione, si dovrebbe studiare, sotto la guida di un maestro spirituale cui si sia devoti, la scienza sacra quale viene esposta dalla scuola cui si risulta affiliati. Compiuto in tal modo in capo a dodici anni lo studio di tutte le branche del sapere, ed avendo in tal periodo soddisfatto il desiderio di udire la parola sacra e rispettato il codice di condotta del novizio sacerdotale, improntato alla castità, per i venticinque anni successivi si dovrebbero seguire le norme che regolano il comportamento del capofamiglia. Per altri venticinque anni ci si dedichi alla regola di vita di chi si rifugia nella selva per cercarvi edificazione spirituale. Avendo così rettamente praticato nell'ordine prescritto la quadruplice regola del noviziato sacerdotale, la sestuplice vita del capofamiglia, e la quadruplice norma di chi prende rifugio nella selva, ed avendo adempiuto tutti i doveri che pervengono rispettivamente a questi stati, si abbracci la quadruplice via della rinuncia al mondo. Il rinunciante che ripudi il desiderio insieme ad ogni forma di azione, corporea, vocale o mentale, in quest'universo soggetto alla trasmigrazione, rigettando del pari le impressioni subconscie che spingono verso la brama di vivere, e sia privo di malizia e fornito altresì di quiete interiore e mansuetudine, indisturbato nella disciplina di vita dell'ordine ascetico che prende il suo nome dall'anatra selvatica che simboleggia ad un tempo l'Assoluto e il principio cosciente, abbandona la sua spoglia mortale nella contemplazione del modo proprio di essere del suo stesso Sé. Questi si libera, questi si libera: questo l'insegnamento che vi impartisco".
Naradaparivrajakopanisad I

 

 

 

Ultima modifica il Giovedì, 05 Febbraio 2015 17:05
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