Prima della S. Messa viene un signore che tutti conoscono come “el Panadero” (il soprannome dice il suo mestiere) a chiederci il favore di comprargli tre maiali, perché deve fuggire minacciato dalla guerriglia.
Dopo la S.. Messa, sono le 11,30, nel paese si sentono 6 colpi di pistola…tutto ammutolisce.
Verso mezzogiorno viene il presidente della comunità con la signora del “Panadero” per comunicarci che hanno sparato al marito e che è ferito gravemente.
Nessuno vuole portarlo all’ospedale più vicino a Cartagena del Chairà…tutti hanno le barche rotte. E’ la paura che ha preso il cuore e la mente di tutto il paese…Chiedono a noi se li possiamo aiutare ma non possiamo mettere a rischio la vita del nostro motorista.
E' l'ora di pranzo, la tensione è forte…tutti sanno cosa sta succedendo… In queste ultime settimane abbiamo già seppellito due uomini assassinati dalla guerriglia.
Nuovamente ritorna la signora del ferito grave, il presidente della comunità e l’infermiera chiedendoci di ospitarlo nella nostra casa. La canonica è un luogo sicuro perché ha dato ospitalità a rifugiati di ogni tipo e quindi è diventato un luogo rispettato anche dai più agguerriti.
Ad un certo punto bussano alla porta i militari dell’Esercito Regolare Colombiano accompagnati dalla signora del “Panadero”. I militari si trovano qui a Remolino per un’operazione militare, promossa dagli Americani del Nord per riscattare alcuni loro militari sequestrati dalla guerriglia.
L'infermiere militare si presta a curare il ferito con le poche medicine a disposizione. Analizza la ferita: il proiettile è entrato dalla schiena vicino la scapola ed è uscito nella spalla davanti verso l'esterno.
L'infermiere dice che è un miracolo che non abbia colpito i polmoni, inoltre un altro proiettile lo ha colpito alla mano ma fortunatamente senza lesionare nessun tendine.
Il signore ferito ci racconta che è stata la gente ad avvisarlo che se ne doveva andare dal paese perché la guerriglia lo voleva eliminare. Prosegue dicendo che: “sono arrivate due persone che mi hanno condotto un po’ fuori dal paese per parlare abbiamo dialogato un po’ e ci siamo salutati dandoci la mano. Come mi sono girato ho sentito sparare e mi sono messo a correre, cercando di evitare le pallottole. Quando sono stato colpito mi sono gettato a terra fingendomi morto”…
Parliamo con il maggiore dell’esercito il quale ci promette che lo proteggeranno e che sta arrivando un elicottero. Gli americani del Nord, che stanno guidando l’operazione, gli hanno promesso che lo porteranno via da Remolino assieme alla famiglia. Infatti nel primo pomeriggio il maggiore ci conferma che sta arrivando l’elicottero e sollecita la famiglia ad uscire. L'infermiera che gli ha prestato le prime cure, ha molta paura, e mi chiede di accompagnarla.
Usciamo e ci dirigiamo al centro telefonico del paese. Qui troviamo una sorpresa. Tutti sono in strada ed escono come “formiche” dalle loro case protestando contro i militari, i quali nel frattempo sono entrati in una pensione hanno preso le prime tre persone che hanno incontrato con un ordine di cattura. Al comando di questa operazione un comandante Nord Americano.
La gente protesta apertamente facendo uscire tutta la tensione accumulata al mattino per il grave fatto accaduto. Appena mi rendo conto della situazione, mi aggrego anche io alla massa della gente che segue l’esercito. I militari hanno creato un primo “cordone” con le 3 persone catturate ed un secondo per contenere la folla. Ogni tanto ci si ferma ed i militari rispondono alle domande della gente dicendo che hanno “ordini ben precisi”.
Delle tre persone riusciamo a liberarne una. Questa “processione” continua, ma ad un certo punto viene bloccata e solo il padre ha il permesso di continuare. Chiedo allora che possa venire con me almeno il presidente della città, ma la risposta è negativa. Proseguo da solo accompagnato da un militare. In un luogo prestabilito, passa sopra di me un elicottero a tutta velocità, fa un giro, torna indietro ed atterra in un punto segnato da una bandana arancione.
I militari caricano i due “detenuti” però lasciano a terra l’uomo ferito e la sua famiglia!!! in un attimo l’elicottero si alza e si allontana.
Il maggiore con i militari ritornano verso Remolino e non possono evitare la folla di gente che li sta aspettando. Alcuni rappresentanti della Giunta Comunale comunicano al maggiore che vogliono vedere il mandato di cattura, e non ottenendolo, chiedono un documento, una relazione dove venga spiegato chi hanno portato via e le motivazioni.
Il maggiore assicura che lo farà se glielo permetterà il colonnello. Con il ferito e la famiglia ritorniamo in canonica. Il maggiore promette che l’elicottero tornerà. Passiamo la notte con timore. La notte è sempre misteriosa e nasconde i figli delle tenebre.
Il giorno dopo ci mettiamo nuovamente in moto e puntualmente ad ogni ora mi reco dal maggiore per sbloccare la situazione, perché il signore ferito ha bisogno di essere curato. Il maggiore attraverso il telefono satellitare chiede ordini al suo colonnello di Peñas Colorada.
Mi rendo conto che sono telefonate di circostanza e quindi mi convinco che bisogna fare qualche cosa di più. Parlo con il “Panadero” e decidiamo di inviare un comunicato alle Nazioni Unite colombiane, alla Croce Rossa Internazionale e all’ “Accion Social” ed al nostro Vescovo.
Dopo un po’ chiamo il Vescovo, il quale ha letto il nostro comunicato e nel frattempo mi dice di aver ricevuto una telefonata dalla signora Belen di Naciones Unidas, la quale conferma di essersi già messa in comunicazione con il colonnello di Peñas Colorada e con gli alti comandi dell’esercito.
Ormai è quasi notte ed il Vescovo mi chiede anche se sono disponibile ad accompagnare il ferito con il motoscafo di linea, all’ospedale di Cartagena del Chairà, ma la mia disponibilità non serve perché tra poche ore passerà l’esercito per prelevare il ferito, la famiglia i quali saranno sotto la loro protezione infatti alle 3,50 del mattino i nostri ospiti partono.
Il motoscafo di linea parte alle 7 del mattino. Mi dicono che alla seconda ansa del fiume è stato bloccato e perquisito dalla guerriglia alla ricerca del “Panadero”.
Una giornata indimenticabile dove ho toccato con mano la complessità del conflitto armato in Colombia. La paura in cui vive la gente, la quale è manipolata dalle armi e guidata dalla legge del terrore. La parrocchia è la ultima spiaggia sicura, dove tutti vengono: uomini, donne a cercare conforto, consiglio e dialogare sperando di trovare un amico una persona con la quale parlare liberamente.
Quando terminerà questo conflitto? Ogni giorno si fa più complesso, la guerriglia sta perdendo i suoi ideali di una politica socialista, lasciandosi portare dalla corrente del narco-traffico e dai soldi facili. L’esercito con molta facilità è coinvolto in scandali e sete di denaro trasformando la guerra in un industria. I “para- militari” una risposta armata di destra contro la guerriglia, sembra comportarsi in modo peggiore degli altri gruppi armati. Ora lo scontro tra gruppi guerriglieri (ELN e Farc), litigandosi l’egemonia del territorio nazionale. A pagare è la gente è “el pueblo”.
L’origine di tutto questo? È difficile saperlo, che la Colombia sia un paese violento nessuno lo può negare, una violenza che non è semplicemente il confronto tra due gruppi armati, ma è una violenza che vive la stessa gente all’interno delle famiglie e tra le persone di uno stesso paese. Capire dov’è il problema, è difficile, più uno entra in questa realtà più va scoprendo elementi nuovi e contradditori e invece di chiarirsi le idee si confonde di più. La nostra presenza è fondamentale, siamo un punto di riferimento per le persone e molte volte il perno su cui far girare bene le cose.
Grazie per la vostra attenzione. Preghiamo per la pace in Colombia, nel mondo e in modo particolare nelle famiglie. Se c’è pace nella famiglia è più facile che ci sia nella nostra società e nel mondo.
Il Signore della Pace vera vi benedica. Con affetto p. Angelo Casadei imc.